Capitolo XXVI

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Ero davanti al bar dove lavorava Sebastien con l'affanno per la corsa e un Adele euforica che scodinzolava più felice che mai. Non le rimisi il guinzaglio perché ero già impegnato a calmare il mio cuore che era già abbastanza impazzito per la corsa, se poi gli avrei fatto accelerare i battiti per un mio stato d'animo di agitazione, immaginandomi cosa stavo per fare, lo avrei fatto scoppiare. Ero sudato e sicuramente per nulla presentabile, ma provai a non badarci e "Dammi il coraggio, Adele" parlai al mio cane che mi rispose col solito "buf".

Aprii la porta, stranamente chiusa, e sentii, assieme ad una campanella che segnalava il mio passaggio, una voce: "Stiamo chiudendo" disse con tono alto, prolungando la "o".

"Sebastien?" domandai e lui mi apparve davanti con i vestiti da lavoro, i capelli più corti dell'ultima volta e una tovaglia con dell'argenteria tra le mani. Stava, evidentemente, ripulendo i pochi tavoli che c'erano e pareva abbastanza affaccendato.

"Mathis! Come mai qui?" mi squadrò da capo a piedi "E come mai sembra che hai partecipato ad una maratona?".

"Ho corso" dissi e lui mi indicò il bancone, affermando: "Vai a sederti, ti offro da bere".

Cercai di obbiettare, ma non ci fu verso, talmente insisteva, e alla fine mi sedetti, ma accettando solo un bicchiere d'acqua. Lo vidi finire di fare i tavoli mettendo la tovaglia, un cartellino e un cesto con grissini in tutti per poi arrivare vicino a me, sedendosi sullo sgabello: "Allora? Dovevi dirmi qualcosa?".

Quasi mi strozzai con la mia stessa saliva, comprendendo che fosse tempo di parlare, e feci qualche colpo di tosse, ma mi ripresi subito: "Volevo parlarti...".

"Sono qui. Avanti, parla" si appoggiò con la schiena e i gomiti al bancone.

Mi accorsi in quel momento che Adele era da tutto il tempo che stava esplorando il luogo, però la lasciai fare, mentre dissi: "Vedi... ero con Camille...".

Mi interruppe: "A proposito di lei, come sta? Va tutto bene tra di voi?".

"Era di questo che volevo parlarti. Io e Camille non facciamo più coppia" intimai.

"Cos'è successo?!" esclamò sconvolto "Ti ha lasciato lei? L'hai fatta arrabbiare?".

Giocavo col bicchiere per la tensione e, quando Adele fece un "buf" per richiamare la mia attenzione, parlai di colpo: "L'ho lasciata io... e il perché..." mi interruppi sperando che le parole mi cadessero dal cielo.

Lui alzò le sopracciglia: "Il perché...?".

Non trovai il coraggio per essere diretto nel comunicare, perché non lo ero nemmeno con me stesso, ma provai a fargli capire qualcosa, girando attorno alla questione: "Mi sento attratto da un ragazzo".

"Un ragazzo?" chiese, marcando la "o".

"Sì... non credo che sia solo attrazione fisica perché a me non sono mai piaciuti i maschi. Mi sento coinvolto emotivamente quanto basta per rinunciare alla mia ragazza".

Lui pareva interessato; aveva gli occhi attenti, un'espressione concentrata e si era messo di fronte a me senza più ciondolare sulla sedia: "Ne sei innamorato?".

A quella domanda percepii un caldo interno salirmi dal petto alla testa che mi fece aver paura di stare arrossendo. Non mi era mai capitato e speravo con tutto me stesso che non se ne fosse accorto. I miei occhi cercavano qualsiasi altra cosa che non fossero i suoi e il bicchiere rischiava di scivolarmi dalla mano, talmente lo facevo girare tra le dita. Il mio cuore batteva come se stessi ancora correndo, ma dopo alcuni secondi mi imposi di calmarmi e di affrontare la situazione con fermezza e lucidità.

"All'inizio lo consideravo un estraneo col quale non avrei mai voluto aver a che fare, poi un amico, poi un traditore e ..." sollevai gli occhi per guardarlo. Aveva capito qualcosa; glielo si leggeva dall'espressione un po' spaesata, ma continuai: "Infine volevo allontanarmi da lui perché non accettavo che, in realtà, ne fossi attratto, ma, ancora adesso, non riesco a dimenticare i bei momenti passati insieme e quelli in cui mi ha aiutato; inoltre dopo quel suo bacio la mia testa è assente e qualcosa di insistente da dentro continua a dirmi che questa persona mi piace davvero" feci una pausa perché mi stava per tremare la voce "Mi hai chiesto se ne sono innamorato. Io so che non sono me stesso da quando non lo vedo più, quindi sono certo di aver bisogno di lui e che non mi sono mai sentito in questo modo. Credo che la risposta alla tua domanda... sia sì".

Quelle parole che dissi, rispondevano perfettamente alla domanda che mi pose Antoine. Mi aveva chiesto quale fosse la cosa che avrei detto a Sebastien se fosse l'ultima di cui avrei potuto parlare. In quell'istante capii fosse quella; una, per quanto indiretta, dichiarazione.

Aveva ancora quell'espressione persa, come se non sapesse cosa fare e, ciò, per me era segno che avesse capito perfettamente a chi mi stessi riferendo. Si alzò dallo sgabello, facendo un lieve sorriso, come se nulla fosse: "Bene, ti vedo sinceramente coinvolto" mi mise le mani sulle spalle "Ti do la mia benedizione. Vai pure a confessare il tuo innamoramento a questo ragazzo. Io adesso devo chiudere il bar, non possiamo più trattenerci".

Fece per allontanarsi, così mi alzai e lo fermai dal braccio. Stava temporeggiando e non accettavo quel suo comportamento infantile: "Non mi chiedi il nome di questo ragazzo?".

"Perché dovrebbe interessarmi? Non mi impiccio di fatti che non mi riguardano" alzò le spalle.

Strinsi di più il suo avambraccio: "Oh andiamo, Sebastien! Non fare lo stupido!" mi imposi. Curvai le sopracciglia e cercai di assumere uno sguardo autoritario. Mi trovai Adele vicino ai piedi che abbaiò una volta e rimase fissa ad osservare la situazione.

"Cosa dovrei dirti?" chiese lui con una voce diversa dal solito, ritraendo il braccio per non essere trattenuto "Che ricambio i tuoi sentimenti?".

"Sì" affermai a voce bassa "Mi aspettavo qualcosa del genere...".

"Non fraintendermi, anche tu mi piaci, ma non potremo mai stare insieme. Tu meriti una storia seria, sei un ragazzo per bene, ma io non posso garantirti uno stabile rapporto di coppia. Ho chiuso con queste cose".

Non lo avevo mai visto agitato com'era in quel momento, sulla difensiva e come un uccellino in gabbia che si sentiva soffocare, pronto a spiccare il volo andando più lontano possibile.

"Giusto. Tu pensi che sia meglio avere un ragazzo a notte per poi non rivederlo più" ironizzai.

"E' proprio così, per questo non funzionerebbe" incrociò le braccia.

"Ma perché?!" esclamai avvicinandomi di più a lui "Se entrambi siamo... interessati all'altro... potremo provarci" arrancai, mentre il mio cane seguiva il mio movimento.

"Non voglio più provarci, voglio riuscirci. Ho avuto molte storie e ne sono uscito sempre infranto... non ho più voglia di provare. Se volevi una risposta è no, non ricambio i tuoi sentimenti, ma potremo rimanere amici nel caso volessi" fu severo, diretto e chiaro.

Ci guardammo per pochi istanti, durante i quali mi sentii quasi sprofondare in un abisso senza colore, vita o suono. Era una delle alternative venire rifiutato, ma non in quel modo sciocco e non per paura. Non potevo accettare quella situazione assurda e mi imposi di proseguire il discorso, facendo una drastica affermazione.

"Sebastien, baciami" comandai, col cuore a mille e un nodo alla gola.

"Sei sordo? Ho detto di no" si mise a camminare, andando dietro il bancone per prendere le chiavi del bar e io lo seguii: "Non ci credo che non hanno significato nulla per te quei baci" scossi la testa.

"Erano baci, puro impulso" tagliò corto e mi fece gesto di uscire.

Guardai la porta che mi indicò, per liberarsi di me, e mi salì una grande rabbia da dentro che mi provocò una sorta di repulsione nervosa: "Va bene, se è questo quello che vuoi" dissi con parole di ghiaccio. Non potevo obbligarlo ad accettare, nemmeno volevo supplicarlo, però non sopportavo quella paura nel suo sguardo che gli impediva di avere una vita e lo conduceva sempre al passato, qualunque cosa fosse successa. Avrei voluto incoraggiarlo a dimenticarsene, ma, come Antoine, magari anche lui aveva avuto esperienze non gradevoli e, quindi, non facilmente tralasciabili.

Uscii dal bar, seguito da Adele, e mi voltai un'ultima volta: "Sei solo un codardo" affermai involontariamente, per rabbia. Camminai, allontanandomi, con passo svelto senza sentire risposta e col pensiero che forse era stato meglio così. Probabilmente non era innamoramento il mio e Sebastien non era fatto per me, ma la convinzione che aveva il mio cuore era più forte che mai e mise da parte la mente. Non volevo che finisse in quello stupido modo; avrei fatto il suo gioco e se nemmeno quello avrebbe funzionato me ne sarei fatto una ragione. Mentre la luce del sole andava ad affievolirsi dando spazio ad alcune illuminazioni artificiali, il vento soffiava sul mio viso facendomi percepire del lieve freddo e il mio passo mi stava conducendo verso casa, per la prima volta, ero sicuro che volevo combattere per qualcosa a me cara e che desideravo. Quel qualcosa era un qualcuno e si chiamava Sebastien Moreau.

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