Non mi toccare 3

By sielsama22

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SEQUEL DI "NON MI TOCCARE 2" TERZO E ULTIMO DELLA SERIE "DON'T TOUCH ME" COMPLETA. "Averlo accanto faceva mal... More

Prologo
1. Ricominciare
2. Pezzi dal passato
3. Regali da Denver
4. Niente è ciò che sembra
5. Cuore o non cuore?
6. Party's over
7. 'Tu non mi piaci'
8. Un tipo strano
9. Tutto o niente?
10. Chiediti perché
11. Inerte
12. Un gran casino
13. L'ho uccisa io
14. Paparino?
15. Torna a galla
16. "Non posso"
17. Torna a riprendertelo
19. Ed ora?
20. Comparse da Denver
21. Boston
22. Fare ammenda
23. Guarire
24. Più niente da nascondere
25. L'ultima "ultima volta"
26. L'inizio della fine
27. Flashback
28. Spiaggia
29. Promesse infrante
30. Bagliore (Pt. 1)
31. Bagliore (Pt. 2)
32. Ricostruirlo
33. Riscrivere il destino
34. Strizzacervelli
35. Riscrivere il destino
36. La fine di un nuovo inizio
Epilogo
Speciale di Natale23: Stelle in spiaggia
Ringraziamenti
Nuova storia!

18. Verità nascoste

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By sielsama22

Mi sentii l'ultimo essere umano rimasto sulla terra non appena varcai l'uscita del dormitorio femminile e mi immettei nel vialetto che conduceva all'edificio di psicologia. 

Mi sentivo un po' in colpa per aver deciso di non tornare a Denver, ma ricordai a me stessa che cosa mi aveva spinto a farlo. 

Il dover rivivere tutto da capo. 

Nella mia mente suonava stupido, ma tornare dove tutto erano iniziato avrebbe peggiorato le cose e, egoisticamente, lo stesso sarebbe stato passare il Natale con le persone con cui avevo passato la mia vita quando quel tutto aveva avuto inizio. 

Ogni cosa mi ricordava qualcosa che stavo cercando di superare. E proprio quando finalmente riuscivo a sentire di star riuscendoci l'ultima cosa che mi serviva era una ricaduta nel buio da cui stavo ancora lentamente cercando di uscire. 

Avevo sentito il tono deluso e dispiaciuto di mia madre al telefono, ma non aveva insistito. E così avevano fatto Jordy e Marty. 

Gliene fui silenziosamente davvero grata. Nonostante tutto, volevo bene alla mia famiglia. Il passato mi aveva portata ad odiare qualsiasi cosa mi stesse vicino, ma pensandoci con occhi diversi mi resi conto che ero davvero fortunata ad averli. 

Perchè conoscevo fin troppo bene gli effetti che il non avere persone a volerti bene accanto a te potevano avere. 

E cercai di convincere me stessa che, neanche in parte, avessi deciso di rimanere per via di Tyler. 

Ma sapevo che il pensarlo qui letteralmente da solo, a passare il Natale rinchiuso in camera o ad ubriacarsi, mi aveva fatta rabbrividire. 

Neanche dopo tutto quello che mi aveva fatto si meritava una cosa del genere. 

Nessuno la merita. 

Perciò feci rifornimento di film strappalacrime e pop corn per passare una settimana rinchiuse nella mia stanza vuota e piangendo a dirotto per una brutta copia di Titanic. 

Gwen era tornata a casa per le vacanze, perciò organizzai una serata cinema con Adam prima di Natale. 

Lanciai un sorriso a Mary in segreteria china sul suo lavoro e sorpassai l'ufficio della signorina Emma. 

Le cose stavano andando piuttosto bene, in effetti. Pensavo che non sarei riuscita a continuare dopo due giorni ma, in realtà, mi faceva sentire stranamente meglio. 

Cosa assolutamente ridicola, visto che era stata la mia paura per tutta la vita. 

L'immagine di un Tyler che mi minacciava di obbligarmi a "farmi aiutare" davanti casa mia mi tornò in mente come un flash. 

Non avevo mai realizzato che cosa avesse potuto significare per lui. 

Mi morsi il labbro, sentendomi incredibilmente egoista. 

Una mano mi risvegliò dai miei pensieri. Realizzai che mi ero improvvisamente bloccata nel bel mezzo del corridoio e stavo fissando un punto davanti a me come una psicopatica. 

"Tutto okay?", mi chiese Paul, un tantino preoccupato. 

Annuii e mi ricomposi, sperando di trovarmi lì soltanto da qualche secondo. "Ero solo un po' distratta, scusami"

Lui si ravviò la borsa sulla spalla e mi guardò, probabilmente aspettandosi che volessi fare conversazione con lui. 

Sorrisi timidamente, non volendo avere quella conversazione che lui si aspettava da me. 

La sua espressione divenne improvvisamente delusa, i suoi occhi azzurri più cupi e spenti. 

Beh... Era chiaro che tra di noi c'era imbarazzo. 

Tanto imbarazzo. 

Mi schiarii la gola. "Anche tu confinato qui per le vacanze?", domandai, cercando un argomento per stemperare la tensione che si era creata tra di noi. 

"Già. Pare che siamo gli unici rimasti", concordò, annuendo. 

Annuii anche io. 

Lui annuì di nuovo. 

Splendida conversazione. 

"Ascolta-"

"Senti-"

Entrambi ridemmo, l'imbarazzo mi fece voglia di sprofondare nel pavimento. 

Forse sarebbe stato meglio tornare a Denver. 

"Ce l'hai ancora con me per l'altra sera, eh?", ammise infine, andando dritto al punto. 

Mi spostai una ciocca di capelli dietro l'orecchio, nervosa sul dove la nostra amabile chiacchierata sarebbe andata a finire. "Non è così, Paul. Davvero. E' solo che... "

"E' solo che preferisci passare il tuo tempo con la persona che ti ha spezzato il cuore due volte piuttosto che cercare di uscire dal circolo vizioso in cui sai stai ricadendo"

Spalancai la bocca, scioccata. "Scusami?"

"Mi hai sentito bene, Ele. Sai che non puoi negare. Entrambi sappiamo che è la verità", dichiarò, incrociando le braccia al petto con fare arrogante. 

Feci un passo indietro e lo guardai con rabbia che non avevo mai provato prima nei confronti di nessuno. Ma faceva sul serio? 

Chi era lui per dirmi che cosa dovevo fare e quando, o per dirmi con chi dovevo uscire e perchè?

Neanche mio padre si era mai permesso di dirmi una cosa del genere. 

Già, beh, quello non conta, una voce nella mia testa mi canzonò. 

La scacciai velocemente e tornai a concentrarmi su il volto di Paul, chiaramente fiero e più che convinto della sua uscita. 

"Non sai niente di questa storia, Paul. Niente di niente. Hai lasciato la Signal un anno prima di noi, ricordi?", dissi, cercando di non trattenere i toni bassi in corridoio. 

"Posso solo immaginare quante cose siano cambiate in un anno, Ele. Perchè il tuo ragazzo non mi sembra cambiato di una virgola e tu sei ancora qui, dietro di lui come un cagnolino, senza neanche aver mai provato a guardare fuori dagli orizzonti e a renderti conto che c'è di meglio in giro"

Dal modo in cui strinse la mascella mi resi conto che si stava trattenendo dall'urlarmi contro, ma sarebbe stato meglio che si spostasse se non voleva essere picchiato a sangue da una ragazza di trenta centimetri più bassa di lui. 

Perchè dopo aver sentito quello che aveva detto, scagliarmi su di lui era la prima opzione che mi passò per la testa. 

Chiusi gli occhi ed inspirai, cercando di mantenere la calma. 

"Ascoltami attentamente, okay? Capisco che Tyler non ti vada a genio. Non so i motivi e non mi interessa saperli, ma giuro che se parlerai di nuovo così di qualcosa di cui non sai niente ti ritroverai con i testicoli in un barattolo di miele e l'idea di sputare merda sugli altri ti passerà di mente".

E con quello lo sorpassai, la mia spalla colpendo la sua mentre mi allontanavo da lì con un sorriso fiero di me stessa sul volto. 

Wow. Dove avevo racimolato tutto quel coraggio?

Diedi il cinque alla me interiore, soddisfatta di come me l'ero cavata in corridoio.

Dopo aver consegnato il mio progetto sulla psicologia al professor Marsley lasciai l'edificio e mi diressi di nuovo in dormitorio, quando ricevetti una chiamata. 

Mi bloccai lungo il marciapiede che portava al dormitorio femminile ed estrassi il telefono dalla tasca. 

Lessi il numero sconosciuto e aggrottai le sopracciglia. Chi diavolo mi avrebbe chiamato da Aspen? 

Le uniche persone che mi chiamavano erano la mia famiglia e Susan. 

Nonostante ciò feci scorrere il dito sullo schermo e mi portai il telefono all'orecchio. "Pronto?"

Non sentii niente dall'altra parte del telefono. "Pronto?", ripetei. 

"Signorina Cassidy?", una voce femminile chiese. 

Annuii, realizzando poi che non poteva vedermi. "Chi è?", domandai in modo confuso.

La donna, che dal tono di voce sembrava sotto i trenta, emise una risatina divertita, scambiando parole incomprensibili con qualcuno che era lì con lei. 

Innervosita, puntai le labbra sul microfono. "Non sono interessata a nessun tipo di promozione. Grazie e buona giornata", e riattaccai un secondo dopo. 

Infastidita, mi ricacciai il telefono in tasca ed entrai in dormitorio. Neanche due passi e ricominciò a squillare. 

Con una mano ad aprire la porta della mia camera, incastrai il telefono tra il mio orecchio e la mia spalla. "Ho detto che non sono interessata, maledizione! Perchè non lasciate le persone in pace una volta per tutte?", sbottai. 

"Whoa, raffredda gli spiriti, ragazza. Chi ha sputato nel tuo caffè?", Susan scherzò con una risata. 

Sospirai e mi passai una mano sulla fronte, posando le chiavi sulla mia scrivania e chiudendomi la porta alle spalle. 

"Scusami, Sus. Pensavo fossi un maledetto operatore telefonico da Aspen o roba simile"

Ci fu' un attimo di silenzio da parte sua. "Cosa?", domandò, una risata nervosa. 

"Niente, lascia perdere. Come vanno le cose dall'altra parte del mondo?"

Lei sospirò, la sentii trafficare con qualche oggetto a cui seguì un tonfo. "Maledizione. Ho rovesciato la tazza del caffè"

Scoppiai a ridere per la sua goffaggine. Era esattamente come la ricordavo. "Le cose vanno piuttosto bene, comunque. L'università è stressante, ma per fortuna ora ci sono le vacanze"

Mi sedei sul letto senza neanche togliermi il giacchetto e mi sfilai le scarpe con un piede. "Come sta Clay?", le chiesi. 

Sapevo che fosse lì con lei, ma non mi ero mai interrogata sul cosa stesse facendo. 

Era testardo, e aveva voluto seguirla ovunque andasse. Mesi fa sarei potuta scoppiare a ridere per quella pazzia, ma più di una volta mi ero interrogata su cosa avrei fatto io. 

E la risposta non era poi così tanto diversa. 

Peccato che, data la situazione in cui mi ero ritrovata, non dovetti neanche sprecare energie per pensarci. 

Ero io quella che era stata scaricata. 

"Sta bene, ma il college porta via molto tempo anche a lui", rispose, stranamente sulle vaghe. Non era affatto da lei, ma decisi di non infierire. 

"Così... progettate di tornare a Denver?", chiesi infine, esitante. 

Ci fu' un attimo di silenzio da parte di entrambe. "Forse. Chi lo sa", rispose, di nuovo non lasciando trapelare troppe emozioni nella sua voce. 

Perchè era così strana? Susan non era il tipo riservato e timido che non amava condividere la propria vita. 

"E voi?"

Mi misi a sedere di scatto sul mio letto, ricordandomi quello che mi aveva detto Tyler in mensa solo qualche giorno prima. "Tu! Perchè non hai mai accennato al fatto che sapevi esattamente dov'era Tyler e che eravate in contatto? Come hai osato farmi questo?", gridai, ma non ero arrabbiata. 

Sperai che cogliesse l'ironia nella mia voce. In realtà le ero grata per non avermelo detto. Sapevo che sarei probabilmente andata fuori di testa. 

Susan ridacchiò, delle voci in sottofondo. "Te l'ha detto, eh? Gli avevo gentilmente chiesto di non farlo", spiegò, più serietà da parte sua di quanto mi aspettassi. 

"Sus", la richiamai. "Davvero, da quanto va avanti? E come l'hai trovato?", le domandai, mordendomi il labbro inferiore in preda all'agitazione. 

Era domande che mi ero chiesta per troppo tempo. Che avevano minacciato di trascinarmi giù di nuovo con loro, e nonostante sentissi di essere pronta a sentirne le risposte, temevo ancora il loro peso. 

"Io non ho fatto nulla, in realtà. Clay mi ha detto che Tyler l'aveva chiamato. Aveva cercato di rimettersi in contatto con noi dal nulla", iniziò. 

Poi emise una risata più che ironica. "Puoi solo immaginare la mia reazione, Ele. Volevo tirargli qualcosa addosso appena me lo sarei ritrovato davanti. Ma mi sono fermata e ho cercato di sostenerci una conversazione civile"

"E... ?", mormorai, odiando il modo in cui si era interrotta. 

Lei sospirò. "E mi ha detto che voleva sapere come stavi. Davvero, come stavi. Adesso posso ammettere che non ho mai sentito così tanto terrore nella sua voce, Ele. Era terrificante solo parlarci al telefono. Non oso immaginare in che stato fosse durante quella chiamata"

Mi raddrizzai sul mio letto, la mano libera che non reggeva il telefono posata in grembo. 

Wow. Era un sacco da digerire. 

"Cosa gli hai detto?"

"La verità. Che io e Clay eravamo a Londra e che non ti vedevamo da mesi, e che non potevamo dirgli niente", continuò. "Credo di averlo sentito scaraventare qualcosa a terra o roba simile, a quel punto", aggiunse per stemperare la tensione. 

"Tutto qui?", sussurrai, più a me stessa che a lei. 

Lei sembrò risvegliarsi. "Oh, beh, e poi l'ho mandato a fanculo e ho riattaccato, ovviamente", precisò, una risata alla fine delle sue parole. 

Mi unii a lei, cercando di pensare al lato buono di tutta quella faccenda. 

Salutai Susan e mi attaccò dopo qualche minuto passato a chiacchierare del più e del meno. 

Mi sdraiai sul mio letto, guardando il soffitto, il mio telefono stretto tra le mani. 

Non riuscivo a credere a quello che Susan mi aveva appena detto. 

Avevo davvero passato mesi a soffrire per qualcuno pensando che se la stesse spassando alle Hawaii o roba simile mentre in realtà stava peggio di me? 

C'erano troppi fili che non coincidevano. 

Troppe domande senza risposta. 

Troppi dubbi da chiarire. 

E troppe ferite da riaprire per dare un senso a tutto quello. 

Forse non volevo farlo. 

Forse volevo ricominciare davvero da zero, lasciandomi alle spalle quello che era stato il passato. 

Ma l'unica cosa che avevo imparato negli anni più bui della mia vita era che il buio succede il sole prima o poi. 

E se fosse tornato più forte di prima? 

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