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Partenio (patrizio)

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Partenio, chiamato anche Parthénius, Parténius o Parthène, (Arles, 485Treviri, 548) fu un funzionario gallo-romano d'origine arverna che servì sia gli Ostrogoti sia i Franchi.

Un aristocratico gallo-romano

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Partenio aveva origini aristocratiche e averne; egli era il nipote abiatico dell'imperatore Avito (o forse era nipote abiatica sua moglie)[1] e, per alcuni, essi erano parenti del vescovo di Limoges Ruricio. Si discute di questa filiazione materna. Per Claude Lepelley[2] come per Michel Aubrun[3], la madre sarebbe la nipote di Ruricio [sic] mentre per Michel Fixot, se discende attraverso sua madre dalla famiglia di Auvergne dei Ruricii, sarebbe solo il nipote del grande vescovo di Limoges[4]. Per lo storico benedettino François Clément, sarebbe il nipote di Ennodio della gens degli Anicii, vescovo di Pavia[5]; questo stesso autore indica, senza indicarne la fonte, che Partenio nacque ad Arles, pochi anni prima della fine del V secolo e che aveva ricevuto un'istruzione a Roma. Altri autori[senza fonte] riferiscono che studiò anche a Ravenna.

Un servitore degli Ostrogoti

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Dal 507, raccomandato al vescovo di Arles Cesario, tornò nella città sul Rodano dove il vescovo guarì uno dei suoi schiavi. Si recò poco dopo, forse nel 508[4], a Ravenna come ambasciatore dell'assemblea provinciale e come rappresentante della città di Marsiglia. Arthur Malnory sostiene che non sarebbe tornato nella sua città natale fino al 520, all'epoca del prefetto Liberio, ma parla del suo secondo ritorno, e fornisce alcune informazioni bibliografiche su questo personaggio, in particolare che avrebbe ucciso sua moglie, Papianilla, una nipote del vescovo Ruricio[6].

Un servitore dei Franchi

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Nel 533 o più probabilmente nel 534, quando il prefetto della Gallia Liberio lasciò Arles, rimase tra i funzionari in carica e dopo il 536, sotto la dominazione franca, divenne patrizio o, secondo Édouard Baratier, prefetto dei Galli[7]. Egli fu il rappresentante del re Teodeberto I. Per Michel Fixot, la nomina di Partenio come uno dei primi rectores Provinciae, sebbene questa funzione sia spesso associata al titolo di patrizio, resta comunque ipotetica[4]. Chiamato vir illustrissimus, ricevette poi nel 544 il titolo di magister officiorum atque patricius per la Gallia. Il titolo venne affibbiato a Partenio in un contesto in cui Teodeberto si staccò del tutto dall'Impero romano "ribellandosi" a esso e ponendosi come suo pari attraverso una serie di gesti, come il conio di monete d'oro con la sua effigie (neanche l'Impero sassanide, come riferisce Procopio, era arrivato a tanto), oltre che usando titoli romani[1].

Gregorio di Tours, citato da Michel Fixot[4], fornisce alcune informazioni sulla sua morte intorno al 548, poco dopo quella di Teodeberto: egli sarebbe morto assassinato a Treviri dai Franchi a causa di una politica fiscale troppo pesante[8]. Tuttavia per François Clément questo Partenio lapidato dai Franchi non sarebbe il Partenio magister officiorum del 544[5].

  1. ^ a b Karl Ferdinand Werner, Nascita della nobiltà. Lo sviluppo delle élite politiche in Europa, collana Biblioteca di cultura storica, traduzione di Stefania Pico e Sabrina Santamato, Torino, Giulio Einaudi editore, 2000, pp. 288-289, ISBN 88-06-15288-2.
  2. ^ Claude Lepelley, La fin de la cité antique et le début de la cité médiévale …, 1996, p. 157.
  3. ^ Michel Aubrun, L'ancien diocèse de Limoges des origines au milieu du XIe siècle, p. 94 nota 35.
  4. ^ a b c d Paul-Albert Février (sous la direction de), La Provence des origines à l'an mil, p. 451.
  5. ^ a b François Clément, Histoire littéraire de la France: VIe et VIIe siècles, p. 234 e seguenti.
  6. ^ Arthur Malnory, Saint Césaire Évêque d'Arles (503-543), 1894, pagina 161 vedi qui. L'aristocrazia senatoria continuò a fornire i titolari alle magistrature locali, oppure trovava alla corte dei re franchi le dignità che aveva ricoperto alla corte di Ravenna. Uno di quelli a cui questo cambiamento portò i maggiori onori fu quel Partenio, nipote di Ennode, che abbiamo visto legato nella sua città natale verso il 520 probabilmente in uno dei posti più alti che appartenevano al prefetto Liberio. Chiamato da Teodeberto all'eminente dignità di magister officiorum, che pose sotto la sua direzione tutto l'alto personale della corte di Metz, contraddistinto dal titolo di patrizio, fu questo allievo di Cassiodoro che introdusse nella capitale dell'Austrasia i gusti della latinità poi ritrovati dal poeta itinerante Fortunato. D'altra parte, è anche uno dei primi esempi dell'influenza reciproca della barbarie sui Romani. Lo storico dei Franchi lo ha stigmatizzato raccontando la sua golosità e, cosa più grave, la sua crudeltà. In un attacco di gelosia, uccise la propria moglie Papianilla, nipote del vescovo Ruricio. Voleva anche introdurre le tradizioni finanziarie di Teodorico in Austrasia, cercando di sottoporre al censimento i Franchi che si vendicarono, dopo la morte di Teodeberto, uccidendolo.
  7. ^ Édouard Baratier (sous la direction de), Histoire de la Provence, p. 92.
  8. ^ Gregorio di Tours, Storia dei Franchi, libro 3, su wikisources. I Franchi avevano un grande odio contro Partenio, perché sotto il suddetto re [Teodeberto I] aveva imposto loro dei tributi, e cominciarono a perseguirlo. Vedendosi in pericolo, fuggì dalla città e pregò due vescovi di riportarlo a Treviri e di reprimere con le loro esortazioni la sedizione di un popolo furioso. Andarono, e nella notte, mentre era nel suo letto, improvvisamente, mentre dormiva, cominciò a gridare ad alta voce, dicendo: «Ahimè, ahimè, aiutatemi, voi che siete qui, venite in aiuto di un uomo che perisce». E quando quelli nella stanza si svegliarono, gli chiesero cosa fosse, ed egli rispose: «Ausanio, amico mio, e Papianilla, mia moglie, che ho ucciso una volta, mi chiamavano al giudizio, dicendo: "Vieni e rispondi, perché noi ti accusiamo davanti a Dio". Infatti, spinto dalla gelosia, qualche anno prima aveva ucciso ingiustamente sua moglie e il suo amico. E quando i vescovi giunsero in città e videro che non potevano resistere alla violenta sedizione del popolo, cercarono di nasconderlo nella chiesa. Lo misero in una cassa e gli stesero addosso dei vestiti ad uso della chiesa. E quando il popolo entrò, lo cercò in ogni angolo e si ritirò con rabbia, quando uno del popolo ebbe un sospetto e disse: «Questa è una cassa in cui non abbiamo cercato il nostro nemico». E i custodi dissero loro che in quella cassa non c'era altro che ornamenti ecclesiastici; ma essi chiesero le chiavi, dicendo: «Se non lo aprite immediatamente, lo romperemo». Quando la cassa fu aperta e i teli di lino furono stesi, vi trovarono Partenio e lo tirarono fuori, applaudendo alla loro scoperta e dicendo: «Dio ha consegnato il nostro nemico nelle nostre mani». Poi lo picchiarono, gli sputarono in faccia, gli legarono le braccia dietro la schiena e lo lapidarono con pietre contro una colonna. Era molto goloso, e per poter mangiare più rapidamente, prendeva l'aloe vera, che lo faceva digerire molto velocemente: lasciava uscire il rumore delle sue viscere in pubblico senza alcun rispetto per i presenti. La sua vita finì in questo modo.
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