Work Text:
Nota stonata
Federico fece schioccare la frusta, era riuscito a liberarsi di Kozarto e Daemon.
Stava riflettendo: "Pensarci è davvero affascinante…". Il suo passo era rapido, le manette al suo fianco tintinnavano.
"I proiettili dell’ultimo desiderio, che pensavo fossero solo divini, hanno trovato il modo di raggiungere mio fratello e hanno causato una sproporzione. Il suo membro è diventato innaturalmente grande, ma non per questo meno funzionante".
Socchiuse gli occhi e scrollò le spalle.
"La mia sposa prima di morire non ha mai messo un veto alle mie ricerche. Anzi, mi spronava a provare sempre nuovi piaceri e risposte alle domande che mi pongo anche nella sfera sessuale".
Sorrise nel ricordare le implorazioni del giovane Alaude, arrivato da poco, completamente suo.
Raggiunse Giotto nel proprio studio, stava posando dei libri. «Ho sentito della principessa Edgarda».
«Alianna venne corretto. Edgarda è stata due notti fa».
Federico posò la frusta sulla rastrelliera. «Perdonami, non mi tengo al passo» scherzò. «Anche perché Alianna ha già avuto il piacere di giacere con me». Finse un’espressione incuriosita. «Com’è andata a te con la tua ultima conquista?».
«Benissimo» rispose Giotto, accomodandosi sulla sedia con le gambe accavallate.
Federico fece una smorfia a vedere la sua aria di superiorità. «Siete giunti al dunque?».
«Non credo siano fatti tuoi».
«Quindi no?».
«Posso dirti che è andata magnificamente».
«… E ha dovuto intervenire ‘Sebastiano’ alla fine?».
«So cosa stai facendo», sbottò Giotto, alzandosi improvvisamente in modo tanto dirompente che la sua sedia stridette all'indietro, strofinando sul pavimento. «Stai cercando di umiliarmi e non lo permetterò."
«Davvero?» chiese Cavallone, poggiandosi al muro e accavallando le gambe con aria seducente. «… Ed io che pensavo stessimo facendo solamente una chiacchierata informale».
«Siamo nobili, non siamo mai informali».
Non sono d’accordo» borbottò Federico, pensando: "Faccio sesso occasionale ogni volta che posso e quello è molto informale".
Proseguì: «Conosco tutti i tuoi segreti. Sappiamo entrambi che sono il più esperto nell'arte del buon sesso. Se può aiutare a impedire che i tuoi piccoli sbalzi d'umore rovinino il nostro lavoro, sono disposto a vedere cosa posso fare per aiutarti».
Io non ho sbalzi d’umore perché non riesco ad andare con delle belle donne» rispose acido Giotto.
Suppongo tu non riesca ad entrare del tutto con la tua ‘deformità’, è normale tu rimanga frustrato… e considerando la tua natura ambivalente, l’isteria tipicamente femminile non mi sorprende».
«Ti odio quando fai così».
«Fidati, non odierai le mie premure».
«Se vuoi portarmi a letto, fottimi e basta…».
«Non essere così volgare…» si lagnò Federico. «Lo hai appena detto tu che siamo nobili e dobbiamo essere formali».
Lo sguardo furente del più giovane s’intensificò. «Se pensi che io ti abbia rovinato la vita con la morte di tua moglie…».
«Tu mi hai solo salvato la vita» lo rassicurò Federico. «… Mi raccomando, ti ho detto tante volte che non voglio che si sappia. Avrei avuto la forza di farlo anche da solo per legittima difesa».
«Tu l’amavi…».
«Lei era sotto l’influenza del Dio degli dei» ribatté Federico. «Nostro compito in quanto nobili è proteggerlo ed evitare a questo mondo di decadere».
Giotto gli ricordò: «Non hai fatto in tempo ad avere eredi per la famiglia Cavallone». Vedendo lo sguardo possessivo dell’altro, incrociò le braccia al petto e fece un passo indietro. «Io ne avrò sicuramente uno quando sposerò Sebastiana, ma tu?».
«Ho decine di amanti e camere da letto qui al maniero» lo tranquillizzò Federico. «Sono un mezzosangue, nessuno si stupirà di come avrò il mio erede, fosse anche concepito da una popolana».
Giotto sbatté il piede per terra e Federico ghignò, sentendo il rimbombo sul pavimento. «Non dirmi che hai gli stivali col tacco» gorgogliò. Lo sai che non posso resistere quando li indossi».
«Tu non puoi resistere mai» brontolò Giotto. «Ora calmati o ti trasformerai in demone».
«Dannata la mia malattia. Il vampirismo avanza e…».
«Risparmiami le lamentele».
«Allora vieni con me in camera e fammi stare zitto» sussurrò Federico. Gli si avvicinò e sussurrò all’orecchio: «Canta per me».
Giotto gli premette il viso contro il petto, ansimando. «Vuoi insidiare il mio corpo o la mia mente?» biascicò. Sentendosi rispondere: «Entrambi»; cedette: «Andiamo in una camera normale, prima che tu decida di portarmi in quel rifugio umido sotterraneo».
Federico lo afferrò per il polso e lo strattonò, lungo i corridoi controllò non vi fosse servitù o parenti.
Lo condusse fino a una camera da letto e, apertagli la porta, gl’indicò di entrare. «Prima tu, mio adorato…». Sentendo l’altro sbuffare ghignò. «Non apprezzi la mia romantica delicatezza?».
«Tu vuoi solo umiliarmi» ringhiò Giotto. «Prendimi ancora in giro e ti spaccherò la testa con l’organo che tieni nascosto».
Federico lo sbatté contro una parete sentendolo gemere e ansimò, prendendolo per il collo. «Se fai il difficile, mi fai eccitare».
«Sei sempre in calore, pervertito» sibilò il fratello minore. «Darti retta è sempre un errore».
«Niente di ciò che faccio è mai uno sbaglio» sussurrò il maggiore, giocherellando con i suoi tanti capelli biondi, arrotolandosi le morbide ciocche intorno alle dite affusolate. «Ammettilo, ti piaccio come piaccio a tutti».
Spintonò Giotto che volò con facilità sul letto, atterrando con un mugolio. «Dimentico sempre quanto tu sia leggero». Il letto a baldacchino in legno era decorato da raffigurazioni di cavalli rampanti e gigli.
«St-stro… Stronzo» balbettò il più giovane, rosso in volto. «Andiamo, non ti agitare, mio principe balbettante».
«I-io… No-non ba-baal…balbetto sempre» biascicò Giotto, il battito cardiaco impazzito.
«Sì, lo so, solo quando ti agiti» disse Federico, godendosi la vista del minore, dai lunghissimi capelli dorati, steso sul suo letto. «Non c’è bisogno adesso, sei al sicuro con me».
Giotto sentì che l’altro tentava di calmarlo con delle carezze e regolò il respiro per smettere di biascicare.
Federico s’inginocchiò ai piedi del letto e gli spalancò le gambe, iniziando a slacciargli i pantaloni. Giotto lo raggiunse con un calcio alla spalla facendolo gridare.
Primo Cavallone estrasse i denti da vampiro e soffiò, ricevendo un calcio in faccia che gli arrossò il naso. Si piegò in avanti e iniziò a leccare la pelle pallida dell’amante, facendolo trasalire di piacere.
Federico riuscì a liberarlo dall’intimo, guardò di sottecchi gli stivali, ma vedendo i tanti lacci e le cuciture decise di non sfilarli. «Sei davvero enorme».
«Piantala».
«Rilassati, ti ho detto».
Giotto si stava liberando del corsetto e degli innumerevoli nastrini che tenevano ferma la marea di capelli dorati.
«Hai dei capezzoli affascinanti» mormorò Federico, i suoi occhi verdi erano liquidi.
«Al momento credevo tu stessi guardando ‘altro’».
«Hai anche una bella pelle pallida», proseguì il malato di oscurità.
«Ah ah, ‘Angel’, ah ah» finse di ridere Giotto. Federico gli balzò addosso, immobilizzandolo e baciandolo con foga, infilandogli la lingua in bocca.
Giotto ricambiava e Federico ghignava, cercando di disordinargli i capelli il più possibile. Gli mordeva il labbro e gli graffiava le spalle sottili, strusciandosi sulla sua intimità.
"Mi ama in modo così egoista, conto solo il suo piacere. Perché sono tutti così?" pensò Giotto, impedendogli di dargli dei morsi vampirici sul collo sottile.
Federico lo penetrò all’improvviso, senza prepararlo e lo sentì urlare e rise. Guardò il viso del più giovane: "ecco ciò per cui vivo, quel volto dalla bellezza fiera e aristocratica completamente stravolto, gli occhi colmi di lacrime, la bocca spalancata gocciolante bava, mentre lo costringo a seguire il mio ritmo spingendo avanti e indietro".
Alcune gocce di sperma precipitarono sui capelli dorati, Cavallone gongolò trionfante.
«Le cose sono sempre state due: o le lacrime sono mie o sono tue…. Ed io voglio vincere».
Inseguì quella sensazione ancora e ancora, lasciando cadere rapidi baci lungo tutta la larghezza e la lunghezza della schiena dell’amante per trovare tutti i suoi punti sensibili.
Giotto pensava: "Quando imparerò a dire ‘basta’?".
Federico si accorse che l’altro si limitava ad ansimare e socchiuse gli occhi. «Avrò il tuo coinvolgimento» giurò ad entrambi e afferrò la sua intimità, mentre lo prendeva, gli accarezzava l’intimità massiccia. Utilizzò una velocità inumana per passare le dita su tutta la superficie.
«Vacci piano» borbottò Giotto. «Se mi dai fuoco con il tuo cielo di fiamme, ti giuro che ti congelo a morte».
Federico rise. «Tu non sai proprio stare zitto» soffiò, proseguendo. "Per quanto si lascia coinvolgere, considerando che usa la bocca solo per lagnarsi, tanto varrebbe averlo da morto. Almeno mi lascerebbe fare in pace".
Giotto afferrò il lenzuolo con le sue mani curate, le unghie perfette e cambiò il ritmo, andandogli incontro più velocemente.
Federico gli tirò i capelli così forte da farlo gemere sofferente. «Non ti permetterò di ignorarmi. Ti soddisferò che tu lo voglia oppure no».
«Provaci» lo sfidò Giotto, riprendendo il controllo del suo respiro. Federico ci andava giù così pesante che il letto sembrava dover cedere, mentre gli aveva arrossato la virilità.
«Sei bellissimo, ma bastardo» ringhiò Federico. Vide che il sudore scivolava sul corpo del fratello, i capelli si aggrovigliavano in massicci nodi. Lo sentiva tremare sotto di sé e socchiuse gli occhi. "Lui è unico" pensò. "Nemmeno la prima volta che lo abbiamo fatto, e sono sicuro di essere stato il primo ad averlo avuto adulto, si è lasciato sopraffare dal piacere".
«La tua voce è stupenda» soffiò e lì lo sentì mugolare. «Non vuoi lasciare che ti guidi? Non vuoi essere un imperatore? Devi fidarti di me».
«S-sì…» sussurrò Giotto e Federico lo sentì cedere. «Qualsiasi cosa per quello».
«Ricorda sempre questi momenti» soffiò il vampiro, inspirando il profumo del suo collo, leccandolo mentre iniziava ad avere un ritmo meno eccessivo.
«Ricorda che ti possiedo… Nella mente e nel corpo».
«Sì, my Angel».
Federico uscì da lui e si alzò in piedi, con un’espressione trionfante. "Non c’è umiliazione più grande, qui tutti potrebbero trovarti nudo, sfatto, mio". Si leccò le labbra, indugiando sui canini aguzzi. "Oh sì, deliziosa punizione".