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Julian Jaynes

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Julian Jaynes (1920 – 1997) psicologo statunitense.

Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza

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Quando ci poniamo la domanda «che cos'è la coscienza », diventiamo coscienti della coscienza. E la maggior parte di noi ritiene che proprio questa coscienza della coscienza sia la coscienza. Ma non è così.

Citazioni

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  • La ragione stessa per cui noi abbiamo bisogno della logica è che la maggior parte del nostro ragionare non è affatto cosciente. (p. 62)
  • Comprendere una cosa significa pervenire a una metafora per quella cosa, sostituendo ad essa qualcosa di più familiare. E la sensazione di familiarità non è che la sensazione del comprendere. (p. 75)
  • Nell'Iliade in generale non esiste coscienza. Dico «in generale» perché in seguito menzionerò alcune eccezioni. In generale, perciò, non vi compaiono neppure parole per designare la coscienza o atti mentali. Le parole presenti nell' Iliade che in seguito vennero a designare cose mentali hanno significati diversi, tutti più concreti. [...] Il thumos, che passerà in seguito a significare qualcosa di simile all'anima emozionale, designa semplicemente il movimento o l'agitazione. Quando un uomo cessa di muoversi, il thumos abbandona le sue membra. Ma in qualche modo è anche simile addirittura a un organo; quando infatti Glauco prega Apollo di alleviare il suo dolore e di dargli la forza di aiutare l'amico Sarpedonte, Apollo ascolta la sua preghiera e «infonde vigore nel suo thumos» (Iliade, XVI, 529). Il thumos può dire a un uomo di mangiare, bere o combattere. Diomede dice in un punto che Achille combatterà «quando nel petto il thumos gli parla e un dio lo sospinge» (IX, 702 sg.). Ma il thumos non è in realtà un organo e non è sempre localizzato: un oceano infuriato ha thumos. (pp. 94-95)
  • Questa [thumos] è la parola ipostatica di gran lunga più comune e importante dell'intero poema [l'Iliade]. Essa ha una frequenza tre volte maggiore rispetto a qualsiasi altra. In origine, nella fase oggettiva, doveva significare semplicemente un'attività percepita esteriormente, e non aveva nessuna connotazione interiore. Questo uso miceneo è documentato spesso nell' Iliade, specialmente nelle scene di battaglia, dove un guerriero che colpisce con la lancia nel posto giusto fa cessare il thumos o attività di un altro.
    La seconda fase o fase interna, come abbiamo visto nell'ira di Achille, si presenta in una situazione di stress nuova, durante il periodo del crollo della mente bicamerale, quando la soglia di stress che si richiedeva per l'evocazione di voci allucinatorie era più elevata. Il thumos si riferisce allora a un insieme di sensazioni interne in risposta a crisi esterne. [...] insieme di sensazioni interne che precedeva un'attività particolarmente violenta in una situazione critica. Presentandosi in modo ricorrente, il tipo di sensazione comincia ad appropriarsi del vocabolo che in precedenza designava l'attività stessa. Da questo momento in poi è il thumos a conferire forza a un gueriero in battaglia, ecc. Tutti i riferimenti al thumos come sensazione interna nell' Iliade sono in accordo con questa interpretazione.
    Ora, l'importante transizione alla terza fase, quella soggettiva, è già iniziata nell' Iliade stessa, benché non ancora in modo molto appariscente. La percepiamo nella metafora inespressa del thumos come qualcosa di simile a un recipiente: in vari passi menos o vigore è «infuso» nel thumos di qualcuno (XVII, 451; XXII, 312). Il thumos viene anche paragonato implicitamente a una persona: non è Aiace che è ansioso di combattere ma il suo thumos (XIII, 73), né è Enea a rallegrarsi ma il suo thumos (XIII, 494; si veda anche XIV, 156). Se non è un dio, è il thumos a «spingere» più spesso un uomo a un'azione. E come se esso fosse un'altra persona, un uomo può parlare al suo thumos (XI, 403) e può udire ciò che questo ha da dirgli (VII, 68) o sentire la sua risposta come quella di un dio (IX, 702).
    Tutte queste metafore sono estremamente importanti. Dire che le sensazioni interne di grandi mutamenti circolatori e muscolari sono una cosa in cui si può infondere forza, significa generare uno «spazio» immaginato, qui collocato sempre nel petto, che è l'antecedente dello spazio mentale della coscienza contemporanea. E confrontare la funzione di tale sensazione con quella di un'altra persona o anche con i meno frequenti interventi degli dèi significa iniziare quei processi metaforici che in seguito diventeranno l'analogo «io». (pp. 314-316)
  • [...] quando Archiloco è turbato, è il suo thumos che è abbattuto come un guerriero debole, ed è ad esso che egli dice «leva gli occhi e difenditi contro i tuoi nemici» (framm. 67). Archiloco parla al suo thumos come se esso fosse un'altra persona, e la comparazione qui implicita, con i suoi paraferendi dello spazio e del «sé» che «osserva» se stesso, rappresenta un altro passo verso la coscienza del secolo seguente. (p. 339)
  • In Amos [libro dell'Antico Testamento] non ci sono parole che significhino «mente», «pensare», «sentire», «capire» o simili, Amos non pondera mai nulla nel suo cuore perché non può, né saprebbe cosa ciò voglia dire. Le poche volte che si riferisce a se stesso è brusco e fornisce informazioni concrete, senza dare alcun giudizio; egli non è un profeta ma un semplice pastore e « raccoglitore di frutti di sicomoro non pensa in modo cosciente prima di parlare; in realtà non pensa affatto come noi, il pensare è un'azione che viene compiuta per lui. Egli sente che la sua voce bicamerale sta per parlare, impone il silenzio a quanti lo circondano con un «Così parla il signore!», e continua con un discorso irato e vigoroso che probabilmente non comprende egli stesso. (pp. 354-355)

Bibliografia

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  • Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza, traduzione di Libero Sosio e Annalisa Sassano, Adelphi edizioni 2007. ISBN 9788845912221

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Opere

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