Non detto
Il termine non detto si riferisce a ciò che, in una comunicazione, non è statuito in modo espresso, che viene taciuto o tenuto nascosto nel discorso di un individuo o di un gruppo di persone, oppure, viene espresso in modo implicito o sottinteso.
Il non detto può essere il prodotto dell'intimidazione, di un rimuginare del pensiero, o dello sconcerto di fronte all'inesprimibile[1].
Linguistica
[modifica | modifica wikitesto]Nella sociolinguistica si pone una particolare enfasi su tutto ciò che, nella normale comunicazione, rimane non detto, oppure è oggetto di reticenza, e assume importanza al pari di quanto viene effettivamente detto[2]. Nella comunicazione, infatti, esistono sempre parti che rimangono sottaciute o inespresse: l'autore della comunicazione si aspetta che siano gli interlocutori, servendosi delle loro conoscenze e del contesto della comunicazione, a colmare le lacune di contenuto durante il procedere del discorso[3].
Basil Bernstein ha utilizzato il "non detto" per descrivere un'importante differenza tra codice ristretto e codice elaborato, nel senso che la parte che viene lasciata implicita nel primo è superiore rispetto al secondo[4].
Etnologia
[modifica | modifica wikitesto]In etnologia, l'etnometodologia ha stabilito una stretta connessione tra il non detto e l'assiomatica. Harold Garfinkel, seguendo Durkheim, ha sottolineato come in ogni situazione, perfino formale, come un contratto legalmente vincolante, i termini dell'accordo si fondano per il 90% su assunzioni tacite che stanno alla base di ciò che è visibile (parlato), che costituisce come una sorta di punta dell'iceberg nella comunicazione interattiva[5].
Edward T. Hall ha sostenuto che molta cattiva comunicazione interculturale derivava dalla negligenza dei modelli culturali impliciti, inespressi, ma diversi, che ogni partecipante alla comunicazione dà inconsciamente per scontati[6].
Psicoanalisi
[modifica | modifica wikitesto]Luce Irigaray ha sottolineato l'importanza di ascoltare la dimensione dell'inespresso del discorso nella pratica psicoanalitica[7] - qualcosa che può far luce sulle fantasie inconsce dell'analizzando[8].
Altre psicoterapie hanno anche sottolineato l'importanza della componente non verbale della comunicazione del paziente[9], talvolta privilegiando questo rispetto al contenuto verbale[10]. Dietro a tutto questo modo di pensare sta il detto di Freud: "nessun mortale riesce a tenere un segreto. Se le sue labbra tacciono, egli chiacchiera con la punta delle dita [...] da ogni poro"[11].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Robyn Brandenberg, Powerful Pedagogy (2008) p. 104
- ^ Ronald Wardhaugh, An Introduction to Sociolinguistics (2011), p. 310
- ^ James Paul Gee, Michael Handford, The Routledge Handbook of Discourse Analysis (2013), cap. 10
- ^ Rajend Mesthrie, Introducing Sociolinguistics (2009) p. 353
- ^ Anthony Giddens, Positivism and Sociology (1974), p. 72
- ^ Edward T. Hall, The Silent Language (1990) p. vii-viii
- ^ Sharon Todd (a cura di), Learning Desire. Perspectives on Pedagogy, Culture, and the Unsaid (2013), p. 249
- ^ Marshall Edelson, Language and Interpretation in Psychoanalysis (1984) p. 2
- ^ Eric Berne, What Do You Say After You Say Hello? (1974) p. 314-7
- ^ Fritz Perls, Gestalt Therapy Verbatim (1970) p. 57-8
- ^ citato in: Michael Argyle (a cura di), Social Encounters (1973) p. 133