40. Addio Krasnojarsk, addio amore mio

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Se ami qualcuno, lascialo andare.

Se non torna, non è mai stato tuo.

Se torna, è sempre stato tuo.


Restai a Krasnojarsk per quasi cinque settimane. Molto più di quanto avrei mai creduto: e sarei rimasto volentieri ancora parecchio tempo – anche altre cinque settimane, se possibile – se i miei non avessero, giustamente, insistito.

Dico che rimasi più di quanto avessi sperato perché non mi aspettavo: innanzitutto, di avere così pochi problemi con il clima, perché ebbi la fortuna di trovarmi lì nel periodo estivo; i loro mesi più caldi per me erano tollerabili. A Roma d'estate c'era un caldo infernale, niente a che fare con il "caldo" che sentiva Nikolaj a diciotto gradi. A chiunque bastava dare un'occhiata a come ero vestito per capire che ero straniero.

Seconda cosa, non mi aspettavo di trovarmi così bene. La sua famiglia era allegra ed espansiva. Mi accettarono subito, e senza problemi, come il suo fidanzato. Fin dal primo momento, tutti amichevoli nei miei confronti, nonostante la barriera comunicativa.

Il soggiorno prolungato mi permise di visitare i principali luoghi di attrazione turistica, ma non era la città ad interessarmi. I trentadue giorni mi permisero di stringere un rapporto con i suoi familiari, di conoscere le sue radici, dove era nato, i suoi amici... immergermi così tanto nel suo ambiente da imparare perfino alcune basi di russo.

Mi veniva spontaneo ricercarlo nei membri della sua famiglia: tratti fisici, oppure della personalità. Ad esempio, Irina era logorroica, parlava a raffica, e a volte mi domandavo se avesse inteso che non capivo una parola di ciò che diceva.

Aleksandr mi offriva di continuo da bere, e la prima volta, per paura di sembrare scortese, caddi in tentazione fino ad ubriacarmi con lui. Esatto. Una sbronza con il padre del mio fidanzato.

Sua sorella era adorabile. Era chiaramente la sua gemella. Trascorsi con lei molto tempo, mi accompagnò a visitare la città, a volte senza Nikolaj, perché parlava discretamente l'italiano. Mi disse, infatti, che l'idea di fare un viaggio-studio in Italia era stata sua; aveva compreso tardi di non essere abbastanza estroversa come il fratello per reggere un anno intero fuori. Nikolaj aveva preso il suo posto, lei aveva optato per due mesi in Cina, più vicina alla Siberia. Lo stronzetto non me l'aveva raccontato.

I suoi migliori amici, Dimitri e Vadim, che, come rito di iniziazione, mi misero davanti diversi shot dai colori diversi e mi spinsero a berli tutti d'un fiato.

Insomma, parecchie sbronze.

Infine, conobbi sua nonna, in ospedale. Non credo lo dimenticherò mai. In una stanzetta bianca che puzzava di disinfettante, da un lettino, in gravi condizioni, insistette comunque per conoscermi. Mi sorresse le mani e mi sorrise; e quella scena mi ricordò talmente tanto la mia nonna che scoppiai a piangere.




Feci per poco in tempo a vedere il funerale. Morì tre giorni prima della mia partenza. A volte la vita è così crudele. Avrei tanto desiderato rimanere con lui, per stargli vicino. Era distrutto; e la mia partenza peggiorò la situazione. Troppi dolori in breve periodo. Gli ultimi tre giorni furono terribili, forse i peggiori di sempre.

Mi dicevo: ti sei preparato per mesi, lo sapevi benissimo! Lui aveva bisogno di me, e mi sforzai in ogni modo per apparire più coraggioso, per sostenerlo.

Nonostante ciò, il giorno prima di partire non potei evitare un pianto d'addio.

Addio. Addio.

Me lo ricordo bene: eravamo a letto, lo stavo abbracciando. Immerso nel suo profumo, lo stesso che mi aveva fatto impazzire dieci mesi prima. Era iniziato in un attimo qualsiasi, casuale.

Un pensiero era affiorato dal nulla. Non sentirò più questo profumo per molto tempo. Forse, non lo sentirò mai più. D'altronde, è tutto così complicato...

"Andrej..." Avevo la testa infossata alla sua spalla, gli avevo bagnato la pelle. Mi accarezzò. "Non piangere. Io amo sempre te. Io voglio noi sposare e tanti bambini..."

Mi scappò una risata, fra le lacrime. "Adottati?"

"Hm?"

"Bambini di altri, senza genitori"

"Oh, sì" annuì, "tanti adottati. Bene?"

Magari. Dio, magari. "Promesso?"

"Promesso".

Allungò una mano verso il cassetto e, dopo una breve ricerca, ne trasse fuori una graziosa bambolina di legno. Ci misi un attimo a capire che si trattava di una matrioska. Avevo già speso soldi in ricordini e regalini, sotto richiesta di molti, ma la matrioska voleva essere il suo regalo.

"Questa come promessa", me la porse, "noi sposa e bambini".

La matrioska rappresenta la figura materna in una società matriarcale, ed è simbolo di generosità e fertilità. Famiglia. Noi non c'entravamo decisamente nulla con le donne, ma era una sorta di promessa, il desiderio improbabile di un futuro insieme.

Non so come avrei descritto gli ultimi giorni insieme. Né felici, né tristi. Consapevoli. Ci stordimmo di sesso; era come se volessimo imprimerci l'uno sulla pelle dell'altro; o forse credevamo che così facendo ci saremmo saziati per un po'. Ma ne volevamo di più; il sesso per noi era una dimostrazione d'amore. Era un conseguenza spontanea. Il contatto fisico era fondamentale.




Ecco, dunque, perché nell'ultimo giorno non mi trattenni. Perché lui non mi bastava mai; più gli stavo vicino, più lo volevo vicino.

Invece, non so come, a fine luglio trovai la forza di preparare la valigia. La mattina dopo, mi accompagnarono all'aeroporto. E, non so come, non piansi. Mi limitai ad abbracciare tutti e ringraziarli di nuovo dell'ospitalità, promettendo che sarei tornato a trovarli.

L'ultima cosa che mi disse Nikolaj fu imprevista.

"Prometti tu niente bacio con altro" e fin qui nulla di particolare, tranne... "sesso sì, baci no".

Nikolaj non era stupido. Sapeva che non ci saremmo rivisti a breve, non eravamo due poveri illusi. Metteva in conto che avrei potuto conoscere qualcun altro; ma era comunque inusuale: "Non dovrebbe essere il contrario?"

"No, baci cosa intima, speciale. Sesso con tutti. Sesso piacere, baci amore".

Annuì. "Non c'è problema. Non farò niente con nessun altro. Il mio cuore è tuo, lo sai. E tu?"

"No, no", aggrottò le sopracciglia come a dire stai scherzando? Non lo farei mai. Mi osservò intenerito, avvicinò le labbra e disse: "Anche mio cuore tuo. Mio cuore sempre vicino te. No importa quanto noi lontano", e sussurrò all'orecchio: "Ti amo, Andrea".

La prima volta che mi chiamò Andrea. Sorrise, un sorriso triste, che stavolta non provò nemmeno a mascherare. Poggiai la fronte sulla sua:

"Mi mancherai da morire. Non vedo già l'ora di rivederti".

L'aereo sarebbe decollato fra poco. Gli strinsi forte la mano, così forte che penso di avergli lasciato il segno.


Salì sull'aereo giusto in tempo; e, intanto che mi allontanavo da terra e tutto diveniva più piccolo, mi domandai se davvero l'avrei mai rivisto.








Nota: ehi, ragazzi. Capitolo piuttosto corto, per mettere in risalto il triste saluto... o almeno "saluto" per ora, chissà che cosa faranno ora i nostri due innamorati? 🤯

Al prossimo capitolo✨✨

My strange love //(boyxboy)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora