2 - La Guerra

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«Soldato, raggiungi il tuo plotone, subito!»

Le urla del sergente mi perforarono le orecchie, urlava pur essendo a poche spanne da me. Sapeva che non serviva, ma l'abitudine lo aveva ormai forzato ad alzare la voce così.

«Non c'è tempo per i cadaveri soldato, bisogna rafforzare il fronte. Ordini superiori, alza quel cazzo di culo flaccido che ti ritrovi e...» ma nel mentre, passi pesanti come tonfi in un teatro si avvicinarono verso di me.

«Signore, chiedo il permesso di disertare!»

Mi sembrò la frase più sensata da dire. La polvere negli occhi e nelle narici, il sudore e il sangue dell'uomo che stavo trascinando non aiutavano a far funzionare il cervello. Il fucile che portavo a tracolla sembrava pesare tonnellate. Maledizione.

«Permesso negato, porca troia!» urlò il sergente, tra le mie braccia, cercando ancora incredibilmente di divincolarsi.

I passi si fecero sempre più definiti, ed era chiaro che, se non si trattava di una unità robotizzata, non poteva essere nient'altro che uno di Loro. Avevo lasciato il fucile a terra per riprendere fiato. Mi guardai indietro: una scia di sangue collegava il terreno inaridito dalle bombe a quello che rimaneva della gamba del sergente. I passi ormai erano distinti: a pochi metri, il nemico mi osservava strisciare come un verme nella merda. Quella merda in cui Loro ci avevano messi.

Il sergente stava perdendo conoscenza, ma la sua radio era ancora attiva.

«Codice rosso al settore sei, ripeto, codice rosso. A tutti gli ufficiali e i responsabili sul campo, ritirare le unità dagli altri settori e convergere. Ripeto...». Il comando aveva fatto allontanare tutte le truppe dalla nostra posizione, lasciando solo noi e i cadaveri.

Tirai un sonoro schiaffo al sergente, con tanto di guanto protettivo. Ci volle qualche secondo e un bel livido sulla guancia per far tornare sveglio quell'uomo.

«N-non c'è motivo, s-soldato... Sparami e facciamola finita...». Non si era nemmeno accorto che il nemico ormai era a veramente pochi passi da noi. Se ne sentiva l'odore terribile, come di benzina, aleggiare attorno a noi.

Mi voltai prendendo il fucile con una sola mano, sedendomi dietro al sergente e facendo sbucare il mio fucile da sotto il suo braccio.

Davanti a noi avevamo l'esempio migliore di macchina da guerra che l'umanità avesse mai potuto ammirare: il Costrutto, come tutti i suoi cloni, era in tutto e per tutto uno sbeffeggio alla specie umana. Del tutto artificiale, assomigliava ad un uomo alto almeno tre metri, con una vivace muscolatura in qualche fibra o lega metallica flessibile a noi non nota. Le venature di ogni singola fascia muscolare brillavano di un colore acquamarina. Pur essendo apparentemente nudo, le uniche differenze di forma rispetto a noi erano la forma dei piedi, più simili a stivali, e la testa incassata nel torace, come se il collo non fosse stato ponderato nella sua oscura creazione. Non si potevano vedere occhi, ma una fenditura orizzontale laddove dovevano sorgere. L'artefatto ci fissava immobile, senza agire, come se stesse aspettando il momento propizio per attaccare.

«Ah, abbiamo visite...» rantolò il mio superiore nell'orecchio. La vista del nemico lo aveva distolto dalla sua richiesta di eutanasia. «Perdonami, ma se questa è una festa...» racimolò le sue poche forze, raddrizzando la schiena come meglio poteva e mettendo lentamente le mani su una bandoliera di granate «...senza invito non si entra, amico...».

«Sergente, no!» urlai. «È disarmato, non può veramente ferirci. Ci sta solo... studiando». Il Costrutto parve avvertire l'ostilità del mio commilitone e si prestò ad avanzare a passo deciso, sollevando cerchi di povere attorno ai suoi enormi piedi-stivali.

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⏰ Last updated: Sep 01, 2016 ⏰

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