Salomon Gessner
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Salomon Gessner (1730 – 1788), poeta e pittore svizzero.
Citazioni di Salomon Gessner
[modifica]- Odo non lunge sussurrar le frondi: | ed ecco del ruscello in su la riva | Dafne avanzar tacitamente all'ombra. | Il lembo estremo dell'azzurra veste | dal breve eburneo piè rimosso alquanto, | entrò nell'onda: mollemente china | qui colla destra man terse il bel viso, | mentre la manca sostenea la veste | lungi dall'acque. Cheta indi ristette, | finché più goccia dalle bianche dita | non cadesse a turbar l'onda tranquilla. | Pinta vedendo allor sua bella immago, | de' vezzi suoi paga sorrise, e il crine | il bel crin d'or, che in vaghe trecce unìa | nodo gentil, con nuova arte compose. | Ah per chi mai, per chi tal cura ed arte? | Sospirando diss'io: l'avventurato | pastor qual è, cui di piacer desìa? | Per cui di sua beltà lieta sorride? | Mentre ella era così china e pensosa, | mazzo gentil di fior, che il seno ornava, | cadde nell'acqua, e lento a me sen venne. | Dafne partì: pronto io 'l raccolsi, e oh quanti | v'impressi baci! Per un gregge intero | ceduto io non l'avrei. Ma lasso! i fiori | già vengon meno, e il terzo dì non sorse, | dacché recolli a me cortese il rivo. | Qual non ne presi io cura? Entro alla tazza | io li riposi, che cantando a prova | testé pur vinsi. Amor v'è scolto[1]; assiso | sotto a' bei mirti sorridendo ei tenta | col molle dito d'uno stral la punta: | e a lui si bacian due colombre appresso. | Tre volte al dì fresc'acqua io vi rifusi; | e alla rugiada sul balcon la notte | cauto gli esposi. Quante fiate io stetti | curvo sovr'essi il dolce odor suggendo! | Più dolce il loro odor, più vivo e bello | era il color, che in quanti ha Maggio: | però che in sen di Dafne eransi schiusi. | Fiso talor la tazza riguardando: | ah ben acute, Amor, sono, dicea, | le tue quadrella[2]; io troppo il sento a prova. | Deh fa che Dafne la metà pur solo | provi di ciò ch'io sento: e questa tazza | a te fia sacra. Qui su picciol'ara | io la porrò; di fior nuove ghirlande | avrà d'intorno ogni mattino: e al verno | la cingerò di mirti. Ah voi, colombe, | voi siate almeno, tenere colombe, | del mio futuro ben felice immago! | Ma i fior languono ohimè! vana a serbarli | torna ogni cura. Scolorati e vizzi | piegan sovra alla tazza il debil collo; | spento è l'odor; cadon le foglie a terra. | Ah non sia questo, Amor, deh non sia questo | del mio futuro mal tristo presagio! (da L'incertezza, (Idillio secondo)[3])
Note
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