Ibico

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Reggio Calabria, monumento a Ibico.

Ibico (in greco antico: Ἴβυκος?, Íbykos; Rhegion, 570 a.C. circa[1]Corinto?, dopo il 522 a.C.[2]) è stato un poeta greco antico di lirica corale, attivo verso la metà del VI secolo a.C. in Magna Grecia.

Ibico nacque a Rhegion (oggi Reggio Calabria) da una famiglia aristocratica. Figlio di Fitio, si sarebbe formato alla scuola poetica di Stesicoro e in età adulta andò a vivere a Samo presso la corte del tiranno Eaco o del figlio Policrate,[3] a seconda della cronologia che si accetta,[4] dove incontrò il poeta Anacreonte.[5]

Alcuni aneddoti antichi ricordano, a tal proposito, Ibico non solo come poeta di corte di Policrate, ma, appaiandolo appunto ad Anacreonte, come inventore di strumenti musicali:

«Ma quest'ultimo strumento (la Lira fenicia, o sambuca) Neante di Cizico, nel libro primo dei suoi Annali, dice che fu ideato da Ibico, il famoso poeta di Reggio; così come Anacreonte inventò il barbiton (strumento dalle molte corde)»

A proposito della sua morte, a Corinto, dove doveva essere giunto dopo la morte violenta del tiranno di Samo, si raccontava:

«Ferito a morte dai ladri nei pressi di Corinto, il poeta in punto di morte vide uno stormo di gru e le pregò di vendicare la sua morte. I ladri nel frattempo giunsero a Corinto e, poco dopo seduti nel teatro, videro le gru sopra le loro teste. Uno di loro, sorpreso, esclamò: "Guardate, i vendicatori di Ibico!", così la gente capì cosa era successo accusando gli autori del delitto.»

Forse tale leggenda nacque per l'analogia tra il nome del poeta e il nome di una specie di gru: Esichio, infatti, [6]riporta che ἶβυξ è una forma di "ibis", mentre la parola più comune per "gru" (γέρανος, geranos) è quella usata per gli uccelli associati all'aneddoto.

Lo stesso argomento in dettaglio: Frammenti dei lirici greci § Ibico.
Ritratto di Ibico
Un ritratto di Ibico, rinvenuto alla villa dei Papiri di Ercolano.

Annoverato dagli alessandrini tra i nove poeti lirici, Ibico scrisse vari carmi raccolti in sette libri. Pur subendo l'influsso di Stesicoro, si allontanò progressivamente dal modello di carmi lirici di contenuto eroico (encomi), che pure produsse, per diventare il poeta dell'amore e della passione, soprattutto in lode della bellezza degli efebi, dando così alla lirica corale un aspetto nuovo e originale.[4]

«È diceria popolare che i lirici avessero la predilezione per le poesie di argomento Paidico. Queste cose si riferiscono anche agli amori, che riguardano Alceo e Ibico e Anacreonte»

Tuttavia la maggior parte della sua produzione è andata perduta, e di queste composizioni poetiche possediamo oggi solo una sessantina di frammenti. Uno di questi, conservato da un papiro, permette di leggere la parte finale del cosiddetto Encomio di Policrate, in cui Ibico elenca situazioni ed eroi della guerra di Troia aggiungendo però di non volersi occupare di questo argomento; egli preferisce invece ricordare alcuni eroi greci e troiani famosi per la loro bellezza, paragonando a questi lo stesso Policrate.[7]
Di argomento mitologico dovevano essere altri componimenti, come uno che non si sapeva se attribuire a Ibico o a Stesicoro, un poema intitolato I giochi funebri per Pelia; pare però più probabile, a giudicare da altre testimonianze, che tale poema fosse opera di Stesicoro:

«[…] Stesicoro o Ibico, nel poema intitolato I giochi funebri, ha detto che i regali vennero portati alle donne, ‘dolci al sesamo, cereali, dolci di olio e miele, altre buone paste e miele giallo’.»

Il mondo poetico e concettuale di Ibico

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Un tema comune in molte opere è quello della possessione amorosa, a cui però il poeta risponde stancamente poiché colpito dall'amore in vecchiaia. Un altro carme proclama radiosamente che ogni stagione è tempo d'amore, così forte da gelare il corpo, a differenza della primavera che feconda la terra:[8]

«A primavera, mentre i meli
cidonii, irrigati da fluenti
rivi, lì dove le vergini
hanno i loro puri giardini, e i grappoli d'uva,
che crescon sotto l'ombre
delle viti, sbocciano e fioriscono, per me Eros
non riposa in alcuna stagione,
ma, come il vento gelido di Borea,
carico di fulmini,
soffiando da Afrodite con fiammanti
colpi di follia, ceruleo e senza riposo,
mi scuote dalle radici
mente e cuore.»

Cicerone lo lodò considerandolo poeta d'amore più ardente degli altri poeti della Magna Grecia, così come altri autori lo definirono poeta quantomai portato alla poesia erotica[9].

Lo stile di Ibico è caratterizzato da un grande uso degli aggettivi e dalla particolarità di inserire il significato del componimento nei versi centrali, anziché nelle battute finali, in un uso che si discosta ampiamente dalla consuetudine lirica saffica. Esso è visibile, ad esempio, nel già citato Fr. 286 West, che richiama un passo analogo di Saffo, variandone stile e impostazione.

  1. ^ Data ricavabile per congettura da Eusebio, Chronicon, 59, 13.
  2. ^ Cfr. Antologia Palatina, VII 714 sulla sua sepoltura.
  3. ^ Eusebio, Chronicon, 59,3.
  4. ^ a b Guido Carotenuto, Letteratura greca: storia, testi, traduzioni, vol. 1, Canova, 1989, pp. 303-305, ISBN 88-85066-59-3, OCLC 849314853. URL consultato il 6 giugno 2020.
  5. ^ Suda, s.v.
  6. ^ s.v. iota 138.
  7. ^ G. F. Giannotti, Mito ed encomio: il carme di Ibico in onore di Policrate, in RIFC, n. 101 (1973), pp. 401-410.
  8. ^ C. Gallavotti, La primavera di Ibico, in Bollettino dei Classici, n. 2 (1981), pp. 120-135.
  9. ^ «Il Reggino Ibico tra tutti il più infiammato d’amore. E vediamo che gli amori di tutti costoro sono sensuali»: Cicerone, Tuscolane, IV, 71; «O Ibico, che cogliesti il soave fiore di Peitho (in greco, Πειθώ, la Persuasione personificata e dei fanciulli»: Antologia Palatina IX, 184.

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