Otodus megalodon
Otodus megalodon (il cui nome della specie, megalodon, deriva dal greco e significa "grande dente"), comunemente noto come megalodon o megalodonte, è una specie estinta[3] di squalo gigante vissuto dal Miocene inferiore al Pliocene inferiore, circa 23-3,6 milioni di anni fa (Aquitaniano-Zancleano), i cui grandi denti fossili dimostrano avesse una distribuzione cosmopolita. In passato si pensava che O. megalodon fosse un membro della famiglia Lamnidae e un parente stretto del grande squalo bianco (Carcharodon carcharias), ma successivi studi lo hanno riclassificato all'interno della famiglia estinta Otodontidae, famiglia che si separò dal lignaggio del grande squalo bianco durante il Cretaceo inferiore.
Megalodonte | |
---|---|
Ricostruzione delle fauci di megalodonte, all'American Museum of Natural History | |
Stato di conservazione | |
Fossile | |
Classificazione scientifica | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Animalia |
Phylum | Chordata |
Classe | Chondrichthyes |
Sottoclasse | Elasmobranchii |
Superordine | Selachimorpha |
Ordine | Lamniformes |
Famiglia | †Otodontidae |
Genere | †Otodus |
Specie | † O. megalodon |
Nomenclatura binomiale | |
†Otodus megalodon (Agassiz, 1835)[1][2] | |
Sinonimi | |
|
Sebbene sia considerato uno dei predatori più grandi e potenti mai vissuti, il megalodonte è conosciuto solo attraverso resti frammentari e il suo aspetto e le sue dimensioni massime sono incerte, e diversi scienziati dibattono ancora se l'animale somigliasse di più a una versione più tozza del grande squalo bianco (Carcharodon carcharias), dello squalo elefante (Cetorhinus maximus) o dello squalo toro (Cacharias taurus). La stima più recente con il minor intervallo di errore suggerisce una lunghezza massima stimata fino a 17,3 metri, sebbene le lunghezze modali siano stimate a 10,5 metri.[4] I denti di questa specie erano spessi e robusti, costruiti per afferrare la preda e rompere le ossa, e le loro enormi fauci erano in grado di esercitare una forza di morso compresa tra i 108.500 e i 182.200 newton.[5][6][7]
Il megalodonte, probabilmente, ebbe un impatto importante sulla struttura delle comunità marine, in quanto i reperti fossili a nostra disposizione mostrano che avesse una distribuzione cosmopolita. Le prede abituali di questi animali erano altri grandi animali marini, come balene, foche e tartarughe marine. I giovani abitavano le calde acque costiere e si nutrivano di pesci e piccole balene. A differenza del grande squalo bianco, che attacca le sue prede dal basso, il megalodonte, probabilmente, usava le sue forti mascelle per sfondare la cavità toracica, perforando cuore e polmoni della sua preda.
Nonostante le sue dimensioni, il megalodonte era in competizione con altri grandi predatori marini, come il cetaceo predatore Livyatan, capodogli macroraptoriali e, forse, orche ancestrali (Orcinus). Poiché questo squalo preferiva le acque più calde, si ritiene che il raffreddamento oceanico associato all'inizio delle ere glaciali, insieme all'abbassamento del livello del mare e alla conseguente perdita di aree di riproduzione adatte, possa aver contribuito al suo declino. Una riduzione della diversità dei misticeti e uno spostamento nella loro distribuzione verso le regioni polari potrebbero aver ridotto la fonte di cibo primaria di questo predatore. L'estinzione del megalodonte coincide con la tendenza al gigantismo nei misticeti.
Storia e denominazione
modificaI denti dei megalodonti sono stati ritrovati e utilizzati fin dai tempi antichi, rappresentando un artefatto apprezzato tra le culture precolombiane delle Americhe per le loro grandi dimensioni ed i bordi seghettati, venendo usati per la produzione di punte di proiettili, coltelli, gioielli e accessori funerari.[8][9] Almeno alcuni, come le società panamensi di Sitio Conte, sembravano averli utilizzati principalmente per scopi cerimoniali.[9] Lo scavo[10] di denti di megalodonte da parte dei popoli Algonquin nella baia di Chesapeake ed il loro commercio selettivo con la cultura Adena nell'Ohio avvennero già nel 430 a.C.[8] Il primo resoconto scritto sui denti di megalodonte fu di Plinio il Vecchio in un volume della Historia Naturalis del 73 d.C., che li descrisse come "somiglianti a lingue umane pietrificate" che i folcloristi romani credevano fossero cadute dal cielo durante le eclissi lunari e le chiamò glossopetrae ( "lingua di pietra").[11] In seguito si pensò che queste presunte lingue, in una tradizione maltese del XII secolo, appartenessero a serpenti che l'apostolo Paolo trasformò in pietra mentre naufragò sull'isola, conferendogli il potere di curare i veleni.[12] Le glossopetrae riapparvero in tutta Europa nella letteratura tra la fine del XIII e il XVI secolo, a cui vennero nuovamente attribuite proprietà soprannaturali, come curare una più ampia varietà di veleni. L'uso dei denti di megalodonte per questo scopo si diffuse ampiamente tra la nobiltà medievale e rinascimentale, che li modellò in amuleti protettivi e stoviglie per, presumibilmente, disintossicare i liquidi o corpi avvelenati. Nel XVI secolo, i denti venivano direttamente consumati come ingredienti delle pietre di Goa di produzione europea.[11]
La vera natura delle glossopetre come denti di squalo fu sostenuta da alcuni almeno dal 1554, quando il cosmografo André Thevet lo descrisse come diceria, sebbene non ci credesse. La prima argomentazione scientifica a favore di questa visione fu avanzata dal naturalista italiano Fabio Colonna, che nel 1616 pubblicò un'illustrazione di un dente di megalodonte maltese accanto a quello di un grande squalo bianco e notò le loro sorprendenti somiglianze. Colonna sosteneva che le glossopetre non erano lingue di serpente pietrificate ma in realtà i denti di squali trascinate sulla riva. Colonna sostenne questa tesi attraverso un esperimento di combustione di campioni di glossopetrae, da cui osservò residui di carbonio che interpretò come la dimostrazione della loro origine organica.[12] Tuttavia, l'interpretazione delle pietre come denti di squalo rimase ampiamente inaccettata. Ciò era in parte dovuto all'incapacità di spiegare come alcuni di questi reperti si trovassero così lontano dal mare.[13] Questa interpretazione venne nuovamente sollevata a livello accademico durante la fine del XVII secolo dagli scienziati inglesi Robert Hooke, John Ray e dal naturalista danese Niels Steensen (latinizzato Niccolò Stenone).[14] L'argomentazione di Steensen in particolare venne maggiormente accreditata in quanto dedotta dopo la dissezione da parte di quest'ultimo della testa di un grande squalo bianco catturato nel 1666. Il suo rapporto del 1667 raffigurava una ricostruzione della testa di un grande squalo bianco e i denti di megalodonte, che divennero particolarmente iconici. Tuttavia, la testa illustrata non era in realtà la testa dissezionata da Steensen, e nemmeno i denti fossili furono illustrati da lui. Entrambe le incisioni furono originariamente commissionate nel 1590 dal medico papale Michele Mercati, che possedeva anche la testa di un grande squalo bianco, per il suo libro Metallotheca. L'opera rimase inedita ai tempi di Steensen a causa della morte prematura di Mercati, e il primo riutilizzò le due illustrazioni su suggerimento di Carlo Roberto Dati, che riteneva inadatta ai lettori una raffigurazione del vero squalo dissezionato.[15] Steensen si distinse anche per aver aperto la strada a una spiegazione stratigrafica di come pietre simili fossero state ritrovate nell'entroterra. Steensen osservò che gli strati rocciosi recanti i denti di megalodonte contenevano sedimenti marini e ipotizzò che questi strati fossero correlati a un periodo di inondazioni che fu successivamente coperto da strati terrestri e sollevato dall'attività geologica.[13]
Il naturalista svizzero Louis Agassiz diede al megalodonte il suo nome scientifico nella sua opera fondamentale del 1833-1843 Recherches sur les poissons fossiles (tr. Ricerca sui pesci fossili), nominandolo Carcharias megalodon in un'illustrazione del 1835 dell'olotipo e dei denti aggiuntivi, rendendolo congenerico con il moderno squalo toro (Carcharias taurus).[1][2] Il nome specifico è una combinazione delle parole del greco antico μεγάλος/megálos che significa "grande", e ὀδών/odṓn che significa "dente",[16][17] che combinate formano "grande dente". Agassiz fece riferimento al nome già nel 1832, ma poiché gli esemplari non furono menzionati non vengono tassonomicamente riconosciuti.[2] La descrizione formale della specie venne pubblicata in un volume del 1843, dove Agassiz modificò il nome in Carcharodon megalodon poiché i suoi denti erano troppo grandi per un membro del genere Carcharias e più simili a quelli del grande squalo bianco.[1] Agassiz identificò erroneamente diversi denti di megalodonte come appartenenti ad altre specie eventualmente denominate Carcharodon rectidens, Carcharodon subauriculatus, Carcharodon productus e Carcharodon polygurus.[1][18] Poiché Carcharodon megalodon apparve per primo nell'illustrazione del 1835, i restanti nomi sono considerati sinonimi junior secondo il principio di priorità.[2][18]
Classificazione
modificaEvoluzione
modificaSebbene i resti più antichi di megalodonte siano stati datati all'Oligocene superiore, circa 28 milioni di anni fa,[19][20] c'è disaccordo nella comunità scientifica su quando l'animale sia apparso nel record fossile, con date che vanno fino a 16 milioni di anni fa.[21] Si stima che il megalodonte si estinse intorno alla fine del Pliocene, circa 2,6 milioni di anni fa;[21][22] affermazioni relative a presunti denti di megalodonte risalenti al Pleistocene, di età inferiore ai 2,6 milioni di anni, sono considerate inaffidabili.[22] Una valutazione del 2019 sposta la data dell'estinzione a una data precedente al Pliocene, circa 3,6 milioni di anni fa.[23][24]
Il megalodonte è considerato un membro della famiglia Otodontidae, specificatamente all'interno del genere Otodus, in contrasto con la sua precedente classificazione in Lamnidae, all'interno del genere Carcharodon.[21][22][25][26][27] La classificazione del megalodonte in Carcharodon era dovuta alla somiglianza dei suoi denti con quelli del grande squalo bianco, ma la maggior parte degli autori ritiene che ciò sia dovuto all'evoluzione convergente tra le due specie. In questo modello, il grande squalo bianco è più strettamente imparentato con l'estinto mako dai denti larghi (Isurus hastalis) che con il megalodonte, come evidenziato dalla dentatura più simile in questi due squali; i denti del megalodonte hanno dentellature molto più fini dei denti del grande squalo bianco. Il grande squalo bianco è più strettamente imparentato con lo squalo mako (Isurus spp.), con cui condivide un antenato comune intorno ai 4 milioni di anni fa.[28][29] I sostenitori del primo modello, in cui il megalodonte e il grande squalo bianco sono più strettamente imparentati, sostengono che le differenze tra la loro dentatura sono minuscole e oscure.[30]
Il genere Carcharocles contiene quattro specie: C. auriculatus, C. angustidens, C. chubutensis e C. megalodon.[31] L'evoluzione di questo lignaggio è caratterizzata dall'aumento delle seghettature, dall'allargamento della corona, dallo sviluppo di una forma più triangolare e dalla scomparsa delle cuspidi laterali nei denti.[31][32] L'evoluzione nella morfologia dei denti riflette un cambiamento nelle tattiche predatorie da un morso a strappo a un morso a taglio, probabilmente riflettendo un cambiamento nella scelta delle prede dai pesci ai cetacei.[33] Le cuspidi laterali furono infine perse in un processo graduale che durò circa 12 milioni di anni durante la transizione tra C. chubutensis e C. megalodon.[33] Il genere fu proposto da DS Jordan e H. Hannibal nel 1923 per contenere C. auriculatus. Negli anni '80, il megalodonte venne assegnato al genere Carcharocles.[28][31] Prima di ciò, nel 1960, il genere Procarcharodon venne eretto dall'ittiologo francese Edgard Casier, che comprendeva questi quattro squali ed era considerato separato dal grande squalo bianco. Da allora questo genere è considerato un sinonimo junior di Carcharocles.[31] Il genere Palaeocarcharodon venne eretto insieme a Procarcharodon per rappresentare l'inizio del lignaggio e, nel modello in cui il megalodonte e il grande squalo bianco sono strettamente imparentati, il loro ultimo antenato comune. Tuttavia, si ritiene che sia un vicolo cieco evolutivo e non correlato agli squali Carcharocles da parte di autori che rifiutano questo modello.[30]
Un altro modello dell'evoluzione di questo genere, proposto sempre da Casier nel 1960, è che l'antenato diretto dei Carcharocles sia lo squalo Otodus obliquus, vissuto dal Paleocene al Miocene, circa 60-13 milioni di anni fa.[29][32] Il genere Otodus deriva dal Cretolamna, uno squalo del periodo Cretaceo.[26][34] In questo modello, O. obliquus si è evoluto in O. aksuaticus, che si è a sua volta evoluto in C. auriculatus, quindi in C. angustidens, quindi in C. chubutensis e infine in C. megalodon.
Un altro modello dell'evoluzione di Carcharocles, proposto nel 2001 dal paleontologo Michael Benton, è che le altre tre specie siano in realtà un'unica specie di squalo che è gradualmente cambiata nel tempo tra il Paleocene e il Pliocene, rendendola una cronospecie.[20][31][35] Alcuni autori suggeriscono che C. auriculatus, C. angustidens e C. chubutensis dovrebbero essere classificati come un'unica specie nel genere Otodus, lasciando C. megalodon come l'unico membro di Carcharocles.[20][36]
Tuttavia, lo stesso genere Carcharocles potrebbe non essere valido e lo stesso megalodonte potrebbe effettivamente appartenere al genere Otodus, rendendolo Otodus megalodon.[37] Uno studio del 1974 sugli squali del Paleogene condotto da Henri Cappetta ha eretto il sottogenere Megaselachus, classificando il megalodonte come Otodus (Megaselachus) megalodon, insieme a O. (M.) chubutensis. Una revisione del 2006 di Chondrichthyes ha elevato Megaselachus a genere e ha classificato gli squali come Megaselachus megalodon e M. chubutensis.[37] Tuttavia, La scoperta di fossili assegnati al genere Megalolamna nel 2016 ha portato a una rivalutazione di Otodus, che ha concluso che il genere è parafiletico, cioè è costituito da un ultimo antenato comune ma non include tutti i suoi discendenti. L'inclusione degli squali Carcharocles in Otodus lo renderebbe monofiletico, con il clade gemello Megalolamna.[26]
Filogenesi
modificaIl cladogramma sottostante rappresenta le ipotetiche relazioni tra il megalodonte e altri squali, incluso il grande squalo bianco. Modificato dagli studi di Shimada et al. (2016)[26], Ehret et al. (2009)[29], e i risultati di Siversson et al. (2013).[38][39][40]
Lamniformes |
| |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Descrizione
modificaSebbene gli unici fossili di megalodonte a nostra disposizione siano denti e alcuni elementi della colonna vertebrale, l'idea prominente su come apparisse l'animale in vita è che fosse simile ad un grande squalo bianco ma dall'aspetto più robusto e tarchiato. Le fauci potrebbero essere state più smussate e più larghe di quelle dello squalo bianco, e le pinne avrebbero avuto una forma simile ma più spesse e leggermente più lunghe, a causa delle maggiori dimensioni corporee. Gli occhi potrebbe essere stati piccoli e infossati.[41]
Un'altra interpretazione è che il megalodonte avesse un corporatura più simile a quella dello squalo balena (Rhincodon typus) o dello squalo elefante (Cetorhinus maximus), con un pinna caudale a mezzaluna, la pinna anale e la seconda pinna dorsale sarebbero state piccole e sarebbe stata presenta una chiglia caudale presente su entrambi i lobi della pinna caudale (sul peduncolo caudale). Questa morfologia è comune anche in altri grandi animali acquatici, come balene, tonni e altri squali, al fine di ridurre la resistenza dell'acqua durante il nuoto. La forma della testa può variare da specie a specie poiché la maggior parte degli adattamenti per ridurre la resistenza si trovano verso la coda dell'animale.[31]
Un insieme associato di resti di megalodonte è stato ritrovato con scaglie placoidi, che variano da 0,3 a 0,8 millimetri di larghezza massima e presentano chiglie ampiamente distanziate.[42]
Dimensioni
modificaA causa dei resti frammentari, esistono diverse stime contraddittorie sulle dimensioni del megalodonte, estrapolabili unicamente da denti ed elementi vertebrali.[43][44] Il grande squalo bianco è stato a lungo la base delle ricostruzioni e della stima delle dimensioni dell'animale, poiché è considerato il miglior analogo del megalodonte, pertanto sono stati prodotti diversi metodi di stima della lunghezza totale confrontando i denti e le vertebre del megalodonte con quelli del grande bianco.[27][41][45][46]
Le stime delle dimensioni del megalodonte variano a seconda del metodo utilizzato, con stime della lunghezza totale massima che vanno da 14,2 a 20,3 metri.[27][41][46] Uno studio del 2015 ha stimato la lunghezza media totale del corpo a 10,5 metri, calcolata da 544 denti di megalodonte, trovati nel corso del tempo geologico e della geografia, inclusi adulti e giovani.[25][47] In confronto, gli esemplari più grossi dei grandi squali bianchi sono generalmente lunghi circa 6 metri, con alcuni rapporti controversi che suggeriscono dimensioni maggiori.[41][48][49] Lo squalo balena è il pesce vivente più grande, con una grande femmina segnalata con una lunghezza precaudale di 15 metri e una lunghezza totale stimata di 18,8 metri.[48][50] È possibile che diverse popolazioni di megalodonte in tutto il mondo avessero dimensioni corporee e comportamenti diversi a causa delle diverse pressioni ecologiche.[25] Tuttavia, è innegabile che tali stime rendano il megalodonte il più grande squalo macropredatore mai vissuto.[41]
«Un C. megalodon lungo circa 16 metri avrebbe raggiunto un peso di circa 48 tonnellate. Un C. megalodon di 17 metri avrebbe raggiunto un peso di circa 59 tonnellate, e un C. megalodon di 20,3 metri avrebbe raggiunto le 103 tonnellate[51]»
Nel suo libro del 2015, The Story of Life in 25 Fossils: Tales of Intrepid Fossil Hunters and the Wonders of Evolution, Donald Prothero ha proposto le stime della massa corporea per diversi individui di diverse lunghezze estrapolandole da un centro vertebrale e basandosi sulle dimensioni di un grande squalo bianco,[51] una metodologia utilizzata anche per lo studio del 2008 che supporta la stima della massa massima.[52]
Nel 2020, Cooper e i suoi colleghi hanno ricostruito un modello 2D di megalodonte basato sulle dimensioni di tutti gli squali lamnidi esistenti e hanno suggerito che un megalodonte lungo 16 metri avrebbe avuto una testa lunga 4,65 metri, fessure branchiali di 1,41 metri, una pinna dorsale alta 1,62 metri, pinne pettorali lunghe 3,08 metri e una pinna caudale alta 3,85 metri.[53] Nel 2022, Cooper e i suoi colleghi hanno anche ricostruito un modello 3D con le stesse basi dello studio del 2020, risultando in una stima della massa corporea di 61,56 tonnellate per un individuo lungo 16 metri (superiore alle stime precedenti); per l'estrapolazione è stato utilizzato un campione di colonna vertebrale denominato IRSNB P 9893 (precedentemente IRSNB 3121), appartenente a un individuo di 46 anni proveniente dal Belgio. Un individuo di queste dimensioni avrebbe bisogno di 98.175 kcal al giorno, 20 volte di più di quanto richieda uno grande squalo bianco adulto.[54]
Un megalodonte maschio maturo potrebbe aver raggiunto una massa corporea compresa tra le 12,6 e le 33,9 tonnellate; mentre una femmina matura potrebbe aver raggiunto un peso compreso tra le 27,4 e le 59,4 tonnellate, presupponendo che i maschi potessero variare in lunghezza da 10,5 a 14,3 metri e le femmine da 13,3 a 17 metri.[41]
Uno studio del 2015 che collegava le dimensioni dello squalo e la velocità di nuoto tipica stimava che il megalodonte avrebbe nuotato tipicamente a 18 chilometri all'ora, presupponendo che la sua massa corporea fosse tipicamente di 48 tonnellate, il che è coerente con altre creature acquatiche di queste dimensioni, come la balenottera comune (Balaenoptera physalus) che normalmente viaggia a velocità comprese tra i 14,5 e i 21,5 km/h.[55] Nel 2022, Cooper e i suoi colleghi hanno convertito questo calcolo in velocità di crociera relativa (lunghezze del corpo al secondo), risultando in una velocità di crociera assoluta media di 5 chilometri all'ora e una velocità di crociera relativa media di 0,09 lunghezze del corpo al secondo per un megalodonte lungo 16 metri; gli autori hanno scoperto che la loro velocità di crociera media assoluta era più veloce di quella di qualsiasi squalo lamnide esistente e la loro velocità di crociera media relativa era più lenta, in linea con le stime precedenti.[54]
Le grandi dimensioni del megalodonte potrebbero essere dovute a fattori climatici e all'abbondanza di grandi prede, e potrebbero anche essere state influenzate dall'evoluzione dell'endotermia regionale (mesotermia) che ne avrebbe aumentato il tasso metabolico e la velocità di nuoto. Si ritiene che gli squali otodontidi fossero ectotermi, quindi su questa base il megalodonte sarebbe stato ectotermico. Tuttavia, i più grandi squali ectotermici contemporanei, come lo squalo balena, sono filtratori, mentre i lamnidi sono endotermi regionali, il che implica alcune correlazioni metaboliche con uno stile di vita predatorio. Queste considerazioni, così come i dati isotopici dell'ossigeno presenti nei denti e la necessità di velocità di nuoto più elevate nei macropredatori di prede endotermiche rispetto a quelle consentite dall'ectotermia, implicano che gli otodontidi, incluso il megalodonte, erano probabilmente endotermi regionali.[56]
Nel 2020, Shimada e colleghi hanno suggerito che le grandi dimensioni fossero invece dovute al cannibalismo intrauterino, in cui il feto più grande mangia il feto più piccolo, risultando in feti progressivamente più grandi, richiedendo alla madre di raggiungere dimensioni ancora maggiori e fabbisogni calorici che avrebbero promosso l'endotermia. I maschi avrebbero dovuto tenere il passo con le dimensioni della femmina per potersi accoppiare in modo efficace (il che probabilmente comportava l'attaccamento alla femmina con i pterigopodi, come i moderni pesci cartilaginei).[57]
Stime massime
modificaIl primo tentativo di ricostruire le fauci del megalodonte fu fatto da Bashford Dean nel 1909, il cui lavoro venne esposto all'American Museum of Natural History. Dalle dimensioni di questa ricostruzione delle fauci, è stato ipotizzato che il megalodonte potesse avvicinarsi ai 30 metri di lunghezza corporea. Tuttavia, ciò si rivelò un errore, in quanto Dean aveva sopravvalutato le dimensioni della cartilagine sulla mascella e sulla mandibola, rendendola troppo alta.[58][59]
Nel 1973, John E. Randall, un ittiologo, usò l'altezza dello smalto (la distanza verticale del dente dalla base della smalto alla punta) per misurare la lunghezza del megalodonte, ottenendo una lunghezza massima di circa 13 metri.[60] Tuttavia, l'altezza dello smalto dei denti non aumenta necessariamente in proporzione alla lunghezza totale dell'animale.[30]
Nel 1994, i biologi marini Patrick J. Schembri e Stephen Papson ritennero che O. megalodon potesse essersi avvicinato a una lunghezza totale massima di circa 24-25 metri.[61][62]
Nel 1996, i ricercatori di squali Michael D. Gottfried, Leonard Compagno e S. Curtis Bowman hanno proposto una relazione lineare tra la lunghezza totale del grande squalo bianco e l'altezza del dente anteriore superiore più grande. La relazione proposta è: lunghezza totale in metri = − (0,096) × [altezza massima UA (mm)]-(0,22).[41][63] Utilizzando questa equazione di regressione dell'altezza del dente, gli autori hanno stimato una lunghezza totale di 15,9 metri sulla base di un dente alto 16,8 centimetri, che hanno considerato una stima massima conservativa. Hanno anche confrontato il rapporto tra l’altezza del dente e la lunghezza totale delle grandi femmine di squalo bianco rispetto al dente di megalodonte più grande. Una femmina di grande bianco bianca lunga 6 metri, che gli autori consideravano la lunghezza totale più grande "ragionevolmente affidabile", ha prodotto una stima di 16,8 metri. Tuttavia, sulla base della femmina più grande segnalata, pari a 7,1 metri, hanno stimato una stima massima di 20,2 metri.[41]
Nel 2002, il ricercatore di squali Clifford Jeremiah propose che la lunghezza totale fosse proporzionale alla larghezza della radice di un dente anteriore superiore. Affermò che ogni centimetro di larghezza della radice, corrispondono a circa 1,4 metri di lunghezza dello squalo. Jeremiah ha sottolineato che il perimetro della mascella di uno squalo è direttamente proporzionale alla sua lunghezza totale, e la larghezza delle radici dei denti più grandi è uno strumento per stimare il perimetro della mascella. Il dente più grande in possesso di Geremia aveva una larghezza della radice di circa 12 centimetri, che corrispondeva a 16,5 metri di lunghezza totale.[31]
Nel 2002, il paleontologo Kenshu Shimada dell'Università DePaul ha proposto una relazione lineare tra l'altezza della corona del dente e la lunghezza totale dopo aver condotto l'analisi anatomica di diversi campioni, consentendo l'utilizzo di denti di qualsiasi dimensione. Shimada ha affermato che i metodi precedentemente proposti erano basati su una valutazione meno affidabile dell'omologia dentale tra il megalodonte e il grande squalo bianco e che il tasso di crescita tra la corona e la radice non è isometrico, come considerato nel suo modello. Utilizzando questo modello, il dente anteriore superiore posseduto da Gottfried e colleghi corrispondeva ad una lunghezza totale di 15 metri.[64] Tra i numerosi esemplari trovati nella Formazione Gatún del Panama, un dente laterale superiore è stato utilizzato da altri ricercatori per ottenere una stima della lunghezza totale di 17,9 metri utilizzando questo metodo.[36][65]
Nel 2019, Shimada ha rivisitato le dimensioni del megalodonte e ha scoraggiato l'utilizzo di denti non anteriori per le stime sulle sue dimensioni, sottolineando che la posizione esatta dei denti non anteriori isolati è difficile da identificare. Shimada ha fornito stime della lunghezza totale massima utilizzando i denti anteriori più grandi disponibili nei musei. Il dente con l'altezza della corona più alta conosciuta da Shimada, NSM PV-19896, ha prodotto una lunghezza totale stimata di 14,2 metri. Il dente con l'altezza totale più alta, FMNH PF 11306, è stato stimato a 16,8 centimetri. Tuttavia, Shimada rimisurò il dente e scoprì che misurava effettivamente 16,2 centimetri (6,4 pollici). Utilizzando l'equazione di regressione dell'altezza totale dei denti proposta da Gottfried e colleghi è stata prodotta una stima di 15,3 metri.[27][46]
Nel 2021, Victor J. Perez, Ronny M. Leder e Teddy Badaut hanno proposto un metodo per stimare la lunghezza totale del megalodonte dalla somma delle larghezze della corona del dente. Usando dentature di megalodonti più complete, hanno ricostruito la formula dentale e poi hanno fatto confronti con gli squali viventi. I ricercatori hanno notato che le equazioni dell'altezza della corona di Shimada del 2002 producono risultati molto diversi per denti diversi appartenenti allo stesso squalo (intervallo di errore di ± 9 metri), mettendo in dubbio alcune delle conclusioni di studi precedenti che utilizzarono questo metodo. Utilizzando il dente più grande a disposizione degli autori, GHC 6, con una larghezza della corona di 13,3 centimetri, hanno stimato una lunghezza massima del corpo di circa 20 metri, con un intervallo di errore di circa ± 3,5 metri.[46] Questa stima della lunghezza massima è supportata anche da Cooper e dai suoi colleghi nel suo studio del 2022.[54]
Ci sono segnalazioni aneddotiche di denti più grandi di quelli trovati nelle collezioni dei musei.[27] Gordon Hubbell di Gainesville, Florida, possiede un dente di megalodonte anteriore superiore la cui altezza massima è di 18,4 centimetri, uno dei più grandi esemplari conosciuti di questo squalo.[66] Inoltre, una ricostruzione delle fauci di megalodonte di 2,7 x 3,4 metri sviluppata dal cacciatore di fossili Vito Bertucci contiene un dente la cui altezza massima sarebbe superiore a 18 centimetri.[67]
Denti e forza del morso
modificaI fossili più comuni del megalodonte sono i suoi denti. Le caratteristiche diagnostiche di questi fossili includono una forma triangolare, una struttura robusta, grandi dimensioni, dentellature fini, una mancanza di dentelli laterali e un collolletto visibilmente a forma di V (dove la radice incontra la corona).[30][36] Il dente incontrava la mascella con un angolo ripido, simile al grande squalo bianco. Il dente era ancorato tramite fibre di tessuto connettivo e la ruvidità della base potrebbe aver aumentato la resistenza meccanica.[68] Il lato linguale del dente, la parte rivolta verso la lingua, era convesso, mentre il lato labiale, l'altro lato del dente, era leggermente convesso o piatto. I denti anteriori erano quasi perpendicolari alla mascella e simmetrici, mentre i denti posteriori erano obliqui e asimmetrici.[69]
I denti variavano notevolmente in dimensioni, raggiungendo oltre i 180 millimetri di altezza obliqua (lunghezza diagonale) e sono i più grandi di qualsiasi altra specie di squalo conosciuta.[31][41] Nel 1989, una serie quasi completa di denti di megalodonte fu scoperta a Saitama, Giappone. Un'altra dentatura di megalodonte associata quasi completa è stata ritrovata nelle formazioni di Yorktown, Stati Uniti, ed è servita come base per una ricostruzione delle fauci dell'animale presso il National Museum of Natural History (USNM). Sulla base di queste scoperte, nel 1996 è stata creata una formula dentale artificiale per l'animale.[30][70]
Come evidente dalla formula dentale, il megalodonte aveva quattro tipi di denti nelle mascelle: anteriori, intermedi, laterali e posteriori. I denti intermedi del megalodonte sembrano tecnicamente essere un anteriore superiore ed è chiamato "A3" perché è abbastanza simmetrico e non punta mesialmente (lato del dente verso la linea mediana delle mascelle dove si incontrano le mascelle sinistra e destra). Il megalodonte aveva una dentatura molto robusta,[30] e presenta oltre 250 denti nelle fauci, distribuiti su 5 file.[31] È possibile che i grandi individui di megalodonte avessero mascelle larghe anche 2 metri.[31] I denti erano seghettati, il che avrebbe migliorato la loro efficienza nel tagliare carne o ossa.[28][31] Le stime sulle dimensioni delle fauci del megalodonte, indicherebbero che questo squalo potrebbe essere stato in grado di aprire la bocca con un angolo di 75°, sebbene una ricostruzione dell'USNM si avvicini ad un angolo di 100°.[41]
Nel 2008, un team di scienziati guidati da S. Wroe ha condotto un esperimento per determinare la forza del morso del grande squalo bianco, utilizzando un individuo lungo 2,5 metri, e poi scalando isometricamente i risultati per le dimensioni massime e la massa corporea conservativa minima e massima del megalodonte. Hanno posizionato la forza del morso di quest'ultimo tra i 108.514 e i 182.201 newton in un morso posteriore, a confronto con la forza del morso di 18.216 newton per il più grande squalo bianco conosciuto, e 7.495 newton per il pesce placoderma Dunkleosteus. Inoltre, Wroe e colleghi hanno sottolineato che gli squali si muovono lateralmente mentre si nutrono, amplificando la forza generata, il che probabilmente avrebbe fatto sì che la forza totale sperimentata dalla preda fosse superiore alla stima, circa il doppio della forza del morso stimata per Tyrannosaurus.[52][71][72]
Nel 2021, Antonio Ballell e Humberto Ferrón hanno utilizzato il modello di analisi degli elementi finiti per esaminare la distribuzione dello stress di tre tipi di denti di megalodonte e di altre specie di squali strettamente imparentati quando esposti a forze anteriori e laterali, l'ultima delle quali verrebbe generata quando uno squalo muove la sua testa per strappare la carne. Le simulazioni risultanti hanno identificato livelli di stress più elevati nei denti del megalodonte sottoposti a carichi di forza laterali rispetto alle sue specie precursori, come O. obliquus e O. angusteidens, quando la dimensione del dente è stata rimossa come fattore. Ciò suggerisce che i denti del megalodonte avevano un significato funzionale diverso da quanto precedentemente previsto, sfidando le interpretazioni precedenti secondo cui la morfologia dentale del megalodonte era principalmente guidata da uno spostamento della dieta verso i mammiferi marini. Invece, gli autori hanno proposto che si trattasse di un sottoprodotto di un aumento delle dimensioni corporee causato dalla selezione eterocronica.[73]
Anatomia interna
modificaIl megalodonte è rappresentato nella documentazione fossile da denti, centri vertebrale e coproliti.[41][74] Come per tutti gli squali, lo scheletro del megalodonte era formato da cartilagine anziché da ossa, di conseguenza la maggior parte degli esemplari fossili sono scarsamente conservati.[75] Per sostenere la sua grande dentatura, le mascelle del megalodonte sarebbero state più massicce, più robuste e fortemente sviluppate rispetto a quelle del grande squalo bianco, che possiede una dentatura relativamente gracile. Il suo condrocranio (il cranio cartilagineo) avrebbe avuto un aspetto più massiccio e robusto di quello del grande squalo bianco. Anche le pinne sarebbero state notevolmente più grandi per accomodare le dimensioni dell'animale.[41]
Insieme ai denti sono state rinvenute anche alcune vertebre fossili. L'esempio più notevole è una colonna vertebrale parzialmente conservata di un singolo esemplare, ritrovata nel bacino di Anversa, Belgio, nel 1926. L'esemplare comprende 150 centri vertebrali, il cui diametro varia da 55 millimetri a 155 millimetri. Questi centri vertebrali non rappresentano una colonna vertebrale completa, e alcune delle vertebre mancanti di questo esemplare potrebbe essere state ancora più grandi; l'esame accurato dell'esemplare ha rivelato che aveva un numero di vertebre molto più elevato rispetto a qualsiasi altro squalo conosciuto, e l'intera colonna vertebrale potrebbe essere stata formata oltre 200 centri vertebrali; solo il grande squalo bianco si avvicinava in termini di numero di centri.[41] Un'altra colonna vertebrale parzialmente conservata di un megalodonte è stata ritrovata nella Formazione Gram in Danimarca nel 1983, e comprende 20 centri vertebrali, con un centri che variano da 100 millimetri a 230 millimetri di diametro.[68]
I resti di coproliti attribuiti al megalodonte sono a forma di spirale, indicando che lo squalo potrebbe aver avuto una valvola a spirale, una porzione a forma di cavatappi dell'intestino inferiore, simile agli squali lamniformi odierni. Resti di coproliti risalenti al Miocene sono stati scoperti nella Contea di Beaufort, Carolina del Sud, uno dei quali misura 14 centimetri di lunghezza.[74]
Gottfried e colleghi ricostruirono l'intero scheletro del megalodonte, che fu successivamente esposto al Calvert Marine Museum, Stati Uniti, e all'Iziko South African Museum.[32][41] Questa ricostruzione è lunga 11,3 metri e rappresenta un maschio maturo,[41] basato sui cambiamenti ontogenetici che un grande squalo bianco sperimenta nel corso della sua vita.[41]
Paleobiologia
modificaDistribuzione
modificaIl megalodonte aveva una distribuzione cosmopolita[21][65], il che significa che i suoi fossili sono stati ritrovati in molte parti del mondo, tra cui Europa, Africa, Americhe e Australia[30][76][77], verificandosi più comunemente a latitudini da subtropicali a temperate.[21][30] È stato trovato a latitudini fino a 55° N; il suo intervallo di temperatura tollerato dedotto dal ritrovamento dei suoi fossili era compreso tra i 1 e i 24 °C. Probabilmente aveva la capacità di sopportare temperature così basse grazie alla mesotermia, la capacità fisiologica dei grandi squali di mantenere una temperatura corporea più elevata rispetto all'acqua circostante conservando il calore metabolico.[21][78]
Il megalodonte abitava un'ampia gamma di ambienti marini (ad esempio, acque costiere poco profonde, aree di risalita costiera, lagune costiere paludose, litorali sabbiosi e ambienti di acque profonde al largo) e mostrava uno stile di vita transitorio. Gli esemplari adulti non erano abbondanti negli ambienti d'acque poco profonde e abitavano principalmente nelle aree a largo. È possibile che i megalodonti si spostassero tra le acque costiere e quelle oceaniche, durante le diverse fasi del suo ciclo vitale.[31][79]
I resti fossili mostrano, inoltre, una tendenza ad individui più grandi della media nell'emisfero meridionale rispetto a quello settentrionale, con lunghezze medie rispettivamente di 11,6 e 9,6 metri; questa tendenza sembra riflettersi anche negli oceani, con gli esemplari provenienti dal Pacifico che sono più grandi di quelli rinvenuti dall'Atlantico, con lunghezze medie rispettivamente di 10,9 e 9,5 metri. Tuttavia, non vi sono prove che suggerisca alcuna tendenza al cambiamento delle dimensioni corporee con la latitudine assoluta, o al cambiamento delle dimensioni nel tempo (sebbene si pensi che il lignaggio dei Carcharocles in generale mostri una tendenza all'aumento delle dimensioni nel corso del tempo). La lunghezza modale complessiva è stata stimata a 10,5 metri, con la distribuzione della lunghezza sbilanciata verso individui più grandi, suggerendo un vantaggio ecologico o competitivo per dimensioni corporee maggiori.[25]
Dieta
modificaSebbene gli squali siano generalmente predatori opportunistici, le grandi dimensioni del megalodonte, la capacità di nuotare ad alta velocità e le potenti mascelle, insieme a un impressionante apparato masticatore, lo rendono un superpredatore in grado di consumare un ampio spettro di animali, nonché uno dei predatori più potenti mai esistiti.[54] Uno studio incentrato sugli isotopi di calcio di squali e razze elasmobranchi estinti ed esistenti ha rivelato che il megalodonte si nutriva a un livello trofico più elevato rispetto al contemporaneo grande squalo bianco ("più in alto" nella catena alimentare).[80]
Le prove fossili indicano che il megalodonte predava diversi specie di cetacei, come delfini, piccole balene, cetoteri, squalodonti (delfini dai denti di squalo), capodogli, balene franche e balenottere.[58][81][82] Oltre ai cetacei, è probabile che prendesse di mira anche altri grandi animali marini, come foche, sireni, bradipi marini, pinguini, tartarughe marine e grandi pesci, compresi altri squali.[58][79] Diverse ossa di balena sono state ritrovate con profondi squarci e segni di morsi molto probabilmente causati dai denti di un megalodonte.[30] Diversi scavi hanno portato alla luce denti di megalodonte che giacevano vicino ai resti masticati di balene,[30][32] e talvolta in diretta associazione con essi.[83]
L'ecologia alimentare del megalodonte sembra variare con l'età e tra i siti, come il moderno grande squalo bianco. È plausibile che la popolazione adulta di megalodonti al largo delle coste del Perù prendesse di mira principalmente balene cetotere di lunghezza compresa tra i 2,5 e i 7 metri, oltre a altre prede più piccole, piuttosto che grandi balene della loro stessa classe di peso.[81] Nel frattempo, i giovani, probabilmente, avevano una dieta composta principalmente da pesce.[36][84]
Competizione
modificaIl megalodonte doveva affrontare un ambiente altamente competitivo[85], e la sua posizione al vertice della catena alimentare[86] probabilmente ha avuto un impatto significativo sulla strutturazione delle comunità marine.[85][87] Le prove fossili indicano una correlazione tra il megalodonte e l'emergenza e la diversificazione dei cetacei e di altri mammiferi marini.[30][85] I giovani megalodonti preferivano habitat abbondanti di piccoli cetacei, mentre gli adulti preferivano habitat ricchi di cetacei di grandi dimensioni. Tali preferenze potrebbero essersi sviluppate poco dopo la loro comparsa nell'Oligocene.[30]
Tuttavia, i megalodonti non erano i soli grandi predatori specializzati nella caccia ai cetacei. In particolare, questi squali erano contemporanei di odontoceti predatori come i capodogli macroraptoriali e gli squalodontidi, che, probabilmente, rappresentavano anch'essi i superpredatori del loro ecosistema, e rappresentavano una forte concorrenza per il megalodonte.[85] Alcuni raggiunsero dimensioni gigantesche, come il capodoglio predatore Livyatan, le cui dimensioni sono state stimate a 13,5-17,5 metri di lunghezza. Denti fossili di una specie indeterminata di tali physeteroidi provenienti dalla miniera di Lee Creek, Carolina del Nord, indicano un animale di una lunghezza corporea massima di 8-10 metri e una durata di vita massima di circa 25 anni. Ciò è molto diverso dalle orche moderne di dimensioni simili che vivono fino a 65 anni, suggerendo che a differenza di quest'ultime, che sono predatori all'apice, questi physeteroidi erano soggetti alla predazione da parte di specie più grandi, come il megalodonte o Livyatan.[88] Nel Miocene superiore, intorno agli 11 milioni di anni fa, i capodogli macroraptoriali sperimentarono un significativo calo in abbondanza e diversità. Altre specie potrebbero aver riempito questa nicchia ecologica vacante durante il Pliocene[85][89], come l'orca fossile Orcinus citoniensis, che potrebbe essere stata un predatore gregario di prede ben più grandi di se stessa,[32][90][91][92] ma questa deduzione è contestata,[23] e probabilmente si trattava di un predatore generalista piuttosto che di uno specialista di grandi mammiferi marini.[93]
Da parte loro, i megalodonti fornivano una forte concorrenza agli altri squali. In particolare, il megalodonte potrebbe aver sottoposto i grandi squali bianchi contemporanei all'esclusione competitiva, in quanto i reperti fossili indicano che altre specie di squali evitavano le regioni in cui i megalodonti erano numerosi mantenendosi principalmente nelle acque più fredde dell'epoca.[30][94] Nelle aree in cui i loro areali sembravano sovrapposti, come a Bassa California durante il Pliocene, è possibile che il megalodonte e il grande squalo bianco occupassero l'area in periodi diversi dell'anno mentre seguivano diverse prede migratorie.[30][95] È inoltre probabile che il megalodonte avesse tendenze al cannibalismo, proprio come gli squali contemporanei.[96]
Predazione
modificaGli squali impiegano spesso strategie di caccia complesse per ingaggiare prede di grandi dimensioni, e si pensa che le strategie di caccia del grande squalo bianco potrebbero essere analoghe o simili a quelle usate dal megalodonte.[97] Tuttavia, il ritrovamento di segni di morsi di megalodonte sui fossili di balena suggeriscono che impiegasse strategie di caccia diverse sulle prede più grandi rispetto al grande squalo bianco.[58]
Un esemplare in particolare, i resti di un misticeto lungo 9 metri risalente al Miocene, fornisce la prima opportunità di analizzare quantitativamente il modo in cui questo animale cacciava le sue prede. A differenza dei grandi squali bianchi che prendono di mira il ventre della preda, il megalodonte probabilmente prendeva di mira gli organi interni vitali, come cuore e polmoni, della preda, utilizzando i grossi denti, l'apertura mascellare e la forza devastante del morso per spezzare le ossa, come indicato dai segni di morsi inflitti alla gabbia toracica e ad altre aree ossee sui resti delle balene attaccate.[58] Inoltre, è probabile che il megalodonte adottasse approcci diversi in base alle dimensioni della preda. I resti fossili di alcuni piccoli cetacei, ad esempio i cetotheri, suggeriscono che venissero speronati con grande forza dal basso prima di essere uccisi e mangiati, sulla base di fratture da compressione.[97]
Ci sono anche prove che il megalodonte attuasse strategie di caccia diverse per i grandi capodogli macroraptoriali; un dente appartenente a un physeteroidi indeterminato di 4 metri, molto simile a quelli di Acrophyseter, scoperto nella miniera di fosfato di Nutrien Aurora, Carolina del Nord, suggerisce che il megalodonte, o O. chubutensis, prendesse di mira la testa del capodoglio infliggendo un morso fatale al capo del cetaceo. L'attacco risultante lasciò i segni distintivi del morso sul dente. Anche se non si può escludere che questo morso sia il risultato di un atto di saprofagia, il posizionamento dei segni del morso sono più coerenti con un comportamento predatorio, poiché la mascella non è un'area particolarmente nutriente su cui uno squalo può nutrirsi o su cui concentrarsi. Il fatto che i segni del morso siano stati ritrovati sulle radici del dente suggerisce ulteriormente che lo squalo abbia rotto la mascella della balena durante il morso, suggerendo che il morso fosse estremamente potente. Il fossile è anche degno di nota in quanto rappresenta il primo esempio noto di un'interazione antagonista tra un capodoglio macroraptoriale e uno squalo otodontide registrato nella documentazione fossile.[98]
Durante il Pliocene apparvero cetacei più grandi.[99] Apparentemente il megalodonte perfezionò ulteriormente le sue strategie di caccia per far fronte a queste grandi balene. Numerose ossa fossili di pinne e vertebre caudali di grandi balene risalenti al Pliocene sono state ritrovate con segni di morsi di megalodonte, il che suggerisce che il megalodonte mirasse all'apparato locomotore delle sue prede, immobilizzandole prima di ucciderle e nutrirsene.[52][58]
Crescita e riproduzione
modificaNel 2010, Ehret stimò che il megalodonte avesse un tasso di crescita molto rapido, quasi due volte quello del grande squalo bianco odierno. Ha anche stimato che il rallentamento o la cessazione della crescita somatica nel megalodonte avvenisse intorno ai 25 anni di età, suggerendo che questa specie avesse una maturità sessuale estremamente ritardata.[100] Nel 2021, Shimada e colleghi hanno calcolato il tasso di crescita di un individuo di circa 9,2 metri sulla base del campione di colonna vertebrale ritrovata in Belgio che, presumibilmente, contiene anelli di crescita annuali su tre delle sue vertebre. Shimada stimò che l'individuo morì all'età di 46 anni, con un tasso di crescita di 16 centimetri all'anno e una lunghezza di 2 metri alla nascita. Per un individuo di 15 metri, che consideravano la dimensione massima raggiungibile, ciò equivarrebbe a una durata di vita compresa tra gli 88 e i 100 anni.[101] Tuttavia, Cooper e i suoi colleghi, nel 2022, hanno stimato una lunghezza di quasi 16 metri per lo stesso individuo di 46 anni, sulla base della ricostruzione 3D che ha portato la colonna vertebrale completa a essere lunga 11,1 metri; i ricercatori hanno affermato che questa differenza nella stima delle dimensioni è dovuta al fatto che Shimada e i suoi colleghi hanno estrapolato le sue dimensioni solo in base al centro vertebrale.[54]
Il megalodonte, come molti squali contemporanei, utilizzava delle vere e proprie nursery per far nascere e crescere i propri piccoli, in particolare ambienti costieri d'acqua calda con grandi quantità di cibo e protezione dai predatori.[36] I siti di queste nursery sono state identificate nella Formazione Gatún di Panama, nella Formazione Calvert nel Maryland, nel Banco de Concepción nelle Isole Canarie[102], e nella Formazione Bone Valley della Florida. Dato che tutti gli squali lamniformi esistenti danno alla luce piccoli vivi, si ritiene che questo fosse il caso anche per il megalodonte.[103] I piccoli megalodonti misuravano circa 2-3,5 metri alla nascita,[41] e durante questo periodo i piccoli sarebbero stati vulnerabili alla predazione da parte di altre specie di squali, come lo squalo martello maggiore (Sphyrna mokarran) e lo squalo dai denti storti (Hemipristis serra).[36] Le loro preferenze dietetiche mostrano un cambiamento ontogenetico[41]: i giovani megalodonti predavano comunemente pesci[36], tartarughe marine[79], dugonghi[31], e piccoli cetacei, mentre i megalodonti adulti consumavano prede ben più grandi, come i grandi cetacei che si trovavano in mare aperto.[30]
Un caso eccezionale nella documentazione fossile suggerisce che i giovani megalodonti potrebbero aver occasionalmente attaccato anche grandi balenottere. Tre segni di denti apparentemente di uno squalo pliocenico lungo da 4 a 7 metri sono stati ritrovati su una costola di una balenottera azzurra o una megattera ancestrale che mostravano segni di successiva guarigione, dimostrando che la balenottero sopravvisse all'attacco. Si ritiene che il responsabile di questo morso sia un giovane megalodonte, forse in un tentativo di caccia troppo ambizioso.[104][105]
Estinzione
modificaCambiamenti climatici
modificaDurante il regno del megalodonte la Terra subì una serie di cambiamenti che influenzarono notevolmente la vita marina. Una tendenza al raffreddamento iniziata nell'Oligocene, circa 35 milioni di anni fa, portò infine alla glaciazione dei poli, e alcuni eventi geologici cambiarono deifinitivamente le correnti e le precipitazioni; tra questi vi erano la chiusura della rotta marittima centroamericana e cambiamenti nell'oceano Tetide, che contribuirono al raffreddamento degli oceani. Lo stallo della Corrente del Golfo impedì all’acqua ricca di nutrienti di raggiungere i principali ecosistemi marini abitati dal megalodonte, il che potrebbe aver influito negativamente sulle sue fonti alimentari. La più grande fluttuazione del livello del mare nell'era Cenozoica si verificò nel Plio-Pleistocene, circa tra i 5 milioni e i 12 mila anni fa, a causa dell'espansione dei ghiacciai ai poli, che influenzò negativamente gli ambienti costieri e potrebbe aver contribuito all'estinzione del megalodonte, insieme a molti altri esponenti della megafauna marina contemporanea.[106] Questi cambiamenti oceanografici, in particolare l'abbassamento del livello del mare, potrebbero aver portato alla sparizione delle nursery dei megalodonti, in acque calde e poco profonde, ostacolandone la riproduzione.[107] Queste aree sono fondamentali per la sopravvivenza di molte specie di squali, in parte perché proteggono i giovani dalla predazione.[36][108]
Poiché il suo areale non si estendeva, apparentemente, alle acque più fredde, il megalodonte potrebbe non essere stato in grado di trattenere una quantità significativa di calore metabolico per sopravvivere nelle acque polari, pertanto il suo areale era limitato alle acque più calde.[82][107][109] Le prove fossili confermano l'assenza del megalodonte nelle regioni dove la temperatura dell'acqua era diminuita significativamente durante il Pliocene in tutto il mondo.[30] Tuttavia, un'analisi della distribuzione del megalodonte nel tempo suggerisce che il cambiamento di temperatura non ha avuto un ruolo diretto nella sua estinzione. La sua distribuzione durante il Miocene e il Pliocene non era correlata alle tendenze di riscaldamento e raffreddamento; mentre l'abbondanza e la distribuzione diminuirono durante il Pliocene, il megalodonte era comunque in grado di poter sopravvivere alle latitudini più fredde, potendo essere trovato in luoghi con una temperatura media compresa tra i 12 e i 27 °C, con un intervallo totale da 1 a 33 °C, indicando che l'estensione globale dell'habitat adatto all'animale non sarebbe stato influenzato molto dagli sbalzi termici avvenuti.[21] Ciò è coerente con le prove che si trattasse di un animale mesotermo.[56]
Cambiamenti nell'ecosistema
modificaI mammiferi marini raggiunsero la loro massima diversità durante il Miocene[30], come i misticeti con oltre 20 generi miocenici riconosciuti rispetto ai soli sei generi esistenti oggi.[111] Tale diversità rappresentava un ambiente ideale per supportare un super predatore come il megalodonte.[30] Alla fine del Miocene, molte specie di misticeti si erano già estinte;[85] le specie sopravvissute potrebbero essere state nuotatori più veloci e quindi prede più sfuggenti.[31] Inoltre, dopo la chiusura della rotta marittima centroamericana, le balene tropicali diminuirono drasticamente in diversità e abbondanza.[109] L'estinzione del megalodonte è correlata al declino di molti piccoli lignaggi di misticeti, ed è possibile che dipendesse da loro come fonte di cibo.[81] Inoltre, si è scoperto che l'estinzione della megafauna marina durante il Pliocene eliminò il 36% di tutte le grandi specie marine, compreso il 55% dei mammiferi marini, il 35% degli uccelli marini, il 9% degli squali e il 43% delle tartarughe marine. L'estinzione fu selettiva per gli endotermi e i mesotermi rispetto ai poichilotermi, implicando una causalità dovuta a una diminuzione della presenza di cibo[106] e quindi coerente con il fatto che il megalodonte fosse mesotermico.[56] Il megalodonte potrebbe essere stato letteralmente troppo grande per sostenersi con le risorse alimentari marine in declino.[107] Il concomitante raffreddamento degli oceani durante il Pliocene, potrebbe aver limitato l'accesso alle regioni polari, privandolo il megalodonte delle grandi balene che vi erano migrate.[109]
Si presume che anche la competizione da parte di grandi odontoceti, come i capodogli macropredatori apparsi nel Miocene, e un membro del genere Orcinus (Orcinus citoniensis) nel Pliocene,[85][89] possa aver contribuito al declino e all'estinzione del megalodonte.[21][31][107][112] Tuttavia, questa ipotesi è contestata:[23] le Orcininae emersero nel Pliocene medio, con O. citoniensis segnalata dal Pliocene italiano[89][113], e forme simili riportate nel Pliocene dell'Inghilterra e del Sudafrica[89], indicando la capacità di queste orche di far fronte alle temperature più rigide sempre più diffuse alle alte latitudini.[89] In alcuni studi si presumeva inoltre che queste orche fossero macrofaghe,[21] ma un esame più attento, ha rivelato che fossero in realtà predatori di pesci.[113] D'altra parte, i fossili dei giganteschi capodogli macropredatori, come Livyatan, più recenti sono stati ritrovati in Australia e in Sudafrica, risalenti a circa 5 milioni di anni fa.[114][115][116] Anche altri, come Hoplocetus e Scaldicetus, occupavano una nicchia simile a quella delle moderne orche assassine, ma l'ultima di queste forme scomparve durante il Pliocene.[113][117] I membri del genere Orcinus divennero più grandi e cominciarono a dare la caccia a prede più grandi solo dopo la loro estinzione nel Pleistocene.[113]
Il paleontologo Robert Boessenecker e i suoi colleghi hanno ricontrollato i reperti fossili del megalodonte per individuare eventuali errori nella datazione al carbonio e hanno concluso che l'animale scomparve circa 3,5 milioni di anni fa.[23] Boessenecker e i suoi colleghi suggeriscono inoltre che il megalodonte abbia subito una frammentazione dell'areale a causa dei cambiamenti climatici,[23] e che la competizione con i grandi squali bianchi potrebbe aver contribuito alla loro estinzione.[23] Si presume che la competizione con i grandi squali bianchi sia un fattore anche in altri studi,[21][112][118] ma questa ipotesi merita ulteriori test.[119] Si ritiene che molteplici fattori ambientali ed ecologici, tra cui il cambiamento climatico e le limitazioni termiche, il collasso nelle popolazioni di prede e la competizione per le stesse risorse con i grandi squali bianchi, abbiano contribuito al declino e all'estinzione del megalodonte.[112]
L'estinzione del megalodonte ha posto le basi per ulteriori cambiamenti nelle comunità marine. Dopo la scomparsa del megalodonte, le dimensioni corporee medie dei misticeti aumentarono in modo significativo, sebbene questo fattore potrebbe essere anche legato ad altri motivi, come i cambiamenti nel clima.[110][120] L'estinzione del megalodonte ebbe un impatto positivo anche sugli altri superpredatori dell'epoca, come il grande squalo bianco, il quale fu in grado di colonizzare le regioni in cui il megalodonte era scomparso.[21][118][121]
Nella cultura popolare
modificaTrattandosi del più grande squalo mai esistito, il megalodonte gode di una notevole fama, venendo ritratto in molte opere di narrativa, inclusi film e romanzi, e continua ad essere un soggetto popolare per le storie che coinvolgono mostri marini.[122]
Rapporti sulla scoperta di denti di megalodonte apparentemente molti recenti, come quelli ritrovati dall'HMS Challenger[123] nel 1873 e datati nel 1959 dallo zoologo Wladimir Tschernezky ad un'età compresa tra i 11.000 e i 24.000 anni hanno contribuito a rendere popolare l'idea secondo cui il megalodonte potrebbe essersi estinto più recentemente o essere addirittura sopravvissuto fino ai giorni nostri tra i criptozoologi.[124] Queste affermazioni sono state screditate e si tratta probabilmente di denti che ben conservati da uno spesso precipitato di crosta minerale di biossido di manganese, e che pertanto mostravano un tasso di decomposizione inferiore, conservando anche un colorito bianco durante la fossilizzazione. I denti fossili del megalodonte possono variare in colorazione dal bianco sporco al marrone scuro, grigio e blu, e alcuni denti fossili potrebbero essere stati ri-depositati in uno strato più giovane. Le affermazioni secondo cui il megalodonte potrebbe essere sopravvissuto nelle profondità marine, in maniera simile allo squalo bocca grande (Megachasma pelagios) scoperto nel 1976, sono alquanto improbabili poiché il megalodonte viveva nelle calde acque costiere e, probabilmente, non sarebbe in grado di sopravvivere in un ambiente così freddo e privo delle grandi prede di cui questo animale aveva bisogno per sopravvivere.[125][126][127]
Nonostante ciò, l'idea di una popolazione relitta di megalodonti nell'era odierna si è fatta strada nella cultura di massa stimolando l’opinione pubblica. La narrativa contemporanea sulla sopravvivenza dei megalodonti in tempi moderni venne introdotta al grande pubblico dal romanzo Meg: A Novel of Deep Terror (1997) di Steve Alten e dai suoi successivi sequel. A seguito del successo del romanzo, il megalodonte cominciò ad apparire in diversi B-movie americani Shark Attack 3: emergenza squali (di David Worth), Shark Hunter (di Matt Codd) e Megalodon (di Pat Corbitt). Il romanzo di Steve Alten, venne infine adattato nel film Shark - Il primo squalo (The Meg), un film del 2018 che incassò oltre 500 milioni di dollari al botteghino, portando al sequel Shark 2 - L'abisso (The Meg: The Trench) del 2023.[124][128]
Lo pseudo-documentario di Animal Planet Sirene - Il mistero svelato (2012) include un segmento svoltosi 1,6 milioni di anni tra un gruppo di sirene e un megalodonte.[129] Successivamente, nell'agosto 2013, Discovery Channel aprì la sua serie annuale Shark Week con un nuovo film per la televisione, Megalodon: The Monster Shark Lives[130], una controversa docufiction sulla creatura che presentava presunte prove che suggerissero che i megalodonti fossero sopravvissuti fino al presente. Questo programma ha ricevuto numerose critiche per essere completamente fittizio e per aver rivelato inadeguatamente la sua natura fittizia; per esempio, tutti i presunti scienziati raffigurati erano attori pagati, e nel documentario non viene mai menzionato come tutto ciò sia una finzione. In un sondaggio di Discovery, il 73% degli spettatori del documentario pensava che il megalodonte fosse realmente sopravvissuto fino ai giorni nostri.[131] Nel 2014, la Discovery mandò in onda The Monster Shark Lives, insieme a un nuovo programma di un'ora, Megalodon: The New Evidence, e un ulteriore programma romanzato intitolato Shark of Darkness: Wrath of Submarine, provocando un'ulteriore reazione negativa da parte dei media, del pubblico e della comunità scientifica.[58][132][133][134] Nonostante le critiche degli scienziati, Megalodon: The Monster Shark Lives fu un enorme successo di ascolti, guadagnando 4,8 milioni di spettatori, un record per qualsiasi episodio di Shark Week fino a quel momento.[135]
Note
modifica- ^ a b c d (FR) Agassiz, L., Recherches sur les poissons fossiles, vol. 3, 1843.
- ^ a b c d Brignon, A., Historical and nomenclatural remarks on some megatoothed shark teeth (Elasmobranchii, Otodontidae) from the Cenozoic of New Jersey (U.S.A.), in Rivista Italiana di Paleontologia e Stratigrafia, vol. 127, n. 3, 2021, pp. 595–625.
- ^ (EN) Catalina Pimiento, Christopher F. Clements, When Did Carcharocles megalodon Become Extinct? ANew Analysis of the Fossil Record, in PlosONE, vol. 9, n. 10, 2014, pp. 1-5. URL consultato il 27 giugno 2015.
- ^ (EN) Carnivora-Megalodon maximum size is around 14-15 meter with 15 meter megs being extremely rare., su Carnivora, 3 ottobre 2019. URL consultato il 12 febbraio 2024.
- ^ Charles Q. Choi, Live Science Contributor | August 4, 2008 08:02am ET, Ancient Shark's Bite More Powerful Than T. Rex's, su Live Science. URL consultato il 6 agosto 2019.
- ^ (EN) Prehistoric great white shark had strongest bite in history, su Science, 5 agosto 2008. URL consultato il 12 febbraio 2024.
- ^ Megalodon’s Bite Force: How Does it Compare to a Great White?, su a-z-animals.com.
- ^ a b Lowery, D., Godfrey, S.J. e Eshelman, R., Integrated geology, paleontology, and archaeology: Native American use of fossil shark teeth in the Chesapeake Bay region, in Archaeology of Eastern North America, vol. 9, 2011, pp. 93–108.
- ^ a b Farrell, A.D., A Use-Wear and Functional Analysis of Precontact Shark Teeth Assemblages from Florida (MS), Florida State University, 2021.
- ^ Jacobs, J., Hopewell Culture National Historical Park Sharks Teeth HOCU - 2832 and 4222, su National Park Service.
- ^ a b Duffin, C.J., Fossil Sharks' Teeth as Alexipharmics, in Philip Wexler (a cura di), Toxicology of the Middle Ages and Renaissance, 2017, pp. 125–133.
- ^ a b Forli, M. e Guerrini, A., Quaestio de Fossilibus: Glossopetres, Snake Tongues and Ceraunids, in The History of Fossils over Centuries, 2022, pp. 41–83.
- ^ a b Bressan, D., How the Dissection Of A Shark's Head Revealed The True Nature Of Fossils, su Forbes, 14 gennaio 2016.
- ^ Nicholas Steno, su University of California Museum of Paleontology.
- ^ Davidson, J.P., Historical Point of View: Fish Tales: Attributing the First Illustration of a Fossil Shark's Tooth to Richard Verstegan (1605) and Nicolas Steno (1667), in Proceedings of the Academy of Natural Sciences of Philadelphia, vol. 150, 2000, pp. 329–344.
- ^ (EN) Henry Liddell e Robert Scott, A Greek-English Lexicon, 1940.
- ^ (EN) Henry Liddell e Robert Scott, A Greek-English Lexicon, 1940.
- ^ a b Woodward, A.S., Catalogue of the fossil fishes in the British Museum (Natural History), Part I. Containing the Elasmobranchii, British Museum (Natural History), 1899, pp. 415–420.
- ^ H. Yabe, M. Goto e N. Kaneko, Age of Carcharocles megalodon (Lamniformes: Otodontidae): A review of the stratigraphic records, in The Palaeontological Society of Japan, vol. 75, 2004, pp. 7–15.
- ^ a b c M. D. Gottfried e R. E. Fordyce, An associated specimen of Carcharodon angustidens (Chondrichthyes, Lamnidae) from the Late Oligocene of New Zealand, with comments on Carcharodon interrelationships, in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 21, n. 4, 2001, pp. 730–739.
- ^ a b c d e f g h i j k C. Pimiento, B. J. MacFadden, C. F. Clements, S. Varela, C. Jaramillo, J. Velez-Juarbe e B. R. Silliman, Geographical distribution patterns of Carcharocles megalodon over time reveal clues about extinction mechanisms, in Journal of Biogeography, vol. 43, n. 8, 2016, pp. 1645–1655.
- ^ a b c C. Pimiento e C. F. Clements, When Did Carcharocles megalodon Become Extinct? A New Analysis of the Fossil Record, in PLOS ONE, vol. 9, n. 10, 2014, pp. e111086.
- ^ a b c d e f R. W. Boessenecker, D. J. Ehret, D. J. Long, M. Churchill, E. Martin e S. J. Boessenecker, The Early Pliocene extinction of the mega-toothed shark Otodus megalodon: a view from the eastern North Pacific, in PeerJ, vol. 7, 2019, pp. e6088.
- ^ Giant 'megalodon' shark extinct earlier than previously thought, su Science Daily, 13 febbraio 2019.
- ^ a b c d C. Pimiento e M. A. Balk, Body-size trends of the extinct giant shark Carcharocles megalodon: a deep-time perspective on marine apex predators, in Paleobiology, vol. 41, n. 3, 2015, pp. 479–490.
- ^ a b c d K. Shimada, R. E. Chandler, O. L. T. Lam, T. Tanaka e D. J. Ward, A new elusive otodontid shark (Lamniformes: Otodontidae) from the lower Miocene, and comments on the taxonomy of otodontid genera, including the 'megatoothed' clade, in Historical Biology, vol. 29, n. 5, 2016, pp. 1–11, DOI:10.1080/08912963.2016.1236795.
- ^ a b c d e Kenshu Shimada, The size of the megatooth shark, Otodus megalodon (Lamniformes: Otodontidae), revisited, in Historical Biology, vol. 33, n. 7, 2019, pp. 1–8.
- ^ a b c d K. G. Nyberg, Ciampaglio C. N. e Wray G. A., Tracing the ancestry of the great white shark, Carcharodon carcharias, using morphometric analyses of fossil teeth, in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 26, n. 4, 2006, pp. 806–814.
- ^ a b c d Ehret D. J., Hubbell G. e Macfadden B. J., Exceptional preservation of the white shark Carcharodon from the early Pliocene of Peru, in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 29, n. 1, 2009, pp. 1–13.
- ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r Peter Klimley e David Ainley, Evolution, in Great White Sharks: The Biology of Carcharodon carcharias, San Diego, California, Academic Press, 1996, ISBN 978-0-12-415031-7.
- ^ a b c d e f g h i j k l m n o Mark Renz, Megalodon: Hunting the Hunter, Lehigh Acres, Florida, PaleoPress, 2002, pp. 1–159.
- ^ a b c d e Lutz Andres, C. megalodon — Megatooth Shark, Carcharodon versus Carcharocles, su fossilguy.com, 2002. URL consultato il 16 gennaio 2008.
- ^ a b V. J. Perez, S. J. Godfrey, B. W. Kent, R. E. Weems e J. R. Nance, The transition between Carcharocles chubutensis and Carcharocles megalodon (Otodontidae, Chondrichthyes): lateral cusplet loss through time, in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 38, n. 6, 2019, pp. e1546732.
- ^ M. Siverson, J. Lindgren, M.G. Newbrey, P. Cederström e T.D. Cook, Late Cretaceous (Cenomanian-Campanian) mid-palaeolatitude sharks of Cretalamna appendiculata type, in Acta Palaeontologica Polonica, 2013, p. 2.
- ^ M. J. Benton e P. N. Pearson, Speciation in the fossil record, in Trends in Ecology and Evolution, vol. 16, n. 7, 2001, pp. 405–411.
- ^ a b c d e f g h Catalina Pimiento, Dana J. Ehret, Bruce J. MacFadden e Gordon Hubbell, Ancient Nursery Area for the Extinct Giant Shark Megalodon from the Miocene of Panama, in Anna Stepanova (a cura di), PLOS ONE, vol. 5, n. 5, 2010, pp. e10552.
- ^ a b H. Cappetta, Mesozoic and Cenozoic Elasmobranchii, in Handbook of Paleoichthyology, 3B, Monaco, Germania, Friedrich Pfeil, 1987.
- ^ Siversson, M., Lindgren, J., Newbrey, M.G., Cederström, P. e Cook, T.D., Cenomanian–Campanian (Late Cretaceous) mid-palaeolatitude sharks of Cretalamna appendiculata type, in Acta Palaeontologica Polonica, vol. 60, n. 2, 2015, pp. 339–384.
- ^ Vivian, G., Research debunks Great White lineage, su australasianscience.com.au, 2013.
- ^ Palaeontological detective work unravels evolution of megatooth sharks, su museum.wa.gov.au, 2013.
- ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r MD Gottfried, LJV Compagno e SC Bowman, Size and skeletal anatomy of the giant megatooth shark Carcharodon megalodon, in Klimley e Ainley (a cura di), Great White Sharks: The Biology of Carcharodon carcharias, San Diego, California, Academic Press, 1996, pp. 55–89.
- ^ (EN) Kenshu Shimada, Yuta Yamaoka, Yukito Kurihara, Yuji Takakuwa, Harry M. Maisch, Martin A. Becker, Robert A. Eagle e Michael L. Griffiths, Tessellated calcified cartilage and placoid scales of the Neogene megatooth shark, Otodus megalodon (Lamniformes: Otodontidae), offer new insights into its biology and the evolution of regional endothermy and gigantism in the otodontid clade, in Historical Biology, 23 giugno 2023, pp. 1–15.
- ^ (EN) Mark Renz, Megalodon: Hunting the Hunter, PaleoPress, 2002, ISBN 978-0-9719477-0-2. URL consultato il 12 febbraio 2024.
- ^ Roger Portell, Gordon Hubell, Stephen Donovan, Jeremy Green, David Harper e Ron Pickerill, Miocene sharks in the Kendeace and Grand Bay formations of Carriacou, The Grenadines, Lesser Antilles (PDF), in Caribbean Journal of Science, vol. 44, n. 3, 2008, p. 279–286, DOI:10.18475/cjos.v44i3.a2 (archiviato dall'url originale il 20 luglio 2011).
- ^ Catalina Pimiento, Dana J. Ehret, Bruce J. MacFadden e Gordon Hubbell, Ancient Nursery Area for the Extinct Giant Shark Megalodon from the Miocene of Panama, in Anna Stepanova (a cura di), PLOS ONE, vol. 5, n. 5, 2010, pp. e10552.
- ^ a b c d Victor Perez, Ronny Leder e Teddy Badaut, Body length estimation of Neogene macrophagous lamniform sharks (Carcharodon and Otodus) derived from associated fossil dentitions, in Palaeontologia Electronica, vol. 24, n. 1, 2021, pp. 1–28.
- ^ C. Pimiento, B. J. MacFadden, C. F. Clements, S. Varela, C. Jaramillo, J. Velez-Juarbe e B. R. Silliman, Geographical distribution patterns of Carcharocles megalodon over time reveal clues about extinction mechanisms, in Journal of Biogeography, vol. 43, n. 8, 2016, pp. 1645–1655.
- ^ a b (EN) Craig R. McClain, Meghan A. Balk, Mark C. Benfield, Trevor A. Branch, Catherine Chen, James Cosgrove, Alistair D.M. Dove, Lindsay C. Gaskins, Rebecca R. Helm, Frederick G. Hochberg e Frank B. Lee, Sizing ocean giants: patterns of intraspecific size variation in marine megafauna, in PeerJ, vol. 3, 13 gennaio 2015, pp. e715.
- ^ Castro, Jose I., Sharks of North America., Oxford University Press, USA, 2011.
- ^ (EN) Asunción Borrell, Alex Aguilar, Manel Gazo, R. P. Kumarran e Luis Cardona, Stable isotope profiles in whale shark (Rhincodon typus) suggest segregation and dissimilarities in the diet depending on sex and size, in Environmental Biology of Fishes, vol. 92, n. 4, 1º dicembre 2011, pp. 559–567.
- ^ a b (EN) Donald R. Prothero, 09. Mega-Jaws: The Largest Fish. Carcharocles, in The Story of Life in 25 Fossils: Tales of Intrepid Fossil Hunters and the Wonders of Evolution, New York Chichester, West Sussex, Columbia University Press, 25 agosto 2015, pp. 96–110.
- ^ a b c S. Wroe, Huber, D. R., Lowry, M., McHenry, C., Moreno, K., Clausen, P., Ferrara, T. L., Cunningham, E., Dean, M. N. e Summers, A. P., Three-dimensional computer analysis of white shark jaw mechanics: how hard can a great white bite? (PDF), in Journal of Zoology, vol. 276, n. 4, 2008, pp. 336–342.
- ^ J. A. Cooper, C. Pimiento, H. G. Ferrón e M. J. Benton, Body dimensions of the extinct giant shark Otodus megalodon: a 2D reconstruction, in Scientific Reports, vol. 10, n. 14596, 2020, pp. 14596.
- ^ a b c d e J.A. Cooper, J.R. Hutchinson, D.C. Bernvi, G. Cliff, R.P. Wilson, M.L. Dicken, J. Menzel, S. Wroe, J. Pirlo e C. Pimiento, The extinct shark Otodus megalodon was a transoceanic superpredator: Inferences from 3D modeling, in Science Advances, vol. 8, n. 33, 2022, pp. eabm9424.
- ^ D. M. P. Jacoby, P. Siriwat, R. Freeman e C. Carbone, Is the scaling of swim speed in sharks driven by metabolism?, in Biology Letters, vol. 12, n. 10, 2015, pp. 20150781.
- ^ a b c H. G. Ferrón, Regional endothermy as a trigger for gigantism in some extinct macropredatory sharks, in PLOS ONE, vol. 12, n. 9, 2017, pp. e0185185.
- ^ K. Shimada, M. A. Becker e M. L. Griffiths, Body, jaw, and dentition lengths of macrophagous lamniform sharks, and body size evolution in Lamniformes with special reference to 'off-the-scale' gigantism of the megatooth shark, Otodus megalodon, in Historical Biology, vol. 33, n. 11, 2020, pp. 1–17.
- ^ a b c d e f g D. R. Prothero, Mega-Jaws, in The Story of Life in 25 Fossils, New York, New York, Columbia University Press, 2015, pp. 96–110.
- ^ G. Helfman e G. H. Burgess, Sharks: The Animal Answer Guide, Baltimore, Maryland, Johns Hopkins University Press, 2014, pp. 19.
- ^ John E. Randall, Size of the Great White Shark (Carcharodon), in Science Magazine, vol. 181, n. 4095, 1973, pp. 169–170.
- ^ Patrick Schembri, Malta's Natural Heritage, in Natural Heritage. In, 1994, pp. 105–124.
- ^ Stephen Papson, Copyright: Cross the Fin Line of Terror, in Journal of American Culture, vol. 15, n. 4, 1992, pp. 67–81.
- ^ M. D. Gottfried e R. E. Fordyce, An associated specimen of Carcharodon angustidens (Chondrichthyes, Lamnidae) from the Late Oligocene of New Zealand, with comments on Carcharodon interrelationships, in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 21, n. 4, 2001, pp. 730–739.
- ^ Kenshu Shimada, The relationship between the tooth size and total body length in the white shark, Carcharodon carcharias (Lamniformes: Lamnidae), in Journal of Fossil Research, vol. 35, n. 2, 2002, pp. 28–33.
- ^ a b Catalina Pimiento, Gerardo González-Barba, Dana J. Ehret, Austin J. W. Hendy, Bruce J. MacFadden e Carlos Jaramillo, Sharks and Rays (Chondrichthyes, Elasmobranchii) from the Late Miocene Gatun Formation of Panama (PDF) [collegamento interrotto], in Journal of Paleontology, vol. 87, n. 5, 2013, pp. 755–774.
- ^ B. Crane, A Prehistoric Killer, Buried in Muck, in The New Yorker, 2017. URL consultato il 10 dicembre 2017.
- ^ A. Mustain, For Sale: World's Largest Shark Jaws, su livescience.com, LiveScience, 2011. URL consultato il 31 agosto 2017.
- ^ a b S. E. Bendix Almgreen, Carcharodon megalodon from the Upper Miocene of Denmark, with comments on elasmobranch tooth enameloid: coronoïn, in Bulletin of the Geological Society of Denmark, vol. 32, 15 novembre 1983, pp. 1–32.
- ^ M. Reolid e J. M. Molina, Record of Carcharocles megalodon in the Eastern Guadalquivir Basin (Upper Miocene, South Spain), in Estudios Geológicos, vol. 71, n. 2, 2015, pp. e032.
- ^ T. Uyeno, O. Sakamoto e H. Sekine, The Description of an Almost Complete Tooth Set of Carcharodon megalodon from a Middle Miocene Bed in the Saitama Prefecture, Japan, in Saitama Museum of Natural History Bulletin, vol. 7, 1989, pp. 73–85.
- ^ (EN) MEGALODON BITE, THE SECRET BEHIND IT [REVEALED], su Max Hawthorne, 10 febbraio 2018. URL consultato il 6 agosto 2019.
- ^ P.S.L. Anderson e Westneat, M., A biomechanical model of feeding kinematics for Dunkleosteus terrelli (Arthrodira, Placodermi), in Paleobiology, vol. 35, n. 2, 2009, pp. 251–269.
- ^ Ballell, A. e Ferrón, H.G., Biomechanical insights into the dentition of megatooth sharks (Lamniformes: Otodontidae), in Scientific Reports, vol. 11, n. 1232, 2021, pp. 1232.
- ^ a b G. L. Stringer e L. King, Late Eocene Shark Coprolites from the Yazoo Clay in Northeastern Louisiana, in New Mexico Museum of Natural History and Science, Bulletin, Vertebrate Corpolites, vol. 57, 2012, pp. 301.
- ^ Megalodon Shark Facts and Information: The Details, su fossilguy.com. URL consultato il 18 settembre 2017.
- ^ Erich Fitzgerald, A review of the Tertiary fossil Cetacea (Mammalia) localities in Australia, in Memoirs of Museum Victoria, vol. 61, n. 2, 2004, pp. 183–208.
- ^ Carcharocles megalodon, 28 agosto 2017, 202672.
- ^ N. Löffler, J. Fiebig, A. Mulch, T. Tütken, B.C. Schmidt, D. Bajnai, A.C. Conrad, U. Wacker e M.E. Böttcher, Refining the temperature dependence of the oxygen and clumped isotopic compositions of structurally bound carbonate in apatite, in Geochimica et Cosmochimica Acta, vol. 253, 2019, pp. 19–38.
- ^ a b c Aguilera O. e Augilera E. R. D., Giant-toothed White Sharks and Wide-toothed Mako (Lamnidae) from the Venezuela Neogene: Their Role in the Caribbean, Shallow-water Fish Assemblage, in Caribbean Journal of Science, vol. 40, n. 3, 2004, pp. 362–368.
- ^ J. E. Martin, T. Tacail, A. Sylvain, G. Catherine e B. Vincent, Calcium isotopes reveal the trophic position of extant and fossil elasmobranchs, in Chemical Geology, vol. 415, 2015, pp. 118–125.
- ^ a b c A. Collareta, O. Lambert, W. Landini, C. Di Celma, E. Malinverno, R. Varas-Malca, M. Urbina e G. Bianucci, Did the giant extinct shark Carcharocles megalodon target small prey? Bite marks on marine mammal remains from the late Miocene of Peru, in Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology, vol. 469, 2017, pp. 84–91.
- ^ a b Gary S. Morgan, Whither the giant white shark? (PDF), in Paleontology Topics, vol. 2, n. 3, 1994, pp. 1–2. URL consultato il 5 giugno 2024 (archiviato dall'url originale il 22 luglio 2016).
- ^ Orangel A. Augilera, Luis García e Mario A. Cozzuol, Giant-toothed white sharks and cetacean trophic interaction from the Pliocene Caribbean Paraguaná Formation, in Paläontologische Zeitschrift, vol. 82, n. 2, 2008, pp. 204–208.
- ^ W. Landini, A. Altamirano-Sera, A. Collareta, C. Di Celma, M. Urbina e G. Bianucci, The late Miocene elasmobranch assemblage from Cerro Colorado (Pisco Formation, Peru), in Journal of South American Earth Sciences, vol. 73, 2017, pp. 168–190.
- ^ a b c d e f g h O. Lambert, G. Bianucci, P. Post, C. de Muizon, R. Salas-Gismondi, M. Urbina e J. Reumer, The giant bite of a new raptorial sperm whale from the Miocene epoch of Peru, in Nature, vol. 466, n. 7302, 2010, pp. 105–108.
- ^ Leonard J. V. Compagno, Alternative life-history styles of cartilaginous fishes in time and space, in Environmental Biology of Fishes, vol. 28, 1–4, 1989, pp. 33–75.
- ^ Francesco Ferretti, Boris Worm, Gregory L. Britten, Michael R. Heithaus e Heike K. Lotze1, Patterns and ecosystem consequences of shark declines in the ocean, in Ecology Letters, vol. 13, n. 8, 2010, pp. 1055–1071.
- ^ K.N. Gilbert, L.C. Ivany e M.D. Uhen, Living fast and dying young: life history and ecology of a Neogene sperm whale, in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 38, n. 2, 2018, pp. e1439038.
- ^ a b c d e John Heyning e Marilyn Dahlheim, Orcinus orca (PDF) [collegamento interrotto], in Mammalian Species, n. 304, 1988, pp. 1–9.
- ^ Giovanni Bianucci e Landini Walter, Killer sperm whale: a new basal physeteroid (Mammalia, Cetacea) from the Late Miocene of Italy, in Zoological Journal of the Linnean Society, vol. 148, n. 1, 2006, pp. 103–131.
- ^ D. R. Lindberg e N. D. Pyenson, Evolutionary Patterns in Cetacea: Fishing Up Prey Size through Deep Time, in Whales, Whaling, and Ocean Ecosystems, University of California Press, 2006, pp. 77.
- ^ R. W. Boessenecker, A new marine vertebrate assemblage from the Late Neogene Purisima Formation in Central California, part II: Pinnipeds and Cetaceans, in Geodiversitas, vol. 35, n. 4, 2013, pp. 815–940.
- ^ G. Bianucci, Hemisyntrachelus cortesii (Cetacea, Delphinidae) from the Pliocene Sediments of Campore Quarry (Salsomaggiori Terme, Italy, in Bollettino della Societa Paleontologica Italiana, vol. 36, n. 1, 1997, pp. 75–83).
- ^ M.T. Antunes, P. Legoinha e A. Balbing, Megalodon, mako shark and planktonic foraminifera from the continental shelf off Portugal and their age, in Geologica Acta, vol. 13, 2015, pp. 181–190.
- ^ Paleoecology of Megalodon and the White Shark, su elasmo-research.org, Biology of Sharks and Rays. URL consultato il 1º ottobre 2017.
- ^ Darren Tanke e Philip Currie, Head-Biting Behaviour in Theropod Dinosaurs: Paleopathological Evidence (PDF), in Gaia, n. 15, 1998, pp. 167–184.
- ^ a b S. J. Godfrey e J. Altman, A Miocene Cetacean Vertebra Showing a Partially Healed Compression Factor, the Result of Convulsions or Failed Predation by the Giant White Shark, Carcharodon megalodon (PDF), in Jeffersoniana, n. 16, 2005, pp. 1–12. URL consultato il 1º ottobre 2017 (archiviato dall'url originale il 31 gennaio 2014).
- ^ Stephen J. Godfrey, John R. Nance e Norman L. Riker, Otodus-bitten sperm whale tooth from the Neogene of the Coastal Eastern United States (PDF), in Acta Palaeontologica Polonica, vol. 66, n. 3, 2021, pp. 599–603.
- ^ Thomas A. Deméré, Annalisa Berta e Michael R. McGowen, The taxonomic and evolutionary history of fossil and modern balaenopteroid mysticetes, in Journal of Mammalian Evolution, vol. 12, n. 1/2, 2005, pp. 99–143.
- ^ Ehret D.J., Chapter 5 – Macroevolution, Age, and Growth of the Megatoothed Sharks (Lamniformes Otodonridae) (PDF), in Paleobiology and taxonomy of extinct lamnid and otodontid sharks (Chondrichthyes, Elasmobranchii, Lamniformes), 2010, pp. 100–136.
- ^ Kenshu S., M. F. Bonnan, M. A. Becker e M. L. Griffiths, Ontogenetic growth pattern of the extinct megatooth shark Otodus megalodon implications for its reproductive biology, development, and life expectancy, in Historical Biology, vol. 33, n. 12, 2021, pp. 3254–3259.
- ^ (ES) Identifying Canary fossils of 'megalodon', the largest shark that ever lived, su europapress.es, Europa Press Noticias SA, 2013. URL consultato il 29 agosto 2017.
- ^ N. K. Dulvy e J. D. Reynolds, Evolutionary transitions among egg-laying, live-bearing and maternal inputs in sharks and rays, in Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, vol. 264, n. 1386, 1997, pp. 1309–1315.
- ^ Stephen Godfrey, The Ecphora (PDF), in The Newsletter of Calvert Marine Museum Fossil Club, vol. 19, n. 1, 2004, pp. 1–13. URL consultato il 6 giugno 2024 (archiviato dall'url originale il 10 dicembre 2010).
- ^ R. J. Kallal, Godfrey, S. J. e Ortner, D. J., Bone Reactions on a Pliocene Cetacean Rib Indicate Short-Term Survival of Predation Event, in International Journal of Osteoarchaeology, vol. 22, n. 3, 27 agosto 2010, pp. 253–260.
- ^ a b C. Pimiento, J. N. Griffin, C. F. Clements, D. Silvestro, S. Varela, M. D. Uhen e C. Jaramillo, The Pleistocene Marine Megafauna Extinction and its Impact on Functional Diversity, in Nature Ecology and Evolution, vol. 1, n. 8, 2017, pp. 1100–1106.
- ^ a b c d The Extinction of Megalodon, su elasmo-research.org, Biology of Sharks and Rays. URL consultato il 31 agosto 2017.
- ^ Michael Reilly, Prehistoric Shark Nursery Spawned Giants, Discovery News, 29 settembre 2009. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 10 marzo 2012).
- ^ a b c Warren D. Allmon, Steven D. Emslie, Douglas S. Jones e Gary S. Morgan, Late Neogene Oceanographic Change along Florida's West Coast: Evidence and Mechanisms, in The Journal of Geology, vol. 104, n. 2, 2006, pp. 143–162.
- ^ a b A. Collareta, O. Lambert, W. Landini e G. Bianucci, Did the giant extinct shark Carcharocles megalodon target small prey? Bite marks on marine mammal remains from the late Miocene of Peru, in Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology, vol. 469, 2017, pp. 84–91.
- ^ Dooly A.C., Nicholas C. F. e Luo Z. X., The earliest known member of the rorqual–gray whale clade (Mammalia, Cetacea), in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 24, n. 2, 2006, pp. 453–463.
- ^ a b c (EN) Jeremy McCormack, Michael L. Griffiths, Sora L. Kim, Kenshu Shimada, Molly Karnes, Harry Maisch, Sarah Pederzani, Nicolas Bourgon, Klervia Jaouen, Martin A. Becker e Niels Jöns, Trophic position of Otodus megalodon and great white sharks through time revealed by zinc isotopes, in Nature Communications, vol. 13, n. 1, 31 maggio 2022, pp. 2980.
- ^ a b c d Sara Citron, Jonathan H. Geisler, Collareta Alberto e Bianucci Giovanni, Systematics, phylogeny and feeding behavior of the oldest killer whale: a reappraisal of Orcinus citoniensis (Capellini, 1883) from the Pliocene of Tuscany (Italy), in Bollettino della Società Paleontologica Italiana, vol. 61, n. 2, 2022, pp. 167–186.
- ^ Huge Tooth Reveals Prehistoric Moby Dick in Melbourne, su australasianscience.com.au, Australasian Science Magazine. URL consultato il 24 aprile 2016.
- ^ Move over Moby Dick: Meet Melbourne's own mega whale, su smh.com.au, The Sydney Morning Herald, 21 aprile 2016.
- ^ R Govender, Early Pliocene fossil cetaceans from Hondeklip Bay, Namaqualand, South Africa, in Historical Biology, vol. 33, n. 4, 2021, pp. 574–593.
- ^ O. Hampe, Middle/late Miocene hoplocetine sperm whale remains (Odontoceti: Physeteridae) of North Germany with an emended classification of the Hoplocetinae, in Fossil Record, vol. 9, n. 1, 2006, pp. 61–86.
- ^ a b Miguel Telles Antunes e Ausenda Cáceres Balbino, The Great White Shark Carcharodon carcharias (Linne, 1758) in the Pliocene of Portugal and its Early Distribution in Eastern Atlantic, in Revista Española de Paleontología, vol. 25, n. 1, 2010, pp. 1–6.
- ^ Emma R. Kast, Michael L. Griffiths, Sora. L. Kim, Zixuan C. Rao, Kensu Shimada, Martin A. Becker, Harry M. Maisch, Robert A. Eagle, Chelesia A. Clarke, Allison N. Neumann, Molly E. Karnes, Tina Lüdecke, Jennifer N. Leichliter, Alfredo Martínez-García, Alliya A. Akhtar, Xingchen T. Wang, Gerald H. Haug e Daniel M. Sigman, Cenozoic megatooth sharks occupied extremely high trophic positions, in Science Advances, vol. 8, n. 25, 22 giugno 2022, pp. eabl6529.
- ^ G. J. Slater, J. A. Goldbogen e N. D. Pyenson, Independent evolution of baleen whale gigantism linked to Plio-Pleistocene ocean dynamics, in Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, vol. 284, n. 1855, 2017, pp. 20170546.
- ^ Adnet Sylvain, A. C. Balbino, M. T. Antunes e J. M. Marín-Ferrer, New fossil teeth of the White Shark (Carcharodon carcharias) from the Early Pliocene of Spain. Implication for its paleoecology in the Mediterranean, in Neues Jahrbuch für Geologie und Paläontologie, vol. 256, n. 1, 2010, pp. 7–16.
- ^ J. A. Weinstock, The Ashgate Encyclopedia of Literary and Cinematic Monsters, Farnham, Regno Unito, Routledge, 2014, pp. 107–108.
- ^ W. Tschernetzky, Age of Carcharodon megalodon?, in Nature, n. 184, 24 ottobre 1959, pp. 1331-1332, DOI:10.1038/1841331a0.
- ^ a b (EN) Edward Guimont, The Megalodon: A Monster of the New Mythology, in M/C Journal, vol. 24, n. 5, 5 ottobre 2021.
- ^ Ben S. Roesch, A Critical Evaluation of the Supposed Contemporary Existence (archiviato dall'url originale il 21 ottobre 2013), The Cryptozoology Review 3 (2): 1998, 14-24; Lorenzo Rossi, Megalodonte: leggenda degli abissi, su criptozoo.com, 10 dicembre 2013. URL consultato l'11 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale il 24 dicembre 2013).
- ^ B. S. Roesch, A Critical Evaluation of the Supposed Contemporary Existence of Carcharocles megalodon, in The Cryptozoology Review, vol. 3, n. 2, 1998, pp. 14–24. URL consultato l'11 novembre 2014 (archiviato dall'url originale il 21 ottobre 2013).
- ^ Does Megalodon Still Live?, su elasmo-research.org, Biology of Sharks and Rays. URL consultato il 2 ottobre 2017.
- ^ The Meg (2018), su Box Office Mojo. URL consultato il 22 dicembre 2017.
- ^ Mermaids: The Body Found, Animal Planet, 27 maggio 2012.
- ^ Shark Week 'Megalodon: The Monster Shark Lives' Tries To Prove Existence Of Prehistoric Shark (VIDEO), su huffingtonpost.com, Huff Post Green, 5 agosto 2013. URL consultato l'11 agosto 2013.
- ^ Discovery's Megalodon Defense? 'We Don't Know,' Or 'We Don't Care' - Science Sushi | DiscoverMagazine.com, su blogs.discovermagazine.com, 17 settembre 2013. URL consultato il 25 aprile 2023.
- ^ B. Winston, G. Vanstone e W. Chi, A Walk in the Woods, in The Act of Documenting: Documentary Film in the 21st Century, New York, New York, Bloomsbury Publishing, 2017.
- ^ J. Flanagin, Sorry, Fans. Discovery Has Jumped the Shark Week., in New York Times, 2014. URL consultato il 16 agosto 2014.
- ^ (EN) David Shiffman, Shark Week Is Lying Again About Monster Megalodon Sharks, su Slate Magazine, 15 agosto 2014. URL consultato il 31 luglio 2022.
- ^ (EN) Mikey O'Connell, TV Ratings: Shark Week Hits Record Highs With Fake 'Megalodon' Doc, su The Hollywood Reporter, 5 agosto 2013. URL consultato il 31 luglio 2022.
Altri progetti
modifica- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Carcharodon megalodon
Collegamenti esterni
modifica- (EN) Otodus megalodon, su Fossilworks.org.
- Megalodon: Glossario sugli squali, su enchantedlearning.com.
- Altre immagini, su sharksteeth.com. URL consultato il 21 febbraio 2006 (archiviato dall'url originale il 21 febbraio 2006).
- Reconstructing Megalodon, su elasmo-research.org.
- Articolo della BBC sul Megalodon, con immagini e video, su bbc.co.uk.
- (EN) Ben S. Roesch, A Critical Evaluation of the Supposed Contemporary Existence. URL consultato il 10 settembre 2017 (archiviato dall'url originale il 21 ottobre 2013), The Cryptozoology Review 3 (2): 1998, 14-24
- Lorenzo Rossi, Megalodonte: leggenda degli abissi, su criptozoo.com, 10 dicembre 2013. URL consultato l'11 dicembre 2013.