Faber est suae quisque fortunae
Faber est suae quisque fortunae è una locuzione latina che significa «ciascuno è artefice della propria sorte»;[1] in luogo di quisque si trova talvolta unusquisque.
La locuzione è presente nella seconda delle due Epistulae ad Caesarem senem de re publica (De rep., 1, 1, 2) attribuite a Sallustio, ma di autenticità molto discussa (non è improbabile vederle citate come opere dello Pseudo Sallustio).
La frase, che nel tempo ha avuto molto successo e molte rielaborazioni (tra cui Homo faber fortunae suae), è attribuita nell'opera di Sallustio al console Appio Claudio Cieco (Appius Claudius Caecus):[2] in carminibus Appius ait, fabrum esse suae quemque fortunae (la forma diversa è soltanto dovuta alla costruzione della proposizione oggettiva in latino).
L'espressione è caratteristica della teoria dell'homo faber, secondo cui l'unico artefice del proprio destino è l'uomo stesso; viene talvolta vista come un iniziale contrapporsi dell'uomo romano all'idea del fato (dominante nel mondo classico), per essere responsabile protagonista delle sue azioni o nella lotta contro il bisogno e la miseria.[3]
Questa teoria verrà in seguito sviluppata soprattutto durante l'Umanesimo e il Rinascimento, specialmente alla luce della riconsiderazione del rapporto tra virtù e fortuna intesa come destino e dell'uomo in genere. Se, infatti, nel Medioevo l'uomo è considerato succube del destino, nell'Umanesimo e nel Rinascimento esso è visto come intelligente, astuto ed energico, e perciò capace di utilizzare al meglio ciò che la natura gli offre ed essere dunque artefice del proprio destino.[4]
Forte sostenitore di questa visione dell'uomo è stato il filosofo Giordano Bruno.[5]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ faber est suae quisque fortunae, su treccani.it.
- ^ Sabrina Torno, Letteratura latina, Alpha Test, 2001, p. 17.
- ^ Antimo Negri, Filosofia del lavoro: storia antologica, Volume 1, Marzorati 1980, p.29
- ^ Giovanni Fighera, Il Rinascimento: un cambiamento di prospettiva umano e religioso, su giovannifighera.it, 16 Giugno 2012.
- ^ Bruno D'Amore, Silvia Sbaragli, La matematica e la sua storia, vol. III, Dedalo, 2019, p. 26.