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Prionailurus bengalensis

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Gatto leopardo
Stato di conservazione
Rischio minimo[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseMammalia
OrdineCarnivora
SottordineFeliformia
FamigliaFelidae
SottofamigliaFelinae
GenerePrionailurus
SpecieP. bengalensis
Nomenclatura binomiale
Prionailurus bengalensis
(Kerr, 1792)
Areale

blu: P. b. bengalensis
giallo: P. b. euptilurus
rosso e verde: gatto della Sonda

Il gatto leopardo (Prionailurus bengalensis (Kerr, 1792)) è un felino selvatico (differente dall'ocelot o gattopardo) originario dell'Asia meridionale e orientale. Grazie alla sua ampia distribuzione, sulla lista rossa delle specie minacciate della IUCN figura dal 2002 come «specie a rischio minimo» (Least Concern). In parte del suo areale, tuttavia, è minacciato dalla perdita dell'habitat e dalla caccia.[1]

Il gatto leopardo ha all'incirca le stesse dimensioni di un gatto domestico, ma ha una struttura più snella e le zampe più lunghe. La testa è contrassegnata da due distintive strisce longitudinali scure relativamente sottili, muso chiaro, corto e stretto e orecchie rotonde di colore nero sulla superficie esterna con una piccola macchia chiara al centro. Sul corpo e sugli arti presenta macchie nere di varie forme e dimensioni e da due a quattro file di macchie allungate lungo il dorso. La coda è macchiata e presenta alcuni anelli all'estremità. Il colore di fondo del mantello va dal fulvo al grigio argentato; il ventre è bianco. Tuttavia, i gatti leopardo presentano notevoli variazioni di taglia e aspetto a seconda della regione e, per le popolazioni settentrionali, della stagione. Gli adulti più piccoli sono quelli che vivono ai tropici, che pesano tra 550 g e 3,8 kg, e presentano una lunghezza testa-corpo di 38,8-66 cm e una lunghezza della coda di 17,2-31 cm, rispetto agli individui settentrionali che possono pesare fino a 7,1 kg e raggiungere i 75 cm di lunghezza testa-corpo: in Russia vi sono esemplari che hanno raggiunto 8,2-9,9 kg tra tarda estate e autunno, quando diventano iperfagici prima del rigido inverno.[2]

Anche la colorazione è estremamente variabile. Gli individui dell'Asia tropicale tendono a colori intensi, dal giallo al fulvo o bruno-rossiccio, e con segni marcati che vanno da grandi macchie piene a rosette e chiazze con bordo o centro fulvo scuro. I gatti di Iriomote sono molto scuri: alcuni individui sono grigio-nerastri con macchie indistinte, tranne che su faccia e parti inferiori. All'altro estremo, i gatti leopardo dell'Amur, presenti in Russia temperata, Corea e Cina, vanno dal grigio-rossiccio chiarissimo al grigio-argento in inverno (con pelliccia lunga e folta), mentre il manto estivo è più scuro, da ruggine a bruno-grigiastro. Non sono registrati casi di melanismo completo, ma sono occasionalmente segnalati individui pseudo-melanici con macchie molto ingrandite e fuse tra loro.[3]

Distribuzione e habitat

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Il gatto leopardo è il più diffuso tra tutti i piccoli felidi asiatici. Si trova nell'Asia tropicale, subtropicale e temperata da Estremo Oriente russo, Cina nord-orientale e penisola coreana, passando per la Cina orientale, fino all'altopiano del Tibet e alle colline pedemontane dell'Himalaya e all'Afghanistan centrale a ovest; da Pakistan settentrionale, Nepal e Bhutan al sud dell'India; e in tutta la parte continentale del Sud-est asiatico. È presente inoltre ad Hainan, a Taiwan e nelle isole giapponesi di Iriomote e Tsushima.[4]

Il gatto leopardo compare in una grande varietà di habitat ricchi di ripari, compresi tutti i tipi di foreste, dalla foresta pluviale tropicale a foreste secche di latifoglie e foreste di conifere delle colline pedemontane dell'Himalaya fino a 3254 m.[2] Nel 2009, infatti, un esemplare venne immortalato a questa quota da una fototrappola nel parco nazionale del Makalu-Barun, nel Nepal orientale, in un'area dove predomina una vegetazione di rododendri, querce e aceri in cui vivono almeno sei individui.[5] Nella fascia settentrionale occupa anche vallate vegetate di foreste fredde e temperate innevate in inverno, ma limitandosi alle zone con neve bassa.[6] Si trova in tutti gli habitat con alberi e arbusti, mentre evita in genere praterie aperte, steppe e aree rocciose prive di vegetazione. Il gatto leopardo tollera habitat modificati dall'uomo con presenza di ripari, come foreste da legname, terreni agricoli come campi di canna da zucchero e piantagioni di palma da olio, caffè, alberi della gomma e tè. Può raggiungere densità elevate in alcuni habitat aperti modificati che favoriscono alti numeri di roditori, e può giungere molto vicino alle abitazioni umane, occupando perfino tratti di habitat adatti all'interno di grandi metropoli, come nella riserva di Miyun e nella riserva naturale di Yeyahu, a Pechino.[2] La specie è piuttosto rara nelle zone aride e prive di alberi del Pakistan.[7]

Alimentazione

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Il gatto leopardo si nutre prevalentemente di roditori, come ratti e topi, ma la sua dieta comprende anche giovani ungulati, lepri, uccelli, rettili, anfibi, insetti, anguille e pesci, ma l'importanza relativa di ciascun tipo di preda varia a seconda dell'areale. Occasionalmente il gatto leopardo si nutre di carogne e attacca il pollame.[2]

Nella dieta delle popolazioni studiate in Thailandia prevalevano i muridi – in particolare il ratto spinoso rosso (Maxomys surifer) –, ma i gatti leopardo predavano anche lucertole, anfibi, uccelli e insetti. Anche sull'isola di Tsushima, in Giappone, così come a Pulau Tekong, a Singapore, i ratti sono risultati essere la preda dominante, ma venivano consumati anche altri mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e insetti. Allo stesso modo, nel Territorio del Litorale, nell'Estremo Oriente russo, i piccoli roditori costituivano la parte predominante della dieta, specialmente quando la regione è libera dalla neve, mentre durante la stagione invernale la presenza di ungulati nella dieta aumentava in modo significativo. Anche nel parco nazionale di Khangchendzonga, nel Sikkim, i muridi dominavano la dieta, seguiti dai pika. Invece, nella riserva naturale di Laohegou, nel Sichuan, i pika erano la preda dominante, seguiti da ratti, topi e arvicole. Nella riserva naturale di Saihanwula, nella Mongolia Interna, il gatto leopardo predava principalmente volatili, in particolare pernici. In Pakistan, è stato riferito che i gatti leopardo predano prevalentemente piccoli uccelli e, in minor quantità, topi e scoiattoli volanti. Nell'isola di Iriomote, la dieta consisteva prevalentemente di rane e rospi, nonché di uccelli e di volpi volanti delle Ryukyu.[2]

Nell'Estremo Oriente russo sono stati documentati due casi di cannibalismo.[2]

Comportamento

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Il gatto leopardo è una specie solitaria, ma sono stati osservati anche esemplari in coppia o madri con i giovani al seguito. Nonostante venga descritto come di abitudini prevalentemente notturne e crepuscolari, può essere attivo anche di giorno: i maschi in particolare mostrano un maggior ammontare di attività diurna rispetto alle femmine. In Thailandia, nella riserva naturale di Phu Khieu, tra il 1999 e il 2003 vennero dotati di radiocollare 20 gatti leopardo: di questi, quattro individui erano spesso attivi durante il giorno.[8] Gli home range di questa specie sono stati studiati solo in poche aree. Sempre in Thailandia, le dimensioni degli home range variavano tra 1,5 fino a quasi 40 km².[8] Tuttavia, le dimensioni medie degli home range nelle diverse aree di studio variano tra circa 3 e 13 km²: in Corea del Sud, gli home range si aggirano in media sui 2,6 km², sull'isola di Iriomote (300 km²) sui 3 km² per i maschi e gli 1,75 km² per le femmine, e a Tsushima (10 km²) un maschio occupava un territorio di 0,8 km². Di solito, non sembrano esserci differenze significative tra gli home range delle femmine e quelli dei maschi, ma a Taiwan quelli di due maschi misuravano rispettivamente 6,5 e 9,5 km², mentre quelli di due femmine appena 1,8 e 2,0 km². Il gatto leopardo tende a utilizzare home range più estesi durante la stagione delle piogge rispetto alla stagione secca. Ciò potrebbe essere dovuto a cambiamenti stagionali nella disponibilità di prede: a Taiwan, per esempio, il ratto dal ventre bianco di Coxing, che è risultato essere la sua preda principale in quest'area, mostra le più alte densità proprio durante la stagione secca. Il gatto leopardo riposa e alleva i piccoli nelle foreste e nel sottobosco. È un abile arrampicatore ed è stato visto riposare sugli alberi. È anche un buon nuotatore, e ha colonizzato con successo isole al largo in ogni parte dell'areale. Caccia sia sul terreno che sugli alberi e in alcune zone veniva allevato dall'uomo per tenere sotto controllo le popolazioni dei roditori.[2]

Per quanto riguarda la biologia riproduttiva, i dati da osservazioni in natura sono relativamente pochi, ma indicano che la specie si riproduce senza stagionalità nella maggior parte del suo areale, con maggiore stagionalità nelle zone temperate. Il gatto dell'Amur sembra invece molto stagionale, con le nascite limitate a fine febbraio-maggio. I gatti leopardo in cattività possono avere due cucciolate all'anno, anche se in natura è probabilmente tipica una sola cucciolata. La gestazione dura 60-70 giorni e produce 1-4 cuccioli, in genere due o tre. La maturità sessuale giunge a 8-12 mesi (in cattività); la riproduzione più precoce in una femmina in cattività è avvenuta a 13 mesi.[2]

Un gatto dell'Amur.
Un gatto di Tsushima.

Nel 1792, Robert Kerr, nella sua traduzione del Systema Naturae di Linneo, descrisse per primo il gatto leopardo come Felis bengalensis, dal momento che aveva basato la sua descrizione su un esemplare proveniente dal Bengala meridionale.[9] Tra il 1829 e il 1922 furono pubblicate le descrizioni di altri 20 esemplari di gatto leopardo, inizialmente riconosciuti come specie a sé e classificati, a seconda degli autori, nei generi Felis o Leopardus.[10] A causa della variabilità individuale della colorazione, nella sola sfera d'influenza indo-britannica vennero descritti Felis nipalensis e Felis pardochrous in Nepal, Leopardus ellioti nell'area di Bombay, Felis wagati e Felis tenasserimensis nel Tenasserim e Leopardus horsfieldi in Bhutan. Infine, nel 1939, Reginald Innes Pocock considerò tutti questi come membri di un'unica specie, che per la prima volta assegnò al genere Prionailurus. Lo zoologo aveva a disposizione alcuni crani e parecchie dozzine di pelli, provenienti da molte regioni. A partire dall'analisi di questa ampia varietà di pelli, suggerì di distinguere, nel subcontinente indiano, una sottospecie meridionale (Prionailurus bengalensis bengalensis), propria delle latitudini più calde, e una settentrionale (Prionailurus bengalensis horsfieldi), originaria dell'Himalaya, che in inverno sviluppava una pelliccia più fitta dei loro simili meridionali. Inoltre, a partire da sette pelli provenienti dalle regioni di Gilgit e di Karachi, descrisse una nuova sottospecie, il gatto di Trevelyan (Prionailurus bengalensis trevelyani), caratterizzata da una pelliccia più lunga e una colorazione più chiara e più grigia dei gatti provenienti dall'Himalaya. Pocock ipotizzò che la forma trevelyani vivesse in habitat più rocciosi e meno boscosi delle forme bengalensis e horsfieldi.[11]

A partire da pelli e crani provenienti dalla Cina vennero descritte, tra il 1837 e il 1930, specie come Felis chinensis, Leopardus reevesii, Felis scripta, Felis microtis, decolorata, ricketti, ingrami, anastasiae e sinensis, successivamente raggruppati sotto Felis bengalensis chinensis.[10] Quando, durante un viaggio di ricognizione nell'Asia orientale all'inizio del XX secolo, alcuni naturalisti britannici scoprirono i felini selvatici dell'isola di Tsushima, nello stretto di Corea, e ne inviarono le pelli a Londra, Oldfield Thomas li classificò come una popolazione di Felis microtis, che Henri Milne-Edwards aveva descritto nel 1872.[12]

Dopo aver notato la somiglianza tra due pelli provenienti dalla Siberia, nel 1871 Daniel Giraud Elliot descrisse la nuova specie Felis euptilura. Una delle due pelli era raffigurata in un disegno accompagnato da una descrizione di Gustav Radde, l'altra faceva parte di una collezione conservata nei giardini zoologici di Regent's Park. Entrambe erano di colore giallo-brunastro chiaro inframmezzato a grigio, con testa grigia e strisce di colore rosso scuro sulle guance.[13] Nel 1922, Tamezo Mori descrisse un gatto grigio maculato in maniera simile, ma più chiaro, come Felis manchurica, basandosi su un esemplare proveniente da Mukden, in Manciuria.[14] Entrambe vennero successivamente raggruppate con il nome trinomiale Felis bengalensis euptilura come sottospecie del gatto leopardo.[10] Negli anni '70, zoologi russi come Heptner, Gromov e Baranova misero in discussione questa classificazione, che aveva prevalso fino ad allora: analizzando le pelli e i crani a loro disposizione, molto diversi da quelli degli esemplari del Sud-est asiatico, ipotizzarono che i gatti dell'Amur rappresentassero una specie distinta.[15][16] Tuttavia, nel 1987, gli zoologi cinesi sottolinearono che i gatti originari della Cina nord-orientale condividevano strette somiglianze sia con i gatti dell'Amur presenti più a nord che con i gatti leopardi che vivevano a sud. In considerazione di questo, ritennero pertanto ingiustificata la classificazione del gatto dell'Amur come specie a sé.[17]

Delle numerose sottospecie che sono state descritte in passato, il Cat Specialist Group della IUCN oggi ne riconosce solo due:[4]

Presente sull'isola giapponese di Iriomote, il gatto di Iriomote, che per un certo periodo è stato trattato come una specie distinta,[18] è oggi considerato solo una popolazione di P. b. euptilurus e non gode neanche più dello status di sottospecie.[4][19]

Il gatto dell'Amur dell'Asia nord-orientale potrebbe rappresentare una specie separata, ma finora gli studi genetici non hanno fornito risultati chiari. Infatti, nonostante le differenze genetiche tra gatti dell'Amur e gatti leopardo del Sud-est asiatico siano tali da giustificarne la classificazione come specie separata, quelle con i gatti leopardo cinesi sono così piccole da ritenere più appropriata una classificazione tassonomica come sottospecie.[3]

I piccoli felini maculati dell'arcipelago malese originariamente considerati dei gatti leopardo vengono oggi considerati una specie indipendente, il gatto della Sonda (Prionailurus javanensis).[4] Esso è geneticamente molto diverso dal gatto leopardo ed è anche significativamente più piccolo. Si ritiene che la separazione tra le due specie sia avvenuta circa 2 milioni di anni fa.[20][21]

Il gatto leopardo venne addomesticato in Cina più di 5000 anni fa: l'esame delle mandibole fossili appartenenti a gatti domestici cinesi vissuti tra 4900 e 5500 anni fa ha infatti rivelato che appartenevano a gatti leopardo. I gatti leopardo addomesticati vennero successivamente soppiantati dai gatti domestici introdotti; oggi, tutti i felini domestici della Cina appartengono alla specie Felis catus.[22]

Rapporti con l'uomo

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In Cina in particolare, il gatto leopardo viene cacciato per la sua pelliccia. Tra il 1984 e il 1989 vennero esportate circa 200000 pelli all'anno. Un'indagine del 1989 tra i commercianti di pellicce cinesi rilevò uno stock di più di 800000 pelli. Da quando l'Unione europea ha vietato l'importazione delle pellicce, il principale acquirente è diventato il Giappone, che nel solo 1989 importò 50000 pelli.[23] Sebbene il commercio sia diminuito, i gatti leopardo vengono ancora cacciati per la pelliccia e la carne, o catturati per essere venduti come animali domestici.[1]

Tra il 1991 e il 2006, durante dei sopralluoghi in quattro mercati del Myanmar vennero rinvenute 483 parti del corpo di gatti leopardo appartenenti ad almeno 443 esemplari. Tre di questi mercati si trovavano presso la frontiere con Cina e Thailandia e si rivolgevano ad acquirenti internazionali. Nonostante il gatto leopardo sia ampiamente protetto dalla legislazione nazionale del Myanmar, l'applicazione di queste leggi e di quelle riguardanti la Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione non è considerata sufficiente.[24]

I gatti leopardo vengono sempre più spesso tenuti in case private.[25] Inoltre, incrociando il gatto leopardo con il gatto domestico si crea una nuova razza di gatto domestico (chiamata bengala) sempre più richiesta. L'acquisto di un gatto di razza bengala comporta, seppur indirettamente, l'allevamento e il commercio di gatti leopardo selvatici.[25] Pertanto, numerose organizzazioni per il benessere degli animali chiedono la proibizione di questi incroci e l'istituzione di norme più severe riguardo l'allevamento degli animali esotici.[26]

Conservazione

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Prionailurus bengalensis è elencato nell'Appendice II della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione ed è una specie protetta nella maggior parte dei paesi del suo areale. Le popolazioni di Bangladesh, India e Thailandia godono del massimo livello di protezione ai sensi delle leggi in vigore in questi paesi. La caccia al gatto leopardo è vietata in Afghanistan, Bangladesh, Cambogia, Giappone, Hong Kong, India, Malesia, Myanmar, Nepal, Pakistan, Russia, Taiwan e Thailandia.[1]

Prionailurus bengalensis è elencato come specie a rischio di estinzione (endangered) dall'Endangered Species Act degli Stati Uniti.[27]

Dal 1995, il governo giapponese sta portando avanti un apposito programma di conservazione per il gatto di Tsushima (in giapponese 対馬山猫, Tsushima yamaneko, letteralmente «gatto di montagna di Tsushima»), che figura come specie in pericolo di estinzione (Endangered) nella lista rossa nazionale.[28]

  1. ^ a b c d (EN) Ghimirey, Y., Petersen, W., Jahed, N., Akash, M., Lynam, A.J., Kun, S., Din, J., Nawaz, M.A., Singh, P., Dhendup, T., Marcus, C., Gray, T.N.E. & Phyoe Kyaw, P. 2022, Prionailurus bengalensis, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ a b c d e f g h M. E. Sunquist e F. Sunquist, Leopard Cat Prionailurus bengalensis (Kerr, 1792), in Wild cats of the world, University of Chicago Press, 2002.
  3. ^ a b Don E. Wilson e Russell A. Mittermeier (a cura di), Handbook of the Mammals of the World, Volume 1: Carnivores, Lynx Edicions, 2009, p. 162, ISBN 978-84-96553-49-1.
  4. ^ a b c d A. C. Kitchener, C. Breitenmoser-Würsten, E. Eizirik, A. Gentry, L. Werdelin, A. Wilting, N. Yamaguchi, A. V. Abramov, P. Christiansen, C. Driscoll, J. W. Duckworth, W. Johnson, S.-J. Luo, E. Meijaard, P. O'Donoghue, J. Sanderson, K. Seymour, M. Bruford, C. Groves, M. Hoffmann, K. Nowell, Z. Timmons e S. Tobe, A revised taxonomy of the Felidae, in Cat News Special, vol. 11, 2017, pp. 26-28.
  5. ^ Y. Ghimirey e B. Ghimire, Leopard Cat at high altitude in Makalu-Barun National Park, Nepal, in Catnews, n. 52, 2010, pp. 16-17.
  6. ^ V. G. Heptner, A. A. Nasimovich, A. G. Bannikov, A. A. Sludskii e R. S. Hoffmann, Mammals of the Soviet Union, Volume III: Carnivores (Feloidea), Washington, Smithsonian Institute and the National Science Foundation, 1992.
  7. ^ T. J. Roberts, The mammals of Pakistan, Londra, Ernest Benn, 1977.
  8. ^ a b L. I. Grassman Jr., M. E. Tewes, N. J. Silvy e K. Kreetiyutanont, Spatial organization and diet of the leopard cat (Prionailurus bengalensis) in north-central Thailand, in Journal of Zoology, n. 266, Londra, 2005, pp. 45-54.
  9. ^ R. Kerr e S. G. Gmelin, The animal kingdom or zoological system of the celebrated Sir Charles Linnaeus: class I. Mammalia: containing a complete systematic description ... being a translation of that part of the Systema Naturae, Londra, Murray, 1792.
  10. ^ a b c J. R. Ellerman e T. C. S. Morrison-Scott, Checklist of Palaearctic and Indian mammals 1758 to 1946, 2ª ed., Londra, British Museum of Natural History, 1966, pp. 312-313.
  11. ^ R. I. Pocock, The Fauna of British India, including Ceylon and Burma. Mammalia. – Volume 1, Londra, Taylor and Francis, 1939, pp. 266-276.
  12. ^ O. Thomas, The Duke of Bedford's zoological exploration in Eastern Asia. – VII List of mammals from the Tsu-shima Islands, in Proceedings of the Zoological Society of London, gennaio-aprile 1908, pp. 47-54.
  13. ^ D. G. Elliott, Remarks on Various Species of Felidae, with a Description of a Species from North-Western Siberia, in Proceedings of the Scientific Meetings of the Zoological Society of London, 1871, pp. 765-761.
  14. ^ T. Mori, On some new Mammals from Korea and Manchuria, in Annals and magazine of natural history: including zoology, botany and geology, Vol. X, 1922, pp. 609-610.
  15. ^ (RU) V. G. Heptner, On the systematic position of the Amur forest cat and some other east Asian cats placed in Felis bengalensis Kerr, 1792, in Zoologicheskii Zhurnal, vol. 50, 1971, pp. 1720-1727.
  16. ^ (RU) I. M. Gromov, G. I. Baranova e G. F. Baryšnikov (a cura di), Katalog mlekopitaûŝih SSSR: pliocen--sovremennostʹ, Leningrado, Zoologičeskij Institut "Nauka", Leningradskoe otdelenie, 1981.
  17. ^ (ZH) Yaoting Gao, Fauna Sinica. Mammalia. Vol. 8: Carnivora, Pechino, Science Press, 1987.
  18. ^ Y. Imaizumi, A new genus and species of cat from Iriomote, Ryukyu Islands, in Journal of Mammalian Society Japan, vol. 3, n. 4, 1967, p. 74.
  19. ^ R. Masuda e M. C. Yoshida, Two Japanese wildcats, the Tsushima cat and the Iriomote cat, show the same mitochondrial DNA lineage as the leopard cat Felis bengalensis, in Zoological Science, n. 12, 1995, pp. 655-659.
  20. ^ S. J. O’Brien, Sympatric Asian felid phylogeography reveals a major Indochinese-Sundaic divergence (PDF), in Molecular Ecology, vol. 23, 2014, pp. 2072-2092, DOI:10.1111/mec.12716.
  21. ^ R. P. Patel, S. Wutke, D. Lenz, S. Mukherjee, U. Ramakrishnan, G. Veron, J. Fickel, A. Wilting e D. W. Förster, Genetic structure and phylogeography of the Leopard cat (Prionailurus bengalensis) inferred from mitochondrial genomes, in Journal of Heredity, vol. 108, n. 4, 2017, pp. 349-360, DOI:10.1093/jhered/esx017.
  22. ^ Earliest “Domestic” Cats in China Identified as Leopard Cat (Prionailurus bengalensis), in PLOS ONE, gennaio 2016, DOI:10.1371/journal.pone.0147295.
  23. ^ K. Nowell e P. Jackson, Leopard Cat Prionailurus bengalensis (Kerr 1792): Principal Threats, su Wild Cats: status survey and conservation action plan, Gland, (Svizzera), IUCN/SSC Cat Specialist Group, 1996. URL consultato il 12 luglio 2023 (archiviato dall'url originale il 24 luglio 2011).
  24. ^ C. R. Shepherd e V. Nijman, The wild cat trade in Myanmar (PDF), Petaling Jaya, Selangor, Malaysia, TRAFFIC Southeast Asia, 2008.
  25. ^ a b (DE) BfN: Studie „Strategien zur Reduktion der Nachfrage nach als Heimtieren gehaltenen Reptilien, Amphibien und kleinen Säugetieren“, su bfn.de. URL consultato il 14 dicembre 2020.
  26. ^ (DE) Bengalkatzen - exotisches Aussehen, wilde Ansprüche, su etn-ev.de, 18 settembre 2020. URL consultato il 14 dicembre 2020.
  27. ^ (EN) D.E. Wilson e D.M. Reeder, Prionailurus bengalensis, in Mammal Species of the World. A Taxonomic and Geographic Reference, 3ª ed., Johns Hopkins University Press, 2005, ISBN 0-8018-8221-4.
  28. ^ A. Murayama, The Tsushima Leopard Cat (Prionailurus bengalensis euptilura): Population Viability Analysis and Conservation Strategy, Imperial College, Londra, 2008.

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Collegamenti esterni

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