Strage di Gela
Strage di Gela strage | |
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Tipo | sparatoria |
Data | 27 novembre 1990 19:00 – 19:18 |
Luogo | Gela (CL) |
Stato | Italia |
Obiettivo | affiliati, parenti o amici del Clan Madonia di Cosa nostra |
Responsabili | i clan Iocolano, Iannì e Cavallo della Stidda[1] |
Conseguenze | |
Morti | 8 |
Feriti | 7 |
La strage di Gela detta anche strage della sala giochi fu una serie di agguati di stampo mafioso avvenute a Gela il 27 novembre del 1990, che causò la morte di 8 persone e il ferimento di altre 7.
Gli agguati
[modifica | modifica wikitesto]La sera del 27 novembre 1990 alle ore 19:00 iniziarono una serie di quattro agguati coordinati in quattro punti della città: il primo è stato messo a segno in una sala giochi del centrale Corso Vittorio Emanuele dove furono assassinate due persone e sei furono ferite; subito dopo una terza persona, in fuga dalla sala, muore sul marciapiede opposto; i tre ragazzi uccisi appartenevano ad una banda di baby-estortori al soldo della cosca di Giuseppe "Piddu" Madonia[2][3].
Più tardi alle ore 19:07 scatta il secondo agguato: mentre le prime pattuglie dei Carabinieri e le ambulanze arrivano nella sala del Corso, i centralini della città indirizzano altre volanti in via Tevere nei pressi dell'incrocio con via Venezia: a terra, presso una baracca di proprietà dei fratelli Aurelio e Giovanni Domicoli (pregiudicati legati al clan Madonia[4]) dove si vendevano frutta e ortaggi, ci sono ben tre cadaveri e cinque feriti; due degli uccisi, i cognati Nunzio Scerra e Serafino Incardona, erano incensurati e si trovavano lì casualmente[3].
Infine, tra le 19:15 e le 19:18, vengono messi a segno il terzo ed il quarto agguato aggravando il bilancio delle vittime: Francesco Rinzivillo, affiliato di spicco della cosca Madonia[2][3], viene ucciso davanti a una macelleria di via Venezia, a poche centinaia di metri da via Tevere, ed un'altra vittima, Luigi Blanco (incensurato, colpito solo perché cognato dei fratelli Trubia, anche loro affiliati al clan Madonia[5]) cade nell'agguato teso in via V25 nei pressi della via Butera a poca distanza dal cimitero monumentale.
Il bilancio fu di otto morti e sette feriti, accertati dopo le ore 22:00 del 27 novembre 1990. Le vittime erano:
- Emanuele Trainito, 24 anni, ucciso alla sala giochi di Corso Vittorio Emanuele
- Salvatore Di Dio, 18 anni, ucciso alla sala giochi di Corso Vittorio Emanuele
- Giuseppe Areddia, 17 anni, ucciso in Corso Vittorio Emanuele fuori la sala giochi
- Serafino Incardona, 33 anni, ucciso in via Tevere
- Giovanni Domicoli, 32 anni, ucciso in via Tevere
- Nunzio Scerra, 36 anni, ucciso in via Tevere
- Francesco Rinzivillo, 45 anni, ucciso alla macelleria in via Venezia
- Luigi Blanco, 35 anni, ucciso in via V25 nei pressi del cimitero monumentale
Reazioni
[modifica | modifica wikitesto]La notizia della strage finì su tutti i giornali nazionali e internazionali, tanto che il quotidiano francese Le Monde definì Gela "Mafiaville"[6][7]. Per tutta risposta, l'allora Ministro degli Interni Vincenzo Scotti dispose subito l’invio nella cittadina dell'Alto commissario antimafia Domenico Sica, il quale lanciò un appello alla popolazione gelese a collaborare per individuare i colpevoli[8][2]. In quella circostanza venne anche sancita l'istituzione del Tribunale di Gela, che fu inaugurato nel gennaio 1991 dall'allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che portò in omaggio alla città il progetto di un palasport (a lui poi intitolato) e rivolse un toccante appello ai giovani magistrati che prendevano servizio[9][10].
L'energica risposta dello Stato alla strage costrinse Cosa nostra e Stidda a stipulare una pace nella primavera del 1991 per porre fine agli omicidi della guerra di mafia[1][11][12].
Responsabili
[modifica | modifica wikitesto]Qualche giorno dopo la strage, gli uomini della Squadra Mobile di Caltanissetta guidati dal commissario Carmelo Casabona individuarono ed arrestarono nel corso di imponenti perquisizioni il diciottenne Carmelo Ivano Rapisarda (detto Ivano pistola), indicato come uno dei responsabili del massacro da alcuni testimoni oculari[13][14]. Nel periodo successivo, vennero arrestati anche altri pregiudicati di Gela e Vittoria accusati di essere i killer: Carmelo Dominante, i fratelli Claudio e Bruno Carbonaro, Francesco Di Dio, Salvatore Casano ed Emanuele Antonuccio[15][16].
Nel 1992 la prima sezione della Cassazione presieduta dal giudice Corrado Carnevale annullò l'ordine d'arresto per i fratelli Carbonaro[17]. Nel frattempo, iniziarono a collaborare con la giustizia Gaetano e Marco Iannì, padre e figlio ex capi della Stidda di Gela, i quali si autoaccusarono e rivelarono i nomi degli altri responsabili della strage pianificata da un’eterogenea coalizione, composta da membri delle principali famiglie stiddare della città, Iocolano, Iannì e Cavallo, coadiuvati dai Russo di Niscemi, i Carbonaro di Vittoria e i Sanfilippo di Mazzarino, tesa a dare un’evidente prova della forza raggiunta a livello provinciale dagli ex pastori[18][19]. Per questi motivi, vennero condannati all'ergastolo Carmelo Ivano Rapisarda, Francesco Di Dio e Emanuele Antonuccio[20][21].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b On. Luciano Violante, Relazione sulla visita effettuata a Gela dalla Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia in data 13/11/1992 (PDF), su senato.it.
- ^ a b c BATTAGLIA DI MAFIA A GELA E' STRAGE - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 28 novembre 1990. URL consultato il 4 maggio 2019.
- ^ a b c DICIOTTO MINUTI PER UN MASSACRO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 29 novembre 1990. URL consultato il 4 maggio 2019.
- ^ Blog | Le mani della mafia sull'ospedale di Verona, su Il Fatto Quotidiano, 31 agosto 2012. URL consultato il 2 settembre 2021.
- ^ ANCORA SANGUE A GELA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 9 dicembre 1990. URL consultato il 9 maggio 2021.
- ^ Mafia:trent'anni fa la strage di Gela con 8 morti e 7 feriti - Sicilia, su Agenzia ANSA, 26 novembre 2020. URL consultato il 7 agosto 2021.
- ^ (FR) Portrait d'une ville sicilienne sous contrôle. Nuit tranquille a "Mafiaville"..., in Le Monde.fr, 3 giugno 1989. URL consultato il 7 agosto 2021.
- ^ SICA: 'CHI LI HA VISTI? TESTIMONI, TELEFONATECI' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 29 novembre 1990. URL consultato il 7 agosto 2021.
- ^ COSSIGA A GELA: AI CC (3), su www1.adnkronos.com, 10 gennaio 1991. URL consultato il 7 agosto 2021.
- ^ BABY GIUDICI D'ASSALTO CONTRO I BOSS - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 12 maggio 1991. URL consultato il 7 agosto 2021.
- ^ LA 'MAFIA PARALLELA' ALLO SBANDO SI PENTE IL CAPO DELLA 'STELLA' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 20 gennaio 1993. URL consultato il 19 agosto 2021.
- ^ MAFIA: OMICIDI A GELA, 5 ARRESTI (2), su www1.adnkronos.com, 5 ottobre 2007. URL consultato il 19 agosto 2021.
- ^ UN RAGAZZO ROMPE L'OMERTA' 'ECCO CHI SONO I SICARI DI GELA' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 5 dicembre 1990. URL consultato il 5 maggio 2021.
- ^ STRAGE PER UNO SGARBO AVEVANO RICATTATO UN INTOCCABILE DI GELA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 6 dicembre 1990. URL consultato il 5 maggio 2021.
- ^ LA LEGGE ENTRA NELLA TERRA DI NESSUNO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 30 novembre 1990. URL consultato il 5 maggio 2021.
- ^ ARRESTATO IL QUARTO KILLER DELLA 'STRAGE DI GELA' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 8 febbraio 1991. URL consultato il 5 maggio 2021.
- ^ CARNEVALE ANNULLA GLI ARRESTI DI GELA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 18 febbraio 1992. URL consultato il 5 maggio 2021.
- ^ MAFIA: STRAGE DI GELA, IANNI' ACCUSA E SI AUTOACCUSA (2), su www1.adnkronos.com, 17 febbraio 1993. URL consultato il 5 maggio 2021.
- ^ BOSS SCARCERATO DOPO 2 CONDANNE ALL' ERGASTOLO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 30 maggio 1996. URL consultato il 5 maggio 2021.
- ^ MAFIA: STRAGE DI GELA, IANNI' ACCUSA E SI AUTOACCUSA, su www1.adnkronos.com, 17 febbraio 1993. URL consultato il 5 maggio 2021.
- ^ KILLER A 15 ANNI ' ORDINI DI PAPA' ' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 22 febbraio 1995. URL consultato il 5 maggio 2021.