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Il ritratto ovale

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Edgar Allan Poe 1842 1900 Anonimo Indice:Poe - Storie meravigliose - Roma, Società Editrice Nazionale, 1900.pdf Racconti Il ritratto ovale Intestazione 18 novembre 2024 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Storie meravigliose


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IL RITRATTO OVALE



Il castello in cui il mio servitore era voluto entrare a viva forza, piuttosto che permettermi di passare, così orribilmente ferito come ero, una notte all’aria aperta, era uno di quegli edifizi, indescrivibile unione di grandezza e di tristezza, che per tanto tempo hanno innalzato le loro rocche eccelse in mezzo agli Appennini, così nella realtà, come nella fantasia di mistress Radcliffe. Esso sembrava essere stato temporaneamente e solo da poco abbandonato. C’installammo in una саmera delle più piccole e delle meno riccamente ammobiliate, situata in una torre appartata. La sua decorazione era ricca, ma antica e stracciata. I muri erano ricoperti di tappezzerie e ornati di numerosi trofei araldici di tutte le forme, e di una quantità veramente favolosa di pitture moderne in ricche cornici dorate di [p. 168 modifica]stile arabesco. Presi un sì vivo interesse, — e la causa ne fu forse il mio delirio che cominciava, — a tutti quei quadri che erano sospesi non solo sulle pareti principali delle stanze, ma anche in una sequela di corridoi che dovevamo inevitabilmente traversare per la bizzarra architettura del castello, che ordinai a Pietro di chiudere le pesanti imposte della camera — poichè era già notte — e di accendere un gran candelabro a parecchi bracci, che era posto vicino al mio letto, e di aprire quindi tutte le tende di velluto nere, ornate di frange che chiudevano il mio letto. Desideravo tutto questo perchè, se non avessi potuto addormentarmi, avessi potuto almeno distrarmi, contemplando quelle pitture e leggendo un piccolo volume che avevo trovato sul cuscino, che parlava appunto del valore di esse e ne faceva la minuta descrizione.

Lessi per molto tempo, per moltissimo tempo; contemplai ogni oggetto religiosamente e devotamente, e le ore scorsero rapide e dilettevoli finchè udii suonare la mezzanotte. Non essendo contento della posizione del candelabro, stesi con difficoltà la mano, per non incomodare il mio servo che dormiva, e lo collocai in modo che la luce venisse tutta sul libro.

Ma questa operazione produsse un effetto proprio inaspettato. La luce delle numerose candele (poichè ve ne erano molte) si posò allora sopra una nicchia della camera, che fino allora era stata coperta da un’ombra profonda, da una colonna del letto. Scorsi in una viva luce una pittura che dapprima mi era sfuggita. Era il ritratto d’una giovane, già matura e quasi donna. Gettai una rapida occhiata al quadro, chiusi gli occhi, e dapprima nemmeno io compresi il perchè. Ma mentre le mie palpebre rimanevano chiuse, analizzai rapida[p. 169 modifica]mente la ragione che me le aveva fatte chiudere. Quello era stato un movimento involontario per guadagnar tempo e per riflettere, — per esser certo che i miei occhi non mi avevano ingannato, — per calmare e preparare il mio spirito ad una contemplazione più fredda e sicura. Dopo qualche momento guardai di nuovo fissamente la pittura. Io non poteva più in alcun modo dubitare, se anche lo avessi voluto, di vedere ogni oggetto ben chiaramente, poichè la prima luce di quelle candele sulla tela aveva distrutto la meraviglia da trasognato, dalla quale erano impossessati i miei sensi, e mi aveva d’un tratto richiamato alla vita reale.

Io ho già detto che il ritratto era quello d’una giovane. Era soltanto una testa con le spalle, in quello stile, che, in linguaggio tecnico, si chiama stile da vignetta, e risentiva molto della maniera di Sully nelle sue teste di predilezione. Le braccia, il volto ed anche le ultime ciocche dei capelli si fondevano in maniera incomprensibile nell’ombra vaga ma profonda, che faceva da fondo all’insieme. La cornice era ovale, splendidamente dorata e lavorata a rilievi nello stile moresco. Come lavoro d’arte non si poteva trovare nulla di più ammirabile di quel quadro. Ma con tuttociò non fu nè la perfezione dell’opera, ne l’immortale bellezza della fisonomia, che m’impressionò d’un tratto e così fortemente, nè era da supporre che la mia immaginazione non ancora bene desta potesse aver preso quella testa per quella d’un essere vivente. Vidi subito che i particolari del disegno, lo stile da vignetta e l’aspetto del quadro avrebbero immediatamente dissipato una simile malìa, e, mi avrebbero preservato da ogni illusione anche momentanea. Assai preoccupato in queste riflessioni restai forse un’ora mezzo seduto, mezzo [p. 170 modifica]sdraiato, cogli occhi fissi su quel ritratto. Al fine avendo scoperto il vero segreto del suo effetto, mi lasciai ricadere sul letto. Avevo scoperto che il fascino di quel dipinto era un’espressione di vitalità, simile assolutamente alla vita stessa, che mi aveva fatto prima trasalire, e finalmente mi aveva confuso, vinto, spaventato. In preda ad un terrore profondo e rispettoso, cercai di ricollocare il candelabro nella posizione di prima, togliendomi così dalla vista la causa della mia forte agitazione e cercai con ansia il libro che conteneva la descrizione delle pitture e le loro storie. Andando subito al numero che indicava il ritratto ovale, io vi lessi questo bizzarro e singolare racconto.

«Era essa una giovinetta d’una bellezza rara, tanto amabile quanto piena di giovialità. Maledetto sia il momento in cui ella vide il pittore, poichè s’innamorò di lui e divenne poi sua sposa.

«Egli era un giovine studioso, appassionato, austero e aveva già fatto dell’arte la sua sposa: ella era una giovinetta gentile e piena d’allegria, tutta luce e sorrisi, con la gaiezza d’una giovane gazzella; innamorata di tutto alla follia; odiava solo l’arte, che era sua rivale.

«Nulla temeva all’infuori dei pennelli e della tavolozza e degli altri istrumenti odiosi che la privavano della vista del suo amante adorato. Fu cosa ben terribile per lei l’udire il pittore esprimerle l’idea di voler dipingere egli stesso la giovane sposa. Ella però era ubbidiente ed umile e con amore posò per lunghe settimane nella triste e più alta camera della torre, dove la luce filtrava solo da un’apertura del soffitto sulla bianca tela. Ma il pittore metteva tutta la sua gloria in quel lavoro che avanzava di giorno in giorno, d’ora in ora, ed era uomo appassionato, bizzarro e pensieroso, che si perdeva in continue [p. 171 modifica]fantasticherie. Egli però non voleva accorgersi come la luce, che scendeva così tetramente in quella torre lontana, illanguidiva la salute e lo spirito della sposa, la quale dimagrava visibilmente agli occhi di tutti, fuorchè ai suoi. Ella tuttavia sorrideva sempre, senza mai lamentarsi, poichè si avvedeva che il pittore (che già aveva un gran nome) provava vivo ed ardente piacere nel suo lavoro, e si adoperava dì e notte per ritrarre quella che tanto l’amava, e che diveniva ogni giorno più debole e sfinita. In verità tutti coloro che vedevano il ritratto parlavano a bassa voce della sua rassomiglianza, come d’una opera meravigliosa e di una prova non meno grande della potenza del profondo amore che il pittore aveva per colei che dipingeva così mirabilmente, in una maniera quasi prodigiosa. Ma alfine, avvicinandosi il lavoro al suo compimento, non fu più ammesso alcuno nella torre, poichè il pittore era divenuto quasi pazzo per l’ardore del suo lavoro, e levava raramente gli occhi dalla tela per guardare il volto della sua innamorata. Ed egli non voleva accorgersi che i colori che scioglieva sulla tela erano levati dalle gote di colei che era lì seduta vicino a lui. E quando furono passate parecchie settimane e ormai non restava più che ben poco a fare, o solo un ultimo tocco alle labbra e un tratto agli occhi, lo spirito della signora palpitò ancora un momento come l’ultima fiamma d’una lampada. Quando il tocco fu dato, e il tratto pure, per un momento il pittore rimase in estasi dinanzi al proprio lavoro — quel lavoro uscito dalle sue stesse mani, — ma dopo qualche minuto di muta contemplazione, cominciò a tremare ed impallidire e colpito da subito spavento, esclamò con voce potente: «In verità, costei è la stessa Vita!» — e si volse per guardare ancora la sua amata; ella era morta!»