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Deir el-Zor

Coordinate: 35°19′48″N 40°09′00″E
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Deir el-Zor
città
(AR) دير الزور (Dayru z-Zawr)
Deir el-Zor – Veduta
Deir el-Zor – Veduta
Localizzazione
StatoSiria (bandiera) Siria
GovernatoratoDeir el-Zor
DistrettoDeir el-Zor
Sottodistretto
Territorio
Coordinate35°19′48″N 40°09′00″E
Altitudine210 m s.l.m.
Abitanti203 000[1] (stima 2002)
Altre informazioni
Linguearabo
Prefisso051
Fuso orarioUTC 2
Cartografia
Mappa di localizzazione: Siria
Deir el-Zor
Deir el-Zor

Deir el-Zor (in arabo دير الزور?, talvolta chiamata Deir ez-Zor, Dayr az-Zawr, Deir al-Zur) è una città della Siria, capoluogo del governatorato omonimo.

Nel 1860 il governo turco decise l'insediamento di una postazione militare nel territorio allora praticamente disabitato, in modo da controllare le vie commerciali che qui si incrociavano e che collegavano la Siria occidentale con Baghdad e con la Turchia orientale.

Divenne in breve tempo un punto di incontro tra beduini e mercanti, diventando nel XX secolo una vera città, grazie allo sviluppo agricolo del governatorato e alla scoperta del petrolio nel bacino del Khabur.

Nel 1915 la città divenne una destinazione finale durante la deportazione a carattere genocida degli Armeni dall'Impero ottomano. Nello specifico, fu sede di famigerati campi di detenzione dove gran parte dei sopravvissuti alla deportazione trovò la morte[2]. Un monumento è stato costruito per ricordare tale tragedia. Dopo la conquista della città da parte dell'ISIS il memoriale è stato fatto saltare in aria, il 21 settembre 2014.[3][4][5]

Alla fine della prima guerra mondiale, nel 1921, Deir el-Zor fu occupata dai francesi, che vi posero una poderosa guarnigione.

Durante la seconda guerra mondiale si svolse la battaglia di Deir el-Zor, durante la campagna di Siria.

Durante la guerra civile siriana, alla fine del 2013, Deir el-Zor è stata assediata dai jihadisti islamici, e a conquistare il restante della provincia omonima. Successivamente, l'intrusione dell'ISIS ha portato però ad un conflitto tra le file islamiste, nel quale lo Stato Islamico uscì vincitore; a luglio 2014 il risultato di tale battaglia fu il totale assedio delle forze lealiste, che si trovarono completamente isolate e circondate assieme al resto della popolazione in area governativa (si stima un numero attorno alle 100.000 unità). I rifornimenti di cibo, acqua e beni di prima necessità venivano effettuati grazie a ponti aerei coordinati dal governo di Damasco.

Il 17 gennaio 2016 i militanti dell'ISIS compiono una strage uccidendo almeno 300 civili, in maggioranza donne, bambini e anziani. 150 di essi sono decapitati. Altri 400 rapiti.[6]

Il 5 settembre 2017, dopo 3 anni, 1 mese e 22 giorni, l'esercito regolare siriano riesce a far breccia nella parte ovest della città, rompendo il lungo assedio e ricongiungendosi con la 137ª Brigata.[7][8][9]

Il 3 novembre la città viene definitivamente riconquistata dall'esercito siriano, sancendo di fatto la fine della lunghissima battaglia contro l'ISIS.

  1. ^ World Gazetteer
  2. ^ Hans-Lukas Kieser, Talaat Pasha : father of modern Turkey, architect of genocide, 2018, ISBN 978-0-691-15762-7, OCLC 1035758698. URL consultato il 26 aprile 2022.
  3. ^ Naira Hayrumyan, Middle East Terror: Memory of Armenian Genocide victims targeted by ISIS militants, in ArmeniaNow, 24 settembre 2014. URL consultato il 23 novembre 2015 (archiviato dall'url originale il 5 settembre 2015).
  4. ^ IS said to destroy Armenian Genocide memorial, in The Times of Israel, 22 settembre 2014.
  5. ^ Who destroyed the Armenian Genocide Martyrs’ Memorial Church in Deir Ezzor?, su conflict antiquities, 12 novembre 2014. URL consultato il 20 marzo 2015.
  6. ^ strage di civili nell'area del petrolio. “300 morti e 400 rapiti. Almeno 150 decapitati, anche donne e bambini”
  7. ^ (EN) Syrian army breaks three-year siege of Deir ez-Zor. URL consultato il 6 settembre 2017.
  8. ^ (EN) Syria: rotto l'assedio di Deir ez-Zor. URL consultato il 6 settembre 2017.
  9. ^ Siria, rotto l’assedio di Deir ez-Zour, l’esercito festeggia e Putin si congratula con Assad, su LaStampa.it. URL consultato il 06-09-2017.

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