Capitolo 34

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Delle lacrime sfuggirono dal mio debole controllo senza che me ne rendessi nemmeno conto.

Il mio urlo riecchieggiava ancora nelle pareti schiave di tutto quell'orrore che aveva preso vita in quelle ultime ore disastrose.

Davanti ai miei occhi quattro corpi martoriati, a me fin troppo conosciuti, erano seduti comodamente intorno al tavolo in vetro, ognuno con delle tazze di ceramica davanti, riempite con sangue viscoso.

Erano posti in modo tale da fare sembrare la scena dinamica, come se le loro vite non fossero state strappate vie brutalmente, come se fossero tranquillamente seduti intorno al tavolo a sorseggiare una bevanda rossa.

Sembrava un teatrino degli orrori.

In quella stanza era presente un odore stantio insopportabile all'olfatto.

«Pixie...»

Scossi la testa velocemente, con il viso neutro, completamente privo di espressioni, ma con delle lacrime spaiate che mostravano la mia battaglia interna sanguinolenta.

William non osò più fiatare dopo il mio cenno, aveva compreso immediatamente la mia situazione mentale instabile.

Non potevo ancora credere ai miei occhi.

Mi stavano strappando dei pezzi della mia esistenza uno dopo l'altro, facendomi dubitare pure della mia esistenza.

Ogni certezza presente nella mia vita, che fosse stata passata o presente, loro ci erano arrivati e privi di moralità mi distruggevano lentamente.

Pezzo dopo pezzo stavo crollando per terra, e non sarebbe bastata della colla per rimettermi in sesto.

«Alyx, mi dispiace tantissimo» guardai Cherise con sguardo freddo e annuii apatica.

Percepivo la confusione nell'atmosfera, non capivano chi fossero tre dei corpi presenti, e soprattutto non riuscivano a comprendere perché non stessi neanche lontanamente reagendo.

Semplice, non avevo più nient'altro da fare uscire.

Le mie corde vocali non erano più in grado di produrre alcun suono e la riserva di lacrime probabilmente era agli sgoccioli.

Quell'urlo aveva buttato fuori tutto il dolore, tutto ciò che fino a quel momento i miei occhi avevano visto, tutto l'insieme del dolore accumulato, era uscito in quel momento, scoppiando come un vulcano in eruzione.

Avevo semplicemente finito il magma da fare uscire.

Ero stremata.

Non c'era più nulla presente dentro di me, il dolore era una delle componenti principali del mio essere, era un sentimento che mi caratterizzava ormai da tempo, una volta andato via, non c'era quasi più nulla.

Se non un immenso vuoto.

Quando mi decisi a muovere finalmente dei passi verso la scena che avrebbe torturato il mio sonno per il resto della vita, me ne pentii.

Era una scena in grado di mozzare il fiato a chiunque, anche ai più duri di cuore.

Mi avvicinai e toccai con una lentezza disarmante i capelli lunghi e scuri di quella che era stata la mia migliore amica.

Guardai le sue palpebre chiuse definite da una folta scia di ciglia lunghe, palpebre che mi ostacolavano la visione del suo sguardo che non avrei più rivisto.

Passai i miei polpastrelli tra i fili sottili e ingarbugliati che incorniciavano il suo viso angelico e dolce, che sempre mi aveva dato forza.

Sorrisi al ricordo dei suoi continui lamenti inerenti ai nodi presenti nei suoi capelli.

Post Fata Resurgo - L'ultima FeniceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora