Vai al contenuto

Giuditta (Lotto)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

«i presidenti del Consortio de la Misericordia da Bergamo [...] per una parte, et m.ro Lorenzo Lotto da Venetia pentore per l'altra»

Giuditta
AutoriLorenzo Lotto e Giovan Francesco Capoferri
Data1529
Materialelegno
Dimensioni68×100,3 cm
UbicazioneBasilica di Santa Maria Maggiore (Bergamo), Bergamo

La tarsia Giuditta fa parte delle tarsie del coro della basilica di santa Maria Maggiore. È collocata sullo stallo posto sulla parte destra dell'accesso al presbiterio e visibile dai fedeli perché, con altre tre, rivolta verso la navata centrale. La tarsia è composta dalla parte raffigurativa del racconto biblico di Giuditta e Oloferne e da un coperto che deve proteggerla dall'usura del tempo e che veniva rimosso durante le funzioni religiose più importanti. Per la sua intensa rappresentazione è una delle più conosciute tra quelle disegnate da Lorenzo Lotto ed eseguite dal Capoferri.

Il 12 marzo 1524 fu affidata a Lorenzo Lotto la realizzazione dei disegni per le tarsie del coro della basilica mariana, dalla congregazione della Misericordia Maggiore, che la amministrava, e che aveva deciso di completare il presbiterio con la formazione del coro[1], anche se la realizzazione ebbe un percorso piuttosto complesso[2].
Il progetto architettonico fu affidato a Bernardo Zenale e l'intarsio al giovane Giovan Francesco Capoferri che aveva lavorato alle tarsie del coro della chiesa di santo Stefano realizzate con Fra Damiano Zambelli[3]. Il Capoferri fu coadiuvato dal falegname Giovanni Belli di Ponteranica.
Le tarsie erano correlate da un coperto che doveva proteggerle, ma che con i disegni del Lotto divennero un elaborato e profondo messaggio da comprendere[4]. Le tarsie, furono realizzate con la tecnica mista, che richiedeva l'uso di tasselli di legni differenti. Venivano successivamente dipinte e profilate per esaltarne il colore[5]. La tarsia fu profilata da Ludovico da Mantova[6].
Il disegno del Lotto venne eseguito tra il 1527 e il 1528, e la realizzazione nel 1531, anno in cui venne deciso l'ampliamento del coro con l'aggiunta di ulteriori banchi su progetto di Marcantonio, figlio del più famoso Pietro Isabello[7].

L'intarsio, tratto dal Libro di Giuditta, racconta la notte in cui Giuditta uccide decapitando Oloferne. La donna era vedova da tre anni e quattro mesi che abitava in una tenda costruita sul terrazzo della sua casa e che vestiva gli abiti della vedovanza e viveva in castità;

« […] perché molto temeva Dio non vi era chi dicesse una mala parola di essa »   ( Giuditta 8, su laparola.net.)

il marito Manasse era morto per una insolazione mentre lavorava nei campi. La città di Betulia era assediata dall'esercito assiro di Nabucodonosor comandato da Oloferne, città che gli israeliti ritenevano inespugnabile grazie alla sua posizione tra i monti[8]. La giovane Giuditta riuscì a infiltratasi nell'accampamento nemico dichiarandosi traditrice del suo popolo. Per questo venne accolta nella tenda dal comandante assiro Oloferne senza timore. Quando i fumi dell'alcool lo ebbero addormentato, la donna gli recise il capo consegnandolo alla sua ancella. La tarsia è molto scenica e dettagliata[8].

Sulla parte sinistra del pannello si vede la città torrita racchiusa entro le mura, la grande chiesa centrale indica la sua connotazione cristiana. Il cielo dalle striature dorate, il solo delle tarsie lottesche, è la rappresentazione esegetica della chiesa combattuta dai persecutori. Centrale la scena di Giuditta che regge nella sinistra la testa decapitata del comandante assiro di cui si vedono i piedi all'interno del tendone, e nella destra la spada insanguinata. Raffinata la raffigurazione di Giuditta dall'espressione serena che indossa abiti Cinquecenteschi, l'ampia gonna è raccolta sui fianchi, e sulla testa è ornata dalla mitra indice di fortezza e di castità.

« […]si scompartì i capelli e si pose in testa la mitra »   ( Giuditta 10,3, su laparola.net.)

Il Capoferri riuscì con grande abilità attraverso l'uso degli anelli stagionali del legno di acero a dare risalto al tessuto in seta del vestito[8].

A destra la scena è completamente differente, una iconografia unica che raffigura la cruda fisicità dell'umano. Mentre l'esercito giace addormentato, tre soldati, rivolti verso la città, in segno di disprezzo verso la chiesa, urinano e defecano. La volgarità dell'atto non era mai stata raffigurata in altre opere d'arte, voleva alludere all'occupazione romana da parte dei lanzichenecchi avvenuta il medesimo anno, con i conseguenti atti sacrileghi nelle chiese romane.

Sopra il padiglione assiro vi è uno spicchio di luna che rischiara e illumina, ma che lascia tante striature d'ombra; è la mezzaluna turca, simbolo dei miscredenti, mentre Giuditta è simbolo della chiesa militante messa a difesa dei tiranni[8]. Per raggiungere questo effetto, Capoferri usò uno stucco fosforescente che assorbe la luce artificiale creando un differente gioco luminoso.

Coperto della tarsia Giuditta

Sul lato sinistro la tarsia raffigura l'esercito di Betulia che, alla luce dell'aurora si prapara ad assalire la loro città e a scacciare gli assiri. La testa di Oloferne è issata sopra una picca, mentre le trombe suonano l'attacco. La scena è sicuramente molto differente dal resto della tarsia. Questa parte fu modificata per volere dei reggenti la congregazione, provocando un poco di stupore al Capoferri che si troverà ad avere una controversia con la congregazione come indicato nella lettera del 10 febbraio 1528:

«haver tato la mente turbata che gran faticha haverò quietar l0animo a dover far più niente per la Misericordia»

Dopo aver eseguito le modifiche sia della invenzione che dell'impresa, Lorenzo Lotto inviò una lettera al notaio Pellegrino:

«Mando li dui quadri grandi correti, quali sono fatti et aconzi conmia gran faticha, almancho impacio de l'opera, come vederti; se non vi ho satisfato, pazienza. fate aggiungere o sminuire a qualche pictor de lì a modo vostro et reportate ne la opera; pur ch'el mio disegno non sia alterato, contentatevi voi»

Secondo l'antico pensiero, la testa era la fonte della vita, e la scelto di Lorenzo Lotto e dei membri della congregazione è stata di avvicinare due tarsie avente come soggetto proprio la decapitazione, accanto vi è infatti Davide e Golia.[9]

Il coperto o “picture a claro et obsuro” o impresa, che aveva l'uso di protezione della tarsia, ma che il Lotto aveva trasformato in un messaggio di riflessione alchemica, ha una raffigurazione trionfale, il bene rappresentato da Giuditta, è raffigurato attraverso la mitra svolazzante posta centralmente del pannello con appeso un cartiglio riportante la scritta Vedutatis Gloria. La grande corona a indicare il bene vittorioso sul male.


Lateralmente, appese a nastri, la testa di Oloferne simbolo della tentazione del demonio e a sinistra la spada dell'affermazione del bene. I due rami di palma alludono alla vittoria segno della volontà divina[10]. Nella raffigurazione alchemica Lorenzo Lotto presenta Giuditta come nell'Opera Prima il nero, come dice il libro di Giuditta:

«[…] cadde con la faccia a terra, si gettò della cenere sul capo e mise allo scoperto il sacco di cui sotto era vestita»

Giuditta prega e dopo la preghiera getta l'abito di vedova in sacco, si lava e si unge di profumo. Sul capo pone la mitra, e trascorso il quarto giorno dei festeggiamenti di Oloferne, mentre questi si corica e si assopisce grazie ai fumi del vino, Giuditta, entra nella sua tenda e avvicinatasi al letto e presa la sua scimitarra disse[11]:

«staccò la scimitarra di lui, e accostatasi al letto afferrò la testa di lui per la chioma e disse: Dammi forza, o Signore Dio d'Israele, in questo momento; e con tutta la sua forza lo colpì due volte al collo e ne staccò la testa […] Quando uscì consegno la testa di Oloferne alla sua ancella, la quale la mise nella bisaccia dei viveri [prima destinata ai cibi puri]. Poi uscirono insieme, secondo il loro uso, per la preghiera»

Nella tarsia Giuditta porta legata al capo una fascia, la medesima presente nel coperto. Attraverso un anello passa la mitra, ed è segno di fedeltà a Dio, il quale permette a Giuditta di avere la luce e la forza necessaria. Lotto firma la sua opera formando con la cordicella che regge la spada il numero otto. Elemento inserito in altre tarsia.[12]

  1. ^ Francesca Cortesi Bosco, Registri biografici - Patti, mercati, bollettini, polizze, mandati e ricevute, II, 1987.
  2. ^ Lorenzo Lotto e Giovanni Francesco Capoferri, su 1995-2015.undo.net, Un do net. URL consultato il 10 maggio 2018.
  3. ^ Francesco Capoferri traduttore in legno di Lorenzo Lotto, su laboratorioberetti.eu, LabB. URL consultato il 10 maggio 2018 (archiviato dall'url originale l'11 maggio 2018).
  4. ^ Loiri Locatelli, p 15.
  5. ^ Le tarsie del coro di santa Maria Maggiore, su craftyform.com, craftyform. URL consultato il 10 maggio 2018 (archiviato dall'url originale l'11 maggio 2018).
  6. ^ Giuditta e la sua ancella mettono la testa di Oloferne in un sacco, su lombardiabeniculturali.it, Lomnbardia Beni culturali. URL consultato il 10 maggio 2018.
  7. ^ Giuditta e la sua ancella, su lombardiabeniculturali.it, Lombardia Beni Culturali. URL consultato il 10 maggio 2018.
  8. ^ a b c d Loiri Locatelli, p 20-21.
  9. ^ Zanchiimmaginarioalchemico.
  10. ^ Liori Locatelli, p 22.
  11. ^ Zamchiimmaginarioalchemico, p. 31.
  12. ^ Zanchiimmaginarioalchemico, p. 33.
  • Francesca Cortesi Bosco, Il coro intarsiato di Lotto e Capoferri per Santa Maria Maggiore in Bergamo, Milano, Amilcare Pizzi per il Credito Bergamasco, 1987.
  • Mauro Zanchi, Lorenzo Lotto e l'immaginario alchemico, Clusone, Ferrari Editrice, 1997, pp. 28-33, ISBN 88-8-64757-80.
  • Mauro Zanchi, In principio sarà il Sole. Il coro simbolico di Lorenzo Lotto, -Milano, Giunti, 2016, ISBN 978-88-09-83057-8.
  • Andreina Franco Loiri Locatelli, la Basilica di Santa Maria Maggiore, n. 12-13, La Rivista di Bergamo, Giugno 1998.
  • Carlo Pirovano, Lotto, Milano, Electa, 2002, ISBN 88-435-7550-3.
  • Roberta D'Adda, Lotto, Milano, Skira, 2004.
  • Mauro Zanchi, La Bibbia secondo Lorenzo Lotto. Il coro ligneo della Basilica di Bergamo intarsiato da Capoferri, Bergamo, 2003-2006, ISBN 978 88 9061 49 5 8.

Voci correlate

[modifica | modifica wikitesto]