Paolo Aleandri
Paolo Aleandri (Poggio Mirteto, 22 maggio 1955) è un collaboratore di giustizia ed ex terrorista italiano e tra i fondatori del movimento di estrema destra Costruiamo l'azione.
Biografia
modificaLa militanza in Costruiamo l'azione
modificaEsponente di Ordine Nero negli anni '70, Aleandri fu tra i fondatori del gruppo neofascista Costruiamo l'azione, movimento radunatosi attorno all'omonima rivista in cui militavano anche Fabio De Felice, Paolo Signorelli, Massimiliano Fachini, Sergio Calore ed il criminologo nero Aldo Semerari.
Durante l'estate del 1978, Semerari organizzò una serie di incontri politici nella villa di De Felice a Poggio Catino (RI) a cui parteciparono anche alcuni componenti della Banda della Magliana, introdotti proprio da Aleandri e in cui il criminologo ha modo di illustrare la sua strategia eversiva basata sulla collaborazione tra estremismo di destra e malavita comune.[1]
Il sequestro
modificaNell'agosto del 1979 Aleandri, che poco tempo prima aveva ricevuto in custodia un "borsone" di armi provenienti dall'arsenale della Banda della Magliana, venne rapito dagli uomini dell'organizzazione capitolina per la mancata restituzione delle stesse. Il "borsone", che in gergo malavitoso indica una certa quantità di armi, si componeva di un mitra di fabbricazione cecoslovacca, di un fucile, di alcune pistole e rivoltelle e di un paio di bombe a mano modello SRCM.[2]
«Ho conosciuto Franco Giuseppucci, il boss della Magliana perché nei discorsi che stanno a cavallo tra il momento della mia frequentazione di De Felice e Semerari e la creazione di Costruiamo l'Azione si era già posto il problema di accedere a fonti di finanziamento, io non avevo nessuna esperienza e il professor Semerari che aveva un rapporto professionale con Giuseppucci perché faceva delle perizie, me lo presentò...Giuseppucci mi affidò un sacco molto alto di armi che erano sue. Io portai queste armi da Italo Iannilli a Tivoli..alcune persone del gruppo si recarono lì prelevando varie armi e Italo Iannilli non percepì o non ricordò che questa non era la nostra dotazione di armi. Io mi trovai perciò nella condizione di trovare questo sacco depauperato del suo contenuto e per questo subii il primo sequestro della mia storia ad opera del gruppo di Giuseppucci.»
Nell'interrogatorio del 3 dicembre 1992, il boss pentito della Banda, Maurizio Abbatino, riferì circa le modalità del sequestro:
«Poco dopo la consegna delle armi ad Aleandri subimmo un periodo di carcerazione che si protrasse per qualche mese, fu dunque all'uscita dal carcere che si richiese la restituzione del "borsone". Di fronte alla richiesta di restituzione l'Aleandri comincio' a "traccheggiare", sicché noi ci rivolgemmo allo stesso Semerari, il quale aveva fatto da tramite per la consegna. Il criminologo, con cui non potevamo assumere, per ovvie ragioni, atteggiamenti drastici, "traccheggio'" anch'egli, pur dando assicurazioni che si sarebbe fatto carico lui di sollecitare la restituzione del materiale in custodia dell'Aleandri. Poiché le cose andavano per le lunghe, un giorno dell'estate del 1979, avendo occasionalmente visto l'Aleandri in Tribunale, a piazzale Clodio, io, Giovanni Piconi e Renzo Danesi decidemmo di sequestrarlo, onde costringerlo a rispettare gli impegni. Decidere e passare all'esecuzione fu tutt'uno. Prendemmo alle spalle, proprio all'uscita del Tribunale, dal lato di via Romeo Romei, l'Aleandri e lo costringemmo a salire sull'auto Renault 5TS nella disponibilità di Danesi, facendogli indossare un paio di occhiali da sole sulle cui lenti avevamo avuto cura di apporre del cerotto.»
Aleandri venne tenuto prigioniero in un covo di Acilia per diversi giorni, sotto la minaccia di morte e prima di essere rilasciato grazie all'intervento di suoi amici camerati, tra cui Massimo Carminati.
«Durante il sequestro venne da noi Massimo Carminati, prima da solo, poi in compagnia di Pancrazio Scorza e di Bruno Mariani, i quali ci invitarono a soprassedere dal prendere provvedimenti ulteriormente punitivi nei confronti dell'Aleandri, dandoci precise assicurazioni di restituire essi stessi le armi. La cosa, questa volta, ando in porto in tempi brevi. Scorza e Mariani, ci diedero infatti appuntamento nei pressi della stazione di Trastevere. Qui scambiammo l'Aleandri con un borsone di armi che non era quello da noi inizialmente consegnato a quest'ultimo. Sebbene non vi fossero pistole il cambio venne ritenuto comunque vantaggioso»
Tra le armi scambiate vi erano anche due Mab modificati artigianalmente, con un calcio corto che permetteva l'impugnatura manuale. Uno sarà poi ritrovato il 13.1.1981 sul treno Taranto-Milano, nel depistaggio legato alla strage alla stazione ferroviaria di Bologna (il dossier denominato "Terrore sui treni") ordito da parte di alcuni vertici dei servizi segreti del SISMI. L'altro Mab verrà rinvenuto nel deposito di armi della Banda, all'interno del ministero della Sanità.
Il pentimento
modificaArrestato, nell'agosto del 1981, dopo un paio di mesi Aleandri iniziò il suo percorso di collaborazione con la magistratura deponendo in diversi procedimenti come, ad esempio, quello relativo alla strage alla stazione di Bologna dove le sue dichiarazioni, unite a quelle di un altro collaboratore di giustizia, l'ex estremista nero Sergio Calore, furono alla base dell'iniziale schema dell'accusa in merito al livello intermedio fra i mandanti della strage e i suoi esecutori e all'esplosivo utilizzato nell'attentato stesso.[5]
Secondo i due pentiti, infatti, alcuni ex membri del gruppo veneto di Ordine Nuovo (fra i quali Massimiliano Fachini e Roberto Rinani) avrebbero recuperato una notevole quantità di esplosivo proveniente da residuati bellici per poi inviarlo alla struttura romana del movimento per il successivo utilizzo in alcuni attentati e nella stessa strage di Bologna. Le loro dichiarazioni non vennero però giudicate sufficienti e gli esponenti della cellula veneta vennero così assolti, lasciando il quesito della provenienza e della fornitura dell'esplosivo aperto e irrisolto.
Aleandri nell'ottobre del 1988, durante la sua testimonianza nell'aula bunker del Foto Italico nel corso del processo a 149 terroristi neri, rivelò di aver progettato il sequestro di Licio Gelli nell'inverno del 1978 insieme a Calore e a Bruno Mariani. Confermando i suoi contatti con Gelli all'Hotel Excelsior di Roma, voluti dal professor Fabio De Felice, aggiunse:
«Dapprima credevamo che Gelli fosse dei nostri. Poi cominciammo a ricrederci rendendoci conto che forse stava facendo uno sporco gioco, dal quale noi eravamo tagliati fuori o, magari, usati come pedine. L'avremmo sequestrato proprio all'Excelsior, ma decidemmo di rinunciare al progetto. Fabio De Felice e Aldo Semerari mi proposero di interessarmi per reperire notizie su persone da sequestrare a scopo di estorsione, poiché loro avrebbero provveduto a passare notizie ad ambienti della malavita organizzata romana. Aldo Semerari mi parlava dei suoi rapporti con i servizi. Mi disse che il suo collega Ferracuti era persona collegata alla CIA.[6]»
Note
modifica- ^ Scheda Aleandri, Archivio 900 (archiviato dall'url originale il 16 febbraio 2012).
- ^ Ragazzi di malavita. Fatti e misfatti della banda della Magliana, Giovanni Bianconi, pag.177 (archiviato dall'url originale il 21 aprile 2015).
- ^ Processo per la strage alla stazione di Bologna. URL consultato il 28 luglio 2012 (archiviato dall'url originale il 23 novembre 2010).
- ^ a b Ordinanza di Rinvio a Giudizio processo alla Banda della Magliana. URL consultato il 28 luglio 2012 (archiviato dall'url originale il 19 febbraio 2014).
- ^ Indagini sulla strage di Bologna, su uonna.it. URL consultato il 28 luglio 2012 (archiviato dall'url originale il 4 dicembre 2010).
- ^ Raffaella Fanelli, Giudici troppi scomodi e sentenze da aggiustare, in La verità del Freddo, 1ª ed., Milano, Chiarelettere, 2018, pp. 178-179, ISBN 9788832960389.