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«Oh, cielo!» esclamò Damien, alzando le braccia in alto, sospirando. Non c'era mai fine al peggio!
Jack si era fermato poco davanti la porta, con le mani dentro alle tasche dei pantaloni, guardando Elia con aria innocente come se non avesse mai tradito Elia, come se quella non fosse stata l'unica volta che si presentava in ospedale quando il castano stava male. Eppure lo aveva tradito e quella era la prima volta che andava da lui -fatta eccezione per quando era andato lì per provare a negare tutto quanto.
«Sto per vomitare!» aggiunse Damien, con una vera e propria espressione di disgusto, senza preoccuparsi di salutarlo.
«Jack.» Elia si era sforzato di salutarlo.
«Elia... ho saputo che stai male.»
«Lo sai da tre anni, a dire la verità. E sai, sono davvero curioso di sapere come mai sia qui.»
Jack avanzò di qualche passo, istintivamente Damien agganciò il braccio di Elia con la mano e lo fece indietreggiare.
I ragazzi avevano accennato una risatina a quel suo gesto.
«Sono qui perché ci sei tu.» rispose, come se fosse ovvio. Ma non lo era.
«Certo. Jack, non sei mai venuto in ospedale quando c'ero io. Ti chiamavo, pregandoti di venire perché avevo bisogno della tua presenza ma non ne volevi sapere, forse ne approfittavi della mia assenza per tradirmi facilmente, forse non ti sentivi di vedermi in quelle condizioni. A ogni modo, non sei mai venuto a trovarmi quindi adesso non provare a far credere che ti è importato qualcosa.»
«Non ce la facevo.»
Damien scosse la testa, non riuscendo a sopportare la sua voce, la sua faccia, lui.
«Perché a Damien piace stare qui e vedermi in questo stato... ma sai, non stiamo assieme neanche da un anno e quando sono stato qui per due settimane, ho dovuto lottare per mandarlo a casa a riposare. A scuola, testimoni loro, non ci andava perché era qui, aspettando fuori l'orario delle visite e tornando a casa solo quando glielo dicevano i medici. Gli è stato facile né per me né per lui, ma c'è stato. E tu no.»
Camilla, Gas ed Erica stavano confermando che per due settimane Damien non si era fatto vedere in classe, Ryan non lo stava facendo perché credeva che Jack doveva avere almeno uno dalla sua parte. Aveva torto e lo sapeva, ma non poteva abbandonare il suo amico.
«A ogni modo, apprezzo la tua visita e la vostra. Mi fa piacere.» era sincero.
«Ci hai fatti spaventare.»
«Beh, almeno vi ho fatto saltare la lezione. No, aspettate... doveva interrogare!»
«Non abbiamo fatto nulla neanche le altre due ore, la professoressa lo aveva detto a tutti quindi poi chiedevano.» disse Gas, il cui nome completo era Gaspare -preferiva abbreviarlo, e lo preferivano anche gli altri.
«Damien però li ha liquidati con un secco "fatevi gli affari vostri, e che cazzo!" , con l'aggiunta di un quaderno volante in direzione del professore.» aggiunse Erica, divertita.
«Se avessi usato il destro l'avrei centrato in pieno.» si lamentó Damien, andando a sedersi sul letto.
Elia rise.
«Il professore ha urlato così tanto che è rimasto senza voce. Sul nostro gruppo c'è il video, se vuoi guardarlo.»
Ricordava che dopo la professoressa dai capelli arancioni seguiva il professore di matematica.
«Lo guarderò sicuramente.»
«Damien ci va giù forte con le parole. Trova insulti che sono da ricordare a vita. Citazioni.»
Jack alzò gli occhi al cielo. Come Damien odiava lui, Jack odiava Damien e non sopportava quando gli facevano... complimenti.
Ryan gli diede una pacca sulla schiena. Era voluto andare con loro, e sapeva che ci sarebbe stato anche lui, non avrebbe dovuto lamentarsi.
«Dovevo stare tranquillo sapendo che stavi morendo?»
«Non stavo morendo.»
«Io questo non lo sapevo. Nessuno mi ha dato notizia di te, e se non fossi venuto non lo avrei saputo ancora adesso.» aveva ragione. Per le tre ore restanti era stato spaventato, seduto sulla sua sedia con la schiena appoggiato al muro e le gambe piegate al petto. Di tanto in tanto lo avevano visto tremare, annullarsi nei suoi pensieri. Aveva insistito molto per farlo uscire, ma nessuno glielo aveva concesso. Era stato male.
«Hai ragione. Mi dispiace, avrei dovuto farlo.»
«La smetti di scusarti? Non te ne ho dato una colpa.» si era sdraiato sul letto, tenendo i piedi fuori dal materasso per non sporcare le lenzuola con le scarpe.
Jack si chiese come potesse Elia -alto, muscoloso, dal viso dolce- stare con uno come Damien, così basso, imbronciato e maleducato. Cominciò anche a pensare quanto fosse alto, se riusciva a superare o raggiungere il metro e sessanta. Insomma, voleva trovare a ogni costo tutti i difetti in quel ragazzo, tra cui l'altezza, ma non sapeva che Elia amava il suo essere basso.
«So che non me ne hai dato una colpa, ma è già la seconda volta.» gli ricordò.
«Elia! Basta.» Damien sapeva che avrebbe avuto i sensi di colpa, era troppo buono.
Lo raggiunse sul letto, e si sedette facendo sì che Damien appoggiasse le gambe sulle sue.
«Perché state lì in piedi? Sedetevi, dai.» l'ospedale era diventata come una seconda casa per lui, si sentiva il padrone di quella stanza.
«Non ho nulla da offrirvi, eccetto...» guardò sul comodino il pane che gli avevano dato assieme al piattino di piselli e carote; le indicò «quelli che, per la vostra salute, vi consiglio assolutamente di non mangiare!» non capiva come mai continuassero a tenere quella cuoca. Sì, sapeva che la sua generazione era lì da anni -amici dei proprietari dell'ospedale-, ma se non sapeva svolgere il suo mestiere, potevano chiamare altri.
«È cosa di ogni ospedale.» disse Ryan, osservando dentro il piatto. Un pisello era nero. Nero.
«Peccato, se non fosse per il cibo sarebbe il top degli ospedali.» stava facendo i grattini alla caviglia di Damien. Ogni piccolo gesto dei due ragazzi, Jack lo osservava e ricordava di quando era lui al posto del moro. Quanto era stato stupido, si disse.
«Sono nato in questo posto.» disse ancora Elia, con un tono di voce abbastanza malinconico.
«Non so se sia bello o brutto sapere che, probabilmente, sarà lo stesso luogo in cui morirò.»
Damien si alzò di colpo, sedendosi, e dando uno schiaffo istintivo sul braccio del castano.
«Sei un idiota.» era arrabbiato, glielo leggevano neglib occhi.
«Rifletti un po' su quello che stai per dire. Capisci da solo che è una cazzata, e chiudi la bocca. O se proprio vuoi dire queste stronzate, fallo quando non ci sono io.» scese dal materasso, e andò verso la porta scansando Jack con una spallata -era stata volontaria o no?-, mentre i suoi compagni lo guardavano ed Elia lo chiamava. Forse aveva esagerato.

Chris aveva aperto la porta del bagno dell'ospedale. Entrando, non fu complicato vedere una macchia nera in un angolo, a contrasto con il pavimento bianco. Damien era seduto a terra, chiuso in un abbraccio con se stesso e il suo piccolo viso rigato dalle lacrime. Aveva le guance lievemente arrossate, così come il suo naso e gli occhi. Il diciottenne alzò lo sguardo verso il fratello, che gli sorrise e lo raggiunse, sedendosi accanto a lui, a gambe incrociate.
«Ti ha mandato lui?» chiese.
«Sì.» ammise Chris. Elia gli aveva chiesto di andare a cercarlo, di controllare nei bagni e, se non fosse stato lì, di cercare in tutto l'ospedale fin quando non l'avesse trovato. Fortunatamente, non c'era stato bisogno.
«Ho paura.» disse Damien.
«Dice che sta bene, che starà bene. Ma spesso parla facendo capire che non avrà mai un futuro, un futuro lungo. Ha avuto la febbre, oggi questa cosa che, a quanto pare, non è la prima e non sarà l'ultima volta. Tutto nel giro di neanche un mese.»
«È normale avere paura. Ed è normale anche per lui credere che non vivrà a lungo. Elia è un ragazzo ottimista, ma forse si sta appena accorgendo che la vita non è come nelle favole, dove tutto si sistema e vivono felici e contenti. Sta aprendo gli occhi davanti alla realtà. Più realizza che non ci sono posti liberi per lui, più realizza che ci sono possibilità di non farcela. E per quanto possa dire che è pronto a tutto, così non è. Ha diciassettenne anni, ha paura, non vuole morire. Per quanto forte può essere, davanti alla morte siamo tutti fragili.» si girò verso il fratello, vedendo che lui era voltanto in direzione del muro. Probabilmente non voleva fargli vedere le lacrime, anche se riusciva a sentire i suoi singhiozzi.
«Devi accettare ogni sua parte, che sia il lato positivo o quello negativo. Ci sono le volte in cui scherza sul tumore, ma ci sono le volte in cui, tipo oggi, riflette sul giorno della sua presunta morte.» Elia gli aveva raccontato cosa era accaduto.
«Hai tutto il diritto di essere arrabbiato dopo una tale frase, ma prova a non farglielo capire. Digli invece qualcosa di incoraggiante, qualcosa che credi veramente, però. Fallo sorridere quando è triste, e digli che c'è ancora speranza per lui quando crede di non averne. Elia è nelle tue mani; guariscilo! Non dal tumore, ma dai danni che questo gli procura. Tu puoi farlo!»

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LONELYDove le storie prendono vita. Scoprilo ora