Vai al contenuto

Felice Mastrangelo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Felice Mastrangelo (Montalbano Jonico, 6 aprile 1773Napoli, 14 ottobre 1799) è stato un patriota italiano.

Felice Mastrangelo
NascitaMontalbano Jonico, 6 aprile 1773
MorteNapoli, 14 ottobre 1799
Cause della morteimpiccagione
Luogo di sepolturaChiesa di Sant'Alessio
Dati militari
Paese servito Regno di Napoli

Repubblica Napoletana

CorpoGuardia civica
Anni di servizio1792-1799
GradoGenerale
GuerreInsorgenze antifrancesi in Italia
Battaglieassedio di Altamura
Frase celebremuoio libero
Altre caricheMedico
voci di militari presenti su Wikipedia

Giacobino, ricoprì cariche amministrative sotto la Repubblica Napoletana; con Nicola Palomba organizzò la Rivoluzione altamurana, ma fu sconfitto dalle forze sanfediste, catturato e condannato a morte.

Nato da Maurizio, medico, e Vincenza Izzo, ricevette i primi insegnamenti nel suo paese natale dall'abate Nicola Maria Troyli, lo stesso che avviò allo studio un altro patriota montalbanese, Francesco Lomonaco. Mastrangelo si spostò in seguito a Napoli, studiando medicina e, dopo la laurea conseguita nel 1792, fu arruolato nell'esercito borbonico, partecipando alle campagne antifrancesi ma disertò a causa delle sue idee giacobine.

Ritornato a Montalbano, quando i giacobini partenopei avevano instaurato la Repubblica Napoletana, Mastrangelo iniziò a divulgare gli ideali repubblicani, servendosi del palazzo di una gentildonna locale, Rachele Cassano, che divenne una vera e propria sala patriottica in cui parteciparono numerosi sostenitori del nuovo governo.

Mastrangelo ricevette la nomina di generale del Dipartimento del Bradano, che comprendeva i comuni pugliesi di Altamura, Molfetta, Bisceglie, Trani, Barletta e i comuni lucani di Montepeloso, Potenza, Marsiconuovo, Montemurro, Stigliano e Pisticci. Venne inviato a Matera, affiancando il sacerdote Nicola Palomba di Avigliano, commissario del dipartimento e nuovo governatore della città.

Con l'avanzata dell'esercito sanfedista di Fabrizio Ruffo e con il ritorno di Matera al potere borbonico, Mastrangelo e Palomba furono costretti a fuggire ad Altamura, ancora in mano ai repubblicani. Una volta ad Altamura, assieme al commissario Nicola Palomba, diresse la cosiddetta Rivoluzione altamurana.[1]

Egli entrò subito in attrito con le scelte della Municipalità, che voleva evitare lo scontro diretto con i borbonici e tentare di coinvolgerli, pacificamente, nel nuovo sistema politico. Nel frattempo, da Matera, sotto il controllo sanfedista, giunsero minacce alla roccaforte giacobina. Lo scontro con l'esercito borbonico era oramai imminente e la città formò un esercito di 1 000 uomini mal equipaggiati, che dovette fronteggiare un'armata di 20 000 soldati.

Il generale Felice Mastrangelo e il commissario Nicola Palomba valutarono che Altamura non poteva più difendersi. Allora il generale Mastrangelo, temendo che i prigionieri potessero svelare al cardinale i capi e i fatti del governo repubblicano, ordinò ad alcuni componenti dei loro uomini (non altamurani) la fucilazione di tutti i prigionieri (rinchiusi nel refettorio del convento di San Francesco). Successivamente il commissario Palomba e il generale Mastrangelo fuggirono coi loro uomini.[2] Gli altamurani allora decisero di abbandonare di sera tardi la città, ormai indifendibile a causa della scarsità di munizioni (tanto che si arrivò a sparare monete, come raccontato da Domenico Sacchinelli nelle Memorie, 1836).

Quelli che non vollero o non riuscirono ad abbandonare la città vennero sterminati dai soldati di Ruffo, i quali si diedero anche a razzie. La latitanza di Mastrangelo fu di breve durata e, una volta catturato, fu condannato a morte nella piazza del Mercato a Napoli, assieme a Palomba. L'esecuzione capitale avvenne il 14 ottobre 1799 e, nei suoi ultimi istanti di vita, Mastrangelo urlò: «muoio libero».[3] Venne sepolto nella Chiesa di Sant'Alessio.

  1. ^ bolognese-zecher, pag. 50.
  2. ^ serena-dumas, pagg. 23-24.
  3. ^ Camillo Albanese, Cronache di una rivoluzione: Napoli 1799, FrancoAngeli, Milano, 1998, p.142

Voci correlate

[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni

[modifica | modifica wikitesto]