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Chiesa del Santissimo Redentore (Udine)
[modifica | modifica wikitesto]Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Friuli Venezia Giulia - Guida storico artistica naturalistica, Bruno Fachin Editore, 2004, p. 145, ISBN 88-85289-69-X.
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]Categoria:Chiese di Udine Categoria:Architetture del Friuli-Venezia Giulia
Vicenza e ville palladiane
[modifica | modifica wikitesto]Il riconoscimento UNESCO comprende 23 monumenti situati nel centro storico di Vicenza e 24 Ville nel Veneto.
È un edificio a due piani con soprastante attico. Il progetto palladiano del 1570 fu finalizzato alla ristrutturazione e ricomposizione in forme monumentali di un preesistente palazzo e costituisce un significativo esempio della capacità di Palladio di ricomporre in forma monumentale edifici preesistenti e della qualità urbanistica dei suoi interventi. Il riconosciuto rilievo del valore architettonico dell’edificio risulta esaltato dall’insediamento al suo interno del Centro Internazionale di Studi di Architettura “Andrea Palladio”.
È il risultato di un’operazione di rinnovamento e unione in forme classiche attuata su due distinti edifici ed esemplifica la capacità di rinnovo dell’immagine urbana operata da Palladio.
Il Palazzo rappresenta una delle prime opere della città su cui Palladio ha lavorato, attraverso l’intervento, a lui attribuito, nel corpo centrale dell’edificio. L’operazione denota già la capacità dell’architetto di rinnovare la scena urbana con proposte innovative.
I lavori per la radicale rielaborazione del Palazzo cominciarono nel 1542 e viene avanzata l’ipotesi di un coinvolgimento dell’architetto Giulio Romano, che in quegli anni si trovava a Vicenza. Essendo Giulio Romano morto nel 1546, va riconosciuta a Palladio la geniale capacità di far rientrare la costruzione entro i precisi parametri del suo stile smorzando i caratteri spesso esuberanti di Giulio Romano e conferendo l’inconfondibile equilibrio e la serena compostezza che caratterizzano l’insieme.
Il Palazzo costituisce una delle prime realizzazioni palladiane compiute dopo il soggiorno romano del 1541; se ne riconoscono gli effetti nell’influsso della visione bramantesca con l’ordine architettonico sovrapposto al piano terra bugnato e in una concezione più grandiosa e monumentale manifestata in particolare nell’atrio a quattro colonne, cui Palladio ricorre qui per la prima volta.
Logge del Palazzo della Ragione (Basilica Palladiana)
Il principale edificio pubblico di Vicenza è costituito dal nucleo interno quattrocentesco attribuito a Domenico da Venezia, e dal doppio ordine di logge di invenzione palladiana, tuscaniche al piano terra e ioniche al primo, che fasciano l’edificio su tre lati lasciando emergere la parte sommatale dei muri decorati a losanghe e la grande copertura a carena di nave. Il duplice loggiato palladiano, articolato da semicolonne addossate a pilastri in nove campate sui lati lunghi e cinque su quello minore, è costituito dalla reiterazione del motivo della serliana.
Loggia del Capitaniato
Il progetto delle Logge del Palazzo della Ragione e della Loggia del Capitaniato rappresentano i due fondamentali interventi architettonici palladiani che connotano l’immagine del principale spazio pubblico della città di Vicenza, la Piazza dei Signori, qualificandone in misura straordinaria il valore urbanistico e simbolico quale centro del tessuto cittadino e luogo identificativo dell’identità urbana.
Il Palazzo rappresenta una tappa fondamentale nella produzione architettonica palladiana e risente delle ultime esperienze romane dell’architetto, dopo che all’entusiasmo per l’antichità classica e per le forme moderne del primo Cinquecento subentra in lui la tendenza a rielaborare forme della tarda romanità e del Manierismo.
Realizzato tra il 1562 e il 1593, il Palazzo costituisce un altissimo esempio del linguaggio cinquecentesco impostato a Vicenza dalla lezione di Andrea Palladio. Se la progettazione dell’edificio è sicuramente palladiana, il completamento venne realizzato con l’intervento di Vincenzo Scamozzi. Il nome del Palladio è legato al luminoso prospetto principale e alla doppia loggia del cortile.
Questo edificio è uno fra i più sorprendenti del repertorio palladiano, con l’altissimo basamento, le grandi semicolonne sporgenti oltre il diametro, la trabeazione fortemente articolata, la forma a esedra del cortile, purtroppo non realizzato, pur nella sua incompletezza rappresenta una delle testimonianze più eloquenti della drammatica visione proposta dall’architettura di Andrea Palladio nella sua fase più tarda.
Il Palazzo è stato concepito da Palladio con una veste architettonica non consueta per una residenza di città; si caratterizza per il carattere aperto e arioso, quasi da villa marittima antica. Tale configurazione rivela una sapiente interpretazione del contesto ambientale in cui il palazzo sorge: la piazza antistante costituiva il porto fluviale della città. Il palazzo assumeva, quindi, un importante significato urbanistico, quale quinta architettonica che avrebbe fatto da sfondo al principale approdo fluviale della città, presentandosi come un manifesto del programma di rinnovamento urbano avviato in città con l’attività di Palladio.
Teatro Olimpico
La costruzione del Teatro Olimpico compiva l’ispirazione umanistica di realizzare un teatro stabile ispirato alle grandi strutture teatrali dell’antichità classica. Lo spazio del teatro è composto da una cavea semiellittica inscritta in un rettangolo schiacciato, e da un imponente proscenio rettangolare di minore larghezza che la fronteggia, dai cui ingressi si dipartono a raggiera sette scene lignee prospettiche. Le scene in prospettiva sono realizzate in legno e stucco dipinti e sono opera dell’architetto Vincenzo Scamozzi.
L’arco fu costruito nel 1595 sulla base di un disegno che Palladio realizzò nel 1576 ed è testimone prezioso dell’attività dell’architetto quale allestitore di percorsi trionfali su precise reminescenze di romana classicità: infatti costituisce l’inizio di quella che fino al secolo XVIII era la principale via di accesso, tramite la lunga gradinata delle “scalette”, al frequentatissimo Santuario della Madonna di Monte Berico.
I caratteri stilistici e compositivi della facciata presentano molte analogie con i disegni giovanili di Palladio. Si potrebbe trattare, dunque, di un’opera degli anni quaranta del Cinquecento quando l’architetto sperimentava il tema della serliana ed era fortemente influenzato dall’architettura bramantesca e raffaellesca a seguito del primo viaggio a Roma nel 1541.
Il Palazzo è un interessante esempio di ristrutturazione in forme tipiche del classicismo palladiano su una fabbrica preesistente. L’impronta del palladio si può riconoscere non solo nei capitelli corinzi e nelle balaustre dei poggioli ma anche nell’impostazione generale, nella modulazione dei rapporti tra piano terra e primo, nella disposizione delle pietre delle bugne al piano terra e nella stesura della trabeazione.
È un edificio rinnovato sui modi tipici del classicismo cinquecentesco, inserito entro un contesto urbanistico preesistente senza soluzione di continuità. La facciata purissima, la parete tra le lesene corinzie, la gabbia e il plastico rilievo dei fusti, sono elementi facilmente riconducibili al linguaggio stilistico dell’ultima fase palladiana.
Chiesa di S. Maria Nova
È molto probabile che la chiesa sia frutto di un progetto palladiano redatto intorno al 1578 e realizzato dopo la morte dell’architetto. Rappresenta l’unica fabbrica religiosa, esclusa la cappella Valmarana, progettata da Andrea Palladio ed edificata a Vicenza.
L’opera fu voluta da Leonardo Valmarana, il cui nome si legge nell’iscrizione sull’architrave della loggia, ed è situata all’interno del giardino Valmarana-Salvi. La loggetta testimonia il precoce influsso esercitato dal magistero palladiano sull’ambiente culturale di Vicenza.
Rappresenta, insieme a Palazzo Poiana, un esempio caratteristico delle soluzioni palladiane per i palazzi di città, impostate sul piano terra a bugnato e un soprastante ordine gigante che abbraccia primo e secondo piano.
Cupola della Cattedrale
La cupola sovrasta l’abside della Cattedrale, è in muratura con l’estradosso, la lanterna e il capolino coperti da lastre di rame. La realizzazione si propone come concreta esemplificazione del modello ideale di cupola di concezione palladiana, ispirata alla cupola del Pantheon o a quella da lui immaginata per il tempio del divo Romolo.
Portale Nord della Cattedrale
È costituita da un’intelaiatura a edicola inquadrata da lesene corinzie e coronata da trabeazione con iscrizione nel fregio, entro la quale si apre il vano architravato, con cornice retta da due modiglioni a voluta. Il portale e i capitelli sono in pietra di Vicenza, i pilastri in muratura.
Si tratta di un palazzo a tre piani con semplice facciata senza intelaiatura di ordini. Il palazzo rappresenta, assieme a Palazzo da Monte, un esempio tipico di progettazioni giovanili palladiane nella fase iniziale di studi relativi al tema del palazzo di città.
Cappella Valmarana nella Chiesa di Santa Corona
La cappella venne progettata nel 1576 da Palladio per Antonio Valmarana, ispirata ai monumenti funerari romani, e presenta molte analogie con quelle della chiesa del Redentore a Venezia. L’impronta palladiana è evidente nell’articolazione dello spaio della cappella, dilatato dalle due absidi laterali secondo un’impostazione rigorosamente geometrica, e nell’eleganza dell’edicola con timpano triangolare, di notevole valore architettonico.
Profinet (acronimo per Process Field Net) è uno standard industriale per la comunicazione di dati su Industrial Ethernet, sviluppato per la raccolta di dati e il controllo da dispositivi elettronici, con particulare attenzione alla realizzazione di condizioni molto strette per quanto riguarda le richieste real-timee (nell'ordine del milleisecondo o meno).[2] Lo standard è mantenuto e sostenuto da Profibus & Profinet International, una organizzazione la cui sede centrale si trova a Karlsruhe, in Germania.
Technology
[modifica | modifica wikitesto]Three protocol levels are defined:
- TCP/IP for non time-critical data and the commissioning of a plant[3] with reaction times in the range of 100 ms
- RT (Real-Time) protocol for PROFINET IO applications[3] up to 10 ms cycle times
- IRT (Isochronous Real-Time) for PROFINET IO applications in drive systems[3] with cycles times of less than 1 ms
The protocols can be recorded and displayed using an Ethernet analysis tool such as PRONETA[4] or Wireshark.[3]
Benedetto Adinolfi (1xxx – 1xxx) è stato un pittore italiano.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]Alessandro Salucci (Firenze, 1590 – 1660 ca.) è stato un pittore italiano.
Life
[modifica | modifica wikitesto]In 1648, Paul Strudel was born, as would be his younger brothers, Peter and Dominik, in Cles in the Val di Non in the County of Tyrol, where his father Jakob worked as a sculptor.[5] Paul learned with his father and with Johann Carl Loth in Venice.[5] In 1684, he came to Vienna, where he made three statues for the Prince of Liechtenstein; his high remuneration caused the envy of his German colleagues at that time.[5]
Paul Strudel came in 1686 to the Hofburg court in Vienna and obtained employment as a Court painter. [6] Mostly he co-operated with his brother Peter Strudel. His work marks the transition of Austria to the high baroque; however, Strudel captured the style of Gian Lorenzo Bernini.[6]
The most important works of Paul Strudel are the large statues from white marble for the ancestor gallery of the Habsburgs.[5] In 1696, he received the statuary order from Emperor Leopold I, on the condition to deliver, every three years, two figures. Up to his death, he had delivered 16 figures: the remaining 15 (of the total 31) statues were created by his younger brother.[5]
Strudel was responsible for overseeing the design and construction of Vienna's Plague Column from 1686 until its completion in 1693.[6] He was also commissioned by the prince of Liechtenstein, Prince-Bishop Karl Eusebius von Liechtenstein, to create some monumental statues for his Moravian palaces in Valtice and Lednice.[5]
Due to changing tastes in art during the early eighteenth century, it was not possible for the Hofburg Court Architect Giovanni Pietro Tencalla (de:Giovanni Pietro Tencalla) to introduce Paul Strudel (or his brother Peter) as his successor.[6] The German building master Johann Lucas von Hildebrandt from Genoa was preferred over the Strudel brothers.[6]
At the age of approximately 60 years, Paul Strudel died on 20 November 1708 in Vienna.[6]
Works
[modifica | modifica wikitesto]- 1699 – Statues of the Habsburg rulers in the dome area of the Imperial Library, Hofbibliothek.
- 1700 – Statues of the Habsburg rulers in Schloss Laxenburg.
See also
[modifica | modifica wikitesto]- Hofburg Imperial Palace - describes buildings with statues by Paul Strudel.
Notes
[modifica | modifica wikitesto]- ^ (EN) Descrizione ufficiale, su UNESCO, 22 febbraio 2018. URL consultato il 22 febbraio 2018..
- ^ Archived copy (PDF), su w3app.siemens.com. URL consultato il 10 marzo 2015 (archiviato dall'url originale il 2 aprile 2015).
- ^ a b c d Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore
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- ^ http://w3.siemens.com/mcms/automation/en/industrial-communications/profinet/productportfolio/proneta/Pages/proneta.aspx
- ^ a b c d e f Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore
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: non è stato indicato alcun testo per il marcatoreStrudelLMN
- ^ a b c d e f Translated from German Wikipedia article: de:Paul Strudel.
References
[modifica | modifica wikitesto]- Vest, Manfred: The Strudel Brothers: Court artist and founder of the Viennese academy of arts, Innsbruck: Tyrolia, 1993, ISBN 3-7022-1830-0.
MONDINO DA CIVIDALE
[modifica | modifica wikitesto]MONDINO da Cividale. – Nacque a Cividale tra il 1275 e il 1280.
Il padre, il magister Guglielmo da Bergamo, come molti altri lombardi, era giunto in Friuli al seguito del patriarca Raimondo Della Torre. Stabilitosi a Cividale, sposò Osanna di Dionisio del fu Nicoluccio di Nodino, con la quale, oltre a M., ebbe due figlie. Guglielmo morì il 14 sett. 1300, come riportato nel libro degli anniversari del convento di S. Domenico di Cividale.
Dopo la scomparsa del padre, M. decise di trasferirsi presso lo Studio patavino per completare la sua formazione: in questo periodo molti giovani friulani intraprendevano la stessa strada, favoriti dalla presenza a Padova di Pagano Della Torre (nipote di Raimondo e un tempo decano di Aquileia), dal 1302 vescovo della città e cancelliere dello Studio, che continuava a mantenere strettissimi rapporti con il Patriarcato. Nel 1305 M. risulta essere ancora studente. Due anni più tardi cominciò a insegnare physica presso lo Studio patavino, come dimostra la sua presenza al dottorato in medicina del polacco Aimerico. Suoi colleghi erano Pietro d’Abano e Dino Del Garbo. Nello stesso periodo M. intrattenne buone relazioni anche con altri friulani trapiantati a Padova, come il professore di logica Pace da Gemona.
Nel 1308 ritornò temporaneamente a Cividale per dirimere alcune questioni sorte in merito all’eredità paterna con la madre e le sorelle e, probabilmente, per prendere moglie. La sua scelta cadde sulla conterranea Mattiussa, figlia di Pellegrino del fu Giacomo da Chiavris. La famiglia della sposa, trasferitasi a Cividale da un paio di generazioni, era una delle più importanti della città ducale: il padre di Mattiussa, Pellegrino, esercitava la professione di notaio; i suoi zii Giovanni e Lorenzo, medico, erano canonici di Aquileia e di Cividale, e tra i principali collaboratori della curia patriarcale. Il matrimonio di M. con Mattiussa denota la crescente considerazione di cui egli godeva in Friuli, terra alla quale rimase legato anche negli anni successivi, pur recandovisi solo saltuariamente.
Tornato a Padova, M. continuò la sua attività d’insegnamento presso lo Studio, integrandosi pienamente nel tessuto sociale della città, favorito in questo anche dal rapporto di stima e collaborazione con il vescovo Pagano. Nel febbraio 1314 fu incaricato dal canonico Ermanno di Buttrio, suo conterraneo, di richiedere un parere al giureconsulto Taddeo Pocaterra, che insegnava a Padova. Due anni più tardi lo stesso canonico fece nuovamente ricorso a M. per riscattare da Pocaterra un suo libro di Decretali. Questi documenti sembrano aprire uno spiraglio su interessi poliedrici di M., sebbene l’arte medica rimanesse al centro della sua attenzione.
Nel 1316 terminò il commento al primo libro del Canone di Avicenna, opera che a Padova godeva già di una lunga tradizione di studio. Essa si rivela, infatti, come una delle fonti principali della Chirurgia magna (1252) di Bruno da Longobucco e del De conservatione sanitatis (ante 1298) di Zambonino da Gazzo, professori a Padova nel XIII secolo. Anche Pietro d’Abano e Dino Del Garbo si erano occupati in passato del primo libro del Canone. Nessuno di loro però aveva operato un commento sistematico, come quello di M., che nella stesura del testo fu sicuramente rassicurato dalla presenza e dal sostegno dei più anziani colleghi.
Il commento al primo libro del Canone di M. è tradito da un unico testimonio cartaceo, risalente alla seconda metà del XV secolo (El Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo, Mss., K.I.2). Nella sottoscrizione M. afferma che il suo commento è super totum primum canonem, cioè su tutte e quattro le fen che lo compongono. In realtà il testimonio non presenta la prima fen, che al momento è ritenuta perduta. In più punti dell’opera M. si riferisce al proprio lavoro come a una expositio brevis: tale definizione si adatta perfettamente al commento delle fen II e III – dove la brevità sembra legata alla facilità del testo e alla conseguente eliminazione di alcuni capitoli ritenuti secondari – non altrettanto alla fen IV (De divisione modorum medicationis secundum egritudines universales), a cui il M. dedica lo spazio maggiore. La sua scelta sembra corrispondere a consuetudini consolidatesi negli anni all’interno dello Studio padovano, ma è legata anche alla possibilità per M. e per i suoi studenti di ricorrere ai Synonima (1296) di Simone da Genova, a cui M. spesso rimanda per risolvere eventuali dubbi interpretativi. Per quanto riguarda le fonti utilizzate, frequenti sono i rimandi all’Articella, che M. dimostra di conoscere molto bene. Da una prima analisi del testo condotta da Pesenti emergono citazioni da diverse opere di Galeno, tra cui molte di quelle prescritte per il curriculum medico a Montpellier nel 1309 (Tegni, De complexionibus, De medicinis simplicibus, De morbo et accidenti, De crisi, De ingenio sanitatis). M. aveva a disposizione anche altre opere e traduzioni di Galeno, in uso a Bologna sin dal secolo precedente (Terapeutica, De interioribus, De regimine sanitatis, De elementis, De naturalibus virtutibus) e dimostra di conoscere, oltre ai libri naturales di Aristotele, diversi autori arabi ed ebrei, come Averroè, ‘Ali ibn al-‘Abbas, Maimonide.
Dopo il 1316 M. acquisì la cittadinanza padovana: nel 1320 abitava in una casa presso porta S. Giovanni delle Navi, dove risulta risiedere ancora nel 1327. Probabilmente nel 1321 terminò la sua epitome ai Synonima di Simone da Genova, come gli era stato chiesto dallo Studio patavino, che aveva bisogno di uno strumento di agile consultazione per un’opera di medicina pratica. I Synonima con i loro 6500 lemmi ordinati alfabeticamente, ricavati da autori classici e arabi e arricchiti dalle conoscenze botaniche, farmaceutiche e mediche dell’autore, non presentavano di certo il carattere di brevitas richiesto. M. ridusse, quindi, l’opera a un glossario, dove ogni lemma presenta solo il suo significato immediato: aggiunge, inoltre, alcune parole relative alla misurazione del peso e al condimento dei cibi e altre ricavate dal primo libro del Canone, da lui commentato.
L’epitome ai Synonima di Simone da Genova, considerata un tempo l’unica opera conosciuta di M., presenta una tradizione manoscritta più ricca di quella del commento al primo libro del Canone di Avicenna. Testimoni sono oggi conservati nella Biblioteca apost. Vaticana (Pal. lat. 1100), All'Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo (A.IV6) e a Parigi, Bibliothèque nationale (Fonds lat. 7057).
A M. sono probabilmente da attribuire altre due opere, su cui però non tutti gli studiosi sembrano essere concordi. Per la prima, De accidentibus, si rimanda al manoscritto del XVI secolo conservato a Padova, Biblioteca universitaria, Mss., 1933. Della seconda, Physiognomica, rimangono oggi solo la citazione del titolo e l’indicazione che una copia dell’opera è andata distrutta durante l’incendio della biblioteca di S. Antonio Abate a Castello.
Nel 1328 M., artis medicinalis professor, fece redigere le sue ultime volontà. Non si conoscono le motivazioni di questa decisione. Il testamento offre alcune notizie interessanti sulla sua famiglia. Morta, infatti, la moglie Mattiussa, che gli aveva dato diversi figli, M. si era risposato con la padovana Bartolomea di Scaltenigo, mentre la figlia Chiara era monaca nel monastero di S. Pietro a Padova. L’11 nov. 1329 morì a Cividale la madre di M., Osanna. La presenza di M. in Friuli, nel corso del 1329, potrebbe essere collegata proprio alla scomparsa della madre.
M. morì poco prima del 1340, anno in cui la vedova Bartolomea chiese la tutela dei due figli avuti con lui, e il figlio maggiore Giacomo Michele fu investito, insieme con i suoi fratelli, di una decima detenuta in passato dal padre.
L’opera di M. sia nei suoi aspetti esegetici sia in quelli più propriamente pratici, segna profondamente la medicina padovana del primo Trecento, rivelando come in questo periodo anche lo Studio veneto rientrasse a pieno titolo nella stessa prospettiva innovatrice che, attraverso la riflessione sul Canone, animava la ricerca e lo studio di Università come Montpellier, Parigi e Bologna.
Fonti e Bibl.: Monumenti dell’Università di Padova, a cura di A. Gloria, I-II, Padova-Venezia 1884-88, pp. 438-441, 708; Le note di Guglielmo da Cividale (1314-1323), a cura di L. Gianni, Udine 2001, pp. 103 s.; I libri degli anniversari di Cividale del Friuli, I-II, a cura di C. Scalon, Udine 2008, pp. 683, 723; F.M. Colle, Storia scientifico-letteraria dello Studio di Padova, IV, Padova 1825, pp. 156-161; V. Joppi, Notizie e documenti su M. da C., Udine 1873; C. Scalon, Produzione e fruizione del libro nel Basso Medioevo. Il caso Friuli, Padova 1995, pp. 74 s., 157 s.; T. Pesenti, Studio dei farmaci e produzione di commenti nell’Università di arti e medicina di Padova nel primo ventennio del Trecento, in Annali di storia delle università italiane, III (1999), pp. 61-78; S. Bortolami, M. da C., professore di medicina, in Nuovo Liruti, I, Il Medioevo, a cura di C. Scalon, Udine 2006, pp. 551-553.
Elenco dei siti [1]
[modifica | modifica wikitesto]Nazione | Serial ID Number | Nome | Località | Coordinate | Area (Ha) | Zona di cuscinetto (Ha) |
---|---|---|---|---|---|---|
Francia | 1321-001 | Maison La Roche et Janneret | [[ ]] | 48°51′06.696″N 2°15′55.26″E | 0.097 | 13.644 |
Svizzera | 1321-002 | Petit villa au bord du lac Léman | [[ ]] | 46°28′06.29″N 6°49′45.61″E | 0.04 | 5.8 |
Epitada (Epitadas, ?p?t?da?), figlio di Molobro, fu un militare spartano, comandante dei 420 lacedemoni que van quedar bloquejats a l'illa Esfactèria el setè any de la guerra del Peloponès (425 aC). Va exercir el comandament amb habilitat i prudència i va morir combatent una mica abans que l'illa es rendís.
- Antonio Cocco - arcivescovo di Corfù - da [3]
- Ercole Francesco Dandini da DBI
Ercole Francesco Dandini (16xx – Padova, 17xx) è stato un letterato italiano.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Gianfranco Formichetti, DANDINI, Ercole Francesco, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 32, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1986. URL consultato il 17 marzo 2017.
- Grifo di Tancredi --> [4]
- Gennaro vescovo di cagliari -- [5]
- finire Pietro Capuano
- finire Pier Maria Pennacchi
- Antonio da Padova (pittore) da [6]
- nicolaismo
- Friedrich Pacher da Boschesi
Giovan Giacomo Pandolfi da Diz Bio
- Finire Domenico Panetti da grombich
- Étienne Delaune da Wiki francese
- René Boyvin da Wiki francese
- Finire Paolo Cadamosto
- Finire Henry L. Stimson da Boschesi
da Boschesi Hastings Lionel Ismay
John Timothy McNicholas da inglese
fr:Jean Bouhier (évêque) en:Hendrick van Balen the Younger
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- DANDINI, Ercole Francesco, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 25, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1981. URL consultato il 17 marzo 2017.
- Simon Langham
- Grifo di Tancredi --> [8]
- Gennaro vescovo di cagliari -- [9]
- finire Pietro Capuano
- Antonio da Padova (pittore) da [10]
- nicolaismo
- Friedrich Pacher da Boschesi
Giovan Giacomo Pandolfi da Diz Bio
- Finire Domenico Panetti da grombich
- Étienne Delaune da Wiki francese
- René Boyvin da Wiki francese
- Finire Paolo Cadamosto
- Finire Henry L. Stimson da Boschesi
- Guido Rampini da Boschesi e Anpi
fr:Jean Bouhier (évêque) en:Hendrick van Balen the Younger
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Priore della chiesa di Terni, fu nominato vescovo della diocesi di Terni il 30 agosto 1316 e ricevette la convalida papale il 7 settembre successivo, con una bolla nella quale papa Giovanni XXII lo autorizzava a considerarsi confermato nella carica dalla data di elezione, non riconosciuta immediatamente dalla Sede Apostolica soltanto perché essendo stato il pontefice coronato il 5 settembre, prima di quella data non avrebbe potuto far uso di una bolla integra, come di consuetudine della cancelleria pontificia. Nello stesso senso Giovanni XXII scriveva al capitolo e ai fedeli della Chiesa di Terni, definendo ancora Andrea come electus Interamnensis e Andrea è sempre citato in una lettera del 20 aprile 1319, dove il papa comunica al clero ed al popolo di Terracina di averlo trasferito a quella sede, soggetta direttamente alla Sede apostolica.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Ovidio Capitani, ANDREA, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 3, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1961.
NDREA.
priore della Chiesa di Tenú, fu eletto di quella il , ma . Nello stesso senso Giovanni XXII scriveva al capitolo e ai fedeli della Chiesa di Terni. Ancora come " electus Interamnensis" A. è menzionato in una lettera del 20 apr. 1319 in cui Giovanni XXII comunica al clero ed al popolo di Terracina di aver trasferito A. alla sede terracinese, soggetta direttamente alla Sede apostolica. Del 25 nov. 1319 è la lettera "testimonialis" della consacrazione di A. a vescovo di Terracina. Il 2 ott. 1321 A. veniva creato vicario in spiritualibus del papa e gli si affidava il compito di inquisire e provvedere, nel caso fosse stato necessario, alle azioni correttive richieste dallo stato del monastero di S. Paolo fuori le Mura, senza però scomunicare l'abate. A. riceveva l'8 dic. 1321 l'incarico di annunciare ai fedeli della diocesi di Terracina e ai Romani che veniva concessa l'indulgenza solitamente accordata a coloro che partivano per la Terra Santa a tutti quelli che avessero combattuto contro i Recanatesi ribellatisi alla Chiesa. Della normale amministrazione dei vicariato di A. sono testimonianza numerose lettere di Giovanni XXII: del 27 sett. 1322 per il conferimento di un canonicato a Lorenzo "quondam Processi de Urbe"; per lo stesso motivo, in favore di Angelo "de Bissiano", del 26 ott. 1322 ed in favore di Orso di Francesco Anguillara, del 10 febbr. 1323; il 10 apr. 1323 riceveva l'ingiunzione di riportare all'obbedienza verso il vescovo di Viterbo e Toscanella Angelo i fedeli di Montalto di Castro, incitati alla sedizione dal vescovo di Castro. Il 13 giugno 1323 A. riceveva l'ordine di assolvere Poncello Orsini, vicario di re Roberto a Roma, dalla scomunica in cui era incorso per aver fatto arrestare un abate che si rifiutava di rivelare chi avesse arrecato delle molestie e offese allo stesso Poncello e per aver fatto morire tra i tormenti un ecclesiastico, accusato di numerose malefatte. Dal 13 apr. al 16 sett. 1323 A. riceveva comunicazione del conferimento di vari canonicati a Pietro "filio Manni de S. Gemino", a Pietro "Alexii de Urbe", ad Annibaldo "de Ceccano"; il 23 ottobre di quell'anno fu nominato insieme con il vescovo di Viterbo, Angelo, giudice conservatore per la chiesa di S. Lorenzo in Damaso. Fu incaricato di confermare la elezione di Agnese a badessa del monastero di S. Agnese fuori le Mura il 16 dic. 1323; il 28 marzo 1324 riceveva l'ordine di pubblicare la scomunica lanciata contro Ludovico il Bavaro ed i suoi seguaci. Il 31 genn. 1325 A. era ancora vicario in spiritualibus del papa, in quanto riceveva l'ingiunzione di destinare tutti i proventi e le oblazioni dell'altare maggiore di S. Paolo fuori le Mura all'esecuzione del mosaico sulla facciata della chiesa omonima. Il 14 febbr. 1325 sottentrava ad A. nella carica di vicario Angelo vescovo di Viterbo: se A. a quella data fosse morto è difficile dire con sicurezza. Successore sulla cattedra di Terracina fu creato Sergio Peronti il 21 maggio 1326.
Chiesa di Aquileia
[modifica | modifica wikitesto]Professou na ordem dos Pregadores em julho de 1528, no mesmo ano que os religiosos do Convento de Aveiro enterraram Frei Duarte Nunes, bispo de Laodiceia, que foi para a Índia, primeiro bispo que depois do descobrimento da Índia, passou o Cabo de Boa Esperança.[1] Bom religioso, estudou filosofia e teologia, com fama de hábil, fama que conservou por todas as casas religiosas em que morou agradando aos prelados com humildade, e sujeição, e aos súbditos seus iguais com mansidão, e prudência.[1]
Como era conhecido por estas qualidades acompanhou o bispo das ilhas dos Açores Dom Frei Jorge de Santiago, religioso da mesma Ordem, que lhe ofereceu o seu Bispado. Regressou a Lisboa em 1557, sendo-lhe proposto o bispado de Malaca do qual foi instituído no Domingo de Ramos de 1558, na Igreja de São Domingos de Lisboa.[1]
Viajou junto com Dom Jorge Temudo, bispo de Cochim, na nau Algaravia, comandada por Francisco de Sousa, na Armada comandada por Pero Vaz de Siqueira.[2] Chegou a Goa, onde a príncipio teve cólera e foi tratado por Garcia da Orta.[2] Como a Diocese de Goa estava em sede vacante, por ordem do Rei Dom João III, nela assistiu por quatorze meses até ser substituído por Dom Gaspar Jorge de Leão Pereira, primaz da Índia, embarcando de seguida para Malaca. Em Malaca permaneceu cerca de dez anos tendo fundado a Confraria da Senhora do Rosário com irmãos malaios, passando por Cochim e voltado a Goa onde ingressou no Convento. Em Goa, assistiu ao cerco da cidade por Hidalcão, onde incentivou espiritualmente na vitória do vice-rei D. Luís de Ataíde.[1]
Faleceu em Goa em 18 de janeiro de 1579.[3]
Ao Convento de Nossa Senhora da Misericórdia de Aveiro, como casa que respeitava e reconhecia por mãe legou grandes esmolas, entre estas 3000 cruzados empregues num precioso paramento, hoje no espólio da Catedral de Aveiro, que tomou por sede a igreja do extinto Convento. Auxiliou também com avultadas esmolas Frei Francisco Foreiro, fazendo-o fundador do Mosteiro dominicano de São Paulo de Almada.
Grotta di Altamira e arte rupestre paleolitica della Spagna settentrionale
[modifica | modifica wikitesto]Sotto il nome di Grotta di Altamira e arte rupestre paleolitica della Spagna settentrionale sono raggruppate una serie di 18 grotte situate in varie province della Spagna settentrionale, che assieme costituiscono l'apogeo dell'arte rupestre paleolitica in Europa tra il 35.000 e l'11.000 a.C..
Dal 2008 gli insediamenti sono inseriti nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
Elenco dei siti [2]
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La villa fu realizzata intorno alla metà del Cinquecento per conto di Francesco Pisani ed è attribuita al padovano Andrea da Valle (in precedenza era stata attribuita ad Andrea Palladio, che in quel periodo era impegnato nella realizzazione della Villa Pisani a Montagnana)[3]. La presenza di da Valle è documentata a Monselice attorno al 1559 per lavori al convento di San Giacomo. Conserva al suo interno pregevoli affreschi attribuiti a Giovanni Battista Zelotti. L'edificio, utilizzato come sede di manifestazioni culturali, ospita il lapidario romano monselicense.
Note
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]Da DBI
San Pietro Travesio
[modifica | modifica wikitesto]Chiesa parrocchiale di San Pietro si trova a Travesio, comune in provincia di Pordenone. La pieve di Travesio è antica ed era una delle più vaste della Diocesi. Non si conosce la data di fondazione, ma viene citata per la prima volta in una bolla redatta in Anagni il 27 settembre 1174 da Papa Alessandro III. Ulteriori citazioni sono presenti nella bolla del 1187 di Urbano III e in quella del 9 febbraio 1196 di Celestino III. La chiesa, che ne era la sede, fu rimaneggiata più volte e pesantemente nel Settecento, se il 17 novembre 1776 vi fu da parte del Vescovo di Concordia Giuseppe Maria Bressa la riconsacrazione dell’edificio. Meno di un secolo più tardi, il 17 gennaio 1841, il vescovo Carlo Fontanini emise un decreto per la sospensione degli uffici religiosi e di culto presso la chiesa, perché pericolante. Questa venne riedificata tra il 1843-57, ampliando l’originale creando due navate laterali, inglobando il coro e l’abside della vecchia chiesa e dandole uno stile neoclassico. Nel 1870 un decreto del Vescovo Nicolò di Frangipane attribui il titolo arcipretale al pievano di Travesio. Di stile neoclassico, conserva due portali laterali dei primi decenni del Cinquecento, intagliati secondo la scuola di Giovanni Antonio Pilacorte. All’interno due opere di Giovanni Antonio Pilacorte: il portale che da alla sacrestia, già porta principale della chiesa, datato 1484, con pregevoli intagli negli stipiti e l’Annunciazione sull’architrave: rappresenta il primo lavoro eseguito in Friuli dall’esimio artista. Di rilievo, anche un Padre Eterno e soprattutto il bel fonte battesimale sorretto da tre puttini con cembalo, opera degli anni 1485-90 c. L’altare marmoreo nel coro, con le statue dei Ss. Pietro e Paolo, è opera di Francesco Sabbadini (1750-1761). Ma la chiesa di San Pietro in Travesio ha nelle decorazioni pittoriche di notevole pregio il suo gioiello migliore. Si tratta dello splendido ciclo di affreschi di Giovanni Antonio de Sacchis detto il Pordenone, uno dei più importanti dell’artista, che ricopre la volta e le pareti. L’esecuzione si svolse in due periodi: nel 1516-17 il pittore affrescò la volta, mentre tra il 1525-26 le pareti. Essi illustrano storie della vita di San Pietro, tra cui, nel soffitto, Pietro accolto in cielo. Inoltre storie di S. Paolo, con la folgorazione sulla via di Damasco, ed episodi del vecchio e nuovo testamento, con figure di Santi e putti. Nel sottarco figure femminili allegoriche: Prudenza, Temperanza, Carità, Fede, Giustizia e Fortezza. La pala dell’altar maggiore è di Pomponio Amalteo ed è anch’essa di notevole interesse. Realizzata nel 1537, raffigura la Madonna del Rosario e i Ss. Sebastiano, Rocco, Antonio Abate. Su altro altare della chiesa di San Pietro troviamo una pala dedicata alla Madonna del Rosario, opera di Gaspare Narvesa.
da tradurre da wiki inglese
Andrea Loredan (Venezia, circa 1455) è un politico italiano, al tempo della Serenissima Repubblica di San Marco.
LOREDAN, Andrea. - Nacque a Venezia nel 1455 circa da Francesco di Giovanni e da Lodovica di Marsilio da Sant'Ippolito originario di Corfù (matrimonio celebrato nel 1455).
I genitori ebbero solo figli maschi: oltre al L., Antonio e Giacomo, come attestato dalla lapide in memoria della madre nella chiesa di S. Andrea della Zirada e da M. Sanuto, ambedue validi elementi dell'armata navale veneziana, e Luca, nato nel 1471 circa e approvato nel 1491, accorso spontaneamente in difesa della città di Padova nel 1509 nel corso della guerra di Cambrai.
Il L. fu approvato in avogaria di Comun nel 1474 ed entrò così a far parte del Maggior Consiglio della Serenissima. L'unica carica a cui sembra fosse eletto, il 18 ag. 1489, prima delle gloriose imprese marittime, fu quella di camerlengo di Comun, per svolgere funzioni di tesoreria generale per le casse statuali. Lasciò anzitempo questo incarico poiché fu eletto, il 18 apr. 1490, capitano delle galee di Romania al posto di Marco Correr. Cicogna lo riporta invece come capitano da Mar, inviato a osservare le mosse della flotta turca avvicinatasi a Corfù. Al suo ritorno, il 16 luglio 1491 fu eletto fra i Tre savi in Rialto, ma la sua indubbia capacità come uomo di mare non sfuggì agli organi di governo veneziani, che lo impiegarono con successo in rischiose operazioni.
Il L. godette di ottima fama di capitano giusto, liberale con i galeotti, ma pure severo, non permettendo alcun tipo di eccesso, come il gioco e la bestemmia, sulle sue navi, dando egli per primo il buon esempio ed esigendo dai nobili con lui imbarcati di mantenere le loro cabine in buon ordine e sempre con le porte aperte, affinché tutti i marinai potessero vedere il loro operare. Per queste ragioni fu amatissimo dalla ciurma, che lo seguì nelle difficili imprese contro alcuni tra i più feroci corsari che imperversavano per l'Adriatico e il Mediterraneo.
Nel 1493, quale provveditore di una piccola flotta, non esitò a inseguire il pirata turco Kemal Re'is (Camali) al quale riuscì a sottrarre molte imbarcazioni e un ingente numero distrusse col fuoco; nello stesso anno, presso l'isola di Cefalonia, riuscì a intercettare e catturare la barca di un non meglio identificato "corsaro fiorentino" con a bordo 120 uomini che furono in gran parte impiccati (Cicogna, p. 119). Stessa sorte subirono il celeberrimo corsaro Pietro Biscaglino e i suoi uomini. Nel 1494, in seguito alla cattura e impiccagione fatte eseguire dal L., presso Zante, del pirata Bazuola, la cui flotta batteva bandiera francese, giunse a Venezia un inviato a nome del re Carlo VIII per chiedere il risarcimento di 80.000 ducati per i danni arrecati. Altre vittoriose imprese il L. compì in quegli anni contro i corsari che infestavano le coste della Tunisia, rendendo più sicura la navigazione per i convogli mercantili veneziani.
Nel settembre 1496 fu ancora eletto capitano delle navi armate, in funzione difensiva antifrancese. Il 18 apr. 1497 salpò da Venezia, facendo vela verso l'Istria su una poderosa "barza granda armada" di circa 1200 tonnellate di stazza, con una ciurma di 450 uomini, valenti marinai e combattenti, dotata di più di 400 bocche da fuoco tra cannoni e altra artiglieria, ben fornita di archibugi e vettovagliamenti. Al suo seguito, con un'altra galea, fu inviato Daniele Pasqualigo.
Nell'agosto gli fu ordinato di congiungersi al capitano generale da Mar Melchiorre Trevisan per contenere le azioni ostili dei Turchi che avevano preso la galea grossa di Alvise Zorzi. Il L., inteso che il corsaro Pietro Navarro, che molti danni aveva recato ai navigli veneziani, aveva trovato rifugio con quattro galee nel porto di Roccella Ionica (presso Crotone), rapidamente lo raggiunse con due "grippi" (piccole galee), armato di 300 uomini, e dopo sei ore di feroce battaglia riuscì a ferirlo, a disperdere i suoi compagni e a espugnare la torre; tentò pure di conquistare il castello di Antonio Centilio ma, dopo due giorni di combattimento, il L. ordinò la ritirata, non prima di avere sequestrato tutte le artiglierie nemiche, devastato il contado e incendiato le galee del Navarro. Mentre veleggiava verso Modone, nel settembre il Senato gli impose di tornare in Sicilia.
Nel marzo 1498 gli fu dato ordine di riportarsi verso Levante e il 15 settembre il Senato consentì a lui e al Pasqualigo il ritorno in patria. Giuntovi, il L. si presentò, il 28 dicembre, davanti al Senato, dove presentò un'accurata relazione del proprio operato e ricevette pubbliche lodi dal doge Agostino Barbarigo.
Il 30 giugno 1499 il L. fu eletto provveditore generale dell'isola di Corfù, nel difficile momento che vedeva la Serenissima impegnata, come alleata di Luigi XII di Francia, contro il Ducato di Milano e nel contempo insidiata per mare dalla flotta ottomana, che Bajazet II sembrava dirigere verso Corfù. Il L. accettò l'incarico il 2 luglio, davanti al Collegio che stabilì la sua immediata partenza.
Nella commissione quale provveditore a Corfù, il Senato gli impose di recarsi, con le sue galee, verso l'isola senza effettuare scali e di mettersi immediatamente al servizio di Antonio Grimani, capitano generale da Mar. Al L., conferiti poteri di governo "sì in civile come in criminal", fu inoltre raccomandato il controllo sui suoi sottoposti, affinché non arrecassero alcun disturbo alle popolazioni civili e, nel contempo, di confortare e rassicurare i cittadini circa il sicuro ed efficace intervento difensivo della Serenissima. Quale appannaggio gli furono consegnati 400 ducati d'argento. Gli furono affiancati il valente Marco di Santi, come segretario, e pure Simon di Greci "homo marittimo", che con lui troveranno la morte.
Giunto a destinazione e prese accurate informazioni, il L. comunicò con tempestività che le mire turche non erano dirette a Corfù, bensì a Lepanto. Radunò, quindi, quanti più navigli poté, imbarcandovi anche civili che si erano spontaneamente offerti di seguirlo per difendere l'onore veneziano. Sulla consistenza di questa piccola flotta i cronisti sono discordi: probabilmente era composta di 11 grippi e 4 navi o caravelle, mentre D. Malipiero la vuole di 28 legni con 1000 uomini. Il L. salpò da Corfù senza attendere alcun ordine ufficiale e qualche ritardo si verificò nel sistema di comunicazione. Così il 12 agosto giunse inaspettato a Prodano, dove si era già concentrata la flotta veneziana, in attesa di venti favorevoli per muovere battaglia ai Turchi, approdati al porto della Sapienza (o dello Zonchio). L'incontro con il capitano generale da Mar, Grimani, che il L. andò subito a omaggiare, fu piuttosto teso; il Grimani lo rimproverò di aver lasciato incustodita Corfù, ma consentì che usasse l'imbarcazione a lui più gradita. Immediatamente il L. salì sulla nave "Pandora", ordinando che gli fossero portate le armi: la sua fama era tanta che l'intera armata lo acclamò ritmando il suo nome (Malipiero, p. 177). Allorché il capitano Albano Armer attaccò per primo la più imponente nave turca, il L. lo seguì e le tre imbarcazioni si incatenarono tra loro, iniziando una battaglia che si protrasse per "più de mezo dì". Improvvisamente divamparono le fiamme e per i combattenti non vi fu scampo, senza che alcuna nave veneziana andasse loro in aiuto: "Se allora le sole galie grosse havesseno investido l'armada del Turco, l'haveriano tutta fracassada: tutta la ciurma cridava: addosso addosso; et questi cani de i patroni mai non volsero investir" (ibid.). La notizia della morte da eroe del L. suscitò vivissima emozione a Venezia e l'equivoco comportamento costò al Grimani l'immediata sostituzione e l'arresto al momento dell'arrivo a Venezia (2 nov. 1499).
Sulle circostanze della morte del L., tuttavia, i cronachisti discordano: Malipiero lo vuole fuggito con 80 uomini verso Modone dove, catturato dai Turchi, gli fu salvata la vita perché "cognosuo [riconosciuto] e fo salvà vivo con tre de soi, e scrive de so pugno" (p. 181); Sanuto riporta testimonianze sul suo estremo sacrificio ma anche su una possibile cattura da parte dei Turchi (III, coll. 6, 13-16). Sulla gloriosa fine in battaglia si pronunciano, invece, il Bembo e in particolare il contemporaneo Priuli che, descrivendone gli ultimi istanti nella difficile scelta di morire bruciato o cadere in mano nemica, afferma: "appresso in mano uno stendardo di San Marco, disse: Io sum vixuto et nasuto soto questo vexilio et chussi etiam voglio morir soto questo vexilo, et entrò in el focho, et a questo modo fo la fine di tanto homo che facea tremar tuto levante" (c. 109v).
Nelle genealogie (Priuli e copie più recenti di M. Barbaro) il L. è confuso con un contemporaneo Andrea di Nicolò di Antonio di Daniele, come rilevato in E.A. Cicogna (p. 119); i registri del Segretario alle Voci, Misti, in Arch. di Stato di Venezia, quasi totalmente privi di patronimico, non facilitano la distinzione tra le carriere politiche dei due.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, cc. 343-344; Misc. codd., III, Codd. Soranzo, 32: G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, II, c. 688; Segretario alle Voci, Misti, regg. 6, cc. 11r, 36v, 83v, 143r; 7, c. 44r; SenatoDeliberazioni, Misti, reg. 37, c. 99; Deliberazioni, Secreta, reg. 37, cc. 96v, 99; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 130 (=8613): G. Priuli, Diarii, parte I (1494-1500), c. 109v; G.N. Doglioni, Historia veneziana scritta brevemente…, Venezia 1598, X, p. 505; A.M. Vianoli, Historia veneta, Venezia 1684, II, p. 43; Degl'istorici delle cose veneziane… tomo secondo, che comprende le istorie veneziane latinamente scritte da Pietro cardinale Bembo ecc., V, Venezia 1718, pp. 151 s.; D. Malipiero, Annali veneti dall'anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo, in Arch. stor. italiano, s. 1, 1843, t. 7, parte 1a, pp. 176 s., 181; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, VI, Venezia 1853, pp. 119-125; M. Sanuto, I diarii, I, Venezia 1879, coll. 303 s.; II, ibid. 1879, coll. 865 s., 873, 877, 879, 897, 903; III, ibid. 1880, coll. 6, 13-16, 73, 174, 1444; G. Diedo, Storia della Repubblica di Venezia…, I, Venezia 1751, pp. 343 s.; M.A. Laugier, Histoire de la République de Venise…, VIII, Paris 1766, pp. 113 s.; G. Cappelletti, Storia della Repubblica di Venezia, VII, Venezia 1851, pp. 214 s.; S. Romanin, Storia documentata della Repubblica di Venezia, V, Venezia 1856, pp. 134 s.; L. Fincati, La deplorabile battaglia navale del Zonchio (1499), Roma 1883, pp. 9 s.; G. Cogo, La guerra di Venezia contro i Turchi (1499-1501), in Nuovo Arch. veneto, XVIII (1899), pp. 47-50; M.F. Neff, Chancellery secretaries in Venetian politics and society, 1480-1533, University of California, 1985, pp. 540 s.; R. Zago, Grimani, Antonio, in Diz. biogr. degli Italiani, LIX, Roma 2002, p. 863.
Villa Pisani (Monselice)
[modifica | modifica wikitesto]Villa Pisani ci appare come una villa veneta in piena regola dal punto di vista competitivo ed estetico. In realtà questo edificio è stato voluto da Francesco Pisani come punto di sosta lungo il viaggio via fiume dalle proprietà della Bassa Padovana fino a Venezia. La costruzione attribuita all’architetto padovano Andrea da Valle risale agli anni ’60 del Cinquecento e si compone di due piani, ognuno dei quali composto da un salone centrale e due stanze laterali per lato, con le scale alloggiate in un corpo posto sul lato posteriore. La caratteristica che colpisce di questo luogo è la decorazione: nonostante si tratti di un semplice luogo di passaggio, le pareti conservano ancora numerosi affreschi eseguiti da pittori vicini alla cerchia del Veronese, tra i quali probabilmente Benedetto Caliari e Lattanzio Gambara. La decorazione dei saloni presenta una finta architettura che scandisce un finto paesaggio e, sopra le varie porte, figure femminili allegoriche. Gli affreschi vengono conclusi nella quasi totalità nel 1567, mentre una seconda fase, successiva alla morte di Francesco Pisani, risale al 1580 con il contributo di Benedetto Caliari.