Edgar Kupfer-Koberwitz

scrittore tedesco

Edgar Kupfer-Koberwitz (Kobierzyce, 24 aprile 1906Stoccarda, 7 luglio 1991) è stato uno scrittore, giornalista, poeta, memorialista e pacifista tedesco.

Edgar Kupfer-Koberwitz a San Teodoro nel 1972

Biografia

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Nacque con il nome di Edgar Kupfer il 24 aprile 1906, figlio di un direttore immobiliare originario della provincia della Slesia. Lavorò prima nel settore agricolo e poi come impiegato una volta completata la Realschule. Si cimentò anche nella composizione di poesie e articoli di giornale e adottò in seguito lo pseudonimo di Kupfer-Koberwitz.

In seguito all'ascesa del nazionalsocialismo fuggì a Parigi nel 1934, trovando lavoro come tessitore. Tre anni più tardi fu esule sull'isola di Ischia lavorando come agente di viaggio, ma nel settembre 1940 fu espulso dall'Italia e trasferito a Innsbruck (l'Austria era allora annessa alla Germania) con l'accusa di dichiarazioni sprezzanti nei confronti del Terzo Reich e del regime fascista italiano.

L'11 novembre fu deportato dalla Gestapo nel campo di concentramento di Dachau e dal novembre 1942 fu impiegato in uno dei sottocampi che fornivano manodopera per la fabbrica di viti Präzifix, un'industria di armamenti del Reich. Nel corso di questo periodo, a rischio della propria vita, dal 20 novembre 1942 al 2 maggio 1945 compose un manoscritto noto come I diari di Dachau, lungo circa 1800 pagine. Mentre lo scriveva all'interno del campo, lo nascose in vari luoghi e nell'ottobre del 1944 lo seppellì avvolgendolo in strati di alluminio, tessuto e tela cerata per preservarlo.

Il 29 aprile 1945 venne liberato dalle truppe statunitensi e fu testimone oculare delle fucilazioni di massa perpetrate dall'Esercito degli Stati Uniti contro le guardie SS del lager. Il maggio seguente, circa una settimana dopo la liberazione, Kupfer-Koberwitz condusse le forze alleate nel luogo esatto in cui si trovavano i suoi manoscritti nascosti; il diario, sebbene umido, era in gran parte sopravvissuto e vari suoi estratti furono inclusi nel rapporto Dachau. Due anni dopo sarebbe stato utilizzato come prova durante il processo di Norimberga.

 
Edgar Kupfer-Koberwitz in Sardegna, intorno al 1972

Al termine della guerra si trasferì negli Stati Uniti, dove visse a Chicago prima di trasferirsi a Forio alla fine degli anni '50, in concomitanza con la pubblicazione e la conservazione presso la biblioteca dell'Università di Chicago de I diari di Dachau. Dal 1963 visse quasi ininterrottamente fino al 1986 in Sardegna, inizialmente come inviato di una nota agenzia di viaggi tedesca; fu residente alla Caletta della cittadina di Siniscola, sporadicamente per lo studio sulle civiltà nuragiche e delle sue salutari fonti idriche. Andò a vivere nella frazione di San Leonardo de Siete Fuentes nella cittadina di Santu Lussurgiu, comune noto per essere il natio di un'altra nota figura della resistenza antifascista, vittima anch'essa del lager di Dachau e deceduta il 10 luglio del 1944: Bartolomeo Meloni.

Dal 1967 fu registrato al comune di San Teodoro, ove cominciò a scrivere un libro simile a quello già pubblicato su Ischia, sulla Sardegna per il turismo tedesco e i vari aspetti della sua cultura; in gran parte fu ispirato dai propri scritti e libri sull'isola, nonché sulla falsariga del noto reportage di Marcello Serra Sardegna quasi un continente. In questo periodo Cuffer, come lo soprannominavano i locali, conobbe anche il giovane Francesco Calvano e lo accolse, rimanendo amico per tutta la vita. Infine dal 1977 sino alla primavera del 1986 fu residente a Macomer.

L'iniziata opera letteraria, a causa della sua cattiva salute, non fu più portata a termine. Si dedicò anche particolarmente alla protezione degli animali, in particolare dei cani randagi, da cui lui trasse un primo aiuto economico dal suo divenuto buon conoscente: il principe Karim Aga Khan.

Nel 1986, segnato dalla vecchiaia e dalle malattie rimpatriò definitivamente in Germania Ovest, inizialmente vivendo con amici di famiglia e infine in un ospizio antroposofico nella città di Niefern-Öschelbronn, vicino a Stoccarda, dove morì il 7 luglio 1991 all'età di 85 anni.

Tra le altre sue più riverite conoscenze si contavano personaggi come il giudice e scrittore antifascista austriaco dott. Robert Skorpil, da cui nacque e si profilò un'autentica duratura ma cospirativa amicizia, altrettanto fu con il dott. Albert Schweitzer, persona che lui giudicava come un grande fratello, e lo scrittore e radio-reporter svizzero Jakob Job, con cui ebbe una fruttuosissima lunga amicizia, con entrambi intraprese un lungo contatto epistolare dettato da una grande reciproca stima, prima e dopo l'ultima guerra.

Non di meno fu l'amicizia con la "Regina di maggio" italiana: Maria José di Savoia, la quale, dopo avere appreso del suo arresto attraverso la questura di Napoli, nel 1940 a Ischia affrontò un disperato tentativo per la sua liberazione, corrompendo inutilmente le guardie di scorta italiane che accompagnavano Koberwitz al Brennero per consegnarlo ai tedeschi.

Altro libro di rilevante importanza comprende, oltre Ischia l'isola dimenticata, anche Fratelli animali. Considerazioni su una vita etica del 1947, un appassionato appello contro il trattamento crudele ed indifferente inflitto agli animali, da cui l'autore riporta le seguenti dichiarazioni:

«Non mangio animali perché non voglio vivere sulla sofferenza e sulla morte di altre creature [...]. Io stesso ho sofferto così tanto che riesco a sentire la sofferenza delle altre creature grazie a questa.[1]»

Infatti Koberwitz, convinto vegano e animalista, si soffermò, nelle sue memorie, sulla correlazione fra le violenze inflitte agli esseri umani e quelle subìte dagli animali:

«Penso che finché l'uomo torturerà e ucciderà gli animali, torturerà e ucciderà anche gli esseri umani – e vi saranno le guerre – perché uccidere viene praticato e appreso poco a poco. Dovremmo cercare di superare le nostre piccole insensibili crudeltà, cercare di evitarle e cercare di bandirle. Ma siamo ancora troppo osservanti delle nostre tradizioni. E le tradizioni sono come una salsa grassa e saporita, che ci fa ingoiare la nostra insensibilità egoista senza farci accorgere di quanto questa sia amara.[2]»

La sua testimonianza è stata inoltre raccolta nel saggio Un'eterna Treblinka di Charles Patterson.

  1. ^ Citato in Guadagnucci, p. 222.
  2. ^ Citato in Guadagnucci, pp. 222-223.

Bibliografia

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