Capitolo Diciassettesimo

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Lasciare la mano di Yifan fu difficile, per Deming

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Lasciare la mano di Yifan fu difficile, per Deming.

Il giovane si costrinse a tornare al suo posto, in piedi, accanto a un pilastro isolato. La bocca si era riempita di un sapore amaro, quello del rimpianto, lo stesso che gli stava impedendo di guardare negli occhi Meizhen.

Il giovane non era riuscito a dire nulla quando il sovrano aveva annunciato il suo matrimonio con una donna che non amava, eppure, Deming non poteva rifiutare. Se si fosse tirato indietro, avrebbe recato offesa all'imperatore e si sarebbe inimicato il clan Dinggiri Hala, ciò non gli conveniva visto che era ai ferri corti con quello degli Yalaerta.

Forse avrebbe potuto trovare una soluzione chiedendo a Meizhen di diventare la sua amante ufficiale. Sì, sarebbe stato perfetto. Così facendo, Deming avrebbe avuto sia il prestigio che l'amore. Sposare Yifan non era altro che un compromesso necessario per raggiungere la grandezza, niente di più.

La guardia Ru abbassò le palpebre e fece per perdersi nei suoi pensieri, ma la voce del principe Haoran riempì la sala con un'esclamazione che portò il sorriso sulle bocche delle concubine. Tutte le donne dell'harem provavano simpatia nei confronti del fratello dell'imperatore, e non lo nascondevano. «Nobile Consorte Chun, se non erro mi avevate chiesto di stupirvi con uno dei miei regali.»

«Avete buona memoria, vostra altezza» sorrise la Nobile Consorte Chun, che aveva quasi finito di mangiare. Era sempre stata un'amante del buon cibo e, nonostante le sue forme fossero ben più prosperose di quelle delle altre concubine, i suoi occhi brillavano di una felicità contagiosa. Quella donna era contenta, grazie ai suoi figli, alla vita che conduceva all'interno del palazzo, e alle attenzioni che l'imperatore le donava. Non le mancava niente.

La Nobile Consorte Chun non era la prima bellezza dell'harem, non poteva competere con l'imperatrice o la Nobile Consorte Imperiale Jia, ma riusciva a brillare di luce propria, grazie alla sua bontà.

Il principe Haoran si alzò in piedi e dopo aver lanciato uno sguardo complice all'imperatore scese dal tavolo, con le mani nascoste dietro la schiena. Gli bastò fischiare una sola volta per far in modo che le porte della sala dei banchetti si aprissero e degli uomini vestiti in modo buffo, con delle bizzarre acconciature color neve, attraversassero i tappeti cremisi.

Deming aggrottò le sopracciglia e osservò quegli strani occidentali sedere su degli sgabelli appositamente preparati per loro. Fra le mani guantate trattenevano strumenti musicali in mogano, alcuni di un certo peso, altri più leggeri. Un uomo dall'alta acconciatura colma di boccoli stringeva fra le dita un flauto argenteo, mentre un secondo uno strumento simile all'erhu, che possedeva più di una corda. Doveva essere un violino.

«Principe Haoran, questi uomini provengono dall'occidente?» domandò l'imperatrice, incurvando le labbra in un sorriso d'approvazione. Gli stranieri erano sempre i benvenuti alla corte dell'imperatore Qianlong, specialmente se portavano con loro simili meraviglie.

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