Seinlef, re per destino

By Handur

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Qanulsui[Buongiorno], io sono Seinlef, Re di Castèra, e vi racconterò la mia storia. Sono nato in una povera... More

PROLOGO
CAPITOLO I [parte prima] - Grazie
Capitolo I [parte seconda]
CAPITOLO II - Il Sogno
CAPITOLO III - Umani
CAPITOLO IV - Rosa Bianca
CAPITOLO V - Ogni pensiero
CAPITOLO VI - Serpe d'argento
CAPITOLO VII - A parlare con il vento

CAPITOLO VIII - Quasi a casa

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By Handur

Il Conte

L'aveva salutata in Lingua Antica, la lingua dei Poemi Sacri. Oramai era utilizzata solamente dai Dotti della Lingua e dai sacerdoti, i quali conoscevano la Lingua Nuova, ma si rifiutavano di intonarla.

La boscaglia si era riempita di basso fogliame, e Tronie dovette sguainare lo spadone per farsi largo tra le grandi foglie sempreverdi.

Camminammo fino al calar del sole, con sole due soste, lungo la direzione che ci aveva indicato la Mistan.

Io non avevo mai amato quel tipo di magia. Nel Regno oramai tutti ne parlano male, la paragonano alla magia nera, e non si può fare altro che seguire la massa. Sarebbe stato meglio tenere nascosto quel nostro incontro, avremmo raccontato di esserci persi e di aver tanto patito la fame, ma di essere sopravvissuti grazie alla cacciagione.

Menzogna, verità. Cosa vuoi che importi? Chi non preferisce una favola alla cruda verità. E a volte le favole sono fatte per non sforzarci troppo di alterare il nostro pensiero, il nostro filo conduttore. Ah, basta. L'ho sempre odiata la filosofia, preferisco la storia. Giudicare il futuro giudicando il passato. Una meravigliosa utopia, ma sarebbe meraviglioso evitare di fare certi errori già commessi in passato solamente conoscendone le conseguenze. In fondo il rischio fa parte della nostra indole.

«Ho freddo.» intervenne Seinlef nei miei pensieri.

«Hai ragione, accampiamoci per la notte, mi è venuta anche un po' fame. Vado a cercare un po' di legna.» gli rispose Tronie.

Io rimasi in silenzio, limitandomi a fermarmi e a sedermi sul terriccio umido che si preparava ad affrontare la notte.

«Mio signore.»

Ci misi un paio di secondi a rispondere, ma poi dissi: «Ditemi, mio principe.»

«Nulla. A cosa pensate?»

«A un libro che mi ha dato la Mistan.»

«Nirgui?»

«Si, ha detto che grazie a questo capiremo come chiamarla in caso di necessità.» dissi prendendolo dalla sacca a tracolla. Ne ammirai la copertina. In grande, al centro, una scritta diceva: TUR SIAEL la magia che è in te.

Voltai la copertina, cominciando a sfogliare le pagine, che una dopo l'altra erano bianche.

«Che bel dono. Non è scritto nulla.»

«Cosa dite, non vedete che è pieno di disegni e scritte?»

«Ma dove le vedi?»

Un rumore di fogliame ci attirò. Janis si svegliò di soprassalto, mentre Tronie sguainò la spada.

«Chi va là?» urlò la Guardia Nobiliare.

«Metti il cappuccio, Seinlef, non farti vedere.» sussurrai al ragazzo.

«Io sono Tronie Mongrel, sono in viaggio con il Conte di Muria. Mostrati e fa' in modo di farti riconoscere.»

«Vi stavo cercando.» disse una figura mentre sbucava da dietro un tronco.

«Chi siete?» chiesi.

«Non riconoscete i soldati della vostra guardia?» rispose avanzando, inguainata la spada.

«Ortus! Sei vivo!» Tronie infilò il pesante spadone nel fodero e afferrò l'avambraccio dell'elfo dai lunghi capelli biondi che scendevano pesanti sulle spalle, e si abbracciarono.

L'elfo si sfilò l'elmo e lo mise sotto braccio, per poi inginocchiarsi con il viso chinato: «Miei signori, vengo da palazzo, vi aspettano tutti, vi guido a casa.»

«Siamo in piena notte, Ortus, perché non ti accampi con noi? Partiremo al mattino. Il ragazzo ha sonno.»

«Certamente, mio signore, come volete, però il mio compagno di viaggio ci aspetta in una radura poco più avanti.»

Dove ci aveva indicato, giungemmo in un'ampia radura, dove due cavalli erano legati accanto ad un fuoco spento oramai da molto.

«Chi è il tuo compagno?» chiese Tronie.

Un elfo a cavallo, con un arco lungo dietro la schiena, si avvicinò a noi a passo lento. Lo vidi socchiudere gli occhi per vedere con più chiarezza alla sola luce della luna, e, facendo avanzare più velocemente il cavallo, esclamare: «Li hai trovati! Oh Stragh, tu sia lodato!» riconobbi la voce di Erafis, che scese rapidamente da cavallo e si lanciò verso di noi, inchinandosi ai nostri piedi:

«Mio Signore, mio Principe. La mia mano è vostra, il mio arco e le mie frecce.»

«Alzati, Erafis. Grazie di essere tornati.»

«Dovere, mio signore.»

«Accampiamoci, comincio io il turno di guardia.»

Quando mi svegliai era l'alba, e mi resi presto conto di essere l'unico sveglio. In quel momento doveva essere di guardia Tronie, ma non si vedeva in giro.

Mi alzai di scatto, sguainando la spada e svegliando gli altri.

Giratomi intorno, notai che una massa di uomini usciva dal bosco, correndo verso di noi. Un dolore alla gola mi impediva di respirare, costringendomi a chinarmi, rantolando nel dolore, mentre un suono grave mi otturava le orecchie. Tutto divenne buio, scomparendo nel vuoto.

Tronie

Il conte si alzò dalla terra, mentre il sole nasceva da dietro le colline a est, di scatto, come se qualcosa lo avesse spaventato, ma non udivo né vedevo alcuna cosa potesse metterlo così in agitazione.

Mi sollevai dal ramo basso dell'albero su cui ero poggiato, mentre il conte sguainava la spada. Svegliò tutti, mentre io mi avvicinavo a lui.

«Mio signore, che accade?»

Si voltò verso di me, con un volto terrorizzato da chissà cosa. Le pupille dilatate dalla paura, mentre mostravano alla sua mente ciò che nessuno poteva vedere.

Un incubo, ancora. Ma questo era diverso. Non vedeva il solito verde giardino in cui giocava con la figlia. Qualcosa non andava, e dovevo farlo calmare.

Lasciò cadere la spada, portando le mani alle tempie, e chiudendo il volto in una smorfia di dolore. Io mi avvicinai a lui, sussurrando va tutto bene, ma improvvisamente sbarrò gli occhi e aprì la bocca, portandosi le mani alla gola.

«Aiutatemi a farlo stendere!»

Il Conte

Potei vedere qualche immagine, che si alternava dolorosa al buio più profondo: L'enorme volto di Tronie era davanti a al mio, in tutta la sua grandezza, solcato da una profonda cicatrice dal sopracciglio fino al mento, e disegnato in ampie increspature nella pelle grinzosa e vissuta.

Il dolore alla gola passò per essere sostituito da un certo sollievo. Ma questo sollievo durò poco, poiché dovette mutare in dolore nell'animo. Ripensai alla bambina felice che mi aveva reso tanto sereno, che mi aveva fatto sentire importante, utile, necessario. A quanto mi mancasse darle un abbraccio, o un bacio sulla guancia, o correre insieme a lei sulla riva di un lago, o giocare con lei per risentirmi bambino. Ecco cosa è successo, ho perso il bambino che viveva in me attraverso lei, e con lui la possibilità di volare nella fantasia per allontanarmi anche se per poco dalla realtà.

Mi risvegliai tranquillo, come dopo una bella dormita, sgranchendo i muscoli sbadigliando come non facevo da tempo.

«State bene?»

«Mi sento benissimo.»

Mi chiese cosa credevo di aver visto la mattina e gli descrissi quell'orda di uomini che ci circondavano.

«Che brutti scherzi fa la mente.»

Riprendemmo la marcia dopo il mezzogiorno, poiché il sole picchiava forte sulle nostre teste.

Seinlef era silenzioso, seduto sul cavallo portato a mano da Erafis, mentre Ortus tirava le redini del suo cavallo su cui avevamo caricato le borracce e le sacche, tra cui quella dove Tronie aveva accuratamente riposto la testa mozzata di quello sventurato uomo incontrato nel bosco.

Non c'erano nuvole in cielo, solo il sole, immerso nel mare celeste, che ci guardava dall'alto forse ignaro dei nostri desideri e avversità della vita, o forse è a conoscenza di questi, e resta lì nel suo lento moto, a guardarci e a farsi beffe di noi.

Marciammo per il resto della giornata, e solo qualche frase sul terreno o sulla bellezza del paesaggio rompeva il silenzio.

Oramai era notte, ma mancava oramai non molto per arrivare a casa, così decidemmo di fermarci, per aspettare che albeggiasse, e che la luce del sole ci illuminasse la strada.

«Che bel pugnale, Mio Signore.»

«Grazie.» rispose timidamente il ragazzo mentre fissava l'elsa argentea forgiata con le forme di una serpe.

«Chi ve l'ha donato?» chiese Ortus, curioso.

Mentre Seinlef stava per rivelargli dell'incontro con la Mistan, mi intromisi interrompendolo: «Gliel'ho donato io. Come regalo di benvenuto nella famiglia.»

«Dove l'avete preso, Mio Signore? Non ho mai visto un pugnale di tale fattura.»

«Lo comprai durante un viaggio in Occidente, Ortus. Per quale motivo siete così curioso?»

«Perdonatemi, se sono stato troppo invadente, non ne farò più parola.»

Il procione sembrava dimagrito da quando lo avevamo incontrato, e lo feci notare a Seinlef, il quale mi rispose con un forse disinteressato.

«Non preoccuparti, ragazzo, non appena saremo arrivati potrà rimpinzarsi per bene.» dissi, ricevendo come risposta un leggero movimento di spalle.

«Non ti starai mica disinteressando di lui, vero, Seinlef?»

«Cosa intendete?»

«Se sarà solo un peso per la corte, lo lasciamo libero.»

«No!» mi rispose, lasciando il pugnale in balia del terreno e fiondandosi sull'animale che stava dormendo e fece un salto per lo spavento.

«Scherzava, Seinlef, non lo allontaneremo da te. Però devi promettere di occupartene.» lanciai un'occhiataccia a Tronie per essersi intromesso. E continuai la sua frase: «Mi fido di te, ragazzo.»

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