Il pomeriggio passò velocemente, lui sapeva farmi ridere, sapeva mettermi a mio agio e sapeva farsi amare, l'unica cosa odiosa era che ovunque andassimo tutte lo fissavano e due troiette bionde ci avevano persino provato con lui; «siete davvero carine ad offrirmi da bere,» aveva detto lui con il suo solito fascino, «ma, vedete, questa è la mia ragazza, quindi...» io mi ero lasciata sfuggire una risatina nervosa, mi aveva messo in imbarazzo, la sua ragazza? Sì, gli sarebbe piaciuto (mi, lo so, lasciatemi vivere nei sogni però)!
Fu una bella giornata, non mi pentii nemmeno per un secondo di aver passato la domenica con lui, non era stato il solito stronzo, era stato dolce e amabile, anche se non mi risparmiò una serie infinita di sorrisi enigmatici ed ingannatori, ma avevo imparato a non farci caso, o meglio, a non dar a vedere l'effetto che mi facevano.
Tornammo a casa a piedi, alle 8 il cielo era ancora chiaro, mentre il sole tramontava e illuminava tutto di rosa, forse fu romantico, o forse no, ero troppo presa a riflettere su cosa sarebbe successo dopo per rendermene conto.
Quel giorno l'ascensore mi sembrò un po' troppo grande, avrei voluto essere più vicina a lui, ma forse era meglio così, più stavamo lontani meglio era, altrimenti avremmo rischiato di mandare tutto all'aria, e per l'ennesima volta quel giorno lui mi sorprese a fissarlo, imbarazzante...
Si schiarì la voce e disse: «Immagino che ora ognuno andrà a casa propria»
Restai in silenzio per qualche secondo, era esattamente quello che volevo dall'inizio della giornata, ma avevo segretamente iniziato a sperare che accadesse il contrario.
Volevo me e lui.
Volevo noi.
Noi per un'ultima notte.
Ma dovevo seguire i piani, quello era l'unico modo per far andare bene le cose, per tornare alla mia vita quasi perfetta, per questo gli risposi di sì, ognuno a casa propria.
L'ascensore si aprì e entrambi iniziammo a frugare nelle tasche per cercare le chiavi, lui le trovò subito, ovviamente, ero l'unica a cercare sempre nella tasca sbagliata, e prima di entrare mi salutò con un misero e spicciativo "ciao" e poi chiuse la porta senza nemmeno lasciarmi il tempo di rispondere.
Provai a non incazzarmi, ma fu impossibile.
Ma vi pare?
Avevamo passato una bellissima giornata insieme e lui se ne andava via così, con un 'ciao'! Era ingiusto!
Entrai in casa e salutai distrattamente mia madre che preparava la cena, poi corsi in camera e mi buttai sul letto a pancia in giù, cercai a tastoni Wolly e, non appena lo trovai, lo misi sotto la testa come se fosse un cuscino.
Non era la posizione più comoda del mondo, ma ero troppo triste per badare alla comodità di un cuscino improvvisato.
Spiegai al mio pupazzo perché ero così giù, ma lui non capiva quale fosse il problema, lo guardavo nei suoi occhi di vetro, cercando di trovare una risposta più soddisfacente, ma niente. Lo immaginai mentre mi diceva che Federico mi aveva salutato e che perciò non avevano senso tutti i problemi che mi stavo mettendo.
Va' a spiegare i sentimenti a un pupazzo.
Lo misi da un parte e mi girai.
Nella mia testa cercavo milioni di spiegazioni al suo comportamento e l'unica che mi sembrava valida era il sesso.
Magari gli fregava solo di quello, sperava che a fine giornata mi avrebbe di nuovo conquistato, ed io che ero stata così stupida da credere che potessimo essere amici. Illusa.
Ma perché mi tormentavo in quel modo ? Lui mi aveva salutata!
Cosa mi aspettavo un bacio, un abbraccio, magari la buonanotte, perché avrebbe dovuto farlo?
Eppure dopo la splendida serata che avevamo passato insieme, mi sembrava assurdo che tra di noi ci fosse solo un 'ciao'.
Non aveva senso. Mi stavo mettendo problemi per niente e più ci pensavo più mi accorgevo che ero dalla parte del torto, ma, allo stesso tempo, desideravo sempre di più che lui mi avesse baciato.
Mi stavo odiando.
Adesso ero pure arrivata a contraddirmi da sola: prima volevo restare sua amica, poi volevo un suo bacio, prima non volevo niente di più di un 'ciao', poi volevo un suo bacio, prima volevo soltanto sorrisi amichevoli, poi volevo un suo bacio, prima volevo Matt e, poi, volevo un suo bacio.
Ormoni di merda!
Quando mia madre mi chiamò per cena, finsi di non avere nessun conflitto interiore che stava facendo litigare le due parti del cervello. E fu difficile perché le sentivo letteralmente prendersi a pugni, la logica contro i sentimenti, non sapevo nemmeno per chi tifare.
Ovviamente lei si accorse che c'era qualcosa che non andava e iniziò il terzo grado: «Che ti prende? Non è buona la pasta?» mi chiese notando che non avevo quasi toccato cibo.
«Mh?» lì per lì non avevo fatto caso alle sue parole, poi capii senza che lei ripetesse e le risposi che io stavo benissimo e che la pasta era buonissima. Ma forse avevo usato troppi superlativi, infatti lei inarcò le sopracciglia e mi guardò scettica.
«E allora perché non mangi?» mamme! Per loro è inconcepibile non avere fame, soprattutto per la mia, aveva preso tutto da mia nonna, ma in effetti questa volta aveva ragione.
«Se stessi male te lo direi, non ti pare?» era un mio vecchio trucco, far credere alle persone che con loro non avevo segreti per poterne avere ancora di più.
Ma al diavolo! Era mia madre!
«Mamma, tu credi che una persona che in passato conoscevi davvero bene possa cambiare tanto da diventare uno sconosciuto?» lei mi guardò perplessa, era evidente che non si aspettava una domanda del genere.
In suoi profondi occhi color nocciola si addolcirono e lei mi accarezzò dolcemente una guancia, riuscivo a vedere, dal suo sguardo premuroso, che cercava la risposta più dolce e allo stesso tempo giusta da darmi, suppongo che nel manuale per mamme fossero dedicati almeno 2 capitoli al trovare risposte commoventi alle domande dei propri figli, e altri tre contenevano citazioni da usare per sembrare saggi e degni di fiducia. Finora mia madre, però, aveva sempre dimostrato di non aver mai letto quei capitoli, anzi, di non aver mai aperto il manuale, per questo mi sorprese quando con una voce calda e gentile mi disse che non era possibile.
«Noi nasciamo con una natura, un'indole, già chiara e definita,» iniziò, «questa può certamente essere influenzata dalle persone e dall'ambiente che ci circondano, ma rimane sempre quella. Vedi, Sara, io conosco tuo padre da quasi trent'anni e so con certezza che lui è sempre lo stesso, anche ora che vive a Milano, da due anni, so che lui è come lo ricordo e che mi ama come io amo lui, oggi come ieri» pensai che aveva senso, Federico era sempre lo stesso ragazzino che conoscevo, erano passati 6 anni e, nonostante il sesso e il fascino possano cambiare chiunque, doveva ancora esserci un briciolo della dolcezza di una volta. L'avevo vista proprio quel giorno, quando aveva sorriso come faceva 6 anni fa, e la ritrovavo nei suoi occhi scuri ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano, quel ragazzino spensierato era ancora lì, a sentire mia madre non poteva essersene andato, ma allora perché si comportava come se fosse uno stronzo?
«E pensi che si possa fingere di essere qualcun altro?» le chiesi ancora, lei sembrava divertita da tutte quelle domande, infatti non riusciva a smettere di sorridere, o forse era solo felice che sua figlia le stesse aprendo, dopo 17 anni, il suo cuore.
«Se parli del tuo ragazzo, non hai niente di cui preoccuparti» disse lei, si alzò dal tavolo e iniziò a sbarazzare, il mio ragazzo, wow, era così strano sentirlo chiamare così, «ho incontrato Federico l'altro giorno, al market,» cosa? Perché non me l'ha detto? «lui è davvero innamorato di te e non capisco perché tu ti metta tutti questi problemi, è un bravo ragazzo» un bravo ragazzo o un ottimo attore, questione di punti di vista, mi dissi.
«Beh, forse con te» le risposi alzandomi e mettendo il mio piatto nella lavastoviglie, mia madre sbuffò scoraggiata dal mio, a detta sua, "pessimismo"; non mi aveva mai creduto quando, ancora prima di questa recita, le dicevo che a scuola si era fatto tutte, che frequentava pessime compagnie, era circondato da troie e fumava come se non avesse altro da fare nella vita. Ovviamente esageravo, non era così male come volevo farle credere, però non lo sopportavo e ogni piccolezza mi sembrava enorme.
«Qualsiasi cosa abbia fatto per ferirti, credimi, non voleva farlo, perdonalo»
«Sarà, ma prima lo farò soffrire un po'» le risposi, mentre fantasticavo su diversi metodi di tortura. Lo immaginai sospeso in aria, ammanettato a due grossi pilastri e senza maglia, mentre gli infliggevo tagli con ogni genere di arma e lui mi supplicava di smettere, sarebbe potuto essere divertente.
«E come vorresti punirlo?» domandò interrompendo i miei sogni irrealizzabili, notai un certo sorrisetto curioso sul suo viso, «credi che non sappia con chi fossi l'altro giorno, quando lui ti "tradiva"?» impallidii e corsi velocemente in camera mia, non potevo credere alle mie orecchie, e dire che era un momento così serio e profondo, avrei dovuto capire dove sarebbe andata a parare.
Passai qualche minuto ferma e immobile ed assimilare l'imbarazzo, non ci misi molto, ne avevo passate tante con mia madre e non le avevo mai nascosto niente delle mie relazioni, sapeva che non era una santa, ma a lei andava bene così. Quando ripresi colorito mi spogliai e presi una maglietta extralarge dall'armadio, raccolsi i capelli in una crocchia veloce e mi struccai, ero quasi pronta ad andare a letto, mi stavo giusto lavando i denti quando mia madre mi richiamò dalla cucina. La raggiunsi velocemente con lo spazzolino ancora in bocca.
«Dai da mangiare al tuo gatto» mi ordinò, ignorando il discorso di poco prima. La guardai come se fosse impazzita, poi le feci segno di aspettare e tornai in bagno per finire di lavarmi.
Quando tornai ero pronta a spiegarle un concetto che, a quanto pare, le veniva difficile capire.
«Archimede è il mio gatto quando vuole le coccole, invece è tuo quando ha bisogno di cibo o di una bella pulita alla lettiera», lei mi guardò glaciale e indicò la busta dei croccantini.
Afferrai i concetto e non mi restò che incrociare le dite.
Temevo di incontrare Soro in balcone, o forse, non l'avrei mai ammesso, speravo che fosse lì.Autrice: mi scuso per il ritardo esperte il capitolo abbastanza penoso, spero almeno di farvi un po' di pietà.
Spero di aggiornare il prima possibile, nel frattempo votate e commentate, accetto anche le critiche o le correzioni, adios 💕
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Il Migliore Amico Del Mio Ragazzo
Teen FictionSara è una normale adolescente, con un particolare talento per le figure di merda. Ma questa sua dote sembra aumentare in modo esagerato quando incontra Federico Soro, il migliore amico del suo ragazzo, meglio noto a lei con i nomi "puttaniere della...