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Elia sospiró e aggiustó lo zaino sulle sue spalle.
Lui e Damien erano usciti da casa di quest'ultimo dopo cena, adesso camminavano immersi nel buio serale senza neppure sapere dove andare.
Damien aveva tenuto tutto il tempo lo sguardo basso e tenuto le mani in tasca, senza dire una sola parola. Elia lo aveva notato.
«Adorabile il tuo broncio!» gli disse, accarezzando la guancia del moro con le dita.
«Cosa?» chiese, chiudendosi in sé.
«Che cosa hai? Damien, non sono stupido. Capisco che hai qualcosa che non va.»
Damien fece spallucce, continuando a non guardare i suoi occhi. Non voleva fargli vedere che i suoi erano ricoperti dalla lacrime.
«È da quando sono venuto, questo pomeriggio, che stai male. E me lo hai pure confessato, ma non mi hai detti cosa hai!»
Lo fece fermare, trattenendolo per il braccio, e, con due dita sotto il mento, lo aiutò ad alzare la testa.
Non era sorpreso di vedere le lacrime agli occhi del moro.
«Quale è il problema?» chiese ancora. Le sue mani sulle spalle del più basso, le quali guance erano ormai rigate dalle lacrime.
«Sei tu il problema!» rispose, senza cercare giri di parole.
«Co-cosa?» balbettó, confuso. Che cosa voleva dire con quella frase?
Damien tirò su col naso, e guardò oltre, lontano da quegli occhi blu.
«Non ho mai avuto amici!» iniziò, con la voce leggermente incrinata.
«Già da bambino tendevo ad isolarmi da tutti o ad essere isolato. Tutti hanno almeno un amico del cuore, mentre io non avevo neanche quello.
Ho passato 18 anni della mia vita da solo; chiunque mi vedeva rideva di me, mi evitava come se avessi avuto la peste e cazzo... mi prendevano in giro per il mio aspetto e carattere strano. » morse il labbro inferiore, asciugando con la manica della felpa le lacrime che scendevano velocemente, e guardò Elia, che ascoltava attentamente quel discorso.
«Ma poi sei arrivato tu. Cazzo, è vero... inizialmente ti odiavo, odiavo te, i tuoi occhi blu ed il modo in cui mi fissavi e sorridevi. Anche il modo in cui provavi a parlare con me. Ti odiavo, e volevo solo darti un pugno in faccia.
Ammetto di aver cambiato idea su di te quando abbiamo cominciato a parlare.
È stato strano parlarti, rendermi conto che non tutte le persone facevano schifo come pensavo -ti salvi solo tu, eh!» il labbro inferiore gli tremó e un singhiozzo gli usci dalla bocca. Elia, anche quella volta, stava lottando con se stesso affinché non scoppiasse a piangere.
«Siamo stati poche ore assieme, ma sei riuscito a farmi sorridere due volte... potranno sembrarti niente, ma io posso assicurarti che non vedevo un sorriso su di me da davvero molti anni.
E già questo la dice lunga...
Sono stato bene con te. Non il "bene" che dico solitamente... il "bene" che si dice quando una persona sta realmente bene. Non so come tu abbia fatto, ma è così.
Però... poi mi hai detto del tumore. Non solo la vecchia tristezza è tornata, in più ce n'era dell'altra mista a paura e ansia.
So che mi hai detto che non vuoi essere trattato come "il ragazzo con il tumore", e io posso provarci... ma quando ti vedo, nel profondo, penso che un giorno posso non rivederti più.
Elia, non so cosa siamo noi due: se siamo amici, nemici, sconosciuti oppure due stupidi ragazzi che devono fare uno stupido compito assieme, ma so che io ci tengo a te, e non voglio che tu muoia!» tornò a guardare in basso, mentre Elia se lo tirava verso sé e lo abbracciava, come aveva sempre voluto fare con lui. Lo teneva forte, ed era bello sentire che anche lui ricambiava quell'abbraccio. I loro corpi aderivano perfettamente, e se prima non ci fosse stato quel discorso triste, Elia sarebbe stato il ragazzo più felice del mondo.
Damien era attaccato a lui, non aveva intenzione di lasciarlo andare. Le strade erano vuote, quindi non rischiavano di essere scoperti. Da parte del castano, Dam ricevette lo stesso trattamento: lo stringeva così forte che avrebbe anche potuto spezzarlo, ma allo stesso tempo ci metteva tanta dolcezza.
«Lo sai che anche io tengo molto a te?» disse sorridendo, anche se Damien non poteva vederlo.
Lui scosse la testa, e asciugó una guancia dalle lacrime.
«E lo sai che io sto bene, e che non moriró?»
Damien scosse di nuovo la testa, poi scoppiò. Basta, non poteva più trattenere quel pianto. Si sentiva tanto stupido ma allo stesso tempo sentiva che non poteva evitarlo.
Aveva nascosto il suo viso nella giacca del castano, che non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere. Non da lui, che molte volte era stato sul punto di piangere ma altrettante volte aveva fatto di tutto per non sfogarsi definitivamente.
Elia gli bació la testa, e gli accarezzava la schiena che si muoveva ad un ritmo irregolare.
Era felice. Sapere che Damien teneva a lui fino al punto di piangere così tanto era una bella cosa... ma allo stesso tempo era terribile vederlo così distrutto. E la colpa era la sua, anche se non volontariamente.
«Damien, per favore. Lo sai che il mio povero cuore non può sopportare di vederti così?» ammise. E in quel momento Damien morse il labbro inferiore così forte da farlo sanguinare. Doveva smetterla. Aveva 18 anni, non 4!
Elia, sentendo che improvvisamente aveva smesso di piangere, lo spostò con gentilezza dal suo corpo e lo guardò negli occhi.
Che piccolo che era! Aveva le guance arrossate e bagnate, gli occhi neri erano lucidi e la bocca era piegata a formare un broncio davvero adorabile.
Gli prese il viso fra le mani e con i pollici asciugava le lacrime rimaste, e gli sorrideva come solo lui sapeva fare.
Damien mise le sue mani sui polsi del castano, tenendoli saldi ma dolcemente. Non voleva rompere quel contatto, non così subito.
«Stai bene?» gli chiese.
Continuava a guardarlo. Erano un paio di occhi blu che si perdevano in quelli neri di Damien.
«Credo... di sì.» sussurró.
Elia si passò lentamente la lingua sulle labbra dopo aver osservato attentamente quelle di lui: erano carnose, rossicce e già dall'apparenza si capiva dovevano essere morbide.
Chissà di cosa sapevano. Chissà di cosa sapeva Damien...
Con il pollice tolse quella piccola goccia di sangue che si era creato lui stesso con il morso, il movimento fece sì che esse si schiudessero leggermente.
Cavolo... se toccarle con il dito era stato così bello...
No, ok. Doveva smettere di pensare a certe cose! Non poteva baciarlo, e non lo avrebbe fatto. Erano in mezzo alla strada. Era deserta, ma ciò non significava nulla. E poi, soprattutto, non sapeva se Damien avesse ricambiato o meno. Ok che gli aveva detto di tenere a lui, ma forse sarebbe stato davvero troppo. Davvero, davvero troppo.
Però... come faceva a resistere? Elia era forte, ma non tanto da resistere a Damien.
Chiuse gli occhi e sospirò, quando li aprì si accorse che Damien lo guardava con aria confusa, non capiva.
Non capiva? Glielo avrebbe fatto capire!
Si armó di coraggio, e lentamente si avvicinó al viso del moro con il suo. Damien rimase immobile. Sapeva cosa stava facendo, sapeva che Elia lo stava baciando. Sapeva che avrebbe dovuto impedirglielo, ma non riusciva a muovere un muscolo.
Aveva gli occhi spalancati, il cuore che batteva velocemente. Molto velocemente. Gli era impazzito il cuore dentro la gabbia toracica.
Elia lo sentiva teso; gli stava togliendo il suo primo bacio, e forse non lo voleva neanche. Ma allora per quale motivo non lo stava fermando?
Forse lo voleva, in fin dei conti. Forse, al contrario di ciò che pensava, era riuscito a dare il suo primo bacio a qualcuno, quindi non era poi tanto terribile baciare lui.
Ma quello che Elia non sapeva era che Damien aveva paura, nel vero senso della parola. Non avrebbe saputo cosa fare, non sapeva come si baciava un ragazzo. Stava andando nel panico, seriamente. Sentiva le gambe deboli, tremanti e gli occhi inumidirsi. Elia era bellissimo, lo era era davvero tanto... e lui non si sentiva all'altezza.
Così, anche se aveva dovuto lottare molto con se stesso, ancora prima che il castano potesse poggiare le labbra sulle sue, Damien si spostò. Con gentilezza, non lo spinse bruscamente, ma ciò bastò per far sì che fra i due non ci fosse nessun bacio, e le guance di Elia colorarsi di un rosso acceso. Si sentiva così stupido!
Fece scivolare via le mani dal viso del moro, poi incrociò le braccia alla vita, abbassando lo sguardo.
Come aveva anche solo potuto pensare che Damien volesse baciarlo!?
«Mi dispiace. Io... non avrei dovuto.» si scusó, imbarazzato.
Damien aveva voglia di piangere e prendersi a pugni in faccia. Stupido, stupido e stupido! Adesso, a causa sua, non sarebbero stati più assieme.
«Io... Elia... non ho mai... e, io...»
"Voglio morire!" Pensò il moro.
«No, Damien... non hai colpe! È che... non lo so. Perdonami, davvero. Non avrei dovuto.» mise le mani sul viso, e sospirò.
Come glielo spiegava che gli piaceva, e che aveva voglia di baciarlo dalla prima in cui lo aveva visto!?
Damien guardava oltre. Non aveva il coraggio di guardare negli occhi Elia, anche perché lui li aveva coperti.
«Dio, che idiota che sono! Probabilmente sono stato drogato, o...» si lamentó. Già si aspettava una possibile reazione di Annie. Lei era la sua migliore amica, doveva saperlo. Assolutamente.
Damien morse il labbro inferiore. Non sapeva cosa dire, non voleva dire qualcosa di stupido.
«Possiamo fare finta che non sia successo nulla?» disse Elia, tornando a guardare Damien, che come risposta annuì imbarazzato. Nonostante quella situazione, Elia continuava a pensare che Dam imbarazzato era molto dolce.
Inaspettatamente, il castano scoppiò a ridere. Damien lo guardava come se fosse impazzito, e lui rideva ripensando a tutta quella scena.
«Elia, sei strano!»

Damien ed Elia avevano finalmente ripreso a camminare. Dopo una triste rivelazione ed un bacio mancato, entrambi avevano cominciato a sentire freddo. Avevano deciso di andare a casa di Elia, un po' perché sua madre si preoccupava se non lo vedeva tanto tempo e un po' perché Damien era curioso di sapere dove abitava il suo primo ed unico amico.
Avevano parlato poco, ma nonostante quel piccolo "inconveniente" nessuno dei due era realmente imbarazzato... non più, almeno.

«Sei pronto?» chiese il castano ridendo, davanti la porta.
«Non dovrei?» chiese a sua volta.
«Tu sì... io un po' meno.» sorrise, dopodiché aprì, e lo fece entrare per primo.
«Wow, mio figlio! Temevo di non rivederti più!» esclamò Edward divertito.
«E vedo che hai compagnia...» aggiunse.
Poi, prima che uno dei due potesse dire qualcosa, Georgie, con addosso un paio di leggins neri, una maglietta e i piedi nudi, corse verso di loro. Sorrideva, e i lunghi capelli neri le ricadevano sulla schiena e qualche ciocca sul viso.
«Ciao, io sono Georgie. Sono la sorella di Elia, ho 16 anni! Lui invece è nostro padre Edward, mamma non so dove sia.» disse.
Damien provò a sorridere -non era una cosa che faceva sempre, e anche se da quando parlava con Elia era più sereno, non voleva dire che gli riusciva facile sorridere-, e gli porse la mano.
«Da...»
Georgie lo interruppe, e la ragazza assieme a suo padre iniziarono a parlare:
«Sei Damien, 18 anni. Sei originario di Milano, ma per lavoro dei tuoi genitori vi siete trasferiti a Roma. Sei stato bocciato a scuola a causa del trasloco -anche se Elia crede non sia davvero per questo-, e odi i professori.
Ti vesti sempre di nero; sei basso, forse troppo basso per avere 18 anni, ma sei comunque moolto carino. Moolto carino!»
Damien era rimasto letteralmente a bocca aperta, la mano ancora a mezz'aria e gli occhi sgranati.
Cosa-era-successo?
Elia, intanto, stava cercando una corda con la quale uccidersi.
Damien si voltò lentamente fino a guardarlo, e improvvisamente Elia arrossí fino alle orecchie. Lo aveva sempre detto che aveva un padre e una sorella stronzi.
«Sappiamo chi sei, Damien!» disse Edward, sorridendo perfidamente al figlio. Quanto si divertiva a metterlo in imbarazzo.
Damien provò a dire qualcosa, ma non sapeva davvero cosa dire.
«Ecco... mio padre e mia sorella fanno schifo. Ma io... non centro nulla, io...» era in difficoltà.
«Voglio la mamma! Lei non è così stronza.»
Georgie rise.
«Mamma, vieni!»
Poco dopo una donna fece il suo accesso in cucina. Sorrise a Damien, e gli si avvicinó.
«Ciao!» disse il ragazzo.
La donna ricambió il sorriso, e gli tese la mano.
«Io sono Lucia, la mamma di Elia, e tu devi essere sicuramente Damien.» gli sorrise, e lui annuì.
«Finalmente vedo che faccia hai! Sai, è dal primo giorno di scuola che Elia ci parla di te, ininterrottamente. E, ragazzo, sei proprio come ti ha descritto.» socchiuse gli occhi come per mettere a fuoco l'immagine di Damien, poi si voltò verso il figlio scuotendo la testa, divertita.
«Spiegami come hai fatto a notare il neo... davvero, figliolo. Voglio saperlo.»
«Mamma, ma ti ci metti anche tu? Smettila. Anzi, smettetela tutti quanti. Così gli fate credere non so... che sono uno stalker!»
«Lo avevo capito già da solo, tranquillo!»

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