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Fabulae (Fedro)

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Fabulae
Titolo originalePhaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae
Frontespizio da un'edizione dell'opera del 1745
AutoreFedro
1ª ed. originale30-50 d.C.
GenereFavole
Lingua originalelatino

Le Fabulae (titolo completo Phaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae) di Fedro sono un'opera in latino suddivisa in cinque libri, scritta all'inizio del I secolo d.C.

I cinque libri superstiti delle Fabulae consistono in 102 componimenti, riconosciuti come certamente autentici; altre 32 favole – non comprese nei 5 libri canonici, ma certamente autentiche - sono contenute nella cosiddetta Appendix perottina, tratta nel XV secolo dall'umanista Niccolò Perotti da codici ora perduti. In effetti che la raccolta in nostro possesso sia mutila è evidente anche da indizi interni, come l'eccessiva brevità del secondo e del quinto libro (rispettivamente di 8 e 10 favole).

Esistono, comunque, per ricostruire le favole perdute, tre storiche sillogi di favole in gran parte riconducibili a Fedro:

  • le 67 favole del codice leidensis Vossianus, appartenuto ad Ademaro di Chabannes
  • le 62 favole contenute nel codice Gudianus Latinus di Wolfenbüttel, del X secolo
  • le 83 favole del Romulus, cosiddetto dal nome che il compilatore, che sostiene di essere l'autore delle traduzioni in latino di favole di Esopo, si è dato.

I primi due libri sarebbero stati pubblicati sotto Tiberio e risultano molto aderenti all'esposizione di tipo esopico,[1] laddove gli ultimi tre, più liberi, sono dedicati a personaggi di cui non abbiamo notizie, ma che dovevano essere persone di rilievo nell'ambiente culturale di Romaː Eutico, Particulone e Fileto.

Illustrazione della favola de "La cornacchia e la volpe" a opera di Grandville.

L'autore, nel prologo, dichiara di essersi ispirato per la composizione dell'opera alle storie del greco Esopo, vissuto circa seicento anni prima di lui; ossia vuole che le sue favole siano educative e aperte a tutti, tanto da usare come protagonisti degli animali, proprio come ha fatto Esopo, discostandosene però per la varietas.[2]

Nelle favole, in effetti, figurano i caratteri etici del bene nei panni di agnelli, cani, uccelli e topi; del male e del vizio negli aspetti di gatti, lupi, leoni e rospi; basti pensare a Il lupo e l'agnello, Il lupo e il cane o Il corvo e la volpe, riadattata da quella di Esopo; non mancano tuttavia spunti aneddotici, ricostruibili soprattutto dalle favole della Appendix perottina.

Ciò che accomuna apologhi e aneddoti è, comunque, il fatto che Fedro conclude ogni storia con una morale che deve servire da esempio per chi sbaglia nella favola e nella vita reale. A volte la morale manca, in quanto l'apologo stesso funge da riflessione morale, come nel celebre esempio de Le due bisacce, anch'essa ripresa da Esopo:

(LA)

«Peras imposuit Iuppiter nobis duas:
propriis repletam vitiis post tergum dedit,
alienis ante pectus suspendit gravem.»

(IT)

«Giove impose agli uomini due bisacce:
mise quella dei vizi propri dietro la schiena,
quella carica dei vizi altrui davanti al petto»

Altra caratteristica della favola fedriana è la brevitas:

«è, si può dire, un pilastro della poesia fedrianaː la favola o l'apologo devono essere quasi lapidari, se l'insegnamento ivi contenuto deve raggiungere il cuore e la coscienza del lettore. Le indicazioni etiche espresse con gusto e agilità non sono astratte enumerazioni di principi, ma mirano a migliorare il comportamento dell'uomo nei rapporti con il prossimo, nella sua attività pratica.»

  1. ^ Cfr. F. Solinas, Introduzione a Fedro, Favole, in La favola antica, Milano, Mondadori, 2007, p. 427-428.
  2. ^ Cfr. F. Solinas, Introduzione a Fedro, Favole, in La favola antica, Milano, Mondadori, 2007, pp. 433 ss.
  • Fernando Solinas, Fedro, Favole, Milano, Mondadori, 1992.
  • Giannina Solimano, Fedro, Favole, Milano, Garzanti, 2003.

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