Capitolo 30

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«E allora cos'è?» domandò confuso Matthew.

Marise si avvicinò ancora di più al quadro, arrivando a toccare la tela con la punta del suo naso delicato.

Sembrava aver perso totalmente la sua timidezza in quel momento, la concentrazione e l'uso dei suoi poteri la rendevano più luminosa.

Appoggiò il palmo della mano sulla vernice vecchia del quadro e inspirò profondamente, come se stesse assaporando qualcosa di saporito.

«Non ne avevo mai visto uno...» mormorò meravigliata.

Tutti la guardavano senza capire, aspettando qualche suo accenno di spiegazione.

Perfino Cherise non riusciva a comprendere la reazione della ragazza di fronte a noi, che non smetteva di tastare la tela.

«Marise, cosa senti?» le disse la rossa infastidita dal fatto che non riusciva a captare nulla.

Capii immediatamente che Marise era più potente di quanto potesse anche solo lontanamente sembrare.

Era stata capace di fiutare qualcosa di strano nei sotterranei a distanza esagerata, e ci aveva condotti qui.

«Non posso crederci!» Marise si staccò di scatto dal quadro e lo fissò realizzando ciò che aveva capito.

«Spiegati, dannazione!» sbottò William, che ovviamente si trovava casualmente al vertice opposto al mio della stanza.

Gli lanciai un'occhiataccia, sia per il suo tono rude utilizzato contro quella dolce ragazza, che non gli aveva fatto nulla, sia perché in quel momento sarei andata da lui a tirargli un pugno sul naso, perché mi girava alla larga per motivi a me ignoti.

Ricambiò il mio sguardo, e lo tenne fermo sul mio viso per qualche secondo, aspettando che mollassi la presa e che finissi quel gioco di sguardi.

Non avrei distolto lo sguardo prima di lui, doveva capire che le cose dovevano essere affrontate di petto, da quelle più semplici, a quelle più complicate.

Lui invece per via dell'imbarazzo aveva preferito ignorarmi malamente perché non sapeva come reagire e non riusciva a comprendere le sue emozioni da ragazzino alle prime armi.

Non gli sarei corsa dietro come un cagnolino, non era nel mio carattere e in quel momento avevo molte altre cose a cui pensare, che ai suoi problemi sentimenti che non voleva ammettere.

Io avevo capito, nonostante non fosse stato semplice, che William stava entrando sempre di più nel mio cuore con il suo carattere arrogante e quella espressione imbronciata che manteneva costantemente.

Avevo accettato la realtà, solo così potevo stare in pace con i miei sentimenti, lui invece non lo aveva ancora fatto.

Sapevo cosa stava pensando, probabilmente credeva che era una stupida cotta momentanea, o che quel tremolio che aveva il suo cuore ogni tal volta che eravamo a distanza di dieci metri, era solo tachicardia.

Non ero cieca, quando quella bolla si era creata intorno a noi, i suoi occhi mi avevano silenziosamente dato il permesso di entrare, di scavare dentro di lui fino in fondo.

Avevo percepito la sua paura, non sapevo esattamente di cosa, ma era presente.

Ma oltre a questa emozione negativa, avevo sentito anche altro, qualcosa difficile da spiegare.

Un legame.

In quell'istante tra me e quel ragazzo si era costruito un filo difficile da spezzare, potevo perfettamente sentirlo legato al mio cuore.

Quando avrebbe compreso il significato di tutto ciò, sarebbe stato troppo tardi, ma sperai comunque di no.

Vidi William distogliere lo sguardo imbarazzato per primo dopo una manciata di secondi e sorrisi vittoriosa.

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