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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, II.djvu/77

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IL FRAPPATORE 71

Tonino. El m’ha manazzà de darme delle peae, de fame metter in preson.

Fabrizio. Non dubitate; non vi è pericolo che ardisca più di dir niente. State sulla mia parola.

Tonino. Anderò, per farve servizio; ma ve prego de vegnir presto. Co vedo sior Ottavio, se me giazza el sangue; col me varda, el me fa paura; e co me l’insonio la notte, me desmissio tremando. (parte)

SCENA VII.

Fabrizio, il Servitore, poi Beatrice.

Fabrizio. Che venga questa signora. E vieni tu ancora con lei, non mi lasciar solo; non si può mai sapere, (al Servitore che parte, e poi ritorna con Beatrice) Il partito è buono per mia nipote, quando mi riesca tirarlo in Roma sotto la mia educazione, e quando possa assicurarmi che riesca bene.

Beatrice. Signore, compatite l’incomodo che vi reco.

Fabrizio. In che cosa vi posso servire?

Beatrice. In casa vostra mi dicono vi sia certo signor Ottavio Aretusi; è egli vero?

Fabrizio. Verissimo; è di là nel mio studio.

Beatrice. Bramerei di vederlo e di potergli parlare in presenza vostra.

Fabrizio. Chi siete voi, signora?

Beatrice. Sono la di lui sposa.

Fabrizio. Quand’è così, vi servo subito. Ma perchè gli volete parlare in presenza mia?

Beatrice. Per vedere se coll’aiuto vostro mi riesce di renderlo al suo dovere. Egli mi tratta male. Non fa più conto di me, vuole abbandonarmi, e di più nega di rendermi quello ch’è mio. Ho fatto qualche ricorso contro di lui, ma ne sono quasi pentita, perchè prevedo il suo precipizio; onde a voi mi raccmoando, e per la sua salvezza, e per la mia quiete, e per la comune nostra riputazione.