Calgaco
Calgaco (in latino Calgacus, anche Galgacus; fl. I secolo) fu il capo del popolo dei Caledoni che, nell'83 o nell'84, si scontrarono al Monte Graupio, nella Scozia settentrionale, con le truppe romane del governatore della Britannia, Gneo Giulio Agricola[1].
L'unica fonte storica che ci parla di lui è l'Agricola di Tacito, che lo descrive come "il più distinto per valore e nobiltà tra i diversi capi" e al quale mette in bocca un celebre discorso, ricco di pathos, del quale è rimasto proverbiale l'explicit (ubi solitudinem faciunt, pacem appellant):
«Ogni volta che penso alle cause della guerra e alla situazione in cui ci troviamo, nutro la grande speranza che questo giorno e la vostra unione siano per tutta la Britannia l'inizio della libertà. Perché per voi tutti che siete qui e che non sapete cosa significhi la servitù, non esiste altra terra oltre questa e neppure il mare è sicuro, da quando su di noi incombe la flotta romana. Per questa ragione, nel combattere, scelta gloriosa dei forti, troverà sicurezza anche il codardo. I nostri compagni che si sono battuti prima di adesso con diversa fortuna contro i romani avevano in noi l'ultima speranza di aiuto, perché noi, i più rinomati di tutta la Britannia - perciò vi abitiamo proprio nel cuore, senza neanche vedere le coste dove risiede chi ha accettato la servitù - avevamo persino gli occhi non contaminati dalla schiavitù. Noi, che siamo al limite estremo del mondo e della libertà, siamo stati fino a oggi protetti dall'isolamento e dall'oscurità del nome. Ora, tuttavia, si aprono i confini ultimi della Britannia e l'ignoto è un fascino. Ma dopo di noi non ci sono più altre tribù, ma soltanto scogli e onde e un flagello ancora peggiore, i romani, contro la cui prepotenza non servono come difesa neppure la sottomissione e l'umiltà. Razziatori del mondo, adesso che la loro sete di universale saccheggio ha reso esausta la terra, vanno a cercare anche in mare: avidi se il nemico è ricco, arroganti se povero, gente che né l'oriente né l'occidente possono saziare. Loro bramano possedere con uguale smania ricchezze e miseria. Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero. Fanno il deserto, e lo chiamano pace.»
Calgaco non viene menzionato durante o dopo la battaglia del Graupio, e neppure tra gli ostaggi che Agricola si fa consegnare dopo la vittoria e non sappiamo quindi se fu ucciso nello scontro o se scampò alla morte. Comunque sia, egli scompare dalla scena della storia, altrettanto rapidamente di come vi era comparso.
Precedenti e paralleli
[modifica | modifica wikitesto]Il discorso di Calgaco trova un precedente durante le campagne galliche di Cesare, quando il nobile Critognato, del popolo gallico degli Arverni, incoraggia i compagni stremati dall'assedio di Alesia, arrivando perfino all'estrema proposta dell'antropofagia, pur di non arrendersi alla schiavitù che sarebbe seguita alla conquista romana della Gallia.[2]
In entrambi i brani è evidenziata una capacità dei testimoni e della storiografia romana, il saper accogliere e interpretare il punto di vista dell'avversario; è un tema letterario che raggiunge con Calgaco il punto più alto e denso, ma che si ritrova anche in Sallustio, nell'epistola che egli immagina scritta da Mitridate, re del Ponto, al re dei Parti Arsace, e in Pompeo Trogo, in un discorso attribuito ancora a Mitridate.[3]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Tacito, Agricola 29-38.
- ^ Il discorso di Critognato, anch'esso in forma diretta, è riportato da Cesare in De bello Gallico, VII, 77 Archiviato il 15 maggio 2008 in Internet Archive..
- ^ XXXVII, 4 su www.forumromanum (EN) Pompeo Trogo, nell'Epitome di Giustino.