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Il glicocalice, etimologicamente ‘mantello zuccherino’,  è una struttura che ricopre la superficie esterna delle cellule, vincolata alla faccia esterna del plasmalemma.

Costituisce lo strato più esterno della membrana plasmatica della cellula, la quale è costituita da tre tipi di macromolecole: proteine, lipidi e zuccheri, o carboidrati. In particolare gli zuccheri rappresentano circa l’1-2% delle componenti di membrana e si trovano perlopiù associati tramite legami chimici covalenti alle proteine ed ai lipidi, andando a costituire rispettivamente glicoproteine e glicolipidi. La componente zuccherina si trova associata a proteine e a lipidi unicamente a livello del versante extracellulare. L’insieme di tutti i residui zuccherini presenti sul versante esterno della cellula costituisce quindi il glicocalice. Esso può essere più o meno spesso a seconda della cellula.

Le funzioni del glicocalice sono molteplici: Protegge la cellula e fornisce punti di ancoraggio ai recettori per il riconoscimento delle molecole dei loro ligandi. Quindi è fondamentale per la comunicazione e il riconoscimento cellulare. Inoltre le glicoproteine fanno aderire le cellule fra loro (per l’ancoraggio meccanico e la comunicazione reciproca) e fanno aderire la cellula alla matrice extracellulare.

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

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Al microscopio elettronico il glicocalice appare come un materiale amorfo di aspetto granulare (sottile e non compatto) che ricopre completamente la parte superiore del plasmalemma. Nelle cellule degli epiteli assorbenti con microvilli, come quello dell’intestino, esso si estende al di sopra ed in mezzo tra i microvilli, andando a occupare anche lo spazio di circa 20 nm che intercorre quasi sempre tra una cellula e l'altra. In questo tessuto il glicocalice raggiunge un considerevole spessore ed è possibile notare una zona amorfa di circa 20 nm di spessore, che è direttamente in contatto con il plasmalemma e una zona esterna, di eguale spessore, di aspetto filamentoso. Laddove è particolarmente spesso, il glicocalice può essere messo in evidenza anche al microscopio ottico attraverso la reazione PAS, che colora di un tipico rosso magenta i residui zuccherini di una cellula.

Composizione[modifica | modifica wikitesto]

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La parte più esterna del glicocalice è composta prevalentemente da GAG che vanno a coniugarsi con le proteine di membrana formando proteoglicani, mentre la zona amorfa più vicina alla membrana cellulare è costituita da oligosaccaridi ramificati che si legano covalentemente sia alle proteine che ai lipidi di membrana, formando rispettivamente glicoproteine e glicolipidi.

Una caratteristica chimico-fisica importante del glicocalice è quella di possedere, a livello delle catene zuccherine che fuoriescono dalla membrana, uno zucchero particolare, l’ acido sialico: esso è uno zucchero acido, in quanto il carbonio in posizione 6 (C6) possiede un gruppo carbossilico che sostituisce quello ossidrilico: questo dissocia liberando una carica negativa. Essendo il glicocalice esterno alla cellula e contenendo il glicocalice acido sialico dissociato come anione, si avrà che la superficie esterna della cellula sarà carica negativamente. A tale carica negativa contribuiscono inoltre i monomeri zuccherini acidi, es, l’acido glicuronico, dei GAG dello strato più esterno del glicocalice. Maggiore è lo spessore del glicocalice maggiore sarà la carica negativa della membrana.[1]

Funzioni[modifica | modifica wikitesto]

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La componente zuccherina è fondamentale per la membrana cellulare e le sue funzioni.

  • Il glicocalice identifica il tipo di cellula

Le cellule dello stesso tipo si riconoscono tra loro perché riconoscono che hanno lo stesso glicocalice: è quindi la componente zuccherina che consente alle varie cellule di riconoscersi, in quanto essa completa i recettori omotipici di membrana coinvolti nel riconoscimento.[2]

Questo è stato dimostrato attraverso esperimenti su cellule in co-coltura isolate da tessuti diversi: infatti, ponendo assieme in coltura cellule di natura epidermica insieme a epatociti, inizialmente le cellule erano frammiste ma ben presto si separavano in nidi omogenei di cellule dello stesso tipo: epidermiche ed epatiche. Tuttavia, se prima di piastrarle le cellule venivano trattate con enzimi che rimuovevano la componente zuccherina, le cellule non erano più in grado di riconoscersi e la formazione dei nidi omogenei avveniva con considerevole ritardo, necessario alle cellule per ri-sintetizzare il loro glicocalice

  • Adesione cellulare

Molte cellule, ad esempio quelle epiteliali di rivestimento, si uniscono insieme a formare delle lamine che vanno a rivestire le superfici interne o esterne del nostro organismo. Questa lamina deve essere resistente alle varie sollecitazioni: dunque le cellule devono aderire e attaccarsi bene l’una all’altra, affinché non si separino compromettendo la funzione di barriera dell’epitelio. Per questo motivo esistono dei dispositivi, chiamati giunzioni intercellulari, che consentono alle cellule di aderire tra loro. Tali dispositivi sono costituiti da glicoproteine, in cui la loro componente zuccherina contribuisce in modo determinante all’adesione reciproca.[1]

  • Filtro-barriera

Il glicocalice, per la sua peculiare struttura chimica tridimensionale, agisce come una sorta di filtro di superficie che impedisce il passaggio verso i canali ed i trasportatori della membrana di molecole di grosse dimensioni.

Questo è utile negli epiteli assorbenti, come quello dell’intestino, in cui le macromolecole del cibo vengono completamente digerite in monomeri di piccole dimensioni prima che questi possano essere assorbiti dai sistemi preposti del plasmalemma. [3]

  • Assorbimento

Strettamente correlato al concetto espresso in precedenza, Il glicocalice favorisce l’ingresso di determinate molecole piccole all'interno della cellula.[3]

  • Attività enzimatica

Molte glicoproteine di membrana sono anche enzimi capaci di catalizzare determinate reazioni (es. la lattasi dei microvilli delle cellule intestinali che scinde il disaccaride lattosio in glucosio e galattosio): la loro componente glicidica è importante per il riconoscimento ed il legame al loro specifico substrato.[2]

  • Repulsione elettrostatica

In virtù della sua carica elettrica negativa che dipende dalla presenza di zuccheri anionici, il glicocalice è molto importante nei globuli rossi, in quanto genera una repulsione elettrostatica che impedisce la loro agglutinazione. Mancando di un genoma tramite il quale rimpiazzare le loro macromolecole usurate, i globuli rossi vecchi perdono progressivamente il loro glicocalice e divengono appiccicosi, il che consente ai macrogagi della milza di riconoscerli e fagocitarli.

  • Gruppi sanguigni

La componente zuccherina è importante anche per la giusta configurazione antigenica delle molecole che caratterizzano i gruppi sangugni.[2]

Patologie Correlate

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Alcune patologie nell’uomo possono essere dovute ad anomalie nella composizione, nella struttura o nello spessore del glicocalice. In particolare, per via di una riduzione dello spessore del glicocalice è possibile riscontrare malattie a livello del sistema cardiovascolare e dei capillari cerebrali. Il glicocalice è inoltre alterato quantitativamente e qualitativamente in soggetti affetti da diabete o da ipertensione arteriosa. Tuttavia esistono delle terapie volte a ripristinare la quantità fisiologica di glicocalice nella cellula e a prevenire altre eventuali alterazioni.[1]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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  • S. Sabri, M. Soler, C. Foa, A. Pierres, A.-M. Benoliel and P. Bongrand, Glycocalyx modulation is a physiological means of regulating cell adhesion (PDF), in Journal of Cell Science, vol. 113, 2000, pp. 1589-1600

I microtubuli sono strutture intracellulari costituite da una classe di proteine chiamate tubuline. Sono complessi rigidi, labili e polari, formati da eterodimeri allineati in tubuli cavi con un diametro apparente di circa 25 nm. I microtubuli costituiscono, assieme ai microfilamenti e ai filamenti intermedi, il citoscheletro. Come tutti i componenti citoscheletrici, i microtubuli sono primariamente coinvolti nel mantenimento della forma della cellula: inoltre, essi giocano un ruolo importante nel trasporto intracellulare e nella divisione cellulare.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

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Le prime osservazioni dei microtubuli risalgono agli inizi del XX secolo, quando furono osservate strutture filamentose, chiamate col termine generico di fibrillae nei flagelli e nei fusi mitotici; bisognerà attendere però fino al 1953 perché due ricercatori, Eduardo De Robertis e C.Franchi, tramite l'uso dei primi microscopi elettronici, osservino distintamente nell'assonema di fibre mieliniche tali filamenti e, nel 1963, Myron C.Ledbetter e Keith R.Porter approfondirono gli studi affermando l'ubiquità di queste strutture in tutte le cellule eucariotiche e dando una descrizione accurata dei microtubuli, nonché il nome attuale.

Collocazione[modifica | modifica wikitesto]

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I microtubuli sono maggiormente concentrati nella regione centrale della cellula; da qui vanno alla periferia in tutte le direzioni, senza però giungere a toccare il plasmalemma, da cui rimangono separati dal cortex actinico.[1]

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

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I microtubuli sono costituiti da eterodimeri di due polipeptidi globulari di dimensioni 4 nm x 5 nm x 8nm e 55.000 Da di peso molecolare; le due subunità fanno parte entrambe della famiglia delle tubuline e sono l' α-tubulina e la β-tubulina. I dimeri polimerizzano in tredici protofilamenti affiancati, sfalsati a spirale, formando un cilindro cavo con diametro esterno di 25 nm e diametro interno di 15 nm circa. La polimerizzazione segue uno schema secondo polarità, orientandosi testa-coda con la subunità α verso un'estremità, il terminale -, la subunità β verso l'opposto terminale , determinando una diversità strutturale e chimica tra le due estremità.

Tale disposizione è dovuta ad una terza proteina, la γ-tubulina: l'interazione fra le subunità γ e α, chiamata nucleazione produce una reazione di polimerizzazione. La nucleazione avviene nei "MicroTubules Organization Center" (MTOC), principalmente i centrioli ed i cinetocori del centromero dei cromosomi mitotici, dove la γ-tubulina è presente in strutture circolari chiamate "γ-tubulin ring complex" (γTyRC).

Identificazione dei microtubuli mediante immunofluorescenza

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Questo tipo di reazione può essere utile per osservare la distribuzione dell’apparato microtubulare all’interno della cellula marcando specificamente le tubuline, ovvero quelle proteine che costituiscono i microtubuli. Per fare ciò si può usare un anticorpo primario specifico anti- tubuline e poi un altro anticorpo, detto anticorpo secondario, legato ad una molecola fluorescente, spesso la fluoresceina che emette nello spettro visibile del verde.. Quest’ultimo andrà a riconoscere l’anticorpo primario e di conseguenza le tubuline presenti.

Origine[modifica | modifica wikitesto]

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I microtubuli originano primariamente a livello di una struttura della cellula, che è il centriolo (organulo che si trova al centro della cellula), il principale MTOC.. Intorno al centriolo è presente del materiale di natura proteica, definito materiale pericentriolare. Importante all'interno di questo materiale è la presenza di anelli, che sono formati da un'isoforma della tubulina, ovvero la γ-tubulina. Gli anelli sono formati da 13 molecole di γ-tubulina: ogni γ-tubulina è il sito di inizio della polimerizzazione dei dimeri di α- e β-tubulina del protofilamento.[3]

La regione della cellula formata da centriolo e materiale pericentriolare è detta centrosoma: da qui partono tutti i microtubuli, che poi si estendono in tutte le direzioni della cellula.

Poiché partono dal centriolo e poi si allontanano, separandosi fra di loro, nella zona del centriolo essi sono maggiormente concentrati: questo è il motivo per cui l'immunofluorescenza appare più marcata in questa regione centrale della cellula.

Il microtubulo, in prossimità delle sue due estremità, può essere soggetto ad allungamento e accorciamento. Tra le due estremità però, ne è presente una in cui prevale l’ allungamento e un’altra in cui prevale l’accorciamento: un’estremità sarà più propensa dell’ altra ad allungarsi o ad accorciarsi. L’allungamento del microtubulo avviene tramite aggiunta di dimeri di α- e β -tubulina, mentre l’accorciamento avviene per rimozione di tali dimeri.

I dimeri di α- e β tubulina polimerizzano ad una delle due estremità. Si dice che quindi i microtubuli hanno una polarità; l’estremità in cui si ha perlopiù aggiunta di dimeri (che comporta l’allungamento del microtubulo), si dice polo positivo o estremità positiva. Fenomeni di depolimerizzazione, ovvero di rimozione di dimeri, avvengono invece sull’estremità opposta, di solito rivolta verso il MTOC di origine. Quest’ultima estremità è detta polo negativo o estremità negativa del microtubulo.

La distinzione di un’estremità positiva e di una negativa è dovuta ad un preciso motivo: la polimerizzazione dei dimeri α- e β tubulina, avviene in presenza di ione magnesio (Mg2 ) e GTP.

Succede che i dimeri α- β legano il GTP, formando il dimero α-β -tubulina-GTP.

Quando il dimero α-β lega il GTP, esso risulta affine ad altri dimeri di tubulina, per cui avviene la polimerizzazione. Dopo un certo tempo però, si ha che il GTP viene idrolizzato a GDP, per cui si formerà un dimero α-β -tubulina-GDP. In questo caso, ovvero quando il dimero lega il GDP, esso risulta essere meno affine agli altri dimeri di tubulina e avrà quindi una tendenza a staccarsi da questi. Poiché ci vuole un certo tempo per convertire GTP in GDP, è chiaro che i primi dimeri che si sono formati, avranno formato per primi il GDP rispetto ai nuovi, mentre gli ultimi dimeri che si sono formati avranno ancora legato a sé il GTP. I dimeri vecchi avranno quindi legato il GDP, quelli nuovi legheranno ancora il GTP. Si può quindi dedurre che la porzione vecchia sarà più soggetta a depolimerizzazione, in quanto i dimeri hanno minore affinità a legarsi tra di loro. Per cui essa sarà la regione in cui probabilmente avverrà l’accorciamento, in quanto ci sono dimeri che stanno perdendo la loro affinità per gli altri dimeri. La regione opposta, quella di nuova sintesi, ha invece ancora legato il GTP, per cui è ancora in grado di legare altri dimeri.[1]

Equilibrio dinamico [modifica | modifica wikitesto]

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In base a quanto detto sopra, i microtubuli del citoscheletro sono caratterizzati per un’intrinseca instabilità dinamica, in quanto soggetti continuamente ad essere allungati (polimerizzazione) o accorciati (depolimerizzazione), a seconda dell’esigenza della cellula.[1]

L’instabilità dinamica dipende dalla concentrazione di GTP e (Mg2 ):

— Se la concentrazione di GTP è alta, allora si assiste a fenomeni di polimerizzazione, per cui il microtubulo si allunga: infatti, in questo caso i dimeri di tubulina che si aggiungono sono maggiori rispetto ai dimeri di tubulina che si staccano.

— Viceversa, se la concentrazione di GTP è bassa i dimeri che si aggiungono sono minori rispetto ai dimeri che si staccano: per questo motivo si assiste a fenomeni di depolimerizzazione.

Un ulteriore modulatore dell’equilibrio dinamico è la concentrazione locale di (Mg2 ), che la cellula può rapidamente variare quando ha necessità di rimodellare il proprio citoscheletro microtubulare.

Un caso estremo avviene quando per molto tempo la concentrazione di GTP è bassa: in questo caso tutti i dimeri di tubulina hanno legato la GDP. Per questo motivo si avrà il disassemblamento completo del microtubulo, che quindi scompare (si parla infatti di catastrofe del microtubulo).

I microtubuli di solito raggiungono il cosiddetto equilibrio dinamico, in cui la lunghezza del microtubulo rimane costante (il numero di dimeri che polimerizzano all’estremità è uguale al numero di dimeri che depolimerizzano all’estremità -; il termine ‘dinamico’ sta appunto ad indicare che, anche se il microtubulo non varia in lunghezza, i dimeri che lo compongono non rimangono gli stessi.[1]

Funzioni[modifica | modifica wikitesto]

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I microtubuli hanno una serie di funzioni di natura trofica e meccanica: costituiscono l'impalcatura interna di centrioli, flagelli e ciglia e sono i responsabili del transito di organuli e vescicole all'interno della cellula. Durante la divisione cellulare i microtubuli vanno a formare il fuso mitotico indispensabile per operare la ripartizione dei set di cromosomi tra le cellule figlie.

I microtubuli servono per determinare il movimento intracellulare, oltre che a costruire una sorta di impalcatura della cellula. I microtubuli di per sé non hanno un’attività motoria, ma per garantire il movimento essi devono associarsi a delle proteine motrici con funzione di ATPasi. Queste sono in grado di scindere ATP producendo l’energia necessaria per interagire con le tubuline e muoversi lungo i microtubuli, trascinando con sé eventuali macromolecole, particelle o vescicole ad esse legate. I microtubuli costituiscono quindi una sorta di binari diretti dal centro della cellula verso tutte le direzioni su cui avvengono tali spostamenti.

Esistono diverse famiglie di proteine motrici le quali possono avere un andamento preferenziale. Alcune di queste si muovono dall’ estremità positiva all’ estremità negativa del microtubulo e sono dette dineine. Altre invece si muovono dall’ estremità negativa all’ estremità positiva e sono dette chinesine.[1]

I movimenti attivi di vescicole lungo i binari rappresentati dai microtubuli svolgono un ruolo importante, ad esempio, nella secrezione ghiandolare.

Classificazione[modifica | modifica wikitesto]

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Esistono diversi isotipi di tubulina con diverse funzioni; le isoforme umane della tubulina sono 6 per α-tubulina e 7 per β-tubulina, espresse da altrettanti geni a vari livelli in differenti tessuti e cellule. In base al ruolo si possono identificare quattro tipi di microtubuli (in tabella MT):

Gruppo Ruolo
Stabili MT costituenti ciglia, flagelli e centromeri.
Stabilizzati MT che concorrono, nelle cellule differenziate, a mantenere una disposizione dei restanti organi cellulari confacente alle necessità e attività cellulari.
Instabili MT che si ritrovano nelle cellule appena uscite dalla fase M del ciclo cellulare e che, per il processo dell'instabilità dinamica, come braccia che si allungano e ritraggono velocemente, riorganizzano la morfologia cellulare.
Labili MT che organizzano il fuso mitotico e rientrano a far parte dell'apparato riproduttivo della cellula

Proteine associate ai microtubuli (MAPs) [modifica | modifica wikitesto]

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Lo stesso argomento in dettaglio: Proteine associate ai microtubuli.

Le diversità funzionali dei microtubuli sono dovute a diverse caratteristiche, fra le quali la presenza di proteine associate ai microtubuli (MAPs), che convertono la rete instabile di microtubuli in una ossatura relativamente permanente con proteine che incapsulano le estremità del microtubulo impedendone la depolimerizzazione.

Le MAPs hanno affinità per la tubulina: per cui si associano al microtubulo e lo stabilizzano, impedendo alla tubulina di staccarsi.

Una volta terminato il loro compito di stabilizzazione per i microtubuli, le MAP devono potersi distaccare dal microtubulo stesso: per fare ciò intervengono le MAP-chinasi, le quali aggiungono gruppi fosfato alle MAP.[3] Le MAP fosforilate perdono affinità per i microtubuli, per cui si staccano da essi: in questo modo i microtubuli possono di nuovo allungarsi o accorciarsi, a seconda delle esigenze cellulari.

Fra le MAPs più importanti troviamo: MAP-1, MAP-2, TAU e MAP-4.[1]

Azione di farmaci[modifica | modifica wikitesto]

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Alcuni farmaci agiscono alterando la dinamica dei microtubuli; essi comprendono i farmaci della classe del taxolo, quali ad esempio il paclitaxel,.usati come inibitori della proliferazione cellulare soprattutto in terapia antitumorale.

Il mebendazolo danneggia e impedisce lo sviluppo dei microtubili in alcune famiglie di vermi; per questo appartiene ai farmaci antielmintici. Il mebendazolo è stato sperimentato anche nella lotta contro il carcinoma del polmone e il carcinoma adrenocorticale (tumore delle ghiandole surrenali).

Patologie correlate

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Patologie a carico dei microtubuli sono le taupatie: sono malattie che derivano da un non corretta interazione fra proteina TAU e microtubulo.[4]

In particolare, la proteina TAU subisce delle modifiche post-traduzionali (come un’iperfosforilazione o una acetilazione), che la portano a ripiegarsi in maniera errata e ad aggregarsi, formando dei grovigli neurofibrillari.

In particolare, l’iperfosforilazione della proteina TAU, presente negli assoni dei neuroni, comporta il permanente distacco dei microtubuli dalla proteina stessa, che risulta essere meno affine ad essi: ritrovandosi privi del loro “cappuccio” di sostegno, i microtubuli non sono resistenti e quindi si disassemblano. Questo è ciò che accade nella malattia di Alzheimer:  in questa patologia, infatti, non essendoci più i microtubuli, viene meno il trasporto dei neurotrasmettitori (che normalmente venivano trasportati tramite vescicole, grazie proprio ai microtubuli). In questo modo non c'è più una comunicazione fra un neurone e l'altro. Assieme alla deposizione di fibrille amiloidi extracelluari, questo fenomeno contribuisce al danno del tessuto nervoso che è alla base della sintomatologia ingravescente tipica di questi pazienti.

Note[modifica | modifica wikitesto]

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  1. ^ "Microtubule - Definitions from Dictionary.com" Retrieved 2008-05-15.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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  • Microtubulo, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  • Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su microtubulo
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Categoria: Citoscheletro

  1. ^ a b c d e f g h i Sergio Adamo, Istologia, 7. ed, Piccin, 2018, ISBN 978-88-299-2813-2, OCLC 1045938698. URL consultato il 15 giugno 2022.
  2. ^ a b c Neil A. Campbell, Jane B. Reece e Chiara Donati, Campbell, biologia e genetica, 10. ed, Pearson, 2015, ISBN 978-88-6518-932-0, OCLC 928765606. URL consultato il 15 giugno 2022.
  3. ^ a b c d Daniele Bani, Istologia umana, Ildelson-Gnocchi, 2012, ISBN 978-88-7947-541-9, OCLC 875262896. URL consultato il 24 maggio 2022.
  4. ^ (EN) Ishani Pidara e Koyuki Yamada, The Structure of Tau Proteins and Its Role in Neurodegenerative Disease, in The FASEB Journal, vol. 36, S1, 2022-05, pp. fasebj.2022.36.S1.R4663, DOI:10.1096/fasebj.2022.36.S1.R4663. URL consultato il 15 giugno 2022.