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Meraviglia

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La meraviglia è il sentimento di stupore e sorpresa suscitato da una cosa o da una situazione nuova, straordinaria o inattesa. È vista storicamente come un aspetto importante della natura umana, essendo in particolare collegata alla curiosità e alla spinta all'esplorazione intellettuale.[1]

Meraviglia, dipinto di Sérgio Valle Duarte (1980).

La parola deriva dal latino mirabilia, cioè "cose ammirevoli", dal verbo mirari, "guardare con meraviglia".[2] La meraviglia è per lo più associata a una sensazione o scoperta positiva.[3] Il meraviglioso, nella letteratura e nelle arti visive, è l'insieme di elementi che in un'opera provocano meraviglia, con particolare riferimento a quelli fantastici e soprannaturali.[4]

La meraviglia come origine e stimolo della filosofia

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Lo stesso argomento in dettaglio: Filosofia.
Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?, Paul Gauguin (1897)

La meraviglia, secondo Platone[5] e Aristotele,[6] è all'origine della sapienza e quindi della filosofia.

«È proprio del filosofo questo che tu provi, di esser pieno di meraviglia; né altro cominciamento ha il filosofare che questo»

La meraviglia è dunque il senso di stupore e di inquietudine sperimentata dall'uomo quando, soddisfatte le immediate necessità materiali, comincia a interrogarsi sulla sua esistenza e sul suo rapporto con il mondo:

«Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell'intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia [thaumazon] riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall'ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica.»

Tale meraviglia però non va confusa con lo stupore intellettuale:

«Che la "meraviglia", da cui - secondo il testo aristotelico - nasce la filosofia, non debba essere intesa, come di solito accade, come un semplice stupore intellettuale che passerebbe dai "problemi" (ápora) "più facili" (prócheira) a quelli "più difficili" - cioè che il timbro del passo aristotelico sia "tragico" - riceve luce dalla circostanza che anche per Eschilo l'epistéme ("conoscenza") libera da una angoscia che sebbene sia da lui considerata "tre volte antica", è tuttavia la più recente, perché non è quella primitiva, e più debole, dovuta all'incapacità di vivere, dalla quale libera la téchne ("tecnica", "arte"), ma è l'angoscia estrema, il culmine al quale essa perviene quando il mortale si trova di fronte al thaûma ("meraviglia", "sgomento") del divenire del Tutto - al terrore provocato dall'evento annientante che esce dal niente. In questo senso anche per Eschilo l'epistéme non mira ad alcun vantaggio tecnico (982b21), è "libera" (982b27) e ha come fine soltanto sé stessa (982b27), cioè la liberazione vera dal terrore.»

Il filosofo, matematico, scienziato e scrittore francese Cartesio (1596-1650) descrisse la meraviglia come una delle emozioni primarie perché sosteneva che le emozioni in generale siano reazioni a fenomeni inaspettati. Egli osservò che quando la gente incontrava per la prima volta un oggetto sorprendente o nuovo, "... questo ci rende meravigliati e stupefatti". Propose quindi che "la meraviglia è la prima di tutte le passioni." (Le passioni dell'anima, art. 53). Tuttavia Cartesio, a differenza dei filosofi greci prima di lui, aveva una visione fondamentalmente negativa della meraviglia: "Anche se è bene essere nati con qualche tipo di inclinazione a questa passione [la meraviglia] perché ci dispone all'acquisizione delle scienze, comunque dovremmo poi sforzarci, per quanto possibile, di liberarci di essa." (Le passioni dell'anima 2 art. 76).

Questo sentimento è riflesso in altri primi autori moderni come Thomas Hobbes nella sua discussione su termini inglesi "curiosità" (curiosity), "gioia" (joy) e "ammirazione" (admiration). Hobbes sosteneva che, poiché "... tutto ciò dunque che accade di nuovo a un uomo dà lui la speranza e motivo di sapere qualche cosa che non sapeva prima", che crea "... speranza e aspettativa di futura conoscenza da tutto ciò che avviene di nuovo e strano", una "passione che noi comunemente chiamiamo ammirazione; e lo stesso considerato come appetito, è chiamato curiosità, che è l'appetito della conoscenza"[7]

In De homine XII, Hobbes discute la "gioia" dell'"ammirazione" ancora mettendo in contrasto gli esseri umani con gli altri animali. Hobbes sostiene che "... questa passione è quasi peculiare degli uomini." Egli sottolinea che "anche se gli altri animali, ogni volta che vedono qualcosa di nuovo o insolito, ammirano nella misura in cui vedono qualcosa di nuovo o di insolito", così che possano determinare se è pericoloso o innocuo, gli uomini, "quando vedono qualcosa di nuovo, cercano di sapere da dove sia venuto e a quale uso lo si possa adibire."

Nella Storia dell'astronomia,[8] Adam Smith si sofferma sulla meraviglia non solo per spiegare la differenza tra il pensiero umano e quello animale, ma piuttosto per spiegare perché studiamo le scienze naturali. Una persona non civilizzata o un bambino è ancora nettamente diverso dagli altri animali perché "colpisce la pietra che gli fa male". Il bambino è interessato a trovare un rapporto tra causa ed effetto, ma è limitato nella sua capacità di farlo.[9]

Per Schopenhauer la meraviglia è una caratteristica esclusiva dell'essere umano, in relazione alla consapevolezza della propria mortalità:

«Ad eccezione dell'uomo, nessun essere si meraviglia della propria esistenza… La meraviglia filosofica … è viceversa condizionata da un più elevato sviluppo dell'intelligenza individuale: tale condizione però non è certamente l'unica, ma è invece la cognizione della morte, insieme con la vista del dolore e della miseria della vita, che ha senza dubbio dato l'impulso più forte alla riflessione filosofica e alle spiegazioni metafisiche del mondo.»

Dipinto di William Bouguereau, Osservazione di una testa di uccello (1867)

Nel saggio Filosofia e Pensero, Maria Zambrano spiega che la meraviglia è all’origine sia della filosofia che della poesia, ma che però esse sono in contrasto l’una con l’altra a causa del modo in cui si relazionano al mondo. Mentre la filosofia si distacca violentemente dal primitivo sentimento di stupore per iniziare un cammino metodico che porterà il filosofo a cogliere l’unità nella molteplicità del mondo, la poesia vi rimane fedele, perché il poeta trova l’unità nella poesia stessa. In La Ragione Poetica,[10] Maria Zambrano riequilibra il ruolo della filosofia riavvicinandolo a quello della poesia grazie alla creazione di un nuovo concetto, la "ragione poetica”, secondo il quale la filosofia rompe con l’atteggiamento di unilaterale egemonia della mente per farsi carico dell’essere umano nella sua interezza, ridonandogli la libertà di meravigliarsi di fronte alla vita.

«La violenza vuole, mentre la meraviglia non vuole nulla. A questa è perfettamente estraneo il volere; le è estraneo e perfino nemico tutto quanto non persegue il suo inestinguibile stupore estatico. E, ciò nonostante, la violenza viene a romperla e rompendola invece di distruggerla fa nascere qualcosa di nuovo, un figlio di entrambe: il pensiero, l'instancabile pensiero filosofico.»


Il filosofo Emanuele Severino invece sosteneva che l'origine principale della filosofia non è la meraviglia, ma la paura della morte, come rimedio nel senso di ricerca di una verità incontrovertibile.[11]

Senso del meraviglioso

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Lo stesso argomento in dettaglio: Sense of wonder.

Il senso del meraviglioso (dall'inglese sense of wonder) è la tipica sensazione di meraviglia che viene volutamente ricercata nelle opere di narrativa fantastica e fantascientifica, particolarmente citata in relazione all'"Età d'oro della fantascienza" degli anni quaranta e cinquanta del Novecento.

Il sense of wonder è una reazione emotiva che ha il lettore quando si confronta, cerca di capire o viene messo di fronte a un concetto assolutamente nuovo e non esistente necessario per recepire delle nuove informazioni. Può essere associato all'azione di cambio di paradigma, atto tipico della fantascienza per cui si accetta una tecnologia futuribile e le sue basi per poter proseguire la comprensione dell'opera o di parte di essa.

Il sense of wonder non richiede la completa comprensione della situazione che lo causa.

L'espressione viene spesso usata in correlazione con la sospensione della realtà o la più letteraria volontaria sospensione dell'incredulità di cui parlava il poeta Coleridge.[12]

  1. ^ Philip Fisher, Wonder, the Rainbow, and the Aesthetics of Rare Experiences, Harvard University Press.
  2. ^ Meraviglia, etimologia, definizione e significato | Una parola al giorno
  3. ^ Meraviglia: Definizione e significato di Meraviglia, su dizionari.corriere.it, corriere.it. URL consultato il 1º ottobre 2017.
  4. ^ meraviglia: significato e definizione - Dizionari - La Repubblica
  5. ^ Platone, Teeteto 150 d, 155 d
  6. ^ Aristotele, Metafisica I.ii.982b11-24; Poetica IV
  7. ^ Thomas Hobbes, Elements of Law I (Human Nature) IX, paragrafo 18.
  8. ^ pubblicata postuma nei Saggi filosofici e risalente probabilmente al 1750.
  9. ^ Adam Smith, The History of Astronomy - Adam Smith, Glasgow Edition of the Works and Correspondence Vol. 3 Essays on Philosophical Subjects, 1982 [1795] (archiviato dall'url originale il 3 dicembre 2013).
  10. ^ María Zambrano, La ragione poetica, traduzione di A. Savignano, Marietti, 2004, ISBN 9788821166297.
  11. ^ Emanuele Severino. La nascita della filosofia - Filosofia - Rai Cultura, su raicultura.it. URL consultato il 18 ottobre 2020.
  12. ^ Samuel Taylor Coleridge, Biographia literaria, 1817 - capitolo XIV (rilevò che le opere teatrali cercavano di provocare quella volontaria e momentanea sospensione dell'incredulità che costituisce la fede poetica).

Voci correlate

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