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Civran

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Stemma Civran

I Civran furono una famiglia patrizia veneziana, annoverata fra le cosiddette Case Nuove.

Secondo la tradizione, i Civran si trasferirono a Venezia fin dall'epoca della sua fondazione, benché siano incerte le loro origini[1]: talune fonti azzardano una loro possibile provenienza da Cervia[2]. Alcuni[1] riportano un Pietro Civran come uno degli elettori del primo doge, Paolo Lucio Anafesto. Nei primi secoli della sua storia, diedero alla città lagunare antichi tribuni.

Partiti da umili origini, «furono un tempo Vallesani, poi mercanti e patroni di navi[2]». Membri dell'antico Consilium cittadino, furono tra le famiglie ammesse al patriziato alla serrata del Maggior Consiglio, nel 1297[1]. Nel 1753, un Benedetto Civran, «Provveditore di Armata, cioè Comandante dell'Armata sottile dipendente dall'allora Provveditore Generale da Mar Agostino Sagredo»[3], diede l'assalto, con due sole galere, a un bastimento di corsari tripolini armato di sedici cannoni, dandolo alle fiamme e liberando dieci schiavi cristiani (sette veneziani e tre napoletani). In riconoscimento di quest'atto di valore, il Senato concesse al suddetto Provveditore d'Armata Civran una speciale medaglia fatta coniare appositamente per l'occasione[3].

All'epoca della caduta della Serenissima, questo casato si trovava diviso in due differenti rami[1], «che per distinguersi i primi portano nell'arma il cervo d'oro, a differenza dei secondi che lo portano d'argento[2]»; il Governo imperiale austriaco riconobbe loro la patente di nobiltà con Sovrana Risoluziona del 16 novembre 1817[3].

Membri illustri

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Luoghi e architetture

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  1. ^ a b c d Dizionario storico-portatile di tutte le venete patrizie famiglie, Venezia, Giuseppe Bettinelli, 1780, p. 51.
  2. ^ a b c John Temple-Leader, Libro dei nobili veneti ora per la prima volta messo in luce, Firenze, Tipografia delle Murate, 1866, p. 28.
  3. ^ a b c Francesco Schröder, Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle provincie venete, Venezia, Tipografia di Alvisopoli, 1830, pp. 456-459.

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