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Utente:Zanekost/Sandbox/Scuola di Burano

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Scuola di Burano è una definizione di comodo, coniata probabilmente da Guido Piovene, nata un po’ ad imitazione della École di Pont-Aven.

Non si tratta di un movimento artistico, si tratta piuttosto di un capitolo dell’arte moderna italiana racchiuso nel periodo tra il 1910 ed il 1946, quando la piccola isola lagunare divenne un punto d’incontro e d’ispirazione per un folto gruppo di artisti non solo veneziani. Periodo che inizia come approdo dei giovani ribelli di Ca’ Pesaro e si conclude nel momento della sua celebrazione (il primo Premio Burano del 1946) con le proteste di altri nuovi giovani artisti che confluiranno nel Fronte nuovo delle arti. [1]

Nel 1910, di ritorno dalla Bretagna, Gino Rossi, fortemente influenzato da Gauguin, sente la necessità di trovare un luogo vergine dove dedicarsi interamente alla pittura. L’isola di Burano con le sue case multicolori ed il paesaggio lagunare costellato di barene non aveva finora interessato i vedutisti veneziani (anche quelli ottocenteschi) legati più alla rappresentazione dei monumenti e del folclore.[2] È invece il luogo ideale per le sperimentazioni di Rossi un luogo per rinnovare l’arte sul modello di Pont-Aven.

L’amico Umberto Moggioli vi aveva già preso casa. La marcatura dei contorni blu-viola e la libertà cromatica di Rossi influenzano fortemente, in quel momento, sia Moggioli sia altri che li raggiungono per un periodo come Luigi Scopinich e Pio Semeghini.

Era anche il tempo in cui si consolidava il sodalizio dei giovani artisti di Ca’ Pesaro in contrapposizione all’accademismo rappresentato nelle Biennali. La loro mostra del 1913 suscitò violente polemiche sulla stampa nazionale ed anche indignate reazioni ufficiali[3] (un’intera seduta del Consiglio Comunale fu dedicata all’argomento).[4] Fu così che anche altri videro in Burano un rifugio appartato e sicuro dove poter esprimere le proprie visioni artistiche. Nino Barbantini scrisse più tardi “alla sera per consolarci e consultarci in privato salpavamo su una flottiglia di sandali verso Burano beata…”.[5]

Poi venne la guerra e tutto finì. Moggioli morì di febbre spagnola nel 1919. Rossi provato dalla guerra e dalla prigionia non tornò più a Murano, si chiuse progressivamente nella sua malattia mentale e a partire dal 1926 passò il resto della vita tra le mura del manicomio di Treviso.

Il dopoguerra

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Pio Semeghini invece tornò a Burano nel 1921 seguito dal suo allievo Vellani Marchi, ospiti della signora Anna, la vedova di Moggioli. Erano, probabilmente fra i pochi ad avere un alloggio fisso per la stagione. Gli altri andavano venivano “una piccola corte, non mai la stessa, di giovani meno giovani, veneti, milanesi, stranieri perfino. C’erano pittori, scrittori, musicisti, qualche bella donna, qualche snob di tipo ostinatamente dannunziano; e tutti dopo aver fatto e rifatto il breve giro dell’isola, si trovavano riuniti nella trattoria da Romano, davanti a profonde scodelle di risotto con scampi e a trofei monumentali di pesce fritto […] attenti a non farsi scappare l’ultimo vaporetto della sera […].”[6]

Semeghini profondamente influenzato dall’impressionismo francese – che aveva ben conosciuto durante i suoi ripetuti soggiorni francesi – fu di fatto la figura dominante[7] a cui si collegarono i successivi esponenti del post-impressionismo lagunare (Dalla Zorza, Seibezzi, Oreffice, Candiani). Una concezione che rimaneva estranea a quelli che erano gli sviluppi dell’arte moderna in Europa.[8] Pur rimanendo il paesaggio la tematica costante, non mancarono comunque artisti di provenienza, ispirazione e formazione affatto diversa come De Grada, Ravenna, Poli, Cobianco ed anche Saetti e Carena. In più la presenza a Venezia – negli in trenta – di due forti personalità come Guidi e De Pisis portò spunti diversi al vedutismo lagunare. Ma Burano era ormai diventata più che una fucina per lo sviluppo dell’arte un luogo di riposo dell’anima. [9]

Il Premio Burano

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Passata la guerra, nel 1946, per iniziativa di alcuni artisti e di Rodolfo Pallucchini[10] su deliberazione della Giunta Popolare di Liberazione Bianchi fu istituito il Premio Burano. Le edizioni “storiche” non furono molte ed a cadenza irregolare (1946, 1951, 1953 e 1956) seguirono di tanto in tanto altre edizioni spurie ed un tentativo di riedizione ufficiale nel 1984. [11]

Seppure l’interesse per le manifestazioni sia sempre rimasto limitato all’area triveneta con saltuaria partecipazione di artisti di diversa provenienza le prime quattro edizioni rimangono interessanti nel rivelare le contraddizioni nell’evoluzione della pittura non solo veneta.[12] La prima turbolenta edizione fu rivelatrice: segnò lo scontro tra due generazioni di artisti e due visioni del mondo, ma anche la fine di una concezione regionalista dell’arte. [13] La premiazione di due artisti più tradizionali, il post-impressionista veneziano Dalla Zorza ed il chiarista milanese Lilloni, provocò la dura reazione degli artisti rinnovatori. Vedova, messosi a capo della protesta, andò di persona a togliere la propria opera dalla mostra, imitato immediatamente da molti altri.[14] Il dibattito tra astrazione e figurazione – dibattito a cui per altro Fondazione Cini dedicò un convegno internazionale nel 1954 – fu ben percepibile, anche se con toni più pacati, anche nelle edizioni successive.[15]

  1. ^ Rizzi in Scuola di Burano, p. 7
  2. ^ Rizzi in Scuola di Burano, p. 9
  3. ^ Perocco,  pp. 50-51
  4. ^ Rizzi in Scuola di Burano, p. 9
  5. ^ Rizzi in Scuola di Burano, p. 7
  6. ^ Valeri in Scuola di Burano, pp. 3-4
  7. ^ Rizzi in Scuola di Burano, p. 11
  8. ^ Rizzi in Scuola di Burano, p. XX
  9. ^ Rizzi in Scuola di Burano, p. XX
  10. ^ Rizzi in Scuola di Burano, p. XX
  11. ^ Bianchi
  12. ^ Bianchi
  13. ^ Rizzi in Scuola di Burano, p. XX
  14. ^ Bianchi
  15. ^ Bianchi
  • Diego Valeri e Paolo Rizzi, La scuola di Burano, Venezia, Comune di Venezia, 1966.
  • Guido Perocco, Origini dell’arte moderna a Venezia (1908-1920), Treviso, Canova, 1972.
  • Giovanni Bianchi, Premio Burano 1946: l’inizio di una storia. Breve cronistoria del Premio Burano del 1951, 1953, 1956, in Stefano Cecchetto (a cura di), Memorie di paesaggio: il Veneto felice nei suoi pittori del Novecento, Venezia, Cicero, 2010.