il Resto del Carlino

quotidiano italiano
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il Resto del Carlino è un quotidiano italiano, tra i più antichi tuttora in vita. Fondato nel 1885, è il giornale simbolo di Bologna e il primo quotidiano per diffusione in Emilia-Romagna e Marche,[6] nonché il settimo quotidiano più diffuso in Italia.[3] Tra il 1945 e il 1953 la testata ebbe il nome Giornale dell'Emilia.

il Resto del Carlino
Logo
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StatoItalia (bandiera) Italia
Linguaitaliano
Periodicitàquotidiano
Generestampa nazionale[1]
Formatotabloid a 5 colonne
FondatoreCesare Chiusoli, Giulio Padovani e Alberto Carboni
Fondazione21 marzo 1885
Inserti e allegati
  • Informazione locale[2]
  • QS Sport
  • Il piacere della lettura (sabato)
Sedevia E. Mattei, 106, Bologna
EditoreEditoriale Nazionale (gruppo Monrif)
Tiratura107 820[3] (2020)
Diffusione cartacea76 174[3] (2020)
Diffusione digitale2 334[3] (2020)
DirettoreAgnese Pini[4]
CondirettoreBeppe Boni[5]
VicedirettoreValerio Baroncini, Giancarlo Ricci
Redattore capoMassimo Pandolfi
ISSN1128-6741 (WC · ACNP)
Distribuzione
cartacea
Edizione cartaceasingola copia/
abbonamento
multimediale
Edizione digitaleinedicola.net
Tablet PCsu abbonamento
Smartphonesu abbonamento
Sito webilrestodelcarlino.it
 

Insieme alla Nazione di Firenze, Il Giorno di Milano e Il Telegrafo di Livorno, fa parte della rete che porta il nome di QN Quotidiano Nazionale ed è pubblicato dalla Editoriale Nazionale s.r.l. (gruppo Monrif).

Origine del nome

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Nel 1885 a Firenze circolava un giornale di nome Il Resto al Sigaro,[7] venduto nelle tabaccherie al prezzo di 2 centesimi. Costando un sigaro 8 centesimi, era facile per gli esercenti abbinare la vendita dei due prodotti e rendersi così promotori del giornale. Un gruppo di amici bolognesi che frequentava abitualmente il capoluogo toscano trovò l'idea interessante e, nel giro di due mesi, decise di importarla nella città felsinea. I loro nomi erano Cesare Chiusoli, Giulio Padovani e Alberto Carboni, tutti e tre con alle spalle studi di giurisprudenza e un'attività consolidata di giornalismo in altri quotidiani cittadini (Stella d'Italia, La Patria).[8]

Il loro giornale uscì con le stesse dimensioni e prezzo del foglio fiorentino. Costava due centesimi (invece dei 5 della stampa "seria" e di quella sportiva) e aveva un formato di 19 × 29 cm, più piccolo dell'attuale A4. Secondo i canoni dell'epoca la pagina in formato lenzuolo era tipica della stampa d'informazione; invece i fogli cittadini popolari circolavano in formato ridotto. I fondatori scelsero questo secondo formato poiché il nuovo giornale non nasceva per fare concorrenza alla stampa "seria", ma per fornire a chi non aveva il tempo di leggere i grandi giornali un resoconto veloce dei fatti del giorno.[9]

Si decise che il nome dovesse richiamarsi all'originale fiorentino, senza tuttavia esserne una copia, e mantenerne lo stesso tono originale, scanzonato e bizzarro. Nella Bologna ottocentesca la moda giornalistica imponeva nomi come "La Striglia", "La Frusta", "Lo scappellotto". I fondatori scelsero "il Resto… del Carlino". Il carlino era stata una moneta dello stato Pontificio coniata dal XIII secolo al 1796, quindi alla fine dell'Ottocento non era più in circolazione da tempo. Con l'unità d'Italia e la nuova monetazione imperniata sulla lira, la moneta da 10 centesimi di lire continuava comunque, nell'uso popolare, ad essere chiamata "carlino". I puntini di sospensione al centro del nome erano ironici: la testata si rifaceva, infatti, a un diffuso modo di dire locale: "dare il resto del carlino" significava "dare ad ognuno il suo avere", "regolare i conti" e, per estensione, "pungolare i potenti e fustigare i prepotenti".

 
«Il Resto al Sigaro», giornale apparso a Firenze il 7 gennaio 1885. Fu d'ispirazione ai fondatori del «Resto del Carlino».

I primi anni di vita

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Il primo numero de Il Resto... del Carlino uscì il 21 marzo 1885.[10] L'editoriale, di Giulio Padovani, s'intitolava semplicemente «?». Padovani esordì con queste parole:

«Il punto interrogativo che scriviamo in fronte al primo articolo sta a sintetizzare la curiosità dei lettori riguardo al come e al perché della nostra pubblicazione. Questa curiosità ci affrettiamo di appagare il più breve e il più chiaramente possibile, a scanso di futuri equivoci. Vogliamo fare un giornale piccolo per chi non ha tempo di leggere i grandi: vogliamo fare un giornale per la gente che ha bisogno o desiderio di conoscere i fatti e le notizie senza fronzoli rettorici [sic], senza inutili e diluite divagazioni: un giornale il quale risponda al quotidiano e borghese che c'è di nuovo? che ogni galantuomo ha l'abitudine di rivolgere ogni mattina al primo amico o conoscente che incontra, (…) [un giornale] dove l'uomo d'affari, l'operaio, l'artista, la donna, tutti, troveranno in un batter d'occhio... le notizie sugli avvenimenti più importanti.»

Sulla testata del nuovo quotidiano compare una giovane donna con una camicia bianca e un sigaro fumante in bocca - riferimento al tabaccaio da cui "si va a comprare il primo sigaro della giornata". La pagina è divisa in tre colonne. La forma di esposizione delle notizie è agile e si presta alla lettura "in un batter d'occhio".

Lo stampatore è la Tipografia Azzoguidi in via Garibaldi 3, dove è sistemata anche la redazione. Alberto Carboni firma il quotidiano come redattore responsabile. La prima tiratura è di 8 000 copie; il giornale è venduto sia nelle tabaccherie, dove viene distribuito come resto al sigaro, sia nelle altre botteghe, oltre che nelle ancora rarissime edicole. In maggio la signorina toglie la camicetta bianca e mette un abito nero. Dopo sei mesi le copie tirate diventano 14 000, ma anche i costi di produzione crescono e la proprietà non può fare altro che ritoccare il prezzo. L'aumento è minimo: un solo centesimo, che viene compensato con l'aumento del formato. La decisione però ha un effetto controproducente: i lettori sono spiazzati dalle nuove dimensioni mentre ai tabaccai il giornale non fa più comodo perché "non serve più come resto"'. Le vendite precipitano, si arriva allo stato di crisi.

La svolta arriva con l'ingresso di Amilcare Zamorani come socio e come gerente responsabile. Avvocato di origini ferraresi trapiantato a Bologna, Zamorani, a partire dal 1886, trasforma il "Resto del Carlino" (i tre puntini sono già scomparsi in dicembre) in un vero quotidiano di informazione. Il giornale assume il tono dei maggiori giornali nazionali e si colloca in un'area politica di riferimento, quella dell'"Associazione democratica" di radicali, repubblicani e socialisti legalitari. Il formato aumenta a 37x52 cm, le colonne pure (da tre a cinque), così come il prezzo: 5 centesimi.

 
Un numero di Italia Ride (1900).
 
La redazione romana del Carlino nel 1921.

Il 1º gennaio 1888 il Carlino assorbe il concittadino La Patria. Inoltre il giornale si dota di una propria tipografia. Per sfruttare al meglio la capacità produttiva, alla fine del 1889 nasce Italia Ride, settimanale satirico-umoristico a colori. Il periodico vive solo una stagione; tra i collaboratori figurano artisti come Galantara, Ardengo Soffici e Alfredo Baruffi.

Entro il 1890 il Carlino è diventato il primo quotidiano bolognese, forte delle 20 000 copie vendute. Nel 1895 viene acquistata la prima macchina rotativa; il giornale si trasferisce nella nuova sede di piazza Calderini. Compaiono fin da allora le inserzioni pubblicitarie di marchi in gran parte rimasti tuttora gli inserzionisti privilegiati del quotidiano: Fiat, Liebig, Olio Sasso, Acqua Fiuggi, Campari e l'Idrolitina del cavalier Gazzoni.

Il primo Novecento

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Negli ultimi anni dell'era Zamorani (1903-1905), il Carlino mantiene una linea di appoggio al governo Giolitti. Zamorani lascia nel 1905, affetto da una grave malattia, dopo avere indicato come successore Pio Schinetti.

Il quotidiano aumenta la tiratura durante tutta l'epoca giolittiana. Nel 1909, due anni dopo la morte di Zamorani, il giornale si sposta dall'area democratica-popolare a quella conservatrice-agraria. Entra in redazione Filippo Naldi (già inviato per Il Secolo e La Tribuna), che avrà una lunga carriera nel Carlino.

Nel 1911 il Carlino, in occasione del 50º anniversario dell'Unità d'Italia, lancia un'iniziativa promozionale: il "Raid aviatorio Bologna-Venezia-Rimini-Bologna". È la prima manifestazione del genere in Italia. Il circuito aereo, di circa 640 km, deve essere percorso senza scalo. Al vincitore sarebbe andato un premio di 15 000 lire. Partecipano dieci aviatori: sei italiani e quattro francesi. La gara si disputa il 19 settembre. Vince il transalpino Andrè Frey in 1h 46'53". Durante la gara si registra un fatto di portata storica: un aviatore, fuori concorso, copre la prima tappa Bologna-Venezia trasportando a bordo un sacco di corrispondenza. Effettua così il primo servizio di posta aerea in Italia, appena dieci giorni dopo il primo esperimento mondiale, avvenuto in Inghilterra il 9 settembre.[11]

Nei primi anni dieci la Terza pagina del quotidiano si arricchisce della collaborazione di alcuni tra i massimi intellettuali italiani: Benedetto Croce, che collaborerà al giornale per un totale di 57 interventi tra il 1910 e il 1951, Giovanni Gentile, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Papini, Giovanni Amendola, Aldo Valori, Ernesto Bonaiuti e Alfredo Oriani. Le 38 000 copie giornaliere vendute, però, non bastano a coprire i costi: il giornale si trova in una situazione deficitaria. Ne approfitta Filippo Naldi, che trova un nuovo contratto di pubblicità finanziato da industriali genovesi e rileva la proprietà del quotidiano.[12] Naldi è spesso fuori dalla redazione, preso dalla cura dei suoi affari. La macchina del giornale è guidata da Mario Missiroli, vero e proprio direttore de facto del quotidiano[13]. La redazione è composta da valenti giornalisti: Giovanni Borelli, Nello Quilici, Aldo Valori, Tomaso Monicelli, Eugenio Giovannetti, Marco Viana e Achille Malavasi, cui si aggiungeranno Mario Vinciguerra, Dino Grandi e Widar Cesarini Sforza.[14]

Nel 1914-1915, dei tre principali quotidiani di Bologna (il Carlino, liberale, il Giornale del mattino, democratico e il cattolico L'Avvenire d'Italia), i primi due si schierano tra gli interventisti, mentre il terzo è più prudente. La Grande guerra fa salire la tiratura del Carlino fino a 150 000 copie (Gino Piva è il più valente corrispondente di guerra), grazie anche al servizio speciale per i soldati al fronte ideato dal direttore-proprietario. Il giornale viene recapitato ogni mattina ai militari dislocati lungo le trincee tramite una catena di trasporti che comprende automobili, motociclette e persino biciclette.[15]

Forte del successo di vendite, il quotidiano raddoppia: nel settembre 1919 viene varata l'edizione pomeridiana: il Resto del Carlino sera.[16]
A partire dal 1923 il Carlino entra nell'orbita del regime fascista, che ha conquistato il potere l'anno prima. Tra il 1923 e il 9 settembre 1943, alla guida del quotidiano si succedono ben nove direttori, la cui nomina è controllata dal regime; quasi nessuno di loro è giornalista di professione. Nel 1936 viene inaugurata la nuova sede del giornale in via Dogali (ora via Gramsci), realizzata a spese del Partito Nazionale Fascista.[17]

Il 19 aprile 1945 esce l'ultimo numero della testata sotto il controllo della Repubblica Sociale Italiana. Il giorno dopo la sede e la tipografia del giornale vengono occupate dagli Alleati. Lo storico nome Resto del Carlino viene cancellato per decisione del Comando alleato. Il nuovo gestore, il Psychological Warfare Branch (PWB), la sezione informativa delle forze alleate, fonda la nuova testata Corriere dell'Emilia. Dopo pochi mesi il PWB ritiene che il Corriere possa camminare sulle proprie gambe. Prima di riconsegnare il quotidiano alla redazione, che si costituisce in cooperativa, effettua la nomina del direttore. La scelta cade su Gino Tibalducci (iscritto al PLI, quindi accreditato come moderato).

Il nuovo quotidiano esce il 17 luglio 1945 con la testata Giornale dell'Emilia. Al fianco delle vecchie firme del Resto del Carlino sopravvissute all'epurazione, tra cui Enzo Biagi (assunto in pianta stabile sin dal 1940), entrano nella redazione forze giovani come Luciano Bergonzini e Federico Zardi. Causa ristrettezze economiche, il quotidiano esce con un solo foglio (formato lenzuolo), di cui la prima facciata è dedicata alle notizie di interesse nazionale, mentre il retro è riservato alle notizie di Bologna.

Il secondo Novecento

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Il nuovo quotidiano è gradito dal pubblico, come dimostrano le 120-130 000 copie giornaliere vendute. Tra il 1946 e il 1947 il direttore è Tullio Giordana, demolaburista cremasco. Nel numero del 26 maggio 1946 Giordana scrive un articolo, dal titolo «Castelfranco-Manzolino-Piumazzo. Un triangolo tracciato col sangue», in cui compare per la prima volta la locuzione «triangolo della morte».[18]
Nel 1953 il direttore Vittorio Zincone lancia un referendum tra i lettori sul ripristino del nome storico: vincono i sì. Il 4 novembre la testata torna ad essere Il Resto del Carlino. Il 23 dicembre anche l'edizione pomeridiana torna al nome originale Carlino Sera.[19]

Nel 1955 viene chiamato a dirigere il Carlino il giornalista e storico fiorentino Giovanni Spadolini.

Il "professore" ordina la creazione di un archivio delle foto e degli articoli, che il giornale non aveva ancora. Scrive i suoi pezzi sul Carlino firmandosi quasi sempre con degli pseudonimi: "Historicus", "Lector" e "Livio Visconti" sono i più usati.
Caratteristica del periodo spadoliniano è anche la cura della Terza pagina, che si riempie di firme illustri. Il giornale mette in mostra come collaboratori: Giuseppe Prezzolini, Manara Valgimigli, Ignazio Silone e il giovane Alberto Ronchey, fino a Guido De Ruggiero e Giovanni Papini. Sotto la guida di Spadolini muove i primi passi anche Luca Goldoni, che negli anni successivi diventerà una delle firme-simbolo del quotidiano.

Nel 1968 anche Spadolini lascia, chiamato a dirigere il prestigioso Corriere della Sera. La sua permanenza rimane una delle più longeve del dopoguerra. Con il "professore" parte per Milano anche il caporedattore Leopoldo Sofisti. Al loro posto arrivano Domenico Bartoli e il designer Giuseppe Trevisani, che ridisegna l'immagine grafica del giornale per adattarlo alla nuova tecnica di stampa in offset.

Anche agli inizi degli anni ottanta la grafica viene rinnovata. Il progetto è affidato a Sergio Ruffolo, già realizzatore nel 1976 del progetto grafico de la Repubblica. Ruffolo disegna uno schema di impaginazione in blocchi verticali, che compone secondo misure fisse titoli ed articoli in una gabbia definita. Cambia anche lo stile degli articoli che, collocati in questi spazi così precisi, si fa più semplice ed immediato.

Nel 1982 il quotidiano bolognese è il nono quotidiano italiano con 252.401 copie di tiratura media[20] (il settimo se si escludono i quotidiani sportivi). Alla fine dell'anno, il 18 dicembre, il Carlino esce con una nuova veste grafica; sono nuovi anche i caratteri (senza grazie) e la titolazione. La grafica rimarrà la stessa fino al 2019.[21]

Negli anni novanta la famiglia Riffeser, erede di Monti, mette in sinergia il Carlino con altri due quotidiani: il fiorentino La Nazione e il milanese Il Giorno, costituendo la rete QN - Quotidiano Nazionale. Il Quotidiano Nazionale fornisce le notizie nazionali e internazionali uguali per tutti; ad esse ogni quotidiano locale aggiunge un dorso con le notizie che interessano il proprio bacino di riferimento.

Variazioni dell'assetto proprietario

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  • 1885: in marzo tre amici, Cesare Chiusoli, Giulio Padovani e Alberto Carboni, fondano il giornale versando 100 lire a testa. Nella società si aggiunge Francesco Tonolla, molto più ricco dei tre, cui viene affidato il ruolo di amministratore.
  • Alla fine del primo anno entra nella società Amilcare Zamorani, che rileva la quota di Giulio Padovani. Il suo ingresso effettivo data dal 1º gennaio 1886.
  • 1909: in luglio il pacchetto di maggioranza della società editrice del Carlino, lo «Stabilimento Tipografico Emiliano», passa a un gruppo finanziario capeggiato dai deputati moderati Giuseppe Tanari ed Enrico Pini e dal banchiere Achille Gherardi. L'anno seguente Giovanni Enrico Sturani, già segretario della Federazione Interprovinciale Agraria, assume la direzione del quotidiano.
  • 1913: Filippo Naldi rileva la gestione finanziaria del quotidiano e alla fine dell'anno affianca il nuovo direttore, Lino Carrara. Naldi riceve l'appoggio di un gruppo di industriali dello zucchero genovesi, formato da Erasmo Piaggio (armatore con molti interessi nel settore saccarifero),[22] Emilio Bruzzone (direttore generale del colosso saccarifero «Ligure Lombarda»), Edilio Raggio (armatore e proprietario della Società Anonima Carbonifera Italiana, fornitrice ufficiale delle Ferrovie dello Stato e della Regia Marina). La cordata rileva il 50% del pacchetto azionario; il 40% resta al binomio Pini-Gherardi, mentre il restante 10% va al gruppo Massuccone.
  • 1915: la nuova ragione sociale della società editrice è «Stabilimenti Tipografici Italiani Riuniti».
  • 1921: dopo che, nel novembre 1920 il fascio di combattimento Arditi del popolo aveva compiuto un assalto al Municipio di Bologna, all'inizio dell'anno gli zuccherieri emiliani e genovesi proprietari del giornale sostituiscono l'amministratore (il banchiere Achille Gherardi) e il direttore (Mario Missiroli, successore di Carrara) per consegnare la direzione del giornale a Nello Quilici (uomo del gerarca Italo Balbo), con la supervisione politica di Ugo Lenzi.
  • 1923: Filippo Naldi e Nello Quilici si trasferiscono a Roma. Naldi cede la proprietà della testata al gruppo finanziario che controlla già l'editrice del giornale.
  • 1925: in febbraio la «Stabilimenti Poligrafici Riuniti» passa sotto il controllo del senatore Giovanni Agnelli della Fiat, il quale è costretto ad acquistare metà o poco più del pacchetto azionario.[23] Nel nuovo Consiglio entrano Edoardo Agnelli, Arnaldo Mussolini, il consigliere delegato Germano Mastellari e gli ex deputati liberali Luigi Rava e Pietro Sitta, entrambi passati al fascismo.
  • 1927: la maggioranza delle azioni passa sotto il controllo diretto del segretario del PNF di Bologna, Leandro Arpinati, che mantiene il possesso delle proprie azioni nonostante la contrarietà dei vertici del partito.
  • 1933: Arpinati, in ottobre, è costretto, su pressioni di Mussolini, a cedere il controllo del giornale. Il Carlino diventa proprietà del partito fascista; dal 31 luglio 1940 è proprietà personale di Dino Grandi, divenuto dopo la caduta di Arpinati la personalità più influente del fascismo bolognese.
  • 1945: il 20 aprile il CLN sospende sia il giornale che la testata, per connivenza con la Repubblica Sociale. In sostituzione del Carlino, il Psychological Warfare Branch anglo-americano crea il «Corriere dell'Emilia» (2 maggio). Dopo la fine dell'amministrazione controllata (17 luglio 1945), il PWB affida la gestione del giornale ai redattori, riuniti in cooperativa, i quali rinominano la testata «Giornale dell'Emilia».[24] A fine anno la cooperativa cede il giornale alla Sicap di Oscar Maestro, la società che gestisce la pubblicità.
  • 1946: la gestione è in perdita; il quotidiano è sull'orlo del fallimento. In marzo viene salvato da una cordata di agrari e industriali bolognesi. Si ritorna all'assetto proprietario d'anteguerra. Nel gruppo azionario spicca il colosso saccarifero Eridania Zuccheri, che assume il controllo della nuova società editrice, la «S.A. Poligrafici Il Resto del Carlino».
  • 1953: dopo un lungo contenzioso giudiziario, la proprietà rileva la testata «Resto del Carlino», assieme a quella dell'edizione del pomeriggio, «Carlino Sera».
  • 1966: Attilio Monti acquisisce il controllo dell'Eridania Zuccheri.
  • 1976: la «S.A. Poligrafici Il Resto del Carlino» passa ad Andrea Riffeser, nipote di Monti (è figlio di Maria Luisa Monti, figlia unica di Attilio). L'anno dopo la «S.A. Poligrafici Il Resto del Carlino» modifica la propria denominazione in Poligrafici Editoriale. La società è controllata dal Gruppo Monti-Riffeser.
  • 1986: la Poligrafici Editoriale si quota in Borsa.
  • 1996: il Gruppo Monti-Riffeser assume la denominazione attuale: «Monrif».

Direttori

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  • Alberto Carboni, 20 marzo 1885 - 26 dicembre 1885
  • Amilcare Zamorani, 27 dicembre 1885 - 14 dicembre 1905
  • Pio Schinetti, 15 dicembre 1905 - 23 dicembre 1907
  • Guido Sestini, 24 dicembre 1907 - 20 agosto 1909
  • Umberto Silvagni, 21 agosto 1909 - 13 aprile 1910

Scelti dal gruppo finanziario che rileva il quotidiano nel 1909

  • Giovanni Enrico Sturani, 28 novembre 1910 - 2 luglio 1912
  • Lino Carrara, 3 luglio 1912 - 4 settembre 1913
  • Ettore Marroni (Bergeret), 5 settembre 1913 - 23 dicembre 1913

Scelti dai nuovi proprietari (industriali dello zucchero)

Graditi al regime fascista

  • Tomaso Monicelli, 5 agosto 1923 - 20 febbraio 1925
  • Widar Cesarini Sforza, 9 aprile 1925 - 25 maggio 1928
  • Giorgio Pini, 26 maggio 1928 - 4 marzo 1930
  • Achille Malavasi, 4 aprile 1930 - 24 dicembre 1933
  • Giorgio M. Sangiorgi, 3 gennaio 1934 - 15 novembre 1937
  • Armando Mazza, 16 novembre 1937 - 7 novembre 1940
  • Giovanni Telesio, 8 novembre 1940 - 27 luglio 1943

Dopo la caduta del fascismo: nomina approvata dal Minculpop defascistizzato

Graditi al regime della R.S.I.

Sospensione per decreto del CLN: 21 aprile - 4 maggio 1945. Le pubblicazioni riprendono con la testata Corriere dell'Emilia.

Nominato dal CLN

  • Gino Tibalducci, 18 maggio 1945 - 16 marzo 1946[25]

Dopo il ritorno degli industriali dello zucchero

Scelti dal gruppo Monti (oggi Monrif)

Firme illustri

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In ordine cronologico:

Le redazioni

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  • Cronaca di Bologna: dalla fondazione
  • Cronaca di Modena: dal 1926
  • Cronaca di Ferrara: dal 1926
  • Cronaca di Rovigo: dal 1939 al 2022[28]
  • Cronaca di Reggio Emilia: dal 1942
  • Cronaca di Pesaro: dal 1949
  • Cronaca di Ancona: dal 1949
  • Cronaca di Ravenna: dal 1950
  • Cronaca di Forlì: dal 1950
  • Cronaca di Ascoli Piceno: dal 1955
  • Cronaca di Rimini: dal 1957 (staccata da Forlì)
  • Cronaca di Padova: dal 1957 al 1983
  • Cronaca di Macerata: dal 1961
  • Cronaca di Cesena: dal 1972 (staccata da Forlì)
  • Cronaca di Imola: dal 1983 (staccata da Bologna)
  • Cronaca di Fermo: dal 2004 (staccata da Ascoli)
  • Cronaca di Faenza e Lugo: dal 2004 al 2009 (staccate da Ravenna e poi riunificate)
  • Cronaca di Verona: dal 2022

Diffusione

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La diffusione di un quotidiano si ottiene, secondo i criteri di Accertamenti Diffusione Stampa (ADS), dalla somma di: Totale Pagata[29] Totale Gratuita Diffusione estero Vendite in blocco.
Dal 2021 ADS ha abbandonato la distinzione tra copia cartacea e copia digitale, che è stata sostituita dalla distinzione tra «vendite individuali» (copie pagate dall’acquirente) e «vendite multiple» (copie pagate da terzi).

Anno Diffusione
2023 60 649
2022 67 155
2021 73 874
Anno Totale diffusione
(cartacea digitale)
Diffusione cartacea Tiratura
2020 78 508 76 174 107 820
2019 88 127 86 040 118 085
2018 94 165 92 156 125 417
2017 100 567 98 813 133 113
2016 106 486 104 900 139 395
2015 113 384 112 089 146 566
2014 120 960 118 564 156 667
2013 127 750 126 612 166 710
Anno Diffusione
2012 135 249
2011 141 537
2010 146 751
2009 154 354
2008 165 207
2007 167 873
2006 169 717
2005 169 821
2004 176 277
2003 179 087
2002 179 842
2001 183 162
2000 188 026
1999 188 669
1998 195 100
1997 200 779
1996 207 597
1995 213 399
1994 223 000
1992 232 000
1989 240 000
1984 245 000

Dati Ads - Accertamenti Diffusione Stampa

  1. ^ Quotidiani nazionali, su assemblea.emr.it. URL consultato l'11 febbraio 2020.
  2. ^ La testata riporta la città di riferimento.
  3. ^ a b c d Accertamenti Diffusione Stampa, su adsnotizie.it. URL consultato il 30 ottobre 2021.
  4. ^ Il fenomeno Agnese Pini a capo di tutti i quotidiani del gruppo Monrif, su primaonline.it, 24 maggio 2022. URL consultato il 1º settembre 2022 (archiviato dall'url originale il 29 maggio 2022).
  5. ^ Beppe Boni nominato condirettore di QN e Resto del Carlino, su primaonline.it. URL consultato il 4 febbraio 2018 (archiviato il 5 febbraio 2018).
  6. ^ Dati ADS., su primaonline.it. URL consultato il 15 ottobre 2013 (archiviato il 16 ottobre 2013).
  7. ^ La testata ebbe una vita effimera: morì a soli due anni di età, nel 1887, soffocato dall'aumentato prezzo dei sigari fiorentini. Un altro «Resto al Sigaro», uscito a Milano nel 1886, durò nove anni.
  8. ^ Bologna nel 1885 contava già quattro quotidiani - la «Gazzetta dell'Emilia», «La Patria» (dal 1874), «La Stella d'Italia» (fondata da Franco Mistrali nel 1878), «L'Unione» - e tre periodici umoristici - «La Rana», «Il Pappagallo» ed «Ehi! Ch'al scusa».
  9. ^ Giovanni Magnani, Giornalismo e attività letteraria dell’Ottocento, Bulgarini, Firenze 1974, pag. 117.
  10. ^ Il primo numero del giornale uscì il 21 marzo 1885, sebbene nella foga della partenza fu dimenticato di inserire in testata la data del giorno di vendita: la dicitura riportava unicamente Anno I, Num. 1, tanto che a lungo vi fu l'equivoco sulla data di uscita del primo numero poiché, la data riportata all'interno del giornale era 20 marzo 1885, ma essa era relativa alla arrivo delle notizie in redazione. Cfr. Ugo Bellocchi, Il Resto del Carlino, Giornale di Bologna, Società Editoriale "Il Resto del Carlino", 1973
  11. ^ Fosco Rocchetta, Fine estate 1911 guardando in su tra aviatori e dive coraggiose, in La Voce di Romagna, 29 agosto 2011, p. 14.
  12. ^ Gian Luigi Falabrino, Pubblicità serva padrona, Milano, Sole 24 Ore, [1989], seconda edizione 1999, pag. 117.
  13. ^ Missiroli assumerà formalmente la direzione del quotidiano nel 1919.
  14. ^ Dino Grandi, Il mio paese. Ricordi autobiografici (a cura di Renzo De Felice), il Mulino, Bologna 1985, p. 51.
  15. ^ Pier Mario Fasanotti, Tra il Po, il monte e la marina. I romagnoli da Artusi a Fellini, Neri Pozza, Vicenza, 2017, p. 146.
  16. ^ L'edizione pomeridiana avrà vita fino al 1975. Vi debuttano come giornalisti: Paolo Morelli, Enzo Biagi (nel 1940) e Stefano Benni.
  17. ^ Inaugurazione della nuova sede del "Resto del Carlino", 25 ottobre 1936, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 29 dicembre 2022.
  18. ^ La locuzione è riferita alla zona dell'appennino modenese-reggiano in cui i partigiani comunisti effettuarono numerose uccisioni di ex fascisti, anche dopo la Liberazione.
  19. ^ L'edizione pomeridiana verrà chiusa nel 1955 dal nuovo direttore, Giuseppe Spadolini.
  20. ^ Quanto si legge in Italia?, in «La Civiltà Cattolica», 1º ottobre 1983, n. 3199, p. 77 (versione digitalizzata Archiviato il 16 novembre 2017 in Internet Archive.).
  21. ^ Dal 15 ottobre restyling grafico per i quotidiani Poligrafici Editoriale, su primaonline.it. URL consultato il 15 ottobre 2019 (archiviato il 23 ottobre 2019).
  22. ^ Inoltre Piaggio controllava il Banco di Genova e la società Navigazione Generale Italiana.
  23. ^ Piero Paci, «Il fascismo alla conquista dei giornali bolognesi», in La Torre del Magione, maggio-agosto 2007.
  24. ^ Le colonne della storia, su ilrestodelcarlino.it. URL consultato il 5 luglio 2022 (archiviato dall'url originale il 5 luglio 2022).
  25. ^ Il 17 luglio 1945, dopo che il PWB ha esaurito le sue funzioni, cambia nome in Giornale dell'Emilia.
  26. ^ Durante la sua direzione il quotidiano recupera la storica testata, Il Resto del Carlino.
  27. ^ Poligrafici Editoriale, a Michele Brambilla anche la direzione del Resto del Carlino, su primaonline.it. URL consultato il 14 novembre 2019 (archiviato il 17 novembre 2019).
  28. ^ «Il Resto del Carlino» chiude Rovigo e si abbina a «La Voce», su primaonline.it. URL consultato il 5 luglio 2022 (archiviato dall'url originale il 2 febbraio 2022).
  29. ^ Che a sua volta comprende le vendite per copia singola e gli abbonamenti.

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