Capitolo XIX - Dio solo sa dove sarei senza di te...

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Part One
Will Call (Marfa Demo)---Grizzly Bear

Il sole arde di arancio contro i muri sporchi e grigi dell’appartamento di Stan. Louis lo osserva, osserva come tinge ogni oggetto nella sua traiettoria con luce inarrestabile e colori.
Il divano sotto di lui è freddo, storto. Scomodo. Non riesce a sentire le sue gambe. È abbastanza sicuro che stia indossando le mutande ma non ne è certo al cento percento.
Ogni cosa è silenziosa. Tutto è immobile. Fatta eccezione per il sole – traccia una rotta lungo la stanza, diffondendosi con indefinibile incremento. E Louis lo osserva.
A un certo punto, la luce intensa si dissolve nell’oscurità. Louis non ha ben chiaro quando sia successo, ma sbatte le palpebre, forse per la prima volta da ore, e nota che l’intera stanza è improvvisamente buia e vuota. Quando è successo? È così buia.
Non si muove, però. Non accende nessuna luce, non si preoccupa di controllare l’ora.
Sta semplicemente sdraiato lì, ascoltando l’aria nei suoi polmoni mentre le tenebre lo inghiottiscono.
 
**
 
Di notte, è peggio.
Durante il giorno, è necessaria ogni briciola di forza rimasta in lui per rimanere composto di roccia impenetrabile, per superare i suoi turni al pub, per incrociare gli occhi degli estranei per strada. Gli costa tutto quello che ha e quindi, di notte, rimane a secco. Non sa cosa fare di notte.
Come dovrebbe passare il tempo? Cosa faceva prima? Nell’ultimo anno, si è abituato a passare ogni ora del giorno a casa di Harry, con Harry…
Deglutisce, i coltelli dietro i suoi occhi.
Non riesce ancora a dire il suo nome, riesce a malapena a pensarci senza sentire qualcosa di doloroso squarciare qualche parte del suo corpo.
Vaga infelicità… ecco cosa prova.
 
**
 
Non ha dormito il mattino dopo l’accaduto. Zayn l’aveva chiamato e gli aveva scritto – nonostante non usi il telefono. C’erano anche un paio di messaggi da Niall. Due chiamate perse da Liam. E niente da Harry.
Si era limitato a stare nell’appartamento di Stan, sentendosi uno schifo. Triste e vuoto ma principalmente arrabbiato con se stesso. Perché è stato così stupido, cazzo. Come ha potuto non dirgli niente? Tutte quelle volte in cui ha approfittato del fatto che Harry avesse sostenuto che il loro passato non era importante – lo sapeva che avrebbe dovuto dirglielo, ecco il fatto. Lo sapeva bene, cazzo, eppure ne ha comunque approfittato, è comunque arrivato a questo punto. Su uno schifoso divano con pensieri tossici, senza anima e un sole morente.
Avrebbe semplicemente dovuto dire qualcosa. Avrebbe dovuto mettere a tacere tutti i dubbi di Harry, avrebbe dovuto combattere di più. Perché forse allora Harry ci avrebbe pensato due volte, gli avrebbe dato una seconda possibilità.
Ma ora?
Ora Louis non se lo merita.
Sdraiato lì, aveva cercato di evocare tutti gli scenari in cui, forse, avrebbe potuto riprendersi Harry. Ma il fottuto problema è che, semplicemente, non se lo merita più. È la pura e semplice verità. È tutto finito ora, It’s all over now, proprio come cantava Mick Jagger.
Fanculo Mick Jagger. Fanculo tutto.
Più di tutto il resto, quella mattina, Louis voleva solo che Harry sapesse che non c’era mai stato niente di falso. Che ogni singolo sentimento era sincero. Ogni tocco era stato magnetismo e vulnerabilità e necessità e adorazione. Voleva solo che Harry lo sapesse. Quindi doveva provarci. Cazzo, Harry avrebbe potuto picchiarlo a sangue se avesse voluto, Louis gliel’avrebbe lasciato fare; ma non poteva lasciargli pensare che era stata tutta una messinscena, che non fosse importante. Che non era nulla se non la cosa più sincera che Louis avesse mai provato, e quindi Louis doveva alzare il culo e provarci, cazzo.
Ogni cosa nel suo corpo gli stava gridando di cadere in un coma autoindotto per il mese successivo o più. Ogni cosa in lui gli stava gridando di nascondersi, immergersi nell’autocommiserazione e nella tristezza, sparire per sempre e dimenticare il mondo che l’ha bruciato lasciando che si desse fuoco da solo.
Ma non poteva farlo. Per quanto lo volesse, per quanto facesse male e bruciasse e l’avesse ridotto in brandelli, non poteva stare sdraiato lì e accettarlo come avrebbe fatto normalmente. Non poteva incolpare il mondo per sempre. Se Louis aveva fatto questa cazzata, il minimo che potesse fare era spendere ogni briciolo di energia per tentare di far capire la situazione a Harry. Era letteralmente il minimo che potesse fare. Ed era patetico ed era debole e non aveva mai pensato di poter diventare una persona del genere, ma non gliene fregava un cazzo.
Perché Harry era l’unico ad avergli dato un po’ di luce, la realtà o la vita o la felicità o la gioia, e non aveva intenzione di mancargli di rispetto rannicchiandosi in se stesso e desiderando che la vita gli scorresse davanti mentre il sole ritagliava percorsi attraverso le orrende persiane di Stan.
Quindi si era alzato dal divano, quella mattina. Non aveva pensato. E si era detto che sarebbe andato tutto bene.
 
**
 
Louis si ritrova di fronte alla porta d’ingresso di Harry.
È probabilmente la cosa più stupida che ha fatto da… be’… due giorni fa, quando è andato tutto a rotoli. Louis ha un talento per l’idiozia.
Il sole brilla nel cielo. L’aria è tiepida ma con una leggera brezza fresca; scivola attraverso la sua giacca e le sue braccia smorte e rallenta il suo battito ancora di più, ogni pelo rizzato in aria. Louis sta congelando. I gradini sotto di lui sembrano freddi, la porta sotto le sue nocche sembra fredda… Persino il sole sembra freddo, il suo calore riservato a qualcun altro.
Quando Anne apre la porta, sembra triste. Louis sente un dolore sgorgare nel petto al semplice vedere il suo viso, così familiare eppure in quel momento così scollegato da lui. Non sapeva che sarebbe stato così.
Lo saluta impietosita, le sue parole dispiaciute e affrante. “Non so cosa sia successo, Louis,” dice in risposta, quando Louis le domanda con voce gracchiante di vedere Harry, gli occhi che non riescono a incontrare i suoi. “E mi dispiace per qualsiasi cosa stia succedendo, ma… Non posso lasciarti entrare.” Le parole sono afflitte, quasi esitanti.
Louis può solo rimanere lì, fissando i suoi piedi. Sente il suo viso come se fosse stato forgiato nell’acciaio. Come se non potesse muoverlo mai più.
“Devo rispettare i suoi spazi, tesoro,” continua, dolce. “Mi ha quasi implorato di farlo. Non so niente, davvero, e non voglio immischiarmi – lo sai – ma è mio figlio.” Si morde le labbra, gli occhi provati. “Mi dispiace tanto.” È chiaramente distrutta, gli occhi pieni di lacrime mentre sta lì sulla soglia, metà dentro, metà fuori, gli occhi fissi su di lui in una maniera così compassionevole da dargli quasi la nausea.
Ma Louis non vuole farla sentire così. Cazzo, ha causato abbastanza sofferenza in questa casa.
Annuisce, distogliendo il suo sguardo fisso dai suoi piedi. “Va bene,” dice, privo di emozioni. “Ma ho intenzione di tornare domani, okay? Puoi rifiutarmi di nuovo, lo capisco, puoi dirmi di andarmene. Ti ascolterò, Anne. Lo farò. Non ti coinvolgerò in questa storia, te lo prometto. Ma ho intenzione di tornare domani, anche se non servirà a nulla.” Deglutisce, colla a ricoprire la sua gola. “Non… non devi neanche aprirmi la porta se preferisci non–” La sua voce si incrina come fragile pergamena, disintegrandosi e scricchiolando verso la fine. “Ma tornerò, okay?”
Gli occhi di Anne sono arrossati di lacrime, i suoi lineamenti emanano una tristezza che fa sentire Louis completamente vuoto. Non avrebbe mai voluto essere guardato da lei in quel modo. Non aveva mai immaginato niente di simile. È orribile ed è terrificante.
Ma lei annuisce una volta, l’affetto ancora visibile attraverso il malessere e il senso di colpa. Allungando una delle sue piccole mani, gli stringe il bicipite. “Va bene, tesoro,” dice, leggera come il vento.
E Louis è abbastanza stupido da sentire una piccola scintilla di speranza, che porta dietro con sé mentre torna all’appartamento di Stan.
 
**
 
Passa troppo tempo da Stan. È di nuovo sul divano, osservando ancora una volta il sole attraversare il salotto. Tracciando il modo in cui si separa attraverso le ombre e si divide lungo il muro bianco e sporco prima che si dissolva nel viola e nel blu polvere. Passa troppo tempo con lo sguardo perso di fronte a sé, il suo corpo una tomba intagliata.
Deve smetterla. Deve ricomporsi. Non può solo… arrendersi in questo modo, cazzo.
Ce la può fare. Alzarsi, cominciare da quello. Solo da quello.
Chiudendo gli occhi, inspira una volta, espira un’altra. Lo ripete. Lascia che l’aria fluttui nelle sue narici e vortici nella parte più profonda del suo stomaco prima di fuoriuscire dalle sue labbra e perdersi nel buio.
Harry non c’è più. È una realtà. Rimarrà una realtà.
Ma.
Ma Louis ce la può ancora fare. Harry l’ha ispirato a tal punto da fargli venir voglia di fare di più per se stesso. Gli ha fatto venir voglia di voler sistemare tutte le cose rotte e di pulire tutte le cose sporche e… Harry gli ha fatto venir voglia di provarci. Forse per la prima volta nella sua vita.
In un certo senso un po’ patetico, può ancora vivere per Harry. Nel senso che può raccogliere i pezzi della sua vita infelice e di merda e rimetterli insieme perché è stato abbastanza fortunato da aver incontrato un ragazzo che gli ha fatto capire il suo valore.
Ce la può fare. È ancora Louis, è ancora forte, e dimostrerà a se stesso quanto vale. E migliorerà. Per Harry.
Con quel pensiero, si alza e ignora i dolori e gli scricchiolii del suo corpo mentre procede a passo lento verso il bagno per prepararsi per il lavoro.
 
**
 
Il giorno dopo, arriva a casa di Harry alla stessa ora.
Di nuovo, Anne lo saluta con un sorriso triste.
“Suppongo non abbia cambiato idea?” domanda Louis con una smorfia debole delle labbra mentre sale lentamente i gradini di cemento. I fiori che decorano i lati stanno cominciando a sbocciare, i loro petali addormentati che si svegliano. Si stanno prendendo gioco di lui, ma non riesce neanche a curarsene.
“No,” dice Anne a voce bassa, le braccia avvolte attorno a se stessa. “Mi dispiace, tesoro.”
Un’altra giornata persa.
Butta giù l’ondata di panico, tristezza e sconforto. Angoscia. Tutte quelle cose. Butta giù tutto mentre la sua speranza si affievolisce e offre il suo miglior tentativo di un sorriso.
Inspira ed espira, Tommo. Ce la puoi fare.
“Va bene,” annuisce, ritirandosi già. I talloni dei suoi piedi sembrano di piombo e incerti, sassolini che scavano nelle suole di gomma delle sue nuove Converse. Non le ha indossate abbastanza. Sono ancora rigide. “Tornerò domani, allora.”
Osserva il suo viso con attenzione per cercare segni di fastidio o irritazione. Ma tutto quel che fa lei è annuire, un sorriso che spinge sulla bocca mentre lo osserva andar via.
Allora Louis respira e se ne va.
 
**
 
Il giorno dopo, Louis ha il giorno di riposo. L’istinto gli dice di passarlo a devastarsi in maniera disperata, con erba e alcool e… be’, qualsiasi cosa a portata di mano, in realtà. L’istinto gli dice di avvolgersi nelle coperte e chiudere gli occhi e compiacere il buco che pare si stia formando nella caverna tra le sue costole. L’istinto gli dice di andarsene a fanculo e rotolarsi nel suo stesso dolore, ma no.
No, non farà nessuna di queste cose, poco importa quanto la sua memoria muscolare stia gridando. Non starà sdraiato sul divano tutto il giorno, non annegherà in se stesso mentre ascolta “All Things Must Pass” a ripetizione.
Quindi si arrampica fuori dalla sua caverna, si veste, e va a parlare con Stan in cucina mentre aspettano che il bollitore difettoso cominci a bollire. Non ci sono tende sull’unica finestra della stanza, quindi ogni cosa è terribilmente luminosa e gli fa venire la nausea mentre si costringe a ingurgitare un toast freddo con le mani fredde.
“Devo trovarmi un appartamento,” mormora, le briciole che gli cascano dalle labbra.
Stan alza lo sguardo dal suo telefono, sorpreso. “Lo sai che puoi rimanere qui quanto ti pare, vero? Non è un problema, amico.”
Ma Louis scuote la testa. “Devo farlo. Per me, tipo.”
Il silenzio si insedia tra loro mentre Stan annuisce, sbattendo le palpebre mentre processa l’informazione. Louis mastica il suo toast. I suoi piedi sono scalzi e appiccicati al pavimento.
“Ti serve una mano?” offre Stan, le sopracciglia appena corrucciate, chiedendolo con tutta l’esitazione di un amico che non sa dove siano i suoi limiti. È tenero ed è dolce e Louis sente srotolare una piccola palla di sollievo. “Tipo, per cercarlo? E cazzi vari?”
“Sì, per favore,” mormora a voce bassa, esibendo un mezzo sorriso prima di concentrarsi nuovamente sull’ultimo pezzo di toast tra le sue mani. Sta mangiando la crosta questa volta – Harry diceva che è la parte migliore ma Louis non si era mai preoccupato di provarlo in prima persona, principalmente per testardaggine. È venuto fuori che non è male – il sapore è uguale al resto.
Il pensiero strattona qualcosa tra le sue costole, ma Louis lo spinge via, focalizzandosi sulla luce bianca della cucina, sul toast, su Stan. Su tutto fuorché i suoi pensieri.
“Okay,” dice Stan con semplicità, mettendo via il telefono. “Magari domani. O anche oggi va bene. Ti va oggi?”
Louis annuisce, prendendo l’ultimo morso. “Non lavoro. Quindi, sì.” Si pulisce le mani sui pantaloni della tuta prima di avvolgersele attorno, le braccia incrociate. Di nuovo, alza lo sguardo su Stan. “Grazie. Sul serio.” Un altro mezzo sorriso. “Dico davvero, amico… Grazie.”
Le parole fanno sorridere appena Stan, divertito dall’insolita gratitudine verbale. “No problem, Tommo. È meglio se ti vesti però. Se vuoi andarci oggi.”
Louis offre un ultimo sorriso di ringraziamento prima di trascinarsi fuori dalla stanza, le braccia ancora incrociate strettamente sul suo petto.
 
**
 
Trovano un buco relativamente squallido che risulta essere più perfetto che losco. L’affitto è ottimo e la posizione è abbastanza decente e, la parte migliore, è che potrebbe essere di Louis.
La possibilità è sufficiente per suscitare terrore, inquietudine, orgoglio e trepidazione in lui.
Un posto tutto per sé. Nessuno con cui condividerlo. Nessuno a disturbarlo. Il suo spazio con le sue cose dove può fare tutto quello che vuole. Suona più come responsabilità e monotona età adulta, ma è più un sollievo che una seccatura. È strano. Bello, però.
Se ne vanno solo dopo che Louis è riuscito a contattare il proprietario. Si incontreranno la prossima settimana per discutere i dettagli. Poi firmeranno qualche stronzata, controlleranno qualche altra stronzata e bam – sarà di Louis. Così semplice.
“Così semplice,” Stan sorride, dandogli una pacca sulla schiena mentre tornano a quella scatoletta arrugginita che chiama macchina.
Louis riesce appena a sorridere in risposta. Non si adatta al suo viso, però, quindi crolla rapidamente.
 
**
 
Il giorno seguente è un po’ più nuvoloso. Il sole non splende così tanto sulla casa degli Styles.
“Non oggi, caro,” dice Anne con tristezza.
Di nuovo, Louis esibisce un mezzo sorriso, sentendo il peso morto del suo telefono muto nei suoi jeans. Ormai non riceve quasi più nessun messaggio. Ma probabilmente è meglio così – non risponderebbe a nessuno, in ogni caso.
“Okay. Buona giornata, Anne.”
Quando la sua voce incespica sulle parole e si incrina in modo evidente, nessuno dei due dà segno di averlo notato.
 
**
 
È tardi, molto tardi.
L’unica luce accesa nell’appartamento è quella sopra il traballante tavolo della cucina che Stan deve aver recuperato da un cassonetto. Puzza anche di spazzatura. O forse quello è solo tutto il fumo di cui si è impregnato.
Comunque, dovrà bastare, dato che è attualmente utilizzato da Louis come scrivania improvvisata, contenendo mucchi di giornali sparsi, tutti aperti e ritagliati, sovrapposti e stracciati. Sta tenendo alcune pagine in una mano, stringendo un giornale nell’altra. Ha un taccuino e una penna che attendono diligentemente accanto al suo gomito, dove sono scritte con precisione tre offerte di lavoro, accompagnate da numeri telefonici trascritti con cura. Responsabilità.
Non si sta concentrando sul silenzio nella stanza. Non si sta concentrando sull’eco della risata di Harry che scroscia ostinatamente attraverso i suoi ricordi in momenti come questo. Di certo non si sta concentrando su come il ricordo si trasformi nel terribile, terribile suono della sua voce quando ha scoperto…
No. No, Louis non percorrerà quella strada e non ha intenzione di cedere. Ha intenzione di fare un po’ di ordine nella sua cazzo di vita, rimettersi in sesto. E allora potrà avere una settimana di lutto auto imposto. Ma solo allora.
Quindi continua a fissare le parole di fronte a sé, mordendosi l’interno delle labbra, e rifiutando di lasciar tremare la sua mano mentre scrive numeri su numeri su numeri.
 
**
 
Anne apre la porta ancor prima che Louis bussi, accompagnando il gesto con un prevedibile e triste scuotimento della testa.
Louis deglutisce, come al solito, e mantiene il controllo con qualche difficoltà (non dovrebbe diventare ogni giorno più difficile – dovrebbe diventare più semplice, no?) mentre si ferma sui suoi passi e annuisce in risposta.
Gira sui tacchi e si allontana, la schiena rigida.
 
**
 
Lo sa che ha bisogno di più soldi. Servire birre di merda in un pub di merda solo per un numero esiguo di ore settimanali non è sufficiente. Specialmente se ha intenzione di prendere davvero l’appartamento – che sembra piuttosto promettente al momento.
Quindi fa domanda a diversi ristoranti – alcuni di questi schifosamente lussuosi ed eleganti – nella speranza di ottenere un lavoro come barman o cameriere che potrebbe veramente assicurargli mance eccellenti. È bravo a dire cazzate e socializzare e Dio sa quanto abbia utilizzato il suo aspetto fisico a suo vantaggio prima d’ora. Questo non dovrebbe essere diverso, giusto?
Almeno, questo è quello che si dice quando consegna i curriculum, le ossa dolenti.
Non è tanto. Ma è un inizio.
 
**
 
Dormire è diventato quasi un concetto estraneo. Sul serio, non riesce a dormire. E sta diventando veramente terribile perché, durante il giorno, Louis si regge a malapena in piedi. È così esausto che riesce a stento a respirare attraverso tutti i suoi sbadigli e deve fare affidamento su muri e banconi perché sente il suo corpo davvero pesante. Ogni cosa è cadente e appesantita e fiacca e le sue tempie pulsano costantemente e il suo collo è rigido e i suoi occhi sono incavati e velati.
Ma di notte? Cazzo, di notte, il suo corpo si tramuta in insonnia e, nonostante il perenne dolore nei muscoli e nelle ossa, non riesce a dormire. È completamente sveglio nel buio, ascoltando gli scricchiolii del divano ogni volta che si azzarda a respirare, ascoltando il silenzio, cercando di non ascoltare i suoi pensieri. A volte sfoglia il suo diario con mani incerte. Ma poi vede troppo Harry e sente spezzarsi quella dolorosa parte di lui che si rifiuta di toccare, allora lo rimette giù con il cuore che batte forte e sbatte le palpebre finché non sente di nuovo niente.
Ma presto avrà bisogno di dormire. Il suo corpo ne ha un disperato bisogno. Deve. E allora perché non ci riesce? Perché non riesce a dormire la notte?
È sufficiente per far impazzire un uomo. Cazzo.
Si alza, il divano che cigola in protesta, le molle che tornano al loro posto. La moquette è ruvida al tocco mentre incespica al buio, illuminato solo dalla ridicola luce del suo telefono.
È decisamente uscito di senno, considerando cos’ha in mente al momento.
È assolutamente uscito di senno, considerando cosa sta per fare.
Ma comunque, entra in cucina, accendendo la luce. Viene momentaneamente accecato mentre sfrega i palmi sugli occhi gonfi. Con decisione, va dritto verso l’armadietto dall’altra parte della stanza – l’armadietto “delle cianfrusaglie”, per così dire. Contiene un sacco di stronzate utili, però – come apri-bottiglia e tagliaunghie e elastici di riserva…
E l’elenco telefonico.
Per Dio solo sa quale cazzo di ragione, Stan possiede davvero un elenco telefonico. Probabilmente è solo per il cibo da asporto, ma in quel momento fa rimanere Louis di sasso. Probabilmente perché, avere quel cavolo di fottuto elenco qui, averlo proprio qui in questo armadietto, non gli dà ufficialmente nessuna ragione per tirarsi indietro su quello che sta per fare.
È uscito di senno a causa dell’insonnia. Ha passato troppo tempo sveglio. Troppo tempo a non pensare a Harry – quindi deve pensare a qualcos’altro. Deve passare tutte le innumerevoli ore di silenzio a distrarsi con qualcos’altro, quindi…
Quindi, ovviamente, è passato a questo.
Il fatto è che non sa cosa cercare, esattamente. Ma ci prova comunque. Apre l’elenco, sniffa l’odore di plastica e di pagine inutilizzate, e sta in piedi al bancone con il telefono stretto tra le nocche bianche mentre cerca, il silenzio che tintinna nelle sue orecchie. Sente gli occhi pesanti ma insonni. Che sensazione di merda.
C’è solo un cognome sotto ‘Deakon’. È accompagnato dal nome ‘Joanna’.
Joanna Deakon.
Il silenzio, incredibilmente, diventa ancora più forte nelle sue orecchie mentre fissa quel nome. Non muove un muscolo, non sbatte nemmeno le palpebre. Fissa e basta.
È aggiornato? Sarà ancora lo stesso? Sinceramente, è sorpreso che non abbia un cognome differente. Ma eccole qui, piccole lettere bianche, fatte di inchiostro, premute sulla pagina. Sono lì. In silenzio. Sono state nell’appartamento per tutto questo tempo. Eccole qui.
Ed eccola qui. Esiste. E quello è il suo numero.
Louis lo fissa.
Sono passati trenta minuti quando Louis chiude l’elenco con un tonfo, gli occhi che bruciano dal sonno, prima che lo rimetta nell’armadietto ed esca dalla stanza, sentendosi come se stesse camminando sui trampoli. Si arrampica nuovamente sul divano, sistemandosi nell’oscurità che sembra infinitamente nera, e respira mentre aspetta che il suo cuore rallenti, che le sue membra si distendano. Non lo fanno.
Non ci riesce. Sul serio, non…
Non ci riesce.
 
**
 
Il giorno successivo va più o meno come al solito. Si ritrova a casa di Anne attorno alle quattro, come sempre, e lei scuote la testa, facendo precipitare le viscere di Louis. Più o meno come al solito.
Proprio mentre sta per ritirarsi, però, sente delle calde dita sfiorare appena la sua pelle e lo coglie di sorpresa – è passato un po’ dall’ultima volta in cui è stato toccato ed è stranamente scioccante. Non ha parlato con Zayn o Niall o Liam, non ha davvero interagito con nessuno a parte Stan e la clientela del pub. Quindi si ferma sui suoi passi e si volta, preso alla sprovvista quando Anne lo avvolge in un muto abbraccio.
Sbatte le palpebre, sentendo le sue braccia stringersi attorno a lui con sicurezza. Non è mai stato un tipo da abbracci. La sensazione di essere intrappolato gli è sempre sembrata sgradevole. Eppure, gli piacciono gli abbracci di Anne, li adora perché sono familiari e, be’, piacevoli. Confortanti, presume. Ma nonostante questo, qualcosa deve essersi davvero incasinato dentro di lui perché, in qualche modo, per qualche apocalittico motivo del cazzo, sente i suoi occhi cominciare a inumidirsi mentre avvolge allo stesso modo mani incerte attorno a lei, sentendo qualcosa di grande e ruvido riempire la sua gola. Qualcosa di informe e doloroso e… Dio, da dove viene tutta quell’acqua? Perché gli esseri umani piangono?
Non si azzarda a muoversi, nella speranza vana che nessuna dannata lacrima scenda. Non piangerà.
“Domani torna a scuola,” dice lei piano, enfatizzando le parole con una stretta.
Il respiro di Louis si blocca.
“Sarà lì. Quindi…” Anne sospira, tirandosi indietro mentre solleva una mano sulla fronte, spostandosi ciuffi di capelli dal viso. “Non lo so, forse non dovrei neanche dirtelo. Non lo so.” Sospira di nuovo prima di alzare lo sguardo, incontrando gli occhi di Louis con una fermezza che non le ha davvero mai visto prima. “Ma quello che so è che non ho mai visto nessuno di voi due così triste, non ho mai visto Harry–” Si interrompe allora, come se fosse insicura se quello che sta dicendo è troppo, le sue emozioni che stanno evidentemente prendendo il sopravvento.
Allora Louis si limita ad annuire, quasi freneticamente, mentre le lacrime miracolosamente cominciano ad asciugarsi, la gola ad aprirsi di nuovo e accogliere un piccolo respiro di speranza. Afferra con mani fredde quelle di Anne, delicatamente. “Grazie,” sussurra, per paura che la sua voce possa incrinarsi se provasse ad alzarla. “Mi dispiace.”
Lei non sa cosa significhi, ma lo accetta comunque, carezzando il suo viso con una mano calda. “Andrà tutto bene, Louis.”
Lui annuisce, terrorizzato quando il suo corpo lo tradisce e comincia a piangere di nuovo.
Fortunatamente, se ne va prima di fare qualche danno, riuscendo a salvare la faccia più che può mentre si allontana con un sorriso indecifrabile. Sembra che il sole stia tramontando quando torna verso casa, asciugandosi con rabbia le fottute lacrime del cazzo, che improvvisamente non smettono di sfuggire dai suoi occhi, con la manica della sua giacca – quella che gli ha regalato Harry. Cazzo.
Il pensiero manda un’altra ondata di calore per tutto il corpo, e lui si tampona, ancora e ancora mentre i suoi piedi strisciano sull’asfalto, per tutta la strada verso casa.
 
**
 
La fragile speranza che potrebbe vedere Harry domani sta assillando il retro della mente di Louis. È terrificante quanto meraviglioso.
Perché, vedete, Louis fa cagare con le parole. Non è bravo ad usarle, non lo è. Quindi cosa dovrebbe dire? Cosa potrebbe mai dire per esprimere tutte le intricate puttanate dentro di sé? Fallirà miseramente, ecco cosa farà. Farà…
Cazzo. Tutta questa storia rischia di mangiarlo vivo.
Deve concentrarsi. Deve concentrarsi su se stesso se vuole uscirne tutto intero.
Quindi scuote la testa nella speranza di schiarirla, inspirando, espirando, e focalizzandosi su una cosa alla volta.
Ha ricevuto risposta per un paio di lavori – uno di questi era uno dei ristoranti lussuosi. Hanno richiesto un colloquio ed è letteralmente l’unica cosa a cui Louis si concede di pensare perché ne ha bisogno. Ne ha bisogno per diversi motivi e ne ha solamente davvero bisogno.
Sta anche considerando l’idea di tornare a scuola – ha addirittura chiamato oggi, qualche ora fa, chiedendo informazioni su dove e come cominciare. Pare che ci sia tutta una procedura; deve incontrarsi con gli insegnanti, deve finire il programma e così via, ma sembra un inizio – anche solo prendere l’iniziativa e valutare tutto quell’enorme baratro che è il suo futuro. È un inizio e si sente vagamente fiero di sé nonostante il caos nel suo cuore, nel corpo e nella testa. O nella sua anima mutilata.
Merda, sta diventando drammatico. Ma, sul serio… Probabilmente non è tutto così drammatico. Probabilmente è pateticamente accurato.
Quindi, quando esaurisce le cose su cui concentrarsi, apre di nuovo l’armadietto. Apre di nuovo l’elenco. Le sue dita scorrono sugli innumerevoli nomi, sulle innumerevoli macchie d’inchiostro, fino a che non si stabiliscono su uno, sul suonome, e lui lo fissa. Proprio come ha fatto la notte precedente, lo fissa, incollato sul posto.
Deglutisce.
Potrebbe vedere Harry domani. O non potrebbe. Potrebbe non vedere Harry mai più. O potrebbe vederlo di nuovo e potrebbe essere peggio che non vederlo. Potrebbe essere l’esperienza più dolorosa della sua vita – non sa cosa cazzo succederà.
Ma sa che deve iniziare a compiere scelte difficili. Sa che deve smetterla di evitare i problemi e metterli in secondo piano. Sa che deve crescere e ammettere i propri sbagli. Per cominciare, il motivo per cui è in questo terribile e caotico disastro è perché non ha fatto niente. Il motivo per cui ha perso Harry è che non ha mai provato a sistemare niente, l’ha solo ignorato. Si è sempre nascosto. Ha sempre finto.
E in questo cazzo di momento, ha il numero di sua madre tra le sue mani eppure non la sta chiamando. Perché si sta comportando come un bambino, ha paura, è a disagio – non ha intenzione di farlo sembrare più di quel che è questa volta, okay? Ha solo tanta paura. E basta. Proprio quando se n’è andato di casa, tanto tempo fa. Ha paura perché non conosce più le sue sorelle, non dopo che ha deciso di abbandonarle all’improvviso.
E Louis deve crescere.
È con un allarmante panico e adrenalina e coraggio dell’ultimo momento (se si può chiamare così) che digita le cifre sul suo telefono, una per una, le sue dita che tremano come foglie morte su un albero. Sta respirando, sta digitando il numero, la stanza è silenziosa e il suo cuore è nelle sue orecchie.
Solleva il telefono all’orecchio. Squilla tre volte.
Squilla una quarta, fino a che non sente un piccolo click, una pausa, e poi una voce di donna.
“Pronto?”
 
**
 
È una bellissima giornata quella in cui Louis si ritrova a camminare verso la scuola di Harry.
Sta congelando, però. Il suo corpo è così freddo e non riesce a tenerlo caldo, nonostante tutte le volte in cui ha sfregato i suoi palmi sulle braccia. Sente la gola stretta, non è neanche sicuro di riuscire a tirare fuori qualche parola.
Ma continua a camminare, il corpo rigido e in procinto di spezzarsi in qualche maniera – lo sente teso e basta. Come se fosse a metà tra piangere e urlare o qualcosa del genere. Il che… non dovrebbe davvero essere così insolito per lui ultimamente. Dio, non ha parlato molto nei giorni scorsi. Non ha riso… forse per nulla? È meglio non pensarci, davvero.
Scorge la biblioteca in lontananza, fermandosi sui suoi passi.
È il posto dove ha parlato per la prima volta con Harry. Non sarebbe poetico se fosse anche l’ultimo posto in cui ci parlerà?
Il pensiero, macabro e doloroso com’è, lo spinge ad avanzare fino a che non si trova a salire i larghi gradini e aprire la pesante porta. Cammina fino al retro, proprio come la prima volta, quando era ancora un predatore, ancora pieno di irritazione e inquietudine e nicotina e noia… era così sicuro di sé al tempo. Così fottutamente vuoto. Era proprio uno zimbello – nonostante fosse così dannatamente figo.
Ora è solo patetico e sente le scarpe strette ed è tutto così schifoso. Eppure, anche così, è più vivo ora di quanto lo fosse al tempo. È un pensiero buffo. Divertente. Hah-hah.
È perché è perso nei propri pensieri che ci mette un po’ a registrare che Harry è lì.
Perché è proprio lì – allo stesso dannato tavolo. Non sta mangiando carotine come faceva una volta, però. Niente è come una volta, probabilmente. Louis ricorda che al tempo volesse sapere cosa Harry stesse ascoltando nelle sue cuffiette. Ora? Ora conosce le sue canzoni preferite dei suoi artisti preferiti. I suoi testi preferiti. Le sue playlist preferite. Le canzoni che preferisce cantare e quelle che preferisce canticchiare sottovoce. I suoi ritmi preferiti, le sue voci preferite… conosce ogni singola canzone in quel cazzo di iPod. Conosce ogni singola cosa di Harry.
È buffo.
Deglutisce, fissandolo, i piedi piantati a terra e le mani flosce.
Non riesce davvero a pensare. Il suo cervello è completamente sottosopra – non è sicuro che sia per lo stress o per la mancanza di sonno o perché ieri notte ha chiamato Jo (sua madre, la sua cazzo di madre, hanno parlato, e ha in programma di chiamarla di nuovo), ma il suo cervello è un casino. Ed è probabilmente il motivo per cui si ritrova a camminare verso Harry senza pensarci due volte, il corpo a prendere il controllo.
Harry non ha le sue cuffiette oggi. Louis lo sa perché si trova esattamente dietro di lui, a fissarlo impassibilmente perché è troppo stordito e caotico e confuso per realizzare che non dovrebbe. Sta fissando le mani di Harry, il modo in cui sono poggiate sul tavolo, a incorniciare un libro. Sembrano pallide. La visione fa espirare bruscamente Louis, qualcosa di tagliente a premere nei suoi polmoni – ed è apparentemente abbastanza forte da spaventare Harry. Perché si gira sulla sua sedia.
Quando gli occhi di Harry si fissano in quelli di Louis, tutte le particelle dell’aria si dissolvono.
Tutti gli atomi nelle vicinanze si disintegrano, lasciando nulla a parte uno spazio vuoto, Harry e Louis. Non si dice che prima dello spazio e del tempo ci fosse solo il Caos? E dal Caos siano nate la Luce e il Buio? Be’, Louis ha appena assistito all’inverso del Big Bang, a come ogni cosa si sia dissolta di nuovo nel Caos. Lui è il Buio, Harry è la Luce. Il mondo è finito.
Oppure, in effetti. Forse è iniziato. Forse è la nascita di un nuovo mondo?
Certamente non sembra così, però. Non con il modo in cui Harry lo sta fissando. I muscoli di Louis si contraggono alla vista dei suoi occhi infossati, la stanchezza a pesargli sulle spalle. Appare fragile, spento. Insonne. E così infinitamente triste. Appare proprio come si sente Louis ed è così sconvolgente, così doloroso, che tutto quello che Louis riesce a fare è fissarlo, sentendosi come se stesse fluttuando nello spazio con nessun controllo del suo corpo. Come se non riuscisse a trovare la sua gravità.
Quindi non si sorprende quando il viso di Harry si indurisce dopo tre lunghi secondi di quiete e silenzio. È men che inaspettato quando le sue labbra si stringono in una linea sottile mentre distoglie lo sguardo e si alza bruscamente, quasi ribaltando la sedia. Ogni parte di lui è avvolta saldamente da quella che sembra essere rabbia repressa, le scintille che praticamente fuoriescono dalle sue dita per quanto la sua schiena sia tesa e rigida; si sta ingobbendo, il che è un male per la sua postura – la sua postura fa già abbastanza schifo.
Nonostante il panico stia rimbalzando nel suo cuore, Louis vuole appianarlo con il palmo della sua mano, spazzare via il buio di Harry in modo che possa tornare ad essere la fottuta luce. Ma invece, Louis si limita a fissarlo.
E poi Harry si volta e le cose diventano un po’ più terrificanti.
Eppure, nessuno parla. Si limitano a respirare. A fissarsi.
Louis dovrebbe dire qualcosa.
“Cosa ci fai qui?” domanda Harry nello stesso esatto momento in cui Louis chiama il suo nome con dolcezza – “Harry.”
Le sopracciglia di Harry si ravvicinano al suono, deformando il suo viso. Il suo atteggiamento sembra così aggressivo, così tenace e forte, deciso a odiare Louis, ed ecco Louis – così fragile, così vulnerabile, così totalmente rotto e debole, barcollando sui suoi piedi. Come se fosse un cumulo di rametti e una folata di vento lo potesse spazzare via. Mentre Harry rimane lì, come una tempesta.
Alla fine, Harry parla, di nuovo.
“Cosa ci fai qui?” ripete.
Louis non lo sa. Il suo cervello è completamente vuoto. Tutto quello che riesce a fare è guardare Harry, questo ragazzo, e vuole soltanto migliorare la situazione ma non sa come. Non sa se può riuscirci. Non riesce a parlare. Non riesce a pensare, cazzo.
Quindi tutto quello che esce fuori è, “Cercavo te.”
È confuso e accidentato e Harry sta già scuotendo la testa, sta già finendo di raccogliere le sue cose.
Louis può solo guardare impotente, lente gocce di panico che cominciano a piovere nel suo petto. Anche se vuole piangere (e, cazzo, non piangerà anche se fa male e c’è di nuovo quella cosa nella sua gola), riesce a mantenersi tutto intero, volendo raggiungerlo ma sapendo che non può. Stringe i pugni, stretti quanto i suoi muscoli glielo permettano.
“Non puoi farmi questo,” dice Harry con fermezza, l’emozione a gorgheggiargli in gola. C’è rabbia mischiata a un lieve isterismo e Louis respira incessantemente mentre osserva le sue braccia muoversi a scatti e i suoi occhi lucidi. “Io deciderò quando parleremo. Non puoi farmi questo, cazzo. Spetta a me.”
Louis inspira bruscamente, spiazzato. Harry è sempre così calmo, così gentile, non parla così, non ha mai parlato così…
Ma poi Louis deglutisce, interrompendo i suoi pensieri.
Ovvio che Harry non sarà più lo stesso. Ovvio che Harry diventerà crudele. Dovrebbe esserlo. Ne ha bisogno.
Quindi Louis si raccoglie, mantenendo la sua voce ferma. “Lo so,” dice, più piano di quanto intendesse. Sente la sua gola lacerata. “Scusami.”
Questo induce Harry a lanciargli un’occhiata, sorpreso e rallentando momentaneamente i suoi movimenti – probabilmente scioccato da quanto Louis sia incredibilmente debole. È probabilmente brutto e patetico ma Louis crede che Harry si meriti di vederlo in tutta la sua onestà, giusto? È tutto quello che può fare in questo momento, è tutto quello che ha.
“Sono venuto qui solo perché dovevo provarci e… Lo so che non avrei dovuto, ma… comunque. È solo che… non preoccuparti, non ti seguirò, tipo, come ho fatto quando ci siamo incontrati la prima volta,” continua Louis senza pensarci, debolmente, ed è stata la cosa sbagliata da dire. Ma è scivolata dalle sue labbra prima che la potesse fermare, cazzo, e Harry sembra quasi scosso come Louis.
Perché ora fa solo male dire cose come quella e fa trasalire Louis perché gli ricorda il fatto che tutto è iniziato proprio qui. Ed è iniziato perché era un gioco. E Harry ora lo sa. E, improvvisamente, sembra tutto così falso; ogni sensazione, ogni ricordo.
Louis abbassa lo sguardo sui suoi piedi, sentendo smontarsi una parte di sé. Riesce a sentirsi addosso lo sguardo di Harry.
“Lo sai…” dice Harry un istante dopo, improvvisamente calmo, improvvisamente tranquillo. Le parole sono rivestite di tristezza. “Mi ero sempre chiesto perché mi stessi seguendo ancor prima di avermi mai parlato.”
La testa di Louis scatta verso l’alto.
Harry incontra i suoi occhi, indistinti e distanti e insoliti in modo straziante. “Sapevo che mi stessi seguendo,” continua, la voce aspra, irregolare. “E all’inizio mi confondeva e, tipo, mi spaventava, quasi.”
Cazzo. Cazzo, Louis non lo sapeva e lui… cazzo. Imbarazzato, distoglie lo sguardo, incapace di guardare ancora quello di Harry, intenso e doloroso. Sembra così malridotto, così tradito.
Ed è stato Louis.
“Ma, lo sai Louis, non hai mai veramente… fatto qualcosa. Tipo, non hai mai fatto scattare veri campanelli d’allarme in me. Quindi, alla fine, non ho più avuto paura.” Louis respira bruscamente attraverso le narici, la voce di Harry ferma e velenosa, che fluttua attraverso i suoi orifizi. “Ma mi ero sempre chiesto perché non ti fossi arreso. Perché mi erano arrivate voci, sai. Avevo sentito cosa avevi fatto prima, ad altri… Le voci che ti circondavano.” Harry deglutisce e distoglie lo sguardo e Louis sente il suo stomaco crollare, la vergogna che lo punzecchia sulla fronte e dietro gli occhi. “Ma non ho mai… non lo so.”
Cade brevemente un silenzio tra loro.
“Ma ora ha senso,” dice Harry piano, forse a se stesso. “Ora tutto ha un senso.” Torna a guardare Louis. “Non so perché non l’abbia mai capito. Nel senso, a volte all’inizio ho avuto dubbi. Ma solo all’inizio. Non dopo…” Si interrompe, il viso che perde un po’ della sua compostezza, e deglutisce visibilmente.
Louis osserva i movimenti della sua gola. Conosce la sensazione di quella gola contro la sua bocca e… non avrebbe dovuto pensarci, perché il pensiero fa salire la bile attraverso la propria gola. Chiude gli occhi. Respira. Vagamente, si rende conto che Harry non è ancora scappato via, non se n’è andato. È una rivelazione orribile quanto meravigliosa, con l’aria pesante tra loro apparentemente irreparabile.
Ma Louis deve provarci, deve risolvere questo casino del cazzo, perché Harry è ancora lì e Louis deve provarci. Ma non riesce ancora ad aprire gli occhi, non riesce ancora ad alzare la testa. Un passo alla volta, deve solo provarci, cazzo.
“Harry, non ti seguirò come facevo prima,” ripete, ma questa volta prova ad essere più incisivo, meno tremante, tenendo i suoi occhi fermamente chiusi. “E ti rispetterò quando mi dirai che non vuoi vedermi… al massimo delle mie capacità. Ma voglio davvero solo parlare con te. Ci sono cose che voglio che tu sappia. E non so come fare o come comportarmi–”
Harry lo interrompe. “Deciderò io quando parleremo di nuovo,” ripete, inflessibile. “E non ho intenzione di parlare con te molto presto, Louis. Se davvero mi rispetti, allora smettila. E lasciami uscire da questa biblioteca. E non seguirmi” – la voce di Harry si incrina, Louis trasalisce – “E non voglio vederti per… per molto tempo.”
Il silenzio che segue è riempito solo con il suono di passi che si allontanano.
Quando Louis apre gli occhi, Harry non c’è più.
 
**
 
Non va da Anne il giorno dopo.
Invece, si sveglia tardi, osservando il sole viaggiare attraverso l’appartamento di Stan fino a che sbiadisce più verso l’oro che verso il platino. Ieri notte al pub ha fatto la chiusura e le sue ossa gli fanno ancora male, proprio come la mancanza di sonno. Ma deve alzarsi.
Ha intenzione di dare le dimissioni oggi. Subito dopo essersi gettato dell’acqua sulla faccia e aver infilato i jeans, ci si fionderà immediatamente. Forse è sciocco considerando che non ha ancora ottenuto un altro lavoro e forse sta correndo un po’ troppo. Ma immagina sia meglio fare qualcosa piuttosto che non fare niente; come dice un vecchio detto – quando si chiude una porta, si apre un portone. È tempo di rimettere insieme la sua vita.
Senza una parola, scivola giù dal divano e afferra i suoi jeans.
 
**
 
Più tardi, quel giorno, torna a casa quando il sole è già alto nel cielo e tutto sembra troppo caldo.
Malgrado abbia consegnato le sue dimissioni al pub (suona molto più prestigioso quando la mette in questo modo, è ridicolo) si sente ancora, allo stesso tempo, agitato e smorto, un grande vuoto a riempire completamente il suo corpo. Le sue mani si dimenano sulle cosce, cercando una distrazione, cercando un calore che non sente da quando le mani di Harry sono state lì per l’ultima volta.
È un pensiero allarmante, un ricordo nauseante, e gli fa annaspare il cervello in cerca di una distrazione.
Dopo solo qualche attimo, tira fuori il suo cellulare. Non vuole pensare adesso, non quando tutto è così silenzioso. Stan è ancora fuori e Louis si sente come se avesse solo bisogno di ammazzare il tempo fino a che un altro corpo non riempirà la stanza, portando via un po’ di soffocamento e il vuoto allarmante.
Apre le chiamate recenti, inespressivo mentre fissa il primo numero – quello di Jo. Osserva la durata della chiamata: un’ora e sei minuti.
È tutto così strano ora; non sa ancora come sentirsi riguardo a tutta questa cosa con lei. Stordito, forse? Non è proprio felicità, non è rabbia. Si sente solo un po’ scombussolato, come se stesse accadendo qualcosa di importante ma non se ne sia ancora reso conto. O forse non riesce semplicemente a raggiungerlo dietro questo muro di incertezza e desolazione che si è creato da solo.
Chiudendo gli occhi, ripensa alla conversazione, cercando di mettere insieme gli eventi recenti di quel fottuto circo che è la sua vita.
Ha parlato con sua mamma per la prima volta in quattro anni. Dio, solo sentire la sua voce l’ha incasinato. Louis ha visto abbastanza film da conoscere lo stereotipo dove una persona ne chiama un’altra durante un momento drammatico e intenso. La voce della Persona Uno viaggia attraverso il ricevitore, rispondendo ingenuamente, “Pronto? Pronto?” mentre la Persona Due si limita a respirare con difficoltà, respira e ascolta l’altra voce in quell’istante congelato, aggrappandosi al piano della cucina con le nocche bianche. Ha visto quel tipo di film un sacco di volte ed è esattamente quello che ha fatto. Si è comportato come ogni cliché cinematografico immaginabile, solo respirando e ascoltando la sua voce. E, Dio, il suo corpo gli stava urlando di agganciare il telefono, la sua intera esistenza lo stava implorando di dimenticare di averlo persino fatto; ma aveva ignorato ogni singola protesta e aveva strappato tutta la sua energia fuori dal corpo, lanciandola nella sua voce.
“Parlo con Jo?” aveva chiesto con voce raschiata.
C’era stata una pausa. Un folle attimo in cui Louis si era chiesto se forse lei avesse riconosciuto la sua voce.
Ma non era possibile. Era passato troppo tempo. E la voce di Louis era decisamente più profonda dall’ultima volta in cui avevano parlato. Quindi probabilmente non era quello il motivo. Ma c’era stata quell’unica decisiva pausa prima che lei alla fine parlasse.
“Sì. Sono io.” Un respiro prima che parlasse di nuovo, cauta. “Chi parla?”
E come avrebbe dovuto rispondere? Come avrebbe dovuto affrontare la risposta a quella domanda? ‘Sono tuo figlio, sono io, sono il tuo cazzo di primogenito,’ è quel che la sua testa gli stava fornendo, la logica a scontrarsi contro la ragione. ‘Ci conosciamo molto bene eppure per niente. E ho mandato tutto a puttane.’
Ma non poteva assolutamente dire una cosa del genere, quindi aveva detto la prima cosa che gli era venuta in mente.
“Sono Louis.”
Erano solo due parole ma sembravano così enormi. Era una frase così piccola e la sua voce era ammorbidita dalla trepidazione ma era quasi riuscito a sentire il macigno che aveva appena sganciato su di lei.
O, forse, non aveva avuto nessun effetto su di lei. Forse era tutto nella testa di Louis.
Ma Louis aveva davvero avvertito qualcosa e c’era stato un altro silenzio, più lungo.
Molto, molto più piano, Jo aveva parlato. “Lou?” aveva chiesto, quasi come se sesse testando il suono nella sua bocca. “Il mio Lou? Mio figlio?”
Erano state domande strane e Louis non se le aspettava. Aveva annuito anche se sapeva che lei non potesse vederlo. “Sì,” aveva esalato, incerto. “Sono Louis. Tuo figlio.”
Ancora silenzio.
Poi, “Dove sei in questo momento?”
Così tante strane domande. Ma d’altronde, quale sarebbe una domanda normale in questa situazione? Non ci aveva davvero pensato molto.
“In un appartamento,” aveva risposto, vacuo e vibrante di adrenalina. Era così assurdo, cazzo. “Ho lasciato la città… ovviamente. Non sono più… lì ormai.” Si era portato una mano sul viso, frustrato dalla sua mancanza di fluidità orale, frustato per la sua franchezza.
Stava usando la sua arma migliore, allora.
“Lo so,” aveva detto lei, piano.
Louis aveva solo potuto farsi piccolo. “Già.”
Era terribile e impacciato e sembrava che, forse, non fosse stata una buona idea.
Forse sarebbe stato meglio tenere qualche libro chiuso, qualche storia incompleta. Forse aveva solo bisogno di questa conversazione formale e imbarazzante come una semplice chiusura, in modo da poter finalmente andare avanti. Forse non aveva bisogno di una famiglia, dopotutto.
Ma poi.
“Come stai, Lou?” aveva chiesto lei, un’ondata di emozione a riempire la sua voce rotta. Era un tono che Louis non aveva mai sentito prima. “Va tutto bene?” Una pausa. “Ti serve qualcosa?”
E, Dio. Si era sentito così egoista in quel momento.
“Non ti sto chiamando perché mi serve qualcosa,” si era accigliato, giocando con l’orlo della sua maglietta. Aveva fissato la mattonella scheggiata sotto i suoi piedi. “Ti sto… ti sto chiamando perché ho avuto il bisogno di chiamarti negli ultimi quattro anni.”
La linea era rimasta muta.
“Senti, ehm. Non… non so cosa sto facendo.” Aveva espirato, le spalle curve mentre si passava un palmo sulla fronte. Era così stanco. “Non so cosa sto facendo, ma so che avevo bisogno di chiamarti. Ma non so cosa dire. Ma sono io, Louis. E mi dispiace. E non è tanto e probabilmente è troppo presto per iniziare questa cosa, ma non so come affrontarla. Potrei aver fatto un gran casino con te. Ma ho fatto peggio con me stesso. E non… non me la sto passando molto bene. E non sto cercando aiuto, davvero,” si affretta ad aggiungere. “È solo che… non lo so, pensavo che forse ti saresti sentita meglio a sapere questa cosa? Che non sono, tipo, felice? Perché lo so che ho mandato tutto a puttane e ho fatto delle cose sbagliate. Lo so che tu, tipo, probabilmente mi odi, o qualcosa del genere.” Le parole erano state veloci, troppo veloci da afferrare.
Poi un momento era passato, abbastanza pesante per Louis da sentire le membra come una poltiglia. Ma il respiro di Jo filtrava ancora oltre la linea fino a quando, alla fine, anche la sua voce.
Quando aveva parlato, sembrava che fosse in lacrime. “Io non ti odio, tesoro,” aveva detto, più gentile di quanto Louis si ricordava che fosse. “Non ti odierei mai, Louis. Sono felice che tu abbia chiamato, okay? Ci sarà tempo per il resto più in là. Sono solo felice che tu abbia chiamato, piccolo. Mi sei mancato. Lo sai che mi sei mancato.”
Gli sembrava tutto così familiare, tutte le sue maniere e i modi di parlare che lentamente tornavano alla mente quanto più lei parlava.
Louis aveva fatto una pausa, insicuro. “Non capisco perché ti sia mancato.” Si era mordicchiato il labbro prima di parlare. “Non mi hai mai cercato.”
Un’altra pausa. “Lo so,” aveva detto lei alla fine, la voce più chiara. “Ma tu non volevi che ti cercassi, non è vero.” Non era una domanda.
Louis aveva inspirato bruscamente.
“Ti ho lasciato andare, Louis,” aveva detto Jo, così debole che Louis aveva dovuto premere maggiormente il telefono contro l’orecchio. “L’avevo capito.”
Qualcosa stava sfrecciando dentro di lui – probabilmente altre emozioni.
“Oh.”
“Ma, Lou,” aveva continuato, la voce sicura, suonando come se avesse parlato con lui solo qualche giorno prima. “Ho pensato per tanto tempo a quello che ti avrei detto. E non so perché mi stai chiamando ora e di certo non mi aspetto niente. Non so neanche se ti vedrò mai più.” Le sue parole erano caute. “Ma ho pensato a questa conversazione per molto tempo e ho sempre voluto che sapessi che mi dispiace, lo sai. Perché ora capisco cosa è andato storto. Come io abbia rovinato tutto.”
Merda, questo non era quel che si aspettava.
“Quindi mi dispiace, mi dispiace davvero,” aveva continuato, mentre Louis poteva solo ascoltare. “Come tua madre, mi dispiace. Capisco perché l’hai fatto e credo che sia il motivo per cui ti ho lasciato andare. Ma mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto passare. Ero molto giovane quando ti ho avuto. E potrei essere più grande e non molto più furba ora,” aveva riso, asciutta, “ma, quando perdi un figlio, per così dire… ti porta a rimetterti in carreggiata, presumo.”
Louis non aveva saputo cosa dire. In quel momento, era troppo. Era come se il suo cervello avesse tirato le cuoia, il suo cuore che batteva ad un ritmo incerto, e così il silenzio si era allargato mentre le sue sopracciglia si univano, mentre si leccava le labbra e si spremeva alla ricerca di parole.
Forse non era pronto per questa conversazione. Ma non era neanche pronto a mollare del tutto.
Quindi tutto quel che aveva detto era stato, “Ho notato che hai sempre lo stesso cognome.”
“Già,” aveva riso lei brevemente, ma non era infastidita. “Non ho sposato nessun altro. Per ora.” un’altra risata, ma era delicata. “Sto frequentando una scuola, però. Ho intenzione di diventare un’infermiera, Lou. Charlotte è abbastanza grande da badare alle bambine adesso; è diventata una ragazza così brava. Responsabile.”
Charlotte. La sorella più vicina alla sua età. La sua sorellina. Piangeva sempre troppo facilmente e seguiva sempre Louis come se fosse il Pifferaio Magico. Louis era sempre infastidito da lei ma aveva un debole perché era stata la sua prima sorella. Una cosina dolce e bionda. “Quanti anni ha?”
“Tredici, ora,” aveva risposto Jo.
Oh, wow. Un’adolescente.
Era una… dura verità.
Era rimasto in silenzio, cercando di raccogliere tutte le informazioni a cui non si era permesso di pensare per molto tempo.
Sulla linea del telefono, il respiro di Jo si era scontrato con il suo, le sue parole delicate quando aveva pronunciato un, “Mi manchi, Lou.”
In qualche modo sopraffatto, si era limitato ad annuire; non era ancora del tutto pronto a dire quelle parole. Cazzo, non era pronto a dire nessuna parola in quel momento.
“Va bene se non ti senti a tuo agio a parlare di queste cose,” aveva detto lei, come se gli avesse letto nel pensiero. “Ma mi piacerebbe sapere qualcosa di te. Come vanno le cose? Com’è la tua vita?”
Era tutto così gentile e caricato di impegno che Louis aveva sentito le vertigini, appoggiandosi al muro e scivolando verso il pavimento, ascoltando la voce di sua madre che sembrava così dolorosamente familiare eppure così estranea. Si sentiva totalmente stordito.
Ma aveva risposto alla domanda. L’aveva fatto. Aveva risposto a tutte le domande, in realtà. E nonostante non fosse sempre totalmente sincero, evitando la maggior parte degli squallidi dettagli, quella notte aveva parlato senza pensare, aveva semplicemente lasciato che le parole si rovesciassero dalla sua bocca mentre Jo nel mentre mormorava assensi, suonando come qualcosa simile all’essere realmente interessata.
Non aveva nominato Harry. Non ancora.
Ma aveva detto brevemente, “Ho fatto un casino.” Era stata una debole confessione. “Ho fatto un casino enorme. Ma sto cercando di sistemare le cose, ed è il motivo per cui ti ho chiamata stasera, in realtà. Ma, uh… Già. Sapevo di dover cominciare da qui.” Si era zittito un attimo. “Perché è come se la mia vita fosse questa grande stanza, piena di tutte queste cose. Ma la luce non è accesa quindi non posso vedere niente, capisci? Ma una volta che la luce sarà accesa, riuscirò a vedere cosa c’è attorno a me, quali sono le mie opzioni e le mie possibilità, capito? E, tipo, non lo so… questo è l’interruttore, presumo.”
Era suonato così stupido dalle sue labbra; suonava molto meglio da quelle di Harry. Ma era stata l’unica cosa che era riuscito veramente a pensare di dire.
Aveva sentito Jo mormorare. “Già,” aveva detto, contemplativa. “In effetti, lo capisco. Davvero.”
Per un attimo, si era chiesto se forse loro due fossero molto più simili di quanto avesse mai realizzato.
Eventualmente, la conversazione era giunta al termine.
“Mi ha fatto piacere parlare con te, piccolo,” aveva detto Jo. “Lo so che sei impegnato. Ma se mai vorrai chiamare di nuovo, anche presto… Mi piacerebbe sentirti. Farci di nuovo due chiacchiere.”
Louis aveva deglutito, arricciando una mano tra i suoi capelli. “Ti posso chiamare domani?” aveva chiesto, piano. Si era morso il labbro. “Tipo, se non sei impegnata?”
“Sì, certo,” aveva detto con dolcezza, un sorriso nella sua voce. “Sì, mi piacerebbe molto. Tornerò a casa tardi, domani, dopo che le ragazze saranno già a letto. Così saremo solo noi due. Nel caso tu voglia tenerlo per noi, per ora.”
Le era grato per questo. Tutta la situazione era un gran casino, un tale percorso, ma erano le piccole stronzate come questa che la facevano sembrare molto più comprensibile di quanto lo fosse prima.
“Sì, lo apprezzerei molto.” Una pausa. “Grazie, Jo.” Aveva deglutito. “Ti, uh, ti chiamo domani.”
Era stata una cosa strana da dire, una cosa strana, eppure anche stranamente facile.
Dopo, non si era sentito più leggero o più pesante; solo come se si trovasse all’inizio di qualcosa.
E ora, mentre sta seduto, aspettando la fine delle lezioni, aspettando il momento in cui si alzerà e andrà da Harry (perché deve provarci, deve comunque provarci, cazzo, e Harry deve sapere), si chiede se anche questo sia l’inizio di qualcosa.
Probabilmente è un pensiero pericoloso, però. Più doloroso che altro. Così decide di non pensare.
Lascia l’appartamento con l’intenzione di comprare dei vestiti nuovi – il suo colloquio è domani. Potrebbe almeno vestirsi bene.
 
**
 
Finisce per non comprare niente. Si limita a camminare senza meta tra gruppi di sconosciuti sotto un sole insignificante fino a che non si ritrova a scuola, osservando gli studenti sciamare fuori dagli edifici con passo risoluto.
Harry gli ha chiesto di stargli lontano. E Louis lo sa, lo sa.
Ma il fatto è che Harry deve sapere la verità. Non lo inseguirà se se ne andrà, non sarà invadente, ma vuole solo… non può non provarci. Perché questo è tutto per il bene di Harry e solo per il suo bene.
(Ah, cazzo, chi vuole prendere in giro. Questo, più che altro, è il suo istinto di sopravvivenza che sta partendo in quarta. Ma. In ogni caso… metterà sempre Harry al primo posto per quanto riesca. Lo farà, è una promessa.)
È una giornata bellissima, con tutta questa luce che regna incessantemente dappertutto, l’infinito cielo blu lassù. È il tipo di giornata che attirerebbe immediatamente Harry al laghetto dopo le lezioni, dove si siederebbe con un libro aperto sulle gambe, i ricci scompigliati dalla brezza, la pelle chiara accesa sotto i raggi del sole.
Quindi, ovviamente, è esattamente il modo in cui Louis lo trova.
Eccolo lì, il suo Harry.
A dire il vero, forse non dovrebbe più dire cose come questa. Perché Harry non è suo, non ora, e Louis se n’è assicurato mediante i suoi colossali errori del cazzo; quindi tanto vale stare al passo con i tempi e assumersi le proprie responsabilità.
Si stravacca sull’erba senza nessuna pretesa di essere furtivo, osservando la figura curva di Harry fissare il libricino sbiadito sulle sue gambe. Le sue mani sono premute per terra, le dita perse tra l’erba e i fiori che sbocciano, ma ogni cosa è un’immagine totalmente contraddittoria – Harry sembra così smorto, rannicchiato tra il verde primaverile in fiore e sembra tutto così sgradevolmente sbagliato da guardare. Louis si lascia assorbire completamente, limitandosi a fissarlo con tristezza, sentendo stringere i muscoli del petto.
Si tiene a distanza, le mani nelle tasche. Incapace di tirare fuori mezza maledetta parola, continua a osservare Harry, aspettando che lui alzi lo sguardo perché Louis non riesce a parlare.
E Harry lo fa. Ovviamente. Alza lo sguardo su Louis poco dopo, troppo appassito per spaventarsi; al contrario, Louis osserva la vacuità della sua espressione trasformarsi in qualcosa di così doloroso ed esausto che essere dall’altra parte fa davvero fisicamente male.
Louis è fatto di pietra, ne è certo, ma stare con Harry l’ha spaccato irreparabilmente. Ogni dannata volta che guarda in quegli occhi grandi e ombreggiati di lilla, la pietra si spacca e rivela qualcosa e lascia Louis un po’ più piccolo, un po’ meno intatto, un po’ meno stabile. È straziante (sotto tanti punti di vista) ma Louis è del tutto impotente al riguardo, quindi si limita a stare lì e reggere lo sguardo di Harry.
Allora, senza una parola, Harry chiude il suo libro con un tonfo e comincia a raccogliere le sue cose, distogliendo lo sguardo, le braccia che si irrigidiscono con decisione. La sua maglietta nera è troppo grande per lui e gli scivola sul collo, rivelando la tenera pelle chiara da cui Louis vorrebbe riuscire a distogliere lo sguardo; non è neanche un desiderio sessuale quello che sente – è più simile alla sensazione della nostalgia di casa.
Deglutisce nell’avvicinarsi, raccogliendo i suoi pensieri sparsi mentre Harry armeggia di fronte a sé.
Quindi è così che andrà d’ora in poi. Ovviamente. Ovviamente finirà così. Harry scapperà sempre da lui, senza voler mai sentire quel che Louis ha da dirgli.
Ma. Ma non può non provarci, non può.
Debolmente, Louis lo chiama, tirando fuori la sua voce dal nulla. “Devo provarci, Harry,” grida, ma suona disperata quanto lo è realmente.
Harry alza lo sguardo, solo per un momento, le labbra sigillate.
Allora Louis continua, inerme nell’osservarlo, desiderando che voglia solamente ascoltarlo. “Lo so che non dovrei rincorrerti. E non ti seguirò, tipo, fisicamente. Ma devo provarci.” Mette tutte le emozioni che riesce a raccogliere nelle parole, sentendosi all’improvviso inspiegabilmente di nuovo esausto e completamente sopraffatto.
Perché fa così schifo a parole?
Ma in quel momento Harry lo guarda, i suoi stessi occhi annebbiati e spenti; un torbido blu-verde. “Hai un aspetto di merda.”
Louis è preso alla sprovvista. Questo è qualcosa che non si sarebbe mai aspettato che Harry dicesse.
Dio, questo è così… sembra tutto così sbagliato.
Tutto quello che Louis riesce davvero a fare è distogliere e abbassare lo sguardo, annuendo, perché ha davvero un aspetto di merda, maledizione. Si sente di merda. “Lo so,” offre, a voce bassa.
I macigni lo stanno trascinando verso il basso mentre Harry continua a raccogliere le sue cose.
“Senti, io… non ho niente da dirti, okay?” dice Harry, e suona disperato, quasi nel panico, e Louis vede l’elettricità frenetica e i movimenti insicuri delle sue mani. “Smettila di… fare così. Ti prego.”
Suona come se lo stesse implorando e Louis trasalisce visibilmente.
“Harry, lo so,” ci prova, con delicatezza, le emozioni che cominciano a tingere la sua voce mentre compie un esitante passo avanti. “Ma–”
Ma si interrompe. Perché, cosa dovrebbe dire? ‘Lo so che non vuoi parlare con me, ma indovina un po’? Stiamo ignorando questo dettaglio perché devo parlare con te’? Non può dirlo ma è quello che ha bisogno di dire e, è solo che, cazzo.
“È solo che… non l’ho fatto per gioco,” sbotta, la testa che gli gira. Si sente precipitoso, come se avesse i minuti contati. “Non era un gioco, okay? Non per me.”
Lo osserva mentre il viso di Harry diventa completamente rosso, il suo corpo che si immobilizza; le parole hanno un effetto totale su di lui e Louis non sa se sia un bene o un male, ma Harry è fermo ora, fermo e intenso e concentrato, stringendo la sua borsa con le mani pallide mentre fissa Louis.
Louis mantiene lo sguardo, sentendosi contemporaneamente spronato e fottutamente terrorizzato.
Allora continua. “Voglio solo che tu sappia…” si ferma, espira, si ricompone e prova di nuovo. “No, ho bisogno che tu sappia che era tutto reale e che niente è mai stato falso–”
“No,” lo interrompe a quel punto Harry, scuotendo la testa con veemenza. Comincia a muoversi di nuovo, tutto il suo impeto riportato in vita. Le spalle di Louis crollano. “Non ti credo. Come potrei? Dopo che… quando… Non ti credo.” Le parole sono tese quando comincia ad allontanarsi, rapido e sicuro – prima che si fermi un’altra volta. Lentamente, si volta verso Louis, che intravede uno strato di lacrime nei suoi occhi, una fragilità delicata che compone la sua espressione; sembra sull’orlo di una frattura e, ad essere onesti, Louis è sulla stessa barca. “Non ti credo,” grida di nuovo, ma è più debole. “Non riesco a crederti.” Scuote la testa, incredulità e tristezza a inondarlo così apertamente che Louis deve tornare a guardare i suoi piedi, la vergogna a consumarlo. È così difficile, cazzo. “Mi fidavo così tanto di te” – Louis chiude gli occhi – “e ti amavo e… Come è possibile che niente di questo sia stato reale?”
Louis non sa cosa dire. Tutte le sue rocce sono state spazzate via.
“Ho sempre saputo che ci fosse qualcosa di strano tra te e Liam.” Continua Harry, la voce tremante e trasportata da lontano. “C’era sempre qualcosa. C’era sempre qualcosa con te.” Scuote la testa. “E ora torna tutto. Ogni singola parte.” Le parole sono feroci, e Louis si sente così in colpa, cazzo, perché Harry probabilmente sta riconsiderando ogni singolo aspetto della loro relazione, sta dissezionando ogni momento e lo sta inserendo in un puzzle differente. Probabilmente combacia tutto anche nella testa di Harry.
Ma non è così. È questo il fottuto problema – non è così. Non è mai, mai stato così, niente di tutto questo.
È sempre stato reale, più reale di quanto Louis riuscisse a gestirlo gran parte del tempo.
Allora ritrova la sua voce, alzando lo sguardo e pregando di riuscire a mantenere il suo contegno. “Ma cosa ci guadagnerei da tutto questo?” tenta, disperato, azzardandosi a fare un altro passo avanti. Le sue mani sono fredde mentre accompagnano le parole. “Se tutto fosse stato falso, perché sarei qui ora? Non avrei niente da guadagnarci, Harry! Perché sarei qui?”
“Senso di colpa,” offre Harry smorto, scrollando debolmente le spalle. “Ti senti stupido perché sei stato beccato.”
“No,” protesta Louis con fervore, scuotendo la testa. “No, non è così. Non è così.”
Ma Harry sta già scuotendo la testa e voltandosi, un senso di finalità in ogni suo passo, rimarcando la linea dura delle sue labbra.
Di nuovo, si allontana, lasciando Louis sotto un sole che non riesce a sentire.
 
**
 
Non sembra che stia migliorando.
Ma Louis continua a provarci.
 
**
 
Louis abbassa lo sguardo sul suo cellulare. Ha appena concluso una chiamata con Jo e, fortunatamente, sta diventando sempre più semplice parlare con lei.
È così strano quanto in fretta non sembri più colossale. Ma è bello perché ha qualcuno con cui parlare, qualcuno che permette a Louis di essere in gran parte se stesso, ed è quasi lusinghiero perché Jo ci sta provando, davvero, e non è come Louis se la ricordava. Non dice le cose che si ricorda dicesse. A volte le ricorda Anne – materna. È strano ed è diverso e Louis non si vuole dare false speranze.
Non hanno ancora parlato di incontrarsi. Non hanno ancora parlato delle sue sorelle. Ma stanno costruendo qualcosa ed è bello.
Louis ha anche ottenuto il lavoro al ristorante di lusso. E, in un paio di giorni, avrà firmato il contratto d’affitto per il suo nuovo appartamento. Sta prendendo in mano la sua vita, si sente come se stesse finalmente cominciando a stare a galla invece che annegare.
Ma c’è un tassello fondamentale che non è ancora al suo posto e, per quanto tutto in teoria sembri bello, Louis si sente ancora come se fosse composto solo da ossigeno e sangue raffermo e pelle secca e nessuna anima.
Deve solo continuare a provarci con Harry.
Esausto, apre il suo diario per la prima volta dopo tanto tempo. Scrive solo una cosa, troppo stanco per altro.
‘Andrà tutto bene.’
Chiude il libricino, ripete le parole, e, alla fine, si addormenta.
 
**
 
In qualche modo, si sveglia sentendosi più depresso di quando era andato a letto. Ma certo, è così fortunato.
Vuoto e confuso dal sonno, si veste, barcollando perché il suo equilibrio è completamente sfasato. Una volta assemblato (più o meno), dà un’occhiata al suo cellulare, le montagne di messaggi non letti ad attenderlo.
È passato tanto tempo dall’ultima volta che ha parlato con Zayn. Non ha davvero voglia di parlare con nessuno, neanche con lui.
Ed è il motivo per cui sa che dovrebbe chiamarlo.
“Ciao,” mormora, la gola secca.
“Sei vivo?” chiede la voce di Zayn attraverso il telefono, preoccupata ed esitante, con un velo di interesse.
Louis sbuffa. “Be’, stiamo parlando, no?”
“Non sono sicuro che significhi qualcosa, comunque,” dice Zayn lentamente. “Penso che i fantasmi possano parlare. Le voci non sono necessariamente legate al corpo. Almeno, non credo.”
Gesù. Siamo già a questo punto.
Impercettibilmente però, Louis sente l’eco di un sorriso attraversargli le labbra. “Giusto. Quindi. Vuoi pranzare con me, Zayn? A meno che tu non sia a scuola?”
“Nah, non ci sono andato,” dice Zayn con calma. C’è un suono distante del vento dall’altra parte della linea. “In realtà sto facendo una passeggiata con Niall. La lezione era soffocante oggi.”
“Okay. Be’, tu e Niall volete pranzare con me?”
“Sì, assolutamente,” acconsente Zayn con semplicità.
Miracolosamente, qualcosa si alleggerisce nel corpo di Louis.
“Okay. Bene.”
È un inizio.
 
**
 
Louis si lascia andare facilmente. Zayn è tranquillo come se niente fosse nello studiare sporadicamente le sue mani e addentare il suo cibo con determinazione mentre Niall sembra imbarazzato da morire, lanciando occhiate a Louis con occhi nervosi e compassionevoli. Non sembra per niente a suo agio.
 Al momento però, Zayn sta fissando in maniera estremamente snervante Louis, che punzecchia il suo cibo, evitando visibilmente di alzare lo sguardo. Ha paura che Zayn possa diventare Ciclope e farlo schizzare via dalla sedia con tutta quell’intensità.
Nessuno parla dell’elefante nella stanza. Nessuno parla di Harry o di Liam o…
Cazzo. Liam.
Ad essere sinceri, lo stesso Louis non pensava a Liam da… Merda.
“Devo parlare con Liam,” grugnisce, pugnalando una patatina con la sua forchetta.
Zayn annuisce, mentre Niall sembra particolarmente a disagio. “Devi. Si sente in colpa.”
“È giusto che lo sia,” grugnisce Louis, cercando di non fissare il suo cibo. “È un bastardo.” Però all’affermazione segue un cipiglio, il riflusso della sua rabbia che svanisce così velocemente come è arrivato lasciando spazio alla logica. Sospira, il corpo che crolla. “Questo casino non è colpa sua, vero?” È più una constatazione che una domanda.
“Sì e no,” risponde Zayn, senza smettere di fissarlo, e Louis alza lo sguardo. “Avete fatto un bel casino entrambi. Comunque dipende dalla tua prospettiva, presumo. Ma non è questo il punto.” È così calmo. “Credo tu debba ricominciare a parlare con le persone, Louis. Sarebbe più semplice se tu parlassi.”
Louis si pulisce minuziosamente le dita sul tovagliolo sudicio. “In realtà, uh. Ho parlato con mia mamma, quindi credo di essere stato piuttosto loquace negli ultimi tempi, grazie.” Lo dice piano, evitando gli occhi di Zayn.
Forse per la prima volta oggi, Zayn sbatte le palpebre. “Eh?”
Louis si schiarisce la gola. “Ho chiamato Jo.”
“Porca puttana.”
“Lo so.”
Un breve silenzio cade tra loro prima che Niall alzi lo sguardo, esitante e un po’ nervoso, mentre Zayn continua a fissare Louis a bocca aperta.
“Allora, uh… Come sta?”
È così imbarazzato e forzato che Louis non riesce a trattenersi dal ridere, facendo sì che Zayn distolga lo sguardo da lui, e rompendo la tensione che si era insediata tra loro.
Da quel momento, l’aria si rischiara appena e diventa un po’ più facile per Louis parlare, rivelare facilmente e apaticamente i dettagli, prima che la conversazione finisca di nuovo su Liam.
“Cercherò di parlargli domani,” dice Louis con un sospiro, sfregandosi una mano sul viso.
“Sì,” annuisce Zayn saggiamente, sbattendo le palpebre con quelle sue ciglia da ragno. “Buona idea.”
Niall si limita ad annuire, apparendo un po’ pallido.
“Che fai ora?” domanda allora Zayn mentre si alzano, scorrendo fuori dal tavolo.
“Uh. Vado a scuola,” tossisce Louis, il collo che prude al solo pensiero. “Proverò a parlare con Harry.”
“Ah.”
Non una parola in più è detta sull’argomento e Louis è così, così grato.
Così tutti se ne vanno, il silenzio sistemato sulle loro spalle come un mantello.
 
**
 
Il cielo è davvero blu. Gli uccelli cinguettano. Le persone sembrano molto felici.
È irritante da morire.
Perché il clima di ogni giornata deve essere strappato via direttamente da un film Disney? Perché questa cosa deve succedere durante la settimana peggiore nella vita di Louis?
Arriva a scuola, solo per scoprire che Harry non è da nessuna parte. Grandioso. Non è totalmente inaspettato, ma lo uccide comunque un pochino. Un sacco, in realtà. Forse totalmente. È stanco però, è tutto affondato, e sta per arrendersi per oggi quando improvvisamente guarda dall’altro lato della strada e vede, da lontano, il negozio di musica.
Cazzo. Il negozio di musica. Louis se n’era completamente dimenticato.
Zayn ovviamente non lavora oggi. Quindi questo significa… che Harry probabilmente sì. Harry è probabilmente lì in questo momento, quasi sicuramente. Proprio laggiù. Cazzo.
Forse può solo limitarsi a parlargli. Forse può limitarsi ad entrare, dire la sua e andarsene, e allora Harry saprà.
Comincia a camminare, lo stomaco che si aggroviglia.
Il negozio di musica è il loro posto. Di sicuro, Harry lo lascerà parlare. È dove si sono dati il loro vero primo bacio, per l’amor del cielo.
Cammina e cammina e cammina. Quando alla fine lo raggiunge, il cuore che batte alla base della sua gola, apre la porta con le mani tremanti; il campanello trilla come fa tutte le volte.
E, proprio come tutte le volte, Harry è seduto lì.
Sta seduto lì, piccolo e silenzioso, un libro aperto di fronte a lui, e quando alza lo sguardo, il suo viso sbianca completamente. Si dissolve poi velocemente in rabbia, come al solito. Prima che Louis possa solo aprire la bocca, Harry salta giù dal suo sgabello, voltandogli le spalle verso la stanza nel retro.
Non c’è da stupirsi minimamente, considerando che ultimamente ogni singola interazione tra loro è avvenuta in questo modo.
Tuttavia, Louis in questo momento è disperato, il panico che comincia a scoppiare dentro di lui. Sta perdendo, okay, sta perdendo, sta perdendo Harry ogni singolo giorno in cui non migliora niente, e non può semplicemente stare a guardare Harry che esce dalla sua vita, non può lasciargli pensare che Louis non l’abbia mai amato…
Ha intenzione di chiamare il suo nome.
Ha intenzione di chiamare il nome di Harry quando apre la bocca. Ma, in qualche modo, qualcos’altro fuoriesce al suo posto, qualcosa che non si sarebbe mai aspettato di sentirsi dire.
“Sono innamorato di te.”
E, merda. Si sente mancare un po’ il respiro perché non l’ha mai detto prima. A nessuno. Mai. Non ha mai usato queste parole in quest’ordine prima d’ora, mai ad alta voce.
Harry si blocca all’improvviso. Ha la schiena rivolta verso Louis; riesce a vedere la tensione nelle sue linee, il taglio freddo delle sue ossa. Ma Harry si è fermato. E Louis non sa se è per la rabbia o per lo shock o cosa, ma Louis coglierà quest’opportunità, maledizione.
“Mi dispiace tanto,” dice, per qualche ragione già senza fiato, il suo corpo che si allenta. Ogni nodo si scioglie, ogni spirale di tensione; si lascia semplicemente andare, lascia che il suo esaurimento, la sua tristezza, il suo dolore, la sua rabbia, la sua fottuta disperazione sgorghino attraverso la sua voce, il suo viso, la sua postura. Non si trattiene, non cerca di nasconderlo o scacciarlo; lascia che se stesso senta. Ed è orribile. Ma continua. “Mi dispiace così tanto di averti lasciato pensare che fossi stato tutto tranne che sincero.”
Cazzo, non è facile.
Ma continua.
“Non so cosa sto facendo e non so cosa dire e ho cercato di non inseguirti per tutta la settimana,” ride senza umorismo, quasi istericamente, sfregandosi una mano sugli occhi stanchi, così stanchi. “Ma il fatto è che, ho bisogno che tu lo sappia, Harry, ho bisogno che tu sappia la verità perché lo so come sembra e lo so come suona e lo so cosa stai pensando e ho bisogno che tu sappia che non è così.”
Harry rimane immobile. Muto.
Quindi Louis continua, espirando in maniera tremante mentre tira fuori ogni pezzo di sé che riesce, ignorando le fitte di imbarazzo e terrore cieco. Deglutisce prima di parlare, la voce alta nella stanza silenziosa e vuota.
“Mi hai reso la persona che sono oggi,” comincia debolmente, sentendo qualcosa afferrare la sua gola. Cazzo, non vuole piangere. Ma succederà comunque e riesce a sentirlo ed è indipendente dalla sua volontà perché si è lasciato andare; si è lasciato trascinare via e si è lasciato andare. “Non sarei niente senza di te, Harry. Niente. Lo so che non ho nessun diritto di essere qui adesso e lo so che mi odi, giustamente, e se fossi stata una persona più forte, migliore, l’avrei rispettato e ti avrei lasciato per sempre perché non ti ho mai meritato… neanche una volta. Ma non sono migliore o più forte e ho bisogno che tu sappia che mi hai reso qualcuno che non avrei mai pensato di poter essere.”
I suoi occhi traboccano di lacrime, la vista annebbiata; eppure, oltre le onde, riesce a vedere che Harry è ancora lì.
Nonostante il tremore nella sua voce, le parti dove si incrina e diventa incerta, continua.
“Non ero niente prima di incontrarti,” soffia, scuotendo la testa a se stesso, perso. “Ero senza casa e solo e arrabbiato e infelice e pensavo di essere così potente, migliore di chiunque altro, perché facevo questo dannato gioco con Liam – una delle uniche persone che avevo nella mia vita. Ero tutto quello che non sei tu, Harry… ero odioso e miserabile e… crudele, cazzo. Ripugnante. Ma da quando ti ho incontrato…” Scuote nuovamente la testa, le lacrime scorrono sul suo viso e non gliene frega un cazzo. “È stata l’unica cosa reale che abbia mai provato.”
Respira, strofinando le mani sulle guance anche se le lacrime continuano a scorrere.
“Mi hai portato a prendermi cura di nuovo di me stesso.” Le parole sono smorzate dai suoi palmi, i suoi occhi serrati perché non riesce a smettere di piangere e brucia tanto quanto è umiliante. “Mi hai fatto desiderare di prendermi di nuovo cura di me stesso perché sei così dannatamente meraviglioso, Harry. Sei tutto ciò che pensavo non esistesse. Sei tutto.” Respira con difficoltà mentre la sua voce si spezza sull’ultima parola, rimuovendo le mani. “Sto cercando con tutte le mie forze di prendermi cura di me stesso in questo momento perché tu mi invogli a farlo, mi fai desiderare di vivere invece di esistere… cazzo, perché tu mi hai fatto vivere per la prima fottuta volta, Harry. Mi hai fatto realizzare così tanto, mi hai aperto gli occhi, tu sei… sei la ragione per cui io abbia mai fatto qualcosa di cui essere remotamente fiero. Sei la ragione per cui sono qualcuno e sei la ragione per cui sto lottando e sei l’unica dannata ragione per cui sono qui in questo momento. È grazie a te. Sono innamorato di te, così tanto da far male, e lo so che non mi vuoi qui ma ho bisogno che tu sappia che non è mai stato falso. Neanche una volta è stato altro che reale. E lo odiavo all’inizio, odiavo il fatto che non ti capissi e non sapessi come giocare con te, okay? Odiavo il fatto che fossi attratto da te e avevo una paura fottuta di star diventando qualcun altro. Ma sai una cosa?”
Respira, tremando attraverso il silenzio.
“Il fatto è che, è che non avevo realizzato che stavo cambiando in meglio. Stavo diventando qualcun altro… stavo diventando me. E devo ringraziare solo te per questo. Sei la ragione per cui ho un lavoro migliore adesso. Sei la ragione per cui voglio tornare a studiare. Sei la ragione per cui mi sono trovato un appartamento per la prima volta nella mia cazzo di vita, una casa vera. Perché fino ad ora ho vissuto in una stanza buia, incapace di trovare qualsiasi cosa… E tu mi hai aiutato a trovare la luce.”
Sta piangendo di nuovo, di più. Non gli importa.
“Sei l’unica luce nella mia vita, Harry,” dice piano, consapevole di quanto suoni patetico e insulso. Non gli importa, non gli importa. “E mi dispiace così, così tanto di aver mandato tutto a puttane. Mi dispiace così tanto di averti fatto credere di non averti amato fin dal primo momento, quando ho sbattuto inavvertitamente contro il tuo tavolo e spedito il mio cuore e la mia testa sul tuo grembo. Mi dispiace così tanto di non essere mai stato abbastanza forte da dirti del gioco – ma era già finito molto tempo fa, lo era. E lo so che ho tradito la tua fiducia e lo so che non mi vuoi più ormai. Sono qui senza intenti, okay, te lo prometto. Ma ho bisogno che tu lo sappia.” Rabbrividisce mentre espira, le spalle che si curvano con fatica. Si sente svuotato. “Ho solo bisogno che tu sappia la verità.”
Silenzio.
Più a lungo si trascina, più forte Louis strizza gli occhi.
Parla un’ultima volta, le parole che scivolano fuori dalla sua bocca e cadono ai suoi piedi. “Mi dispiace di essermi innamorato di te,” sussurra. “Mi dispiace di essermi innamorato della tua famiglia. Mi dispiace di aver accettato il gioco. Ma la sai una cosa? Non è così. Non mi dispiace per un solo istante. Perché anche se ho mandato tutto a puttane, non cancellerei mai quello che mi hai dato. Mai, cazzo.”
Sta malissimo. In qualche modo, è ancora più disperato. Ad essere onesti, si sente solo egoista.
Quindi si limita a fissarsi i piedi, strofinando i palmi contro le guance bagnate.
Forse dovrebbe solo voltarsi. Dovrebbe solo andarsene.
Si sta per voltare, per uscire. Ma poi alza lo sguardo. Harry si sta girando, così lentamente, e Louis è bloccato sul posto.
Harry sta piangendo. Il suo viso trema per lo sforzo di mantenere un contegno, ma le lacrime stanno scorrendo lungo le sue guance pallide e lisce e l’immagine manda un’altra ondata lungo quelle di Louis. Dio. Stanno piangendo entrambi in un negozio di musica, fissandosi attraverso la fottuta stanza.
“Non credo tu ti renda conto quanto mi abbia ferito,” dice Harry alla fine, attraverso i muri di sale che li separano.
Louis si limita ad ascoltarlo, respirando immobile. Nota che Harry non lo sta guardando con odio. Solo sofferenza.
“Non voglio che tu dica che mi ami, se non lo pensi davvero,” mormora Harry, la voce che si blocca mentre deglutisce. “Ma solo… solo se lo pensi davvero.”
Qualcosa di estremamente e stupidamente simile alla speranza scoppia nel petto di Louis mentre compie un passo avanti, le mani di fronte a sé.
“Sono fottutamente innamorato di te, Harry Edward Styles,” dice con fermezza, senza esitazione. “Ti amo. Follemente. Se non vuoi che lo dica, non lo farò. Non voglio oltrepassare i miei limiti perché sono qui per te, in ginocchio, per te. È tutto per te e voglio solo rispettarlo. Non farò niente che tu non voglia, te lo prometto. Ma è la verità, ti amo, e lo dico sul serio, più di quanto pensavo ne fossi capace. Ti amo e mi dispiace, ma è la verità.”
“Ma…” comincia Harry, ed è visibilmente combattuto ora, la compostezza che scivola via dai suoi lineamenti. “Ho così tante domande. Sono così confuso… Non…” Si interrompe, fissando Louis, perso.
“Lo so. Mi dispiace,” dice Louis di nuovo, sincero e stridulo. “Lo so.”
“Harry, senti,” continua Louis, espirando pesantemente attraverso le parole. Stringe insieme i pugni, forte, perché è tesissimo e sente come se i suoi muscoli e i tendini possano strapparsi da un momento all’altro. “Non voglio darti fastidio. Non so bene cosa fare adesso. quindi. Se vuoi, ti lascerò in pace. Okay? Pensavo che forse, se avessi saputo…” Si interrompe, scuotendo la testa per schiarirsi prima di continuare. “È solo che non volevo che pensassi che non ti amassi veramente, okay? Perché è così. Lo capisco che mi odi ma io ti amo. Il modo in cui ci siamo incontrati non era, sfortunatamente, reale, ma tutto il resto lo è stato. È stato così naturale ed è tutto per me. Ma ti lascerò andare, Harry, se è quello che vuoi. Uscirò da quella porta e ti starò lontano. Ti rispetterò, Harry, ma devo lasciare a te questa decisione perché non posso prenderla per me stesso. Te lo chiederò e farò quello che mi dirai, ma non posso prendere questa cazzo di decisione.”
Di nuovo, Harry non proferisce parola ed è così sconvolgente e apparentemente interminabile che, ancora una volta, Louis fa per andarsene, il cuore ficcato nelle suole delle sue scarpe.
Ma poi, proprio mentre Louis si volta per aprire la porta:
“Torna domani.”
È tutto quello che Harry dice, la sua voce indecifrabile, gli occhi lucidi fissi su di lui.
Ma Louis l’ha sentito, l’ha sentito dritto nel suo cuore grigio e pulsante, e annuisce, le dita che si contraggono. “Ci sarò,” promette senza esitazione.
E Harry annuisce senza un’altra parola prima di osservarlo andarsene, ancora in piedi dietro il bancone, le lacrime a segnare ancora il suo viso.
 
**
 
Quando Louis arriva al negozio di musica il giorno dopo, i palmi delle sue mani sono sudati, le sue ginocchia continuano a sbattere l’una contro l’altra, e il ritmo irregolare del suo cuore gli sta riempendo le orecchie. Le nuvole nel cielo sembrano soffici cuscini, sembra che tutti attorno a lui stiano ridendo, e il mondo sta andando avanti come se oggi non fosse, potenzialmente, il momento più decisivo della sua vita. E non è neanche un’esagerazione.
Non può mandare tutto a puttane, vedete. Questo è tutto quello che ha e non può mandarlo a puttane.
Quando apre la porta, ha il suo diario in mano (magari aiuterà? Forse?) e la campanella suona delicatamente prima che si chiuda, silenziando efficacemente il forte frastuono del mondo esterno, e azzerando tutto a qui e ora. E lì, come previsto, c’è Harry.
Nel momento in cui alza la testa per incontrare gli occhi di Louis, la sua postura cambia completamente, i suoi muscoli facciali si inaspriscono in indifferenza. Dove pochi secondi prima era seduto piccolo e affranto, si pone ora con determinazione, forza, potere quasi. È una recita così palese, una determinazione per farsi forza, e sgretola qualsiasi cosa sia rimasta in Louis perché non sarebbe mai dovuto essere così tra loro. Harry non avrebbe mai dovuto indurirsi per guardare Louis negli occhi; sarebbe dovuto rimanere sempre dolce, imprudente, se stesso.
Il pensiero brucia e Louis lo butta giù, dirigendosi con esitazione verso di lui.
Harry lo osserva con attenzione, le labbra che si contraggono appena.
“Ho delle domande,” dice poi piano, gli occhi che non lasciano mai Louis.
Louis annuisce mentre si posiziona direttamente di fronte a lui, posando il diario per terra con delicatezza, prima di infilare le mani nelle tasche della giacca. Non si azzarda a parlare, la distanza tra loro in qualche modo tangibile. Harry sembra così lontano, eppure Louis potrebbe allungare una mano e toccarlo, se volesse.
Harry continua a fissarlo per qualche altro secondo, senza battere ciglio. Poi improvvisamente il basso rombo della sua voce sgorga nell’aria. “Sei mai andato a letto con Liam mentre stavi con me?”
La domanda fa uscire un soffio dalle narici di Louis, ma non trasalisce. Non può mandare tutto a puttane.
“No, mai,” replica con fermezza, le parole molto morbide. I suoi occhi sostengono quelli di Harry il più possibile, perché è fottutamente determinato a far sì che Harry legga la verità in essi. Perché è tutto quello che Louis ha… la verità. Non ha più se stesso ma ha la verità. “Non sono mai, mai andato a letto con Liam. Tempo fa, anni fa, gli ho fatto un pompino,” ammette, concreto e distaccato mentre Harry a stento trasalisce; è solo un tic del suo occhio destro ma Louis lo vede. “È stata la notte in cui l’ho conosciuto. È venuto al mio pub con i suoi amici, è rimasto nei paraggi, e l’abbiamo finita a spassarcela nel vicolo. Da quel momento siamo diventati amici, per così dire, ma nulla più.”
Si lecca le labbra, raddrizzandosi appena mentre il silenzio cade tra loro, il viso di Harry indecifrabile. È spaventoso non sapere cosa stia pensando, è spaventoso sapere che Louis potrebbe già aver mandato tutto a puttane, ma rimane in silenzio, pronto alle parole successive di Harry.
Deve fare questa cosa per bene, okay? Non c’è tempo per crollare o andare nel panico.
Allora Harry parla. “Cosa intendeva Liam quando ha detto che avresti ‘avuto lui’ se avessi vinto?”
Okay, quindi questo è un interrogatorio in piena regola. Okay. Bene. Louis può sostenere un interrogatorio. Okay.
Deglutisce, immergendosi a fondo senza pensarci due volte. “Quando il gioco è stato proposto per la prima volta, Liam mi aveva detto che, se fossi andato fino in fondo con te, la mia ‘ricompensa’ sarebbe stata lui. Perché al tempo lo desideravo.”
Le parole rimangono pesantemente tra loro, ma Louis non batte ciglio, neanche quando le labbra di Harry si piegano verso il basso, qualcosa di un po’ più reale a trasparire oltre la sua determinazione.
“Provi ancora qualcosa per lui?” domanda Harry, ma non è distaccato, non è irritato; è solo calmo, quasi implorante, e molto, molto triste.
Louis stringe più forte i pugni, i suoi bicipiti che fremono leggermente dallo sforzo. Non c’è tempo per le emozioni ora, deve solo parlare con Harry. Non può perdere la testa, deve concentrarsi.
“Per niente,” scuote la testa, reprimendo la sua disperazione. “Sinceramente, non sono sicuro di aver mai provato qualcosa per lui. Ma è stato il giorno del gala di beneficenza che ho capito che le cose stavano… cambiando. E che provavo qualcosa solo per te.”
A quello, Harry deglutisce e distoglie lo sguardo, i suoi occhi che appaiono improvvisamente tristi e infossati. O forse è solo il modo in cui la luce li sta colpendo. “Non so,” parla tra sé, quasi troppo piano per essere sentito. Ma poi si volta, ricomposto e impassibile. “Mi puoi dire quale fosse il gioco?” domanda con una torsione della bocca. “Devo sapere ogni cosa. Mi hai mai fatto qualcosa?”
“No,” Louis scuote energicamente la testa. “No, mai. Il gioco era che Liam mi chiedeva di occuparmi di alcune persone, e io lo facevo. Perché quando tutto questo è iniziato, ero un pezzo di merda, okay? Ero amico di Liam Payne e facevo tutto quello che mi diceva di fare. Quando non gli piaceva qualcuno, mi chiedeva di andargli dietro, scoparmelo, o quel che era.” Accompagna le parole con i gesti delle mani, l’energia che scatta attraverso le sue dita perché è così fottutamente nervoso, così fottutamente irrequieto, e non c’è abbastanza saliva nella sua bocca. “E io lo facevo, senza fare domande. Perché era eccitante per me quanto per lui. Mi faceva sentire più forte perché ero sempre stato quello ridicolo, l’idiota, lo schifo, e mi faceva sentire meglio. Mi faceva sentire potente,” si deride da solo. Harry sbatte le palpebre, osservandolo in silenzio, le sopracciglia che cominciano lentamente a unirsi. “Pensavo di essere vivo quando avevo il controllo su qualcun altro. Ma non lo ero.”
“Poi mi ha mandato appresso a te, Harry…” Fa una pausa, le mani che crollano. Per un attimo, i suoi occhi cadono sulle punte delle sue Converse bianche prima di tornare su e incontrare l’espressione corrucciata di Harry, le mani immobili ai suoi fianchi. La sua voce si addolcisce mentre continua, l’energia che diminuisce. “E l’ho fatto. Ti sono venuto a cercare, immediatamente, ma sai una cosa? Non era per niente come con gli altri; tu non eri per niente come gli altri. Potrei dirti pezzo per pezzo, attimo dopo attimo, come hai smantellato tutta la mia vita, Harry. Ogni singolo momento è stato reale. Non sapevo cosa fare con te, non eri per niente quello che mi aspettavo. Liam ti ha fatto apparire l’opposto di quel che sei veramente. Ti ha descritto come un campione di calcio, un coglione…”
Harry inarca un sopracciglio a quell’affermazione, continuando comunque ad ascoltare con attenzione.
“Lo so,” Louis fa un mezzo sorriso, prima che svanisca dal suo viso, tornando neutro. Sospira. “Sinceramente, ripensandoci, credo che lui sapesse il potere che esercitava su di me. Sapeva quel che poteva ottenere da me, credo. Si divertiva a manipolarmi, a rendermi le cose difficili. E io che pensavo di essere furbo, ma in realtà mi teneva sul palmo della sua cazzo di mano. Ora me ne rendo conto.” Sospira, pesante ed esausto. “Quindi ti sono venuto a cercare. E tu eri così imprevedibile. Ogni giorno in cui ci incontravamo, mi sentivo sempre più scombussolato… e Liam continuava a scrivermi, a tormentarmi, a rincorrermi, a cercare di farmi coinvolgere da te…”
“Intendi fare sesso con me,” interviene Harry, bruscamente, e il suo viso si piega di dolore con le parole, proprio insieme alla torsione nello stomaco di Louis. Il suo viso è accartocciato, quasi intimorito, ed è orribile, è terribile cazzo, ma Louis deve continuare a parlare perché questo è il motivo per cui è venuto qui. Non verrà distratto dagli occhi stretti di Harry o dalla sua bocca piegata, o dal colletto della sua maglietta che si posa in maniera non uniforme sulle sue clavicole. Non spazzerà via l’elettricità nei ricci di Harry o distenderà le sue linee corrucciate.
  Invece annuisce, sentendosi piccolo. “Sì. Voleva che ti spezzassi in modo tale da sviarti dalla Brenton e lasciare il posto a lui. Questo era il piano,” ammette, un po’ debolmente. Il silenzio che segue la confessione gli fa abbassare la testa, imbarazzato. “Non… non sono una bella persona, Harry,” ammette, ancora più debole di prima. “O almeno, non lo ero. O forse sono ancora una merda, non lo so. Forse sono davvero, tipo, una brutta persona.” Si sfrega una mano sugli occhi, improvvisamente sopraffatto, improvvisamente esausto. “Sono un casino. È tutto così… Sul serio, non dovremmo neanche avere questa conversazione, Harry, non dovremmo. Non ha senso. Cazzo, non dovresti neanche parlare con me–”
Smettila di prendere decisioni per me,” lo interrompe Harry con fermezza, gli occhi del colore del vetro, e questo azzittisce Louis in modo efficace. Harry è ancora seduto, tutto appollaiato e piegato, ma le sue mani sono bianche e strette tra loro e le sue sopracciglia sono corrucciate così tanto che appare feroce e intangibile, tutto ciò che in realtà non è. Le sue labbra sono pallide. “Io prenderò questa decisione. In questo momento sei proprio una merda, sì, ma io deciderò tutto da solo.” Le parole risuonano nell’aria, dure e decise. “Ora. Va’ avanti.”
Louis china la testa, chiudendo gli occhi mentre continua. Le sue guance sono in fiamme, le estremità delle dita gelide.
E sente che sta fallendo. Che sta mandando tutto a puttane.
“Ho continuato a seguirti,” continua, la voce lontana, godendosi la momentanea oscurità dei suoi occhi chiusi. “Era divertente. Suppongo che mi piacessi ancor prima di riuscire a capirne davvero il motivo. È stato il giorno del gala però, che le cose hanno raggiunto il culmine, quando ho iniziato a capire. È stato quando Liam mi ha mandato a occuparmi di Niall.”
All’istante, Harry rabbrividisce, le mani che si allentano. “Niall?” chiede incredulo, il tono troppo forte. Louis si morde l’interno del labbro. “Te la sei presa con Niall, tra tutti? Seriamente, Louis?”
È così deluso, così disgustato.
Louis sta mandando tutto a puttane.
“Lo so, lo so,” si affretta a dire debolmente, alzando il viso con una smorfia che riflette quella di Harry. “Ma non sono andato fino in fondo, non ce l’ho fatta.”
Harry rimane in silenzio, gli occhi ancora affaticati. Ripiega le mani ma non dice niente, quindi Louis continua.
“Liam era sicurissimo che sarebbe successo perché non avevo mai fallito prima, mai. Ero una certezza, Harry, e Liam era così convinto, anche se era frustrato dal fatto che ci stessi mettendo troppo tempo con te. Ma mi ha comunque mandato a occuparmi di Niall senza la minima esitazione, eppure… Eppure, ci ho a malapena provato. Perché non facevo altro che pensare a te.”
C’è abbastanza silenzio che Louis riesce a sentire Harry inspirare.
“Mi ricordo solo che stavo cercando di scriverti. Ero, tipo, incollato al mio cellulare mentre avrei dovuto tenere compagnia a Niall, sedurlo, tipo, e invece continuavo a controllare se mi avessi scritto. In effetti,” aggiunge, una risata priva di umorismo a sfuggirgli dalle labbra, “è così che si sono conosciuti Zayn e Niall. Ho costretto Zayn a sedersi con lui in modo che io potessi chiamarti perché volevo solo che venissi quella sera. Al tempo, pensavo che fosse per Liam, per il piano; perché non mi era mai capitato niente di simile in vita mia, non mi ero mai sentito così. Ma poi quando hai provato a baciarmi quella sera… sapevo che qualcosa era cambiato. Lo sapevo.” Le parole si affievoliscono mentre Louis deglutisce, osservando il modo in cui gli occhi di Harry crollano, fissandosi da qualche parte sul pavimento. Il suo viso è meno indurito ma ancora inespressivo e le sue mani non sono più così strette.
Quindi Louis continua.
“Liam aveva grandi aspettative quella sera. Ci stava osservando tutto il tempo. Ecco perché, quando hai cercato di baciarmi, non… non ho potuto. Non ho potuto, Harry. Perché improvvisamente sembrava così sbagliato.” Gli occhi di Harry guizzano di nuovo verso di lui; una patina delicata li ricopre, attirando tutta la luce. “Non volevo che quel bacio fosse per lui, non volevo che lo vedesse. Sarebbe dovuto essere per noi, Harry, sarebbe dovuto essere nostro. E allora ti ho fermato. Perché era per noi, solo per noi, e non volevo che fosse parte di… quello.”
Harry si limita ad annuire, gli occhi ancora lucidi. L’immagine colpisce il cuore di Louis. “Okay. Va’ avanti.”
E Louis lo fa. “In seguito, mi sono sentito un po’ incasinato, confuso,” dice piano. “Mi sono tirato indietro… ricordi? Quando sono sparito?”
Senza parlare, Harry annuisce.
“Be’, l’ho fatto perché sapevo di provare qualcosa per te. Qualcosa di autentico con cui non avevo familiarità. Ma sapevo di aver imboccato una strada buia e non sapevo quale fosse la direzione giusta perché Liam mi teneva ancora in pugno, in un certo senso. Ero ancora… perso, presumo. Non sapevo cosa volessi. È stato così fino a che non ci siamo rivisti.” Sorride al ricordo, lasciando che i suoi pensieri tornino a quel momento, a quando aveva visto Harry vicino al laghetto. Era così bello, così dolce e pieno di vita, offrendo a Louis tutto il suo mondo. “Mi è bastato uno sguardo, seguito solo da una minuscola conversazione, ed ero asservito, andato, intrappolato, forse.” Scuote la testa con affetto, perso nei ricordi. “Mi hai portato qui quel giorno. Ricordi? Quando ero stato il tuo randagio? Siamo rimasti qui tutta la sera e non abbiamo fatto niente e non ho mai riso così tanto, Harry. Non mi sono mai divertito tanto. Non abbiamo fatto letteralmente niente e non mi sono mai divertito tanto.”
Sente Harry tirare su col naso, un terribile promemoria del fatto che ogni cosa è diversa da come fosse, molto più rovinata, e sbatte le palpebre tornando alla realtà, lo sguardo concentrato su Harry. Sta piangendo. La vista gli fa distogliere immediatamente lo sguardo, il cuore che si contrae.
Cazzo. Sta mandando tutto a puttane.
“Non ho mai voluto ‘conquistarti’ per il gioco,” continua piano, un dolore nel petto. O nel suo cuore, forse. “Non ho mai voluto conquistarti ma non ero abbastanza forte per starti lontano.” Fissa i suoi piedi. “Ho provato con tutte le mie forze ad evitare di correrti dietro. Ho cercato di non baciarti, ho cercato di non prendere nessuna iniziativa–”
“Ti ho chiesto io di uscire,” mormora Harry all’improvviso, le parole un po’ bagnate quando lasciano le sue labbra. Louis alza la testa, sorpreso. Harry appare quasi stordito, perso nei suoi pensieri, la bocca ancora leggermente piegata in una smorfia. “Sono io che ti ho baciato. Sono io che ti ho chiesto di uscire. Tu non hai mai… Al tempo, non ero neanche sicuro di piacerti. Ero così confuso…”
Corrucciandosi, Louis scrolla le spalle, osservando l’umidità raccolta negli occhi di Harry e sentendola risuonare nel suo battito. “Non ero abbastanza forte per dire di no, ma non potevo…” Distoglie lo sguardo. “Non potevo farlo, non importa quanto lo desiderassi disperatamente.”
Harry rimane in silenzio, seduto come il bellissimo ed educato uccellino che è; tutto occhi grandi e lucidi e labbra tristi e mani pallide. Tutto quello che Louis vuole e tutto quello che Louis desidera di poter guarire.
Si sente accigliarsi quando parla di nuovo. “Ma poi quella sera mi hai chiesto di uscire e non sono riuscito a dirti di no,” dice, l’imbarazzo che fuoriesce attraverso le sue parole. “Perché volevo solo stare con te. Ero egoista ed era quello che volevo. Nonostante parlassi ancora con Liam, volevo comunque averti tutto per me, e continuavo a cercare di convincere sia me che Liam che era ancora, almeno in parte, a causa del gioco.” Le parole sembrano dannatamente pesanti mentre rimangono sospese a mezz’aria, sembrano così orribili, cazzo, e Louis non riesce a guardare Harry ora. “Non sapevo cosa stessi facendo, Harry. Non ne avevo la più pallida idea. Perché, vedi. Stavo cercando così tanto di essere chi pensavo che fossi, capisci? Stavo cercando di essere tutto figo e insensibile e tutte quelle stronzate lì, ma in realtà, non ero niente di tutto quello. Stavo già cominciando a detestare Liam, odiandolo per aver incasinato tutto, incolpandolo di tutti i miei errori. Eppure. Tuttavia. Ho cercato di convincermi che non fossi attratto da te, che fossi ancora lo stronzo che ero stato. Fino a…” Si interrompe, lo stomaco che sobbalza al ricordo.
Dio, suona tutto molto peggio quando lo dice ad alta voce. Vuole fermarsi, vorrebbe non parlare mai più. È così incapace in queste situazioni.
Si strofina una mano sugli occhi, accasciato. Sta mandando tutto a puttane, è tutto quello a cui riesce a pensare.
“Fino a cosa?” dice una voce incerta.
Sbattendo le palpebre, Louis piega la testa, voltando uno sguardo sorpreso verso Harry, che sta seduto in silenzio e incuriosito, una fragile intensità impressa nelle linee del suo viso. Non sta battendo ciglio, limitandosi a fissare Louis, e Louis sente la sua mancanza, lo ama, lo desidera così tanto che rimane momentaneamente in silenzio, incapace di richiamare la sua voce.
Poi si schiarisce la gola, respira, e continua a parlare.
“Fino alla notte del nostro primo appuntamento,” soffia, osservando Harry che lo osserva a sua volta. Si sta aggrappando ad ogni parola. L’immagine fa pompare il sangue di Louis ma non vuole pensare, parla e basta. “Liam aveva pianificato tutto in anticipo. Gli avevo detto che saremmo usciti insieme perché ero ancora un fottuto idiota al tempo, anche se mi faceva star male. Tutta la faccenda mi faceva star male; mi sentivo bene solo quando stavo con te. Quando eravamo solo noi. Ma non avevo ancora compreso del tutto i miei sentimenti, quindi gliel’ho detto e lui ha organizzato tutto e… Ti ricordi? Ricordi quel ristorante?”
Harry annuisce, e i suoi occhi sembrano un po’ più asciutti, il suo viso più composto. Bene.
“Be’, Liam aveva scelto il posto.” Senza parlare, Harry inarca le sopracciglia. “Voleva che mangiassimo lì, giusto il tempo necessario per sedurti o farti ubriacare, o qualcosa del genere. Non lo so. Poi avrei dovuto riportarti in macchina e… fare quello dovevo fare.”
A quello, Harry rabbrividisce visibilmente, distogliendo lo sguardo con così tanta asprezza che spacca completamente in due il petto di Louis, sgretolando la compostezza che aveva finto internamente.
Deglutisce, stringendo i denti con determinazione, sentendo ogni cosa torcersi dentro di sé, agitarsi perché sembra tutto in frantumi. “Aveva intenzione di beccarci sul fatto,” dice, tremando solo a fior di pelle. “Riprenderci con la telecamera, filmarci o quel che è. Condividerlo su tutti i social. Aveva intenzione di distruggere la tua reputazione e te insieme ad essa, e questo gli avrebbe dato la strada spianata verso quella scuola del cazzo. Questo era il piano, Harry. Questo era quel che voleva che io facessi.”
Harry deve sapere. È terrificante da dire ad alta voce. È orribile e deplorevole e quasi raccapricciante ma Harry ha il diritto di sapere la fottuta verità, per quanto questo uccida Louis, per quanto questo sia contro di lui.
Ma comunque… lo fa star male.
“E poi ho incontrato la tua famiglia,” continua Louis, e ora la sua voce comincia a tremare perché Harry ancora non lo guarda e lui non riesce a vedere la sua espressione. I ricordi lo inondano alla pari del panico interiore ed è come se stesse avendo un sovraccarico sensoriale in questo istante, sembra tutto troppo pesante. “E non potevo credere a quanto fossero gentili con me. Quanto fossero buone. Tu avevi una casa, una vera casa, e avevi una vera mamma e una vera sorella e ti amavano così tanto e mi guardavano come se fossi un essere umano, non un fottuto ratto, e… Ero lì solo da… quanto? Dieci minuti? Eppure volevo già rimanere, Harry. Non era mai stato così prima, non ero mai piaciuto ai genitori… cercavano sempre di sbarazzarsi di me, e a me piaceva essere trattato così. Ma loro, proprio come te, erano così diverse e mi sono affezionato, Harry, mi dispiace, cazzo, ma mi sono affezionato. E, pur sapendo che non sarei mai riuscito ad andare fino in fondo con quella storia, è stato allora che l’ho compreso veramente; non c’era mai stata nessun’altra opzione. Mai.”
Un altro silenzio si insinua tra loro, interrotto solo dalle sporadiche chiacchierate degli studenti all’esterno e dagli scricchiolii dell’edificio. Louis si accorge solo ora che oggi non c’è musica nel locale, rendendo ogni cosa più forte e più vuota; lo fa sentire più nervoso, più conscio del suo respiro.
“Mi ricordo come sei scappato,” dice Harry piano, voltandosi lentamente verso di lui. Sembra ancora impassibile, ma quello non è odio, okay? Non è odio e Louis esala un respiro che solo ora realizza che stesse trattenendo. “Quando ce ne siamo andati così velocemente dal ristorante, è stato così… strano, credo. Tipo, al tempo, pensavo che fossi pazzo,” riflette, osservandosi le mani. “Ha senso ora. Tipo… Sembrava che avessi… cambiato idea, presumo.”
Dio. Sì. Cazzo. Il sollievo che Louis sente è intenso, quasi travolgente. E Harry non ha neanche veramente detto qualcosa che dovrebbe ispirare speranza e pura gioia in lui ma gli crede. E, in questo momento, questo è più di quanto Louis avesse mai potuto sperare.
“Sì, avevo cambiato idea. Ufficialmente, tipo,” Louis annuisce, cercando di tenere a bada le sue emozioni. Le sente in gola e i suoi palmi formicolano. “E dopo quella notte, ho smesso di parlare con Liam, quasi completamente. Perché avevo capito tutto, avevo preso la mia decisione… Avevo scelto te, Harry. Nel senso, ho sempre saputo che fossi tu, ma dopo quella notte ho abbandonato ogni scusa e ho scelto te, completamente, anche se ero comunque un codardo. Perché allora sapevo che volevo solo te. Nient’altro. Sapevo che non c’era nient’altro, nessun altro. Solo tu.” È quasi rimasto senza fiato per le parole, impappinate e precipitose, e le sue guance sono rosse, ma incontra gli occhi di Harry ed è la verità. Più esposto di come lo sia mai stato.
Neanche una volta Harry batte ciglio mentre cerca i suoi occhi, le labbra delicatamente dischiuse in un respiro. “Hai smesso di parlare con Liam dopo il nostro primo appuntamento?”
Louis annuisce, deciso. “Sì. Quasi del tutto. Nel senso, c’erano le telefonate occasionali, i messaggi occasionali. Lui continuava a cercarmi. Ma io non volevo avere più niente a che fare con lui, volevo solo tenerlo lontano da te. Non volevo che si arrabbiasse o se la prendesse con te, quindi ho continuato a seguire la via del codardo e a mentirti, a mentire a lui quando dovevo. Ma, per quanto mi riguardava, il gioco era finito. Se ce n’era mai stato uno.”
Harry rimane in silenzio, un singolo boccolo che scivola davanti al suo occhio destro. Non accenna a spostarlo dal viso.
“Ho cercato in tutti i modi di aiutarti dopo quel momento,” aggiunge piano Louis, smarrito mentre lo fissa. Un improvviso senso di nostalgia lo riempie. È terribilmente simile alla sensazione di sconforto. “Ho fatto del mio meglio per incoraggiarti a studiare, per far sì che tu avessi successo in… qualsiasi cosa. Volevo solo aiutarti, per quanto probabilmente suoni ridicolo adesso.”
“Flash card,” biascica allora Harry, e Louis annuisce, incrociando il suo sguardo per un attimo prima che Harry lo distolga di nuovo. “Mi chiedevi sempre se avessi bisogno di aiuto…”
“Volevo solo che fossi felice,” sospira Louis debolmente, le spalle che si curvano. Vuole sedersi, ogni parte di lui dolorante. “Volevo così tanto che ce la facessi.” Si zittisce, perso nei suoi pensieri prima di continuare. “E poi, nel frattempo, Zayn mi stava addosso per Liam perché stava messo male. E nonostante Zayn sapesse di noi…”
“Zayn lo sa?” domanda Harry, la testa che scatta immediatamente verso l’alto. La sua bocca è aperta dallo shock, le spalle improvvisamente tese. “Zayn sa di tutta questa storia?”
Il terrore si insinua nello stomaco di Louis. “Sì,” dice debolmente mentre qualcosa lampeggia negli occhi di Harry. “Ma non te l’ha mai detto perché era convinto che avrebbe funzionato tra noi. Diceva che se lo desideravo così tanto allora avremo avuto il nostro lieto fine perché me l’ero guadagnato e… E l’universo era dalla nostra parte. Tutte quelle scemenze.” Deglutisce, quieto e spaventato mentre studia la miriade di espressioni che appaiono sul viso di Harry. “Per favore non arrabbiarti con lui,” si affretta a dire Louis, accaldato. “Per favore. Tutto questo è colpa mia, non di Zayn. Lo sai com’è fatto… è un idealista. O un mistico. O quel che è… ma non ha mai cercato di ferirti volontariamente, o cose del genere. Non è così, non è come me e Liam–”
“Tu non sei–” comincia Harry, ma poi si interrompe, mordendosi il labbro e distogliendo lo sguardo.
Louis trattiene il respiro. Cosa stava per dire? Era una cosa buona o cattiva?
“Non sono arrabbiato con Zayn,” dice Harry alla fine, biascicato e abbattuto mentre torna a studiare le sue mani. “Sto solo cercando di capirci qualcosa.”
“Ed è giusto così, va bene,” lo tranquillizza Louis con tono più rassicurante possibile, sentendosi come se fosse sul filo del rasoio. “Volevo solo esserne sicuro perché… lo sai. Zayn è un buon amico. E non volevo metterlo in cattiva luce…”
“No, ho capito,” annuisce Harry, le parole morbide.
“Okay,” annuisce Louis di rimando. “Ehm. Bene.”
Cade un momento di imbarazzo tra loro, i pensieri di Louis che frullano nella testa.
“Uhm, quindi. Zayn stava cercando di convincerti a parlare con Liam?” offre Harry, cominciando a giocare con un pezzo di carta tra le sue mani, ed è cauto ed esitante, eppure sinceramente interessato e questo slega tutte le membra attorcigliate di Louis, alleggerisce il piombo sulla sua lingua.
“Sì,” comincia Louis, riassemblando i suoi pensieri. “Uhm, sì, Liam stava messo male, suppongo. Probabilmente lo è ancora, in effetti, nonostante non possa dire di conoscerne con certezza il motivo.” Le labbra di Harry si contraggono ma non dice niente. “Ma, in pratica, Zayn era preoccupato per lui e voleva che gli parlassi, gli chiedessi scusa, o cose del genere. È stato pochi giorni dopo che ho cercato di dirti tutto–”
“Hai cercato di dirmelo?” Di nuovo, Harry alza la testa, sorpreso. Gli occhi spalancati. Le mani immobili.
“Uhm. Sì,” Louis annuisce in imbarazzo, sentendo ancora una volta scaldarsi la carne. “È stata… è stata quella sera in cui ti ho parlato della mia, uhm, della mia famiglia. Ricordi? Quando mi hai chiesto di passare il Natale con te. Mi hai chiesto perché non parlassi con la mia famiglia e te l’ho raccontato, ricordi?”
Harry annuisce lentamente, i suoi occhi persi nei ricordi. “Sì… Mi hai detto…” Si interrompe, la bocca che si chiude di botto, gli occhi che istantaneamente si schiariscono e tornano al presente. Sbattendo le palpebre, guarda Louis, qualcosa di incomprensibile scritto sulla sua bocca. “Ti ho detto che il passato non era importante.”
Louis si acciglia. “Be’, sì. L’hai fatto. Ma–”
“Stavi cercando di dirmi qualcosa,” dice Harry, lentamente e a voce bassa, qualcosa di triste che spunta sul suo viso. “E io… sono stato io a dirti che non era importante. Sono stato io–”
“No,” lo interrompe Louis con fervore, compiendo un passo avanti e trattenendosi dall’allungare una mano. Il viso di Harry ha cominciato a sgretolarsi di nuovo, la postura che si allenta mentre fissa Louis con disperazione, come se avesse appena distrutto il suo sogno con le proprie mani. Il che. No. “No, non è colpa tua, Harry. Non lo è. Sono stato io ad essermi approfittato della situazione, okay? Sapevo che una cosa così grande non era esclusa da quel che stavi dicendo… Ho semplicemente usato le tue parole come una scusa per essere un codardo, okay? Okay?”
Ci vuole un momento per Harry per annuire, lento e incerto mentre fissa Louis. Ogni cosa in lui è indecifrabile.
“Non è colpa tua, Harry,” dice di nuovo, più piano ma altrettanto deciso, resistendo al bisogno di posare una mano su quella di Harry. “È solo mia. Non è mai stata tua.”
Harry rimane in silenzio.
“Mi dispiace di averlo usato come motivo per giustificare, a me stesso, che non era necessario che tu lo sapessi. Perché Harry, onestamente? Avevo una paura fottuta, ero così debole, cazzo, che non ho mai pensato di dirtelo. Dopo aver detto a Liam che era finita, non avevo alcuna intenzione di dirtelo perché avevo troppa paura.”
“Hai detto a Liam che era finita?” domanda Harry, e di nuovo, sembra essere preso alla sprovvista. I suoi occhi sono così intensi, smontando ogni pezzo di Louis, ma sembra che non riesca a distogliere lo sguardo, lasciandosi prendere fino alle ossa.
“Sì. Sì, è stata la notte in cui abbiamo–” Louis fa una pausa, incerto perché ogni cosa bella sembra così lontana da tutto questo orrore. Non vuole rovinare tutti i suoi ricordi migliori con l’orrore del presente e non riesce quasi a esprimerlo a voce, non subito. “La notte che sono rimasto da te. Quando Anne e Gem non c’erano… quando me ne sono andato…”
“Sei andato da Liam?” domanda Harry, la voce improvvisamente forte, ma è bilanciata tra indignazione e disperazione, e Harry respira bruscamente attraverso il naso, appollaiato sul bordo del suo sgabello mentre aspetta la risposta di Louis.
Louis annuisce. “Non potevo… stare con te. Non finché ci fosse stato ancora il gioco. Non finché non avessi tagliato più legami possibili. Perché non mi sembrava giusto toccarti quando– con tutto quello che stava succedendo dietro le quinte. Allora, quella notte, sono andato da Liam e gli ho detto che ti amavo e–”
“Ma tu non mi hai mai detto di amarmi,” protesta Harry, e sta tremando adesso, esitante e acceso mentre fissa Louis, sembrando sopraffatto e devastato, parlando più velocemente di quanto Louis possa rispondere. “Non me l’hai mai detto, perché non me l’hai mai detto?”
“Perché sono un egoista!” Louis quasi grida, imbarazzato e frustrato con se stesso perché non ha nessuna risposta valida, non ha alcuna difesa. “Non te l’ho mai detto perché non l’avevo mai detto prima, non l’avevo mai sentito prima, e pensavo che quelle parole non significassero niente per me. Pensavo di potertelo dimostrare semplicemente… stando con te e prendendomi cura di te, ma la sai una cosa, Harry?”
Harry lo osserva, in silenzio, assorbendo ogni parola con le labbra tra i denti e gli occhi impauriti. Fa male, fa male, fa male. È bellissimo e così lontano e fa male.
“Avrei solo dovuto dirlo ad alta voce, cazzo, perché non lo dovevo dire per me, vero? Avrei dovuto dirlo per te. L’ho pensato ogni giorno.” Harry inspira bruscamente. “Non te l’ho detto neanche una volta quando stavamo insieme eppure ho pensato quelle parole ogni cazzo di giorno. Ecco quanto sono stupido. Ecco quanto sono egoista.” Chiude gli occhi.
Dio, ha mandato tutto a puttane.
“Non volevi venire a letto con me a causa di Liam?”
Qualcosa pugnala lo stomaco di Louis quando apre gli occhi, trovando Harry a fissarlo in modo implorante, apparendo molto più piccolo di quel che è. “No,” quasi sibila, intenso, mentre compie un altro passo in avanti. “Harry, no. Quello non aveva niente a che fare con Liam ed è il motivo per cui ho voluto prima chiudere con lui. Era per noi, solo per noi, e volevo che lui non ci avesse niente a che fare.”
“È per questo che prima mi avevi sempre fermato?” La sua voce è piccola ma, cazzo, suona quasi speranzosa e… E probabilmente non lo è, Louis non dovrebbe leggere tra le righe, ma suona quasi speranzosa e fa balzare alle stelle i polmoni di Louis, sta sollevando la sua carcassa dal fottuto pavimento. Dio.
“Sì,” ammette piano, addolcendosi. “Sì, è per questo. Mi sentivo troppo colpa.”
Segue un altro silenzio ed è così quieto da far rumore. Abbastanza per Louis da sprofondare la testa tra le mani, esalando attraverso i palmi.
“Ho fatto un casino,” mormora tra sé. “Ho affrontato tutto come uno stupido, cazzo. Mi dispiace, Harry. Mi dispiace così tanto. Vorrei che queste parole fossero più di quanto sono, ma sono tutto ciò che ho, e mi dispiace tanto.”
Si aspetta quasi che Harry pianga, che magari sia davvero infuriato – che magari rimanga addirittura seduto in uno stupore silenzioso.
Ma invece, Harry sospira, alzando il suo sguardo calmo e muovendosi sullo sgabello, incrociando le braccia al petto. “Ha senso, però,” dice, dopo qualche secondo di silenzio contemplativo. Le parole sono lente, monotone. Esitanti. Ma le sta dicendo. “Ora che me l’hai spiegato, ha molto più senso.” I suoi occhi si abbassano, si morde nuovamente le labbra. Le sue braccia sembrano stringersi attorno a sé. “Vorrei che mi avessi detto di amarmi, però. Perché allora non mi sarei sentito…” Sospira, passandosi una mano tra i capelli. “Continuavo a pensare… che a causa di Liam, tu non mi–”
“Lo so,” esala Louis, sentendo scosse nelle sue braccia mentre il suo sguardo piomba lungo la linea della mandibola di Harry, attraverso la piega dei suoi occhi insonni. “È che… Pensavo, stupidamente, che tu lo sapessi. Pensavo che fossimo al sicuro. Cazzo, a un certo punto ho pensato che, se mai te l’avessi detto, non ci avresti badato perché sapevi già che ti amavo.” Ride privo di umorismo, scuotendo la testa. “Quanto cazzo ero stupido. Quanto sono stupido.”
Eppure Harry non risponde, si limita a stringere le labbra in una smorfia profonda, una ruga a formarsi tra le sue sopracciglia. È torvo, sta chiaramente pensando a un milione di cose diverse, e Louis si sente a disagio ed estremamente conscio della situazione; non sa cosa fare con le sue braccia.
“Ieri te l’ho detto prima ancora di realizzare cosa stessi facendo,” aggiunge piano, strisciando la punta delle scarpe sul pavimento per distrarsi. “Ma non lo dirò più se non vuoi. È solo che… non lo so. Mi è scappato. Avevo intenzione di chiamare il tuo nome ma invece, mi è scappato. Mi dispiace.”
“Non devi scusarti per questo,” dice Harry in un sussurro, e nonostante suoni lontano, Louis alza comunque lo sguardo per trovarlo concentrato su di lui, focalizzato. “Per le altre cose, sì. Ma non per questo.”
Un altro afflusso di sangue inonda la carne di Louis. “Va bene,” mormora, non sapendo cosa dire. “Quindi. Altre domande?”
“Non lo so,” mormora Harry, alzando entrambe le mani a massaggiarsi le tempie. Espira, lasciandole poi cadere. “Uhm. Sì. Probabile.” Espira di nuovo, chiudendo gli occhi. “È solo che ora non riesco a pensare come si deve. Sono… tante cose.”
“Be’. Vuoi che me ne vada? Così puoi rifletterci su? Schiarirti le idee?” Offre Louis, spostando il suo peso da un piede all’altro. Lo angoscia pensare che questa potrebbe essere l’ultima volta che vedrà Harry ma… Ma il ragazzo è chiaramente esausto, sopraffatto dall’intensità della loro conversazione, e Louis semplicemente non può essere la causa di ulteriore stress. Non lo sarà.
Per un lampo di un istante, sembra quasi che un timido sorriso sfiori le labbra di Harry.
Ma poi non c’è più, sostituito dal nulla, e Louis scuote la testa al pensiero.
“Sì, per favore,” concorda Harry a bassa voce, tutto mormorii e agitazione. “È solo che ho mal di testa e… Credo di aver bisogno, tipo, di pensare un po’ da solo.”
“Sì, no, nessun problema,” annuisce Louis, deglutendo mentre indietreggia di pochi passi, offrendo l’ombra di un sorriso. Infila le mani nelle tasche, cercando di apparire disinvolto. “Mi dispiace di averti, ehm, bombardato con tutta questa storia.”
“No, no. Volevo sentirla. Ne avevo bisogno.”
“Oh, be’. D’accordo. Okay. Bene. Cioè…” Si interrompe, desiderando di potersi fisicamente prendere a calci da solo. “Io, uh, vado, allora,” e si gira sui suoi tacchi prima che le sue guance possano diventare ancora più pateticamente rosse, il suo sangue che pulsa calore. Accaldato, afferra il diario da terra, pronto a sfrecciare dritto fuori dalla porta prima di fare qualcosa di imbarazzante come piangere o implorare perdono in ginocchio come un folle…
“Quello cos’è?”
Sorpreso, Louis si ferma, lanciando un’occhiata alle sue spalle.
Gli occhi di Harry sono sul diario, le sopracciglia unite.
“Oh, questo?” chiede, indicandolo. Harry annuisce. “È il diario che mi hai regalato a Natale.”
Per un attimo, Harry si limita a fissarlo, muto e inespressivo, prima che finalmente parli, le parole morbide. “Immaginavo.” Alza lo sguardo. “Perché l’hai portato?”
Un’altra ondata di calore. Louis si sente così stupido. “Oh. Be’, pensavo solo… Be’, immagino di aver pensato che, se tu avessi letto i miei, ehm, pensieri, o quel che sono, le cose avrebbero potuto avere un po’ più senso. Ma so che ti ho già gettato addosso troppe informazioni e, davvero, è stata un’idea piuttosto stupida–”
“Posso vederlo?”
Louis lo fissa. “Sì,” annuisce dopo un attimo. “Sì, certo.” Gli ci vuole un momento per trovare le sue gambe. Ma poi va verso di lui, ogni passo scricchiolante, posando con grande cura il diario sul bancone.
Harry incrocia il suo sguardo solo per un momento, apparendo quasi timido mentre un angolo delle sue labbra guizza in un ringraziamento esitante, prima che allunghi con delicatezza la mano verso il diario. Ma appena prima di afferrarlo, si ferma. “Lo sai, non voglio immischiarmi nei tuoi pensieri personali, o cose del genere.”
“Voglio che tu lo faccia,” si affretta a dire Louis, serio.
Gli occhi di Harry trovano i suoi. Poi annuisce.
“Non sei costretto a leggerlo se lo trovi noioso, o che ne so,” Louis scrolla le spalle, sentendosi nervoso e irrequieto. “Probabilmente è davvero stupido, ma… forse aiuterà? Non lo so. È solo che faccio davvero schifo ad esprimermi e non sono sicuro di averti spiegato tutto molto bene. Quindi forse quello sarà… meglio. O qualcosa del genere.”
È proprio un idiota, cazzo. Ha bisogno di una bocca nuova.
Ma Harry non sembra turbato o irritato o critico quando annuisce, prendendo il diario tra le mani e sfregando un palmo sulla copertina. “Grazie,” dice ed è così strano sentir uscire quella frase dalla sua bocca, date le circostanze.
Louis sente una scossa attraversarlo.
“Te lo restituisco domani?”
Domani. Cazzo.
Il cuore di Louis accelera il battito mentre la sua testa scatta verso l’alto, lottando per mantenere un contegno. “Sì,” esala con voce strozzata mentre Harry lo fissa. “Sì, andrebbe bene. Più che bene.”
“Okay,” annuisce Harry in modo conclusivo, e poi i suoi occhi tornano a osservare il diario, terminando effettivamente la conversazione.
Il che va bene perché Louis al momento sta avendo un fottuto attacco di cuore.
Con cautela, si dirige verso l’uscita, la testa che ronza e l’adrenalina che ribolle, un orrendo e crudele pizzico di speranza che si avvolge sulla sua spina dorsale. Ha la mano sulla maniglia, pronto ad aprire la porta e fare un passo verso l’ossigeno, quando…
“Louis?”
Si volta immediatamente.
Harry ha il diario sulle sue gambe, le spalle morbide. Lo sta osservando.
“Torna domani.”
 
**
 
Quando Louis varca di nuovo la soglia, l’indomani alla stessa ora, Harry è ancora una volta seduto sul suo sgabello, il diario tenuto contro il suo petto. Appare tenero e assonnato nella sua maglietta grigia sgualcita e nella felpa aperta ma il suo atteggiamento sembra contemplativo e pensieroso, meno duro e agitato.
È solo apparenza, ma Louis osa sperare.
Chiude piano la porta dietro di sé; Harry non batte ciglio quando alza lo sguardo su di lui.
“Stai lavorando parecchio, eh?” gli chiede Louis, nervoso. Non entra del tutto, non ancora; si limita a infilare le mani nelle tasche e rimanere lì, esitante.
“Già,” annuisce Harry e il gesto è più sciolto di quanto lo sarebbe stato ieri. La sua voce è bassa, evasiva. “Domani ho il giorno libero, però.”
“Oh. Bello.”
Yep, questo è imbarazzante. Ogni giorno è imbarazzate. Ma almeno Louis sente che oggi riesce a respirare e Harry appare dieci volte meglio che nei giorni scorsi, quindi. Non è tutto perduto.
“Allora, uh,” comincia Louis, tossendo appena nel pugno prima di compiere un passo avanti. “Quindi hai letto il diario?” Indica il libricino, il cuore che batte forte contro il petto. Si sente esposto.
Harry annuisce, le mani che ancora tengono la presa. “Sì, l’ho letto.” Ha lo sguardo fisso su Louis, le labbra che si muovono lente. “È quasi tutto su di me.”
Louis distoglie lo sguardo, la pelle che si scalda. Dio, sta arrossendo così tanto, sta arrossendo. “Sì.” È tutto quello che può pensare di dire.
Ma Harry continua comunque, la voce del calibro della lana. “Sono tutte cose che ho detto. Cose che ho fatto. Solo… Cose su di me…” Quando Louis non risponde, abbassa il diario, armeggiandoci prima di sfogliarlo. “In alcune pagine, ci sono più cose su di me che su di te, Louis, e ci sono tutte questi schizzi senza senso – come qui, guarda, cos’è questo? Il disegno di un cigno in una vasca? E hai scritto tutte le nostre battute e le nostre cose e, tipo, le nostre canzoni preferite e tu…” Alza lo sguardo, apparendo un po’ smarrito. “Hai scritto su di me.”
È inaspettatamente commovente, qualcosa che Louis non aveva previsto, e sente la sua gola chiudersi un po’, i suoi occhi cominciare ad appannarsi mentre fissa l’espressione trasparente di Harry, i pensieri di Louis letteralmente sul palmo delle sue mani. Aperti ed esposti al mondo. Per Harry. “Sì, be’,” riesce a dire dopo un attimo, “eri parte di me quanto lo ero io, quindi…”
Harry non dice niente a quello quindi Louis continua, facendo spallucce.
“Hai dato alla mia vita qualcosa che non sapevo mi mancasse,” dice, incapace di incontrare gli occhi di Harry un secondo di più, lo sguardo che cade sul pavimento. È così fottutamente imbarazzato, si sente così stupido in questo momento. Probabilmente appare piuttosto patetico, eh? Oh be’. “Hai dato sostanza alla mia vita. Eri la cosa più importante, sai. Eri tutto, in realtà.”
Harry allora si morde il labbro, gli occhi che si riabbassano sul diario. Comincia a sfogliare di nuovo le pagine, questa volta più lentamente, più ponderato. “Ho notato che non hai mai scritto niente di troppo specifico. Non hai mai raccontato niente, hai solo, tipo, scritto citazioni e cose varie. Ma sembrava tutto così… positivo, presumo. Felice. E poi hai smesso.” Apre l’ultima pagina, la voce strana.
C’è scritto ‘Andrà tutto bene.’, chiaro come il sole. Entrambi fissano le parole.
“Era più una nota per me stesso,” mormora Louis. “Solo un piccolo… mantra che avevo. Stavo solo cercando di convincermi a scendere dal cornicione.” Louis fa una mezza risata, priva di umorismo.
“Non hai scritto nient’altro? Da quando…?” domanda Harry, alzando lo sguardo su di lui.
“No, ovvio che no,” risponde Louis, le sopracciglia inarcate in confusione. “Come avrei potuto? Ti basta guardare quel dannato diario per capire quanto io sia incasinato, Harry. Eri il mio tutto. Ti ho perso, io–” Si interrompe, imbarazzato, ma Harry non sembra turbato o arrabbiato, non distoglie lo sguardo. Louis si lecca le labbra prima di proseguire, spedito. “Non avevo più tanto da scrivere dopo aver perso sia te che me, capisci?”
Harry non distoglie ancora lo sguardo, non parla ancora.
“Ma sto solo facendo quel che devo,” continua Louis, accaldato. “Ci sto… provando.”
“Provando?” domanda Harry, delicato.
“Sì,” annuisce Louis. “Sì. Ho un nuovo lavoro e ho appena preso un appartamento e…” Si interrompe, per un attimo insicuro.
Dovrebbe dirglielo?
“E cosa?” insiste Harry, ma non è brusco o esigente. Suona quasi rassicurante, incoraggiante, i suoi occhi che quasi implorano mentre cercano di catturare quelli di Louis.
Ma ci vuole un attimo per Louis prima che possa voltarsi a guardarlo davvero, estraendo ogni residuo di sicurezza rimasta in lui. Questa è una conversazione difficile, una strada accidentata, e la colonna sonora della vita di Louis è “The End of the World”.
Louis fissa Harry, risoluto quando espira. “Ho chiamato Jo l’altro giorno.”
Harry si immobilizza, gli occhi che si spalancano. “Cosa hai fatto?”
“Ho chiamato Jo. Mia–mia mamma.” Deglutisce, osservando Harry fare lo stesso, osservando il modo in cui le sue morbide e bellissime labbra si dischiudono scioccate. Ama quelle labbra. “Abbiamo parlato per un’ora,” continua e la sua voce suona come quella di qualcun altro, è così strano, cazzo. “L’ho chiamata tutti i giorni da quel momento e abbiamo parlato un sacco. Su cose strane, su cose stupide, niente di estremamente serio, ma… Ma stiamo andando verso qualcosa, sai?” Allora ride, stanco e privo di umorismo. “Non so cosa sto facendo,” mormora, sfregando un palmo sudato lungo il sopracciglio, nervoso. Vorrebbe quasi avere prurito, così da avere qualcosa da fare con le sue mani. “Ed è davvero difficile, ma ci sto provando e penso che anche lei ci stia provando. È migliore di come me la ricordassi. Non mi odia, almeno. Credo… non voglio portare sfiga.” Sposta lo sguardo sui suoi piedi, muovendoli. “Stiamo pensando di incontrarci. Ti rendi conto? Siamo pensando, tipo, di provare a parlare presto anche con le ragazze. È una situazione strana, davvero assurda. Ma ce la sto facendo.”
Ancora, Harry rimane in silenzio e Louis giura di riuscire a sentire la polvere accumularsi.
Alza lo sguardo, sfidandosi a non essere un codardo, a guardare Harry negli occhi quando dice le parole successive. “Harry, non ce l’avrei mai fatta, neanche in un milione di anni, senza di te. Ho bisogno che tu lo sappia, okay?” Harry deglutisce. “Non ce l’avrei mai fatta, dico sul serio… E non so come possa ringraziarti come si deve ma… comunque. Grazie. Grazie mille. Ne avevo bisogno, avevo bisogno di fare questo passo e mi sento… Non lo so. Immagino che le cose mi sembrino meno deprimenti e terrificanti ora.”
Harry è immobile come una roccia, gli occhi così attenti, il viso così bloccato, ogni fibra unita e fatta a pezzi.
“Anche se ti ho perso,” continua Louis, le parole che scricchiolano appena mentre enfatizza ogni suono, ogni sillaba, compiendo un passo in avanti e guardando Harry dritto negli occhi. “L’influenza che hai avuto su di me è incredibile. Perché mi sento come se ti stessi ancora portando sempre con me, ogni parte di te. Tutto ciò che mi hai inspirato. È come se fossi questo piccolo zainetto che è sempre qui, sempre sulle mie spalle. E sto prendendo decisioni più sagge, sono più forte per questo motivo. Per merito tuo, perché tu sei sempre con me. Anche se…” si interrompe, la voce che si spezza alla fine. “Probabilmente non vuoi più esserlo.”
“Louis…” mormora Harry, a voce bassa e triste, gli occhi che cominciano a riempirsi di nuovo di lacrime, ma Louis è così stanco di piangere che si schiarisce la gola, scuotendo via l’ondata di emozioni che minaccia di annegarlo in questo minuscolo negozio, di fronte al ragazzo che ama.
“Altre domande?” chiede in modo burbero, lottando per riacquistare un contegno.
Harry si limita a scuotere la testa. Non aggiunge altro.
Louis dovrebbe andarsene. È giunta l’ora. Ha detto quello che doveva, Harry gli ha fatto tutte le sue domande… Dovrebbe andarsene.
Ma poi Harry parla, leggero. “La scuola è quasi finita,” dice. Non c’entra nulla con il resto, ma Louis prende quel che gli viene dato, stringendolo contro il petto e infilandolo nelle sue orecchie. “Ci sono le vacanze estive.”
Louis annuisce, un po’ troppo entusiasta, buttando giù i residui di troppe emozioni. “Hai qualche programma, allora?” domanda.
L’atmosfera è improvvisamente così strana, così difficile da decifrare; tutto ha preso una svolta casuale ma non sembra male, in senso stretto, quindi Louis ci si lascia trasportare, sforzandosi a non sperare.
“Non proprio,” risponde Harry lentamente. Sta ancora fissando Louis, il diario ancora aperto tra le sue mani. “Voglio fare qualcosa, però. È solo che non so cosa.”
“Be’,” Louis prova a ridacchiare, prova a sciogliere la sua postura. “Il mondo è ai tuoi piedi, cucciolo.” All’istante, fa una smorfia al vezzeggiativo.
Ma… In qualche modo, un timido sorriso appare sul viso di Harry. È leggero, è un fantasma, è a malapena lì – ma lo trafigge, e Louis lo vede e anche il suo fottuto battito lo vede. “Lo so,” mormora Harry. “Mi hai insegnato a pensare in quel modo. Potrei averti insegnato delle cose ma anche tu l’hai fatto con me.”
Insegnato. Passato. Okay.
Una sensazione agrodolce penetra attraverso Louis mentre abbandona la sua postura. “Oh. Be’, mi fa piacere. Bene.”
Sembra un addio. Gli occhi di Louis cominciano a pizzicare.
“Non lavoro domani,” continua Harry, all’improvviso, mentre osserva Louis con attenzione, lo osserva andare in pezzi. “Non ho neanche più così tanti compiti, dato che ho finito gli esami. Magari…” Fa una pausa, mordendosi il labbro per un attimo mentre Louis trattiene il respiro, la testa che pende verso il basso. “Magari potremmo fare una passeggiata?”
Immediatamente, la testa di Louis scatta verso l’alto. “Una passeggiata?” ripete, quasi allibito.
“Sì,” risponde Harry con delicatezza, ma è ancora indecifrabile. “Una passeggiata. Magari potremmo parlare ancora un po’?”
“Parlare?” E ora Louis sta solo ripetendo parole, allentato e stordito.
“Sì…” continua Harry, lento e cauto come la tartaruga che è. Sbatte le palpebre un paio di volte prima di chiudere delicatamente il diario, posando piano un dito sulla copertina. “È solo che… è strano. Sapere tutto. Mi fa ancora strano…” Si zittisce. Quando sbatte le palpebre, incontra gli occhi di Louis. “Ma ti credo,” dice sottovoce e il suono è sincero. “Davvero. E torna tutto.”
È una frase immensa. È una frase immensa, cazzo, e Louis si sente quasi perforato, tutta la sua aria pronta a sgusciare fuori…
Eppure. C’è sempre un ‘ma’.
“Ma mi sento ancora veramente… sopraffatto,” si affretta a dire Harry in un soffio, ed ecco qui. Appare fragile e ancora leggermente smarrito quando i loro sguardi si incrociano. I suoi capelli sono arruffati e mosci, non sistemati e pendenti irregolarmente attorno al suo viso pallido, la sua bocca non allineata, i suoi occhi offuscati. In un certo senso, è la cosa più bella che Louis abbia mai visto. “Capisci? Ho bisogno di tempo per pensare a tutto questo e… Non so dove ho la testa, sinceramente.”
Louis può solo chiudere gli occhi. Non è autorizzato a sentirsi deluso, non lo è. Questo è più di quanto avesse mai potuto sperare e…
“Mi manchi, Louis.”
Le parole sono totalmente inaspettate e il cuore di Louis si ferma mentre i suoi occhi si spalancano, immobilizzandolo sul posto.
“Sono ancora arrabbiato con te, mi vergogno ancora per… Quello che è successo. Ma mi manchi, davvero. E leggere il tuo diario e sentire quello che mi hai detto in questi giorni… è da te. Ha molto più senso ora, sai? E, non ti posso promettere niente, non posso, non quando è tutto così… difficile da elaborare in questo momento.”
“No,” Louis scuote la testa, il cuore che accelera nuovamente mentre compie un passo in avanti, implorante. “No, non ti chiederei mai di promettermi nulla. Mai, Harry. Lo so che non mi merito–”
Harry solleva una mano. “Decisione mia,” gli ricorda, ma è dolce.
Louis annuisce, acquietandosi.
“Senti, non so neanche io cosa sto facendo. Ma non ti odio, okay? Non ti odio. Prima, sì. Ma ora…” Espira, le sopracciglia inarcate, le labbra a formare e riformare parole mentre cerca di mettere insieme i pensieri. “Ora ti vedo diversamente, è vero.” Il cuore di Louis sprofonda. “Ma, sapere tutto di te adesso, sapere tutta la storia…” Alza lo sguardo, mordendosi le labbra. “Magari potremmo… Cioè, forse potremmo ricominciare, più o meno? Tipo, come amici?”
Oh, grazie a Dio. Grazie, grazie, grazie.
“Mi piacerebbe molto,” sussurra Louis senza esitazione, un’inondazione a scoppiargli dentro. Porca puttana porca puttana porca puttana non riesce a credere alla sua fortuna porca puttana. Harry vuole vederlo, Harry vuole essere suo amico. Non riesce a… Cazzo, è tutto così… Louis annuisce, sentendo i suoi occhi inumidirsi impercettibilmente e pregando che Harry non lo noti. “Mi piacerebbe molto, Harry, sì. Mi piacerebbe molto.”
Si sente vivo.
“Sono felice che sia ancora tu,” continua Harry, piano. “Per tutto questo tempo, ho avuto paura che fossi qualcun altro, un estraneo. Sono felice che sia ancora tu.”
“Sì,” Louis riesce solo a bisbigliare perché la sua voce è deceduta. “Sì, sono ancora io.”
“E non ci posso credere che hai davvero chiamato tua mamma.” Questa volta c’è un sorriso nella voce di Harry. Louis vorrebbe quasi chiamarlo orgoglio ma non si azzarda, non ancora. “L’hai fatto davvero. Pensavo ci sarebbero voluti anni prima che tu… Considerando che non volevi mai neanche parlarne.”
“Be. Devo ringraziare te per questo,” Louis sorride ironicamente, ma Harry scuote la testa.
“No, hai fatto tutto da solo, Lou.” Lou. “Non posso prendermi il merito per questo.”
“Mi hai aiutato a trovare la luce, però.”
Appare un sorriso appena percettibile, esitante. Quasi come se le labbra di Harry lo stessero sperimentando di nuovo. “Forse. Ma anche tu mi hai aiutato a trovare la mia luce.”
Louis vuole decisamente piangere. E Louis sta decisamente già piangendo.
Apparentemente sorpreso, Harry lo osserva, la sua stessa compostezza che comincia a sciogliersi. “Pensavo che mi avessi detto che tu non piangi,” mormora, gli occhi umidi.
È assurdo perché stanno piangendo entrambi, ma non è neanche tristezza, in realtà. Potrebbe essere speranza o promessa o forse solo sfinimento, ma stanno lì, Louis che si avvicina lentamente, entrambi che piangono, ed è tutto sincero e bizzarro ed è tutto quello con cui Louis non ha mai osato sperare di essere ricompensato.
“Lo so,” sbotta Louis in una risata acquosa, strofinandosi gli occhi con la manica. “Non lo facevo da anni, a dire il vero. È stato un errore in buona fede.” Ride di nuovo, imbarazzato.
Anche Harry ride, ma è basso e silenzioso e suona come pioggia che sbatte su un tamburo.
“Ma, ehm, Harry? Se lo vuoi davvero, mi piacerebbe ricominciare. Quest’estate, potremmo… annoiarci insieme, se vuoi.”
Sembra un rischio, sembra come se Louis si trovasse su un precipizio da qualche parte, incerto su come sarà la caduta.
Fortunatamente, non deve preoccuparsi troppo per quello perché Harry allora sorride davvero, per quanto piccolo sia.
“Sì,” annuisce con dolcezza, porgendo il diario a Louis. Per un attimo, lo stringono entrambi. “Mi piacerebbe.”
 

Gods&Monsters [Larry Stylinson • Italian Translation]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora