Max Bondi
Max Bondi, all'anagrafe Massimo Bondi (Roma, 13 ottobre 1881 – XX secolo), è stato un imprenditore e politico italiano.
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Imprenditore e finanziere toscano discendente da una famiglia di banchieri-mercanti tedeschi, Massimo Bondi laureato in chimica industriale, fu insieme ad altri membri della famiglia ai vertici della Società anonima degli alti forni e fonderia di Piombino, assurgendo a un ruolo da protagonista della siderurgia italiana. Grazie agli incentivi statali destinati alla siderurgia italiana, nei primi anni del Novecento si impegna nella realizzazione del primo impianto italiano a ciclo completo, comprensivo di altiforni a coke, acciaieria e laminatoio. Gli impianti della Piombino entrarono a pieno regime solo nel biennio 1908-1910.[1] Tuttavia, il programma industriale di Bondi, un po’ troppo ambizioso a fronte delle risorse effettivamente disponibili, portò in breve all’accumulo di una notevole massa di passività, cui si cercò di far fronte attraverso la creazione nel 1911 del cosiddetto Consorzio siderurgico, ossia di un accordo industriale a livello nazionale tra le imprese maggiori, che andò a comprendere le società Elba, Piombino, Siderurgica di Savona, Ligure metallurgica, Ferriere italiane e Ilva.[1] Di quest'ultima Bondi divenne uno dei consiglieri delegati.
La congiuntura bellica offrì nuove opportunità alla siderurgia italiana, grazie alla eccezionale e urgente domanda di munizioni di guerra, ma il momento positivo della fase bellica si tramutò tra il 1920 e il 1921 in una grave crisi, causata anche da una serie di infelici movimenti speculativi dello stesso Bondi[2], mirati a espandere il controllo industriale e finanziario della società a numerose imprese meccaniche, armatoriali, cantieristiche, minerarie ed elettriche.[1]
"I proprietari fondiari Paolo Guicciardini e Peruzzi de’ Medici affiancarono Max Bondi e l’industria siderurgica e degli armamenti col pieno appoggio de “La Nazione”, che era di proprietà dello stesso Bondi, nel sostegno del primo movimento di reazione civile ai rossi, dal quale poi scaturì il fascismo come fenomeno reazionario"[3]. Il suo ruolo nel finanziamento del nascente fascismo[4] lo mise in contatto con le massime gerarchie del potere, anche in ragione del suo peso editoriale[5].
L’ulteriore, irreversibile, indebitamento dell’Ilva portò la società nelle mani delle creditrici Banca commerciale italiana e Credito italiano, mentre il Bondi veniva sottoposto ad inchieste giudiziarie e fiscali.[6]
A seguito di alterne vicende e di rovesci finanziari, nel novembre 1925 Bondi fu costretto a fuggire all’estero, facendo perdere le proprie tracce.[1]
Archivio
[modifica | modifica wikitesto]La documentazione prodotta da Max Bondi nel corso della propria carriera imprenditoriale alla testa prima della Piombino e poi dell'Ilva, si conserva nella Fondazione Ansaldo (Gruppo Finmeccanica) di Genova[7], nei fondi Alti forni, Fonderie e Acciaierie di Piombino (estremi cronologici: 1897-1929)[8] e Ilva (estremi cronologici: 1882-1993)[9] .
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c d SAN.
- ^ "Si assiste anche ad alcuni tentativi di scalata, nessuno dei quali coronato da successo, a realtà di vertice del capitalismo italiano (Bastogi, Edison). Queste sue spericolate operazioni finanziarie arrivano a suscitare i sospetti di governi alleati come quello francese e del Comando supremo italiano che decidono di promuovere un’indagine sulle sue attività. Viene persino implicato in denunce di spionaggio. Nel novembre 1919 Max Bondi entra alla Camera (circoscrizione Pisa-Livorno) come esponente di una lista liberal-democratica che associa radicali e combattenti. Alla sua elezione ha certamente contribuito l’imponente concentrazione editoriale realizzata dalla società Ilva di cui, nella sola Toscana, fanno parte «La Nazione» e «Il Nuovo Giornale» di Firenze, «Il Telegrafo» di Livorno e una serie di fogli minori locali": M. Lungonelli, Imprese e imprenditori toscani nella crisi del primo dopoguerra, in Il Biennio rosso in Toscana, Atti dell'Assemblea, 2021, pp. 19 e 30.
- ^ M. Lungonelli, Imprese e imprenditori toscani nella crisi del primo dopoguerra, in Il Biennio rosso in Toscana, Atti dell'Assemblea, 2021, pp. 19 e 30.
- ^ L’elenco inedito dei finanziatori del fascismo, in Fascismo (1919-1943), 9 giugno 2010.
- ^ Come finanziatore di Epoca, organo dei combattenti, negoziava con Mussolini in ordine alla prosecuzione del ruolo di direttore esercitato da Titta Madia, secondo Avanti!, 13 giugno 1924, p. 4.
- ^ Max Bondi: padrone dell'Ilva, fondò lo Zuccherificio di Molinella, per poi sparire nel nulla, su www.duecaffe.it. URL consultato il 4 gennaio 2023.
- ^ Fondazione Ansaldo (Gruppo Finmeccanica), su SIUSA - Sistema informativo unificato per le soprintendenze archivistiche. URL consultato il 5 settembre 2018 (archiviato il 10 agosto 2018).
- ^ fondo Alti forni, Fonderie e Acciaierie di Piombino, su SIUSA - Sistema informativo unificato per le soprintendenze archivistiche. URL consultato il 5 settembre 2018 (archiviato dall'url originale il 5 settembre 2018).
- ^ fondo Ilva, su SIUSA - Sistema informativo unificato per le soprintendenze archivistiche. URL consultato il 5 settembre 2018.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Franco Bonelli e Mario Barsali, Bondi, Massimo, in Dizionario biografico degli italiani, XI, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1969.
- ILVA alti forni e acciaierie d'Italia, 1897-1947, Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 1948.
- A. Carparelli, I perché di una “mezza siderurgia”. La società Ilva, l'industria della ghisa e il ciclo integrale negli anni Venti, in Acciaio per l'industrializzazione, a cura di F. Bonelli, Torino, Einaudi, 1982, pp. 5-158.
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Massimo Bondi, su storia.camera.it, Camera dei deputati.
- Massimo Bondi, su SAN - Portale degli archivi d'impresa. URL consultato il 5 settembre 2018 (archiviato il 5 settembre 2018). (fonte utilizzata)
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