Rispetto a qualche anno fa, ragiono sulle cose. Delle volte, però, il lato ribelle prende il sopravvento e si verificano situazioni del genere. Un po' come quando, preso dalla frenesia del momento, mi sono portato a letto Ruby, la sorellina di un caro amico.
Jordan è sempre stato scostante con la squadra, non perché si sentisse superiore ma per una mera questione caratteriale. Col tempo, già a partire dai pochi mesi dopo che Calista si è insinuata nella sua vita, le cose hanno iniziato a cambiare. Certo, ancora oggi non è di troppe parole, ma usciamo più spesso insieme, interagiamo, c'è più cameratismo e lo apprezziamo tutti.
Il punto è che mantenere le distanze da Ruby diventa sempre più complesso. Anche solo scambiare due parole davanti alla squadra mi fa sudare freddo, come se avessi i riflettori puntati addosso; poi però la guardo e tutto quello che vorrei fare è trascinarla nel primo ufficio disponibile e prenderla di nuovo.
Continuo a interrogarmi sul perché possa piacermi una ragazzina a malapena maggiorenne. Voglio dire, aveva solo diciotto anni tre anni fa. E io ne avevo ventotto. Santo cielo, sotto certi aspetti è inquietante. Per molti dieci anni di differenza non sono tanti, io lo so bene, ma in più, non in meno.
È solo che lei è così... brillante. Le risulta impossibile non catturare l'attenzione dell'intera stanza, persino in campo alcuni giocatori si sono voltati più volte per accertarsi di aver visto bene una cazzo di dea ambulante. Il modo in cui si prende cura della squadra, poi, nel suo piccolo, è ammirevole. Ieri ha fatto il culo a Ben con garbo e educazione e lui non ha fiatato. È stato zittito da una ragazzina che aveva ragione al cento percento. Gli va riconosciuto che ha incassato il colpo con classe, senza fare storie.
Purtroppo viviamo in un mondo complesso; io stesso, insieme a Seamus, ne abbiamo pagato le conseguenze un paio di volte. Come quella in cui, diversi anni fa, siamo andati a letto con due donne. Io ero stato con quella più grande, Seamus con quella più giovane. Era stata una serata magnifica, una che si è tramutata in un incubo quando una settimana dopo le avevamo ritrovate a una cena di beneficenza perché si trattava di moglie e figlia di uno dei nostri sponsor. Avevamo tutti fatto finta di niente, troppo terrorizzati dall'idea di esserci giocati uno sponsor importante, e ne avevamo persino subito parlato col coach. Lo sponsor non aveva scoperto niente, ma la strigliata del caro David Spencer? Ancora oggi sento dolore ai timpani.
Oppure la volta in cui una tipa aveva cercato di incastrarmi fingendosi incinta di mio figlio. I tre mesi più duri della mia cazzo di vita. Alla fine, all'ottavo mese di gravidanza, dopo l'ennesima pressione dei miei avvocati, aveva ceduto e confessato che non era mio. Non soddisfatta, si era accaparrata ben ventimila dollari per il suo silenzio.
Comunque, tutto per questo per arrivare al gesto avventato che sto per compiere adesso. Sono a malapena le sei del mattino di martedì, giorno libero di Ruby ma non per il sottoscritto che tra due ore dovrà presentarsi al Suncorp per gli allenamenti mattutini. Tra due giorni partiremo per Sydney, giocheremo contro gli Eels e sarà una partita tosta. Negli anni sono migliorati parecchio, sia in difesa che nelle ali. Sono più reattivi, pronti al placcaggio e con tanta fame di vittoria.
Ce la faremo, batterli in casa sarà complesso ma non impossibile.
Trovo il suo nome in rubrica e avvio la chiamata.
«Pronto? Jax?» La sua voce roca mi arriva dritto alle orecchie, scendendo fin in mezzo alle gambe. Ho sentito questo suono molteplice volte nell'arco di una settimana, ne sono rimasto folgorato. Udirlo nuovamente riporta a galla momenti che, pur non dovendo desiderarli, vorrei rivivere. Ruby sotto di me, sopra, china sull'isola, sul tappeto di fronte al camino... Dio, no, devo smetterla. Subito.
«Dormivi.» La mia non è una domanda.
«Be', sono le... sei del mattino del mio giorno libero. Direi di sì.» Si schiarisce la voce.
«Non ti ruberò troppo tempo. Puoi aprire? Sono sotto casa tua.»
Ricevo silenzio per qualche secondo, poi la sento balbettare qualcosa di incoerente. L'istante successivo sento un piccolo suono vibrato che segna il portone aperto.
«Primo piano» dice dal citofono.
Percorro la rampa di scale larghe abbastanza da riuscire ad ospitarmi e mi fermo davanti alla porta semi aperta sulla sinistra. Ruby, pigiama addosso, capelli arruffati e occhi gonfi, giace sullo stipite, come se si reggesse a malapena in piedi.
«Ehi.» La saluto.
«Ciao. Entri?» Si scosta per potersi fare da parte quando non rispondo ma annulla la distanza.
L'appartamento è piccolino, si nota subito la prevalenza del legno. Noto il piccolo salotto attaccato alla cucina sulla sinistra, un tavolo al centro come a voler separare le due aree. Poi altre due porte sulla destra, una di esse è socchiusa, perciò deduco sia la camera da letto da cui è uscita. L'insieme ha un aspetto retrò, ma non antico. Il parquet è lucido, i mobili ben tenuti e la presenza di elettrodomestici dei nostri tempi dona quel tocco di modernità che non guasta. Per certi versi mi ricorda casa di Jordan, solo più... vecchiotta, ecco. Del resto, il palazzo è monumentale, difficilmente gli appartamenti al loro interno vengono stravolti del tutto.
«Scusami, devo volare in bagno.» Strizza gli occhi e apre la prima porta sulla destra, confermando il mio pensiero.
Quando Ruby ritorna, apro la busta che tenevo in mano e tiro fuori il necessario.
«Che cosa...?»
Posiziono sul tavolo una borsa d'acqua calda elettrica a fascia, da porre sulla zona lombare, un pacchetto di tisane, due barrette di cioccolato alle nocciole, una confezione di antidolorifico e un pacchetto dei soliti biscotti al cioccolato che la vedo mangiare spesso. «Le tisane sono alla camomilla, malva e finocchio, hanno un mix di proprietà rilassanti, detossinanti e depurative.» La informo.
Ruby muove pochi passi nella mia direzione. «Mi hai portato un kit per i dolori mestruali?»
«Ieri ti ho vista sofferente e poi ti ho sentita parlare con Jordan mentre andavo in bagno. Ho gli allenamenti fra un paio d'ore, volevo passare ora che non c'è confusione in strada» spiego.
La bionda resta in silenzio, studiando ciò che le ho portato, poi sposta lo sguardo su di me e muove un passo. «Tu, Jaxon Mayer, stai rendendo le cose davvero complicate.»
«Non è niente di che.» Sminuisco il gesto. «Mia mamma ne soffriva parecchio, quindi ho una vaga idea di quanto facciano male.» Non avevo in programma di mettere in mezzo mia madre, ma questa è davvero una delle motivazioni per cui mi trovo qui. Le altre non sono pronto ad affrontarle.
«Vorrei divorarti, ma so che sarebbe poco professionale e non abbiamo bisogno di altri casini, quindi...» Ruby si alza sulle punte dei piedi e mi lascia un bacio sulla guancia destra. Indugia per qualche istante, un istante di troppo visto che ne approfitto per posare la mano alla base della sua schiena e l'altra sulla sua nuca.
L'attimo successivo ha spostato il viso e io sto già pressando la bocca sulla sua. Nient'altro. Nessuno dei due si muove.
Restiamo vicini, in silenzio, consapevoli di aver sbagliato per l'ennesima volta. Ci scostiamo con lentezza, come se stessimo assaporando fino all'ultimo millisecondo la vicinanza.
«Devo andare» mormoro.
«Devi assolutamente andare» concorda lei, gli occhi chiusi, le ciglia lunghe ad accarezzarle il volto.
Nessuno dei due, però, si muove.
«Ci vediamo domani, allora.»
«In realtà, penso che ci vedremo direttamente giovedì mattina, avevo in programma di chiamare Laura. Le foto dell'allenamento di ieri bastano per la settimana.»
«Oh. Capisco.» Annuisco.
«Grazie di avermi pensata, Jaxon.» Sfiora con le nocche il dorso della mia mano.
Non rispondo. Le riservo un sorriso e, con un sospiro, mi dirigo alla porta.
Andarmene non è mai stato così complicato. Ma è un bene essere riusciti a tenere a bada l'attrazione.
Raggiungo l'auto in fretta e prendo posto sul sedile. Passo una mano sul viso stanco. «Ma che sto combinando?» mormoro.
Guai. Solo guai.