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Angelo Lorenzo Crespi

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.

Angelo Lorenzo Crespi (1968 – vivente), giornalista, critico d'arte, saggista e drammaturgo italiano.

Citazioni di Angelo Lorenzo Crespi

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Citazioni tratte da articoli

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  • [...] il pubblico (Stato e Comuni) deve impegnarsi nell'arte contemporanea o non è meglio lasciare l'iniziativa tout court ai privati? Le funzioni classiche del museo, di conservare reperti di civiltà, vengono stiracchiate quando si parla di contemporaneo. Le mode e i gusti, le ideologie imperanti, il mercato, premono ancora troppo perché ci sia lucidità nelle scelte. Così i musei del contemporaneo spesso diventano luoghi dove esercitare un potere di indirizzo, dove predeterminare i veri valori che si sedimenteranno solo col passare del tempo (che è un gentiluomo). Oppure degli enormi luna park, divertimentifici in cerca di un proprio ruolo. Visto che questi edifici sono stati eretti non vale neppure la pena però di abbatterli. Allora meglio che si trasformino in Kunsthalle, spazi espositivi più liberi, dove sia trasparente l’intervento del privato: cioè dove i mercanti, o chi ci guadagna con l’arte, possano investire per sostenere la propria corrente. Libertà totale di battagliare, di veder combattere a suon di milioni i galleristi gli uni contro gli altri, e i curator difendere le loro scelte e misurarle col pubblico.[1]
  • Nei paesi anglosassoni di solito un ricco miliardario dona alla comunità un'imponente collezione di opere d'arte e a quel punto si ragiona sul museo che le possa contenere. Di solito il ricco miliardario lascia anche un fondo che ne garantisca anche il funzionamento e il mantenimento. A Roma, con il Maxxi si è fatto il contrario [...]: si è progettato un edificio faraonico e poco funzionale, una sorta di celebrazione in vita per l'archistar Zaha Hadid, costato 150milioni di euro, che avrebbe dovuto contenere nulla. Infatti le opere non c'erano e con altri 30milioni di euro si è cercato di inventarsi una collezione (si pensi che solo un pezzo di Koons può costare 25milioni di dollari). [...] il maxxi scatolone vuoto di Stato costa di gestione circa 10milioni di euro all'anno. E poiché le mostre importanti sono un salasso, il presidente Melandri per riempirlo di gente e attività è costretta a inventarsi corsi di cucina e yoga, serate di musica e cinema, chi più ne ha ne metta. La domanda sorge spontanea: a Roma, capitale mondiale dell'antico, c'era bisogno di un museo maxxi del contemporaneo? La risposta ovvia è no. [...] D'altronde se un turista visita New York è imprescindibile una capatina al Guggenheim o al Moma, se un turista visita Roma difficile che pensi al Maxxi piuttosto che alla Cappella Sistina, Colosseo, Caravaggio, Michelangelo, chiese e ruderi millenari sparsi ovunque.[1]

ilgiornale.it, 23 marzo 2021.

  • Le opere d'arte contemporanee sono diventate simili ad azioni e al pari delle azioni, per essere scambiate con semplicità e velocemente, poiché la velocità degli scambi determina la crescita del prezzo, devono essere fungibili, cioè una equivalente all'altra. Di modo che salendo il prezzo di una, salga anche il prezzo delle altre. [...] Mi interessa il logo, o eventualmente il loro valore, cioè il prezzo, e infine il potenziale ricavo che ne potrei fare. Questa deriva finanziaria ha aspetti comici, se pensiamo che una buona parte delle opere comprate immaginando potenziali ricavi non vengono neppure ritirate dalle gallerie, o se ritirate sono custodite negli storage dei porti franchi, quasi sempre in Svizzera. E capita perfino che quando vengono rivendute, anche il successivo proprietario non ne cambi il luogo di custodia.
  • I ricchissimi possono [...] spendere milioni in opere d'arte per assolvere un bisogno di autorealizzazione o per accrescere ulteriormente il proprio status. I nuovi ricchi hanno infatti capito che l'arte, specie quella contemporanea, è un ascensore sociale, permette loro di entrare in circuiti riservati, di accreditarsi immantinente in un contesto culturale. E l'accreditamento è ancora più veloce se il prezzo pagato è esuberante e se l'opera è assolutamente insensata, tanto che il collezionista possa porsi in una posizione privilegiata rispetto agli altri suoi pari, anch'essi nouveau riche. Il prezzo è fondamentale perché dice subito della ricchezza del collezionista. Ma ancor più di uno yatch o di un'automobile, l'opera se incomprensibile agli altri come tanta arte concettuale, ingenera l'idea che il collezionista sia entrato davvero in una sorta di setta di iniziati, in grado di comprendere il verbo del contemporaneo. L'arte contemporanea è una religione e consente con un semplice rito, cioè pagando, di convertirsi ad essa e farsi adepto.
  • L'opera d'arte [...] non si consuma né si deteriora [...]. Appendendola sul muro ogni giorno si stacca quello che gli economisti e i sociologi hanno definito «dividendo estetico». Se ho comprato una cosa bella, ogni giorno sarò felice del mio investimento perché la bellezza e l'arte danno senso alla nostra vita. Una vera opera d'arte non è mai circoscrivibile, non esaurisce mai il proprio senso, la luce diversa del mattino ne svela significati sempre nuovi. La bellezza dell'opera d'arte rimanda sempre a una bellezza più grande che ci sovrasta e che non possiamo cogliere se non nel frammento. Ed è il potere dell'opera d'arte, mettere in moto questo rispecchiamento. L'arte concettuale, cioè l'arte contemporanea hard, invece invecchia perché i concetti invecchiano e, volendo prescindere dalla forma, essa è destinata irrimediabilmente a morire.

Interviste

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Citazioni in ordine temporale.

  • I miei libri spesso sono dei veri e propri pamphlet, scritti polemici in antitesi al pensiero dominante, che si ispirano alle idee di personalità come Jean Clair, Robert Hughes, Tom Wolfe, Clement Greeenberg o Marc Fumaroli. La mia è un'opposizione radicale ai lati peggiori dell'art system, contro lo strapotere ideologico dei curatori e contro la provocazione a tutti i costi insita nell'arte concettuale, dove spesso domina il brutto e l'insensato, prediligendo invece la bellezza che promana dall'arte antica e dall'arte della tradizione, in cui ai concetti si preferisce il saper fare.[2]
  • I musei oggi sono imprese, come mi piace chiamarle, perché in questo termine c'è anche l'idea di coraggio e di osare.[3]
  • [«[...] se volessimo fare un tour attraverso le più importanti realtà museali del vecchio continente, quale itinerario ci suggerirebbe?»] Non avrei dubbi per le grandi istituzioni. Inizierei dal Pergamon Museum di Berlino per l'archeologia. In esso si conserva l'antico – si pensi ai fregi di Pergamo o alla ricostruzione del mercato di Mileto – con l'acribia tassonomica dei tedeschi. È straordinario [...]. Poi, direi la Tate Modern a Londra: una cattedrale assoluta di quell'antichiesa che è l'arte contemporanea. Mi piace la collezione del Centre Pompidou a Parigi [...]. A Madrid consiglio il «Regina Sofia». A San Pietroburgo il Museo di Stato con le collezioni dell'Ottocento di arte russa e soprattutto dell'avanguardia, ma anche di icone. Se invece pensiamo alle piccole istituzioni farei un giro al museo di arte orientale «Henri Cernuschi» di Parigi, una vera chicca che contiene la collezione di un banchiere italiano. Poi vedrei, il museo «Franz Kafka» a Praga, il Kunstmuseum di Stoccarda con Otto Dix, il Museo delle Culture di Lugano, la casa museo di Fernando Pessoa a Lisbona, il museo Vasa a Stoccolma che contiene un galeone del Seicento recuperato sul fondo del mare...[4]
  • Penso che i beni artistici siano effettivamente un giacimento di senso e di identità in primis per l'Italia, ma anche per molti Paesi europei che si riconoscono nelle loro tradizioni e nelle pietre che racconto il loro grande passato. Proprio per questo l'Europa non deve dimenticare che il patrimonio culturale è l'eredità non casuale di una civiltà che a fianco di tanti orrori ed errori, può vantare Bach e Michelangelo, Voltaire e Thomas More, Chartres e Rilke, Piero della Francesca e Picasso, Rossini ed Heidegger, San Tommaso e Hobbes, Benedetto da Norcia e Giovanna d'Arco, Irnerio e Mozart. E tutto ciò si fonda su un impianto giudaico-cristiano-romano che innerva le istituzioni e il nostro modo di pensare. Noi siamo frutto della volontà di potenza che già esprimeva il mondo greco e la sua filosofia, una volontà di potenza che si esplica nella scienza e nella tecnologia che sono di fatto delle nostre prerogative, volontà di potenza e di controllo sul mondo mitigata però dal Cattolicesimo e dal pensiero liberale. Non è facile riassumere la forza dell'Europa, la sua grande civiltà che ha avuto, dal punto di vista politico, il massimo splendore con il Sacro Romano Impero, e che rende il nostro Continente – a mio modo di vedere – l'unico in cui valga la pena vivere.[4]

Intervista di Emanuele Beluffi, ilgiornaleoff.it, 22 maggio 2021.

  • La cultura è frutto di identità e l'identità di cultura. Non esiste cultura fuori dal perimetro dell'identità, personale o di comunità, ma non esiste neppure identità prescindendo dalla cultura. La cultura senza identità sfocia nel relativismo più inutile, l'identità senza cultura nel settarismo più bieco.
  • [«[...] che noia l'arte-sempre-bella: non credi che possa esserci del bello anche nel brutto?»] Ne sono convinto. Quando parlo di bellezza intendo perfezione formale: una cosa è bella quando è perfetta, cioè portata a termine nel modo in cui doveva essere portata a termine, senza aggiungere o togliere nulla, senza diminuirne il valore o accrescerlo inutilmente. Quando una cosa è bella in quanto perfetta, essa può ben rappresentare anche il brutto, emendandolo. La forma perfetta dell'opera d'arte, cioè la bellezza, ci permette infatti di ricomprendere il brutto nel bello, essendo il brutto disgregazione della forma e il bello, al contrario, riaggregazione. [...] arriverei a dire che una delle funzioni dell'arte è proprio quella di rappresentare il brutto.
  • Preferisco gli artisti facitori della loro opera, aborro nella maggioranza dei casi i concettuali che pensano che basti l'idea per fare un'opera d'arte.

artslife.com, 26 agosto 2021.

  • All'art system non interessa la bellezza perché domina un profondo nichilismo che ci impedisce di capire che la bellezza è innanzitutto un valore politico, prima che estetico: essa spinge all'imitazione positiva, ci induce all'imitazione delle sue forme e dei suoi modi, crea armonia e differenze e aggregazioni proprio dove l'universo spinge all'entropia e all'indifferenziazione. Ed è per questo l'uomo sente un innato bisogno di bellezza, perché essa ci permette di intravedere l'infinito nel frammento, in qualche modo di eternare noi stessi che siamo perituri e destinati a scomparire. Credo che uno dei bisogni per cui nacque l'arte sia stato proprio il tentativo di non scomparire.
  • I fedeli fanno la fila per adorare le supercazzole dell'arte concettuale, non le capiscono, ma hanno vergogna a dirlo, e per questo assistono ai riti guardandosi di sottecchi sperando che qualcuno abbia il coraggio di urlare fantozzianamente "la corazzata Potemkin è ...". Ma non è facile liberarsi dai falsi idoli, non è solo una questione di conoscenza o ignoranza: essendo l'arte concettuale contemporanea un'arte che non si può vedere con gli occhi, ma deve essere guardata con le orecchie, dobbiamo affidarci alla neo lingua incomprensibile dei curator che è un sistema di potere per tenere in scacco il popolo ed è per questo che i curator si ammantano di un falso sapere, come fossero gli unici in grado di tradurre la dottrina. Così pensata, l'arte contemporanea concettuale è anti democratica perché impedisce a chiunque di farsi un'idea e giudicarla guardandola semplicemente con gli occhi.
  • L'arte contemporanea concettuale ossessivamente esprime la propria inutilità, pensiamo alla banana di Cattelan che non dice niente di noi, del fatto che moriremo e con noi la persone che ci sono care, del fatto che amiamo spesso non riamati, che percepiamo l'eterno ma non possiamo raggiungerlo, che questo iato produce in noi uno struggimento senza fine... la banana ci dice solo che anche una banana appesa con lo scotch può costare 120 mila dollari e gli apologeti del contemporaneo la adorano come fosse il vitello d'oro. Eppure l'arte era nata per confortarci, per farci percepire il divino e l'eterno, per farci abitare meglio il mondo, non per manifestare l'orrore scatologico dei nostri sfinteri.
  • La pittura è l'unica forma di avanguardia possibile, perché nes­sun pittore prima di dipingere il quadro sa cosa e come dipingerà. I pittori sono degli anacoreti che nella solitudine compongono per la salvezza, loro e nostra. Anche gli scultori. Tutti quegli artisti che fanno loro le opere loro, possono in qualche modo salvarci, svelandoci qualcosa che ancora non sape­vamo di noi o del mondo. Preferisco la pittura e la scultura nel solco della tradizione che – si badi – non significa la ripetizio­ne di stili e stilemi, semmai la capacità di perenne metamorfosi. D'altronde la tradizione non è ado­rare la cenere, bensì conservare il fuoco. Il pittore che dipinge è come il poeta che scrive. Se è sincero, la sua pittura assomiglierà a quello che intimamen­te è lui; similmente il poeta, il suo metro lo rap­presenta, è come il respiro. Quando uno scrive po­esia o dipinge o scolpisce, e lo fa in modo sincero, quello che produce riflette quello che è, riflette il suo tempo e la sua intelligenza, il suo cuore, il suo talento, non c'è modo di bluffare.
  • Di solito per spiegare il mercato dell'arte contemporanea uso due aforismi. Primo: l'arte antica costava perché valeva, l'arte contemporanea vale perché costa. Secondo: l'arte antica era difficile da fare facile da capire, l'arte contemporanea è facile da fare, difficilissima da capire. Aggiungo che per la prima volta nella storia dell'uomo, si compra arte immaginando ai possibili ricavi che ne verranno e non perché ci piace, perché è bella, perché immaginiamo di legare il nostro nome ad essa, o solo per il sommo piacere di possederla. Questa sorta di finanziarizzazione ha ucciso l'arte, prima di oggi nessuno quando commissionava un'opera d'arte o comprava un quadro si chiedeva quanto avrebbe potuto valere da lì a cinque anni, come fanno adesso i clienti delle gallerie. Ed qui, sta il delirio del contemporaneo.

Note

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  1. a b Da L'arte contemporanea? Ai privati!, ilgiornaleoff.it, 15 febbraio 2014.
  2. Da Federica Lonati, Il futuro della Pinacoteca di Brera. Intervista al direttore Angelo Crespi, artribune.com, 21 marzo 2024.
  3. Da un'intervista di Alain Elkann; citato in Sabrina Lame, Angelo Crespi racconta visioni e prospettive su Brera in un'intervista con Alain Elkann, insideart.eu, 5 giugno 2024.
  4. a b Dall'intervista di Emanuele Beluffi, Crespi: «Smettiamo di piangerci addosso. Abbiamo una missione», culturaidentita.it, 17 giugno 2024.

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