Actions

Work Header

First Love/Late Spring

Chapter 5: Something sweet

Notes:

(See the end of the chapter for notes.)

Chapter Text

Nel pomeriggio, Giulia è andata a trovare Nina a casa, sperando che ad una settimana dal parto la cugina stesse abbastanza bene dal confortarla: niente di più lontano dalla realtà. 

La piccola Olivia è venuta al mondo con un bel bang! che ha dilaniato la fessa di sua madre… o almeno questo è ciò che sostiene Nina, che questa mattina è riuscita finalmente a stare in piedi per più di mezz’ora. 

«Ma tu non devi preoccuparti», le ha detto poi, con un sorriso sofferente. «Questa bestiolina era tutta storta. Il tuo è dritto, no?»

«Si è girato poco dopo il baby shower », ha balbettato Giulia in risposta. Nina le ha dato un buffetto sul ginocchio. 

«Vedi? Nulla di cui preoccuparsi. Andrà tutto bene.»

Giulia ha annuito, fingendo di crederci. Poi Nina le ha mollato la piccola tra le braccia, talmente esasperata da quasi dimenticarsi di spiegarle come tenerla. 

Si rigira nel letto, sbuffando. Non trova pace stasera. Mamma direbbe che è per la giornata emozionante che ha appena trascorso, ma - sebbene tenere Olivia, un neonato, per la prima volta in braccio sia una delle sensazioni più assurde che esistano - Giulia può dire di certo che non è questo il motivo. Sono ormai un paio di giorni che qualcosa non va. Tonia e Antigone le hanno entrambe detto di non preoccuparsi, esattamente come Nina. Dolori e una costante sensazione di disagio sono piuttosto normali a questo stadio della gravidanza, così dicono le esperte. Giulia vorrebbe parlarne con mamma, ricevere un qualche tipo di conforto da lei, ma purtroppo la donna che l’ha messa al mondo è troppo offesa per l’intervista a Vanity Fair per parlarle in modo normale, senza toni sarcastici o piagnucolosi, e viste le condizioni in cui versa la vita di Giulia al momento non ha proprio lo stomaco per sorbirsi anche la mamma, sebbene sappia che non ha tutti i torti nell’essersi offesa. 

La verità è sempre un boccone amaro da mandare giù e chi lo sa meglio di lei? Niente è stato difficile quanto accettare la realtà del proprio complesso e problematico rapporto con Marco. Ancora non ci riesce del tutto, ancora si aggrappa, come la bambina testarda e trascurata che è, al suo dolce ricordo. E per questo motivo non riesce a contattare Tiberio in nessun modo. 

Si rigira di nuovo, mettendosi a fissare il soffitto. In genere non va a letto così presto, ma si stava appisolando sul divano mentre guardava la terza stagione di Bridgerton e non voleva aggiungere la cervicale alla lista delle parti del corpo doloranti. Dà in mugolio infastidito, quando di nuovo sente quella fitta strana e dolorosa al fondoschiena: è almeno la quinta da stamattina. 

Ora che è a letto, ovviamente, non riesce a dormire ed è più sveglia che mai, tormentata dalle proprie paure e… tristemente, desideri. Un altro boccone amaro da mandare giù: è arrapata come non mai, negli ultimi giorni. Nello specifico da quando Tiberio le ha quasi infilato le mani sotto la gonna in una chiesa. Vorrebbe non pensarci, ma se tralascia il gesto, le tornano alla mente le parole, che sono state addirittura peggiori e la frustrano più di quanto qualsiasi azione di Tiberio faccia di solito.

Lo ama anche lei. Nello stesso identico perverso modo, questo non può più negarlo. Ha buttato via quel vecchio polveroso tappeto. Ma continua ad avere paura, quasi quanto ne ha di partorire. E se non andasse bene? Prima del bambino, forse avrebbe scrollato le spalle e optato per un omicidio-suicidio. Lo avrebbe costretto a non lasciarla minacciando di lasciarsi morire di fame o qualcosa del genere. Ora è tutto diverso, il bambino viene prima e Giulia non può permettere che qualcuno di tanto innocente… soffra a causa loro, i primi che dovrebbero proteggerlo. Guarda il soffitto bianco, desiderando di trovare lì una risposta, il coraggio di affrontare la domanda che le fa ancora più paura: e se andasse davvero tutto bene? 

Giulia non sa come essere felice. Anche con Marco non era una vera e propria felicità. C’erano sempre tanti spilli, nel suo petto, e tanta polvere sotto quel tappeto. Il rapporto con papà, quelli non meno complicati con mamma e Livia, con se stessa. L’enorme, intimidatorio punto di domanda rappresentato da Tiberio, un non-detto che le pendeva sulla testa come un destino infausto, che alla fine si è compiuto nella figura del piccolino che presto non sarà più una creatura spaventosa ed estranea nel proprio corpo, ma un vero essere umano, dipendente da lei in tutto e per tutto. Un nuovo rapporto da rovinare, da temere. Socchiude gli occhi e fa un respiro profondo, cercando di calmarsi, lasciandosi cullare dalla pioggia. Ci è quasi riuscita, è quasi rilassata abbastanza da scivolare di nuovo del sonno, quando una vocina timida dentro di lei si chiede cosa stia facendo Tiberio in questo momento. Dà in un gemito frustrato e si tira su. 

«Beh, se proprio ci tieni tanto a saperlo», bofonchia tra sé e sé, sentendosi una povera pazza mentre cerca un paio di calzini e una tuta pulita da mettere. 

Sono solo le dieci di sera, ma l’oggetto di ogni proprio desiderio potrebbe essere già sprofondato in un sonno leggero e disturbato. Dovrebbe chiamarlo, per avvisare che sta arrivando. Per chiedergli se può andare da lui, se può disturbarlo. Forse non sta dormendo, forse è con qualcuna, con quella bella studentessa che… 

No. No, non facciamo questa cosa. Ha detto che mi avrebbe aspettato e lo starà facendo.  

Ne è sicura? Tiberio, in fondo, non ha tradito Vipsania, il suo grande amore, proprio con lei?

Dà in un gemito furente e afferra le chiavi di casa, come se Tiberio fosse qui davanti a lei a scoparsi un’altra. 

Esce, totalmente convinta di essere pazza. 

 

Cammina a passo sostenuto nonostante la pioggia scrosciante e il pancione. Il tram l’ha lasciata a qualche centinaio di metri da casa di lui, abbastanza vicino da non pesarle, ma abbastanza lontano da farla inzuppare completamente. Sente la pioggia scivolarle lungo la schiena, inzupparle le uniche scarpe che non le vanno strette, un paio di vecchie converse risalenti alla propria adolescenza. Il cappuccio della giacca a vento, rubata a papà anni fa, è talmente bagnato da non proteggerle più i capelli dall’acqua. Sta per svoltare nella traversa di casa di Tiberio quando salta la corrente su tutta la via, lasciandola completamente al buio. Si ferma per un istante, timorosa, cercando il telefono. Accende la torcia e la tiene puntata davanti a sé, continuando a darsi dell'irresponsabile fuori di testa da sola. Quando è abbastanza vicino al palazzo di lui infila il telefono in tasca, per non farlo bagnare ulteriormente. Sta per ritirarlo fuori quando vede una sagoma scura uscire con un ombrello dal portone di casa di Tiberio. È troppo nel panico per chiamarlo e sta per chiedere a Siri di farlo, quando la sagoma parla, dicendole: «Tu non sei normale.»

Sobbalza e poi dà in un sospiro di sollievo, mettendosi una mano sul petto, nel riconoscere la voce di Tiberio. Lui le mette l'ombrello sulla testa e lei lo schiaffeggia sul petto.

«Imbecille», lo insulta. «Mi hai fatto prendere un colpo.»

«Sei fuori di testa», replica lui serio, guidandola verso il portone.

Quando finalmente sono in casa Tiberio comincia a spogliarla, togliendole la giacca a vento e la felpa, per poi fermarsi e sparire in quella che Giulia presume sia la camera da letto. Si guarda attorno curiosa cercando di capire cosa la circondi nonostante il buio. Dà in uno starnuto proprio mentre lui torna, con vestiti puliti e un accappatoio.

«Mi farei una doccia, fossi in te», le propone brusco, con lo sguardo basso. Giulia non sa dire se sia più contrariato o imbarazzato da questa visita improvvisa. Accetta i vestiti guardandolo fintamente confusa, con il solo obiettivo di intimidirlo ancora di più. Ci riesce, perché lui continua a guardarsi i piedi mentre la conduce in bagno. 

Giulia si sta abituando pian piano al buio, ma solo l’accensione di numerose candele da parte di Tiberio le permette di scoprire pian piano l’ambiente che la circonda.

La stanza è piccola, con piastrelle blu a fiori gialli di chiaro gusto anni ‘80. I sanitari sono smaltati di giallo e tutti vicini, con una vasca munita di tendina di fronte alla porta, il lavandino e un piccolo specchio immediatamente sulla destra e il gabinetto in un antro sulla sinistra. La tendina della doccia/vasca è bianca con dei girasoli stampati sopra. Giulia inarca le sopracciglia a vederla alla luce soffusa delle candele. Tiberio continua a non guardarla e non lo fa nemmeno  mentre lei finisce di spogliarsi. Non le dice cosa può usare per farsi la doccia e cosa no, fuggendo dal minuscolo bagno il prima possibile.

Giulia è divertita e sorpresa dalla sua nuova pudicizia, ma non ne è confusa. Ha senso che lui, dopo la loro ultima conversazione e le cose che sono successe nelle scorse settimane, le voglia dare la sua privacy e il suo spazio, anche ora che l’ha in casa propria. 

Si fa una lunga doccia, lasciando che l’acqua calda le scorra lungo la pelle. Dà in un altro starnuto mentre si infila l’accappatoio e poi chiama Tiberio perché l’aiuti a uscire dalla vasca. Entrarci è stato facile, ma non essendo abituata a questo tipo di idraulica preferisce farsi aiutare anziché rischiare di rompersi qualcosa o, peggio, perdere il bambino ora che è quasi arrivata alla fine.

Tiberio spunta nel bagno con espressione stralunata, domandando con imbarazzo e fastidio: «Che c’è?»

«Aiutami, cretino», gli intima lei, porgendogli le mani. Lui arrossisce, ma immediatamente si prodiga a farlo, prendendole prima le mani saldamente, poi passandole un braccio attorno alla schiena e sotto le ascelle. 

Una volta che Giulia è al sicuro, con i piedi ben piantati sul morbido tappetino davanti alla vasca, Tiberio la lascia senza pensarci due volte, rimanendo però per un attimo a fissarla incredulo che lei sia qui. Giulia approfitta del suo sbigottimento per metterlo ancor più in difficoltà e si toglie l’accappatoio, rimanendo completamente nuda davanti allo sguardo attonito di Tiberio.

Mette le mani sui fianchi e lo guarda con aria di sfida, chiedendosi intimamente se gli piace ancora, anche così, in un corpo che lei per prima fatica a riconoscere. Gli occhi di lui vagano su di lei impunemente, ogni tipo di imbarazzo che scivola via pian piano, sostituito da una chiara espressione di desiderio. Giulia lo osserva mentre sposta lo sguardo dalla pancia enorme alla curva dei fianchi più grandi, finalmente esistenti , scendendo poi giù, verso le cosce e il segreto nascosto tra loro. Lo sguardo di lui continua a scendere e, confusa, Giulia si sporge, chiedendosi se ci sia qualcosa che non vada nelle proprie gambe: purtroppo il ventre rigonfio non le permette di appurarlo.

«Mi piacciono le tue caviglie», lo sente mormorare ed alza gli occhi su di lui, sobbalzando appena nel trovarlo molto più vicino di prima.

«È una cosa strana», commenta lei, trattenendo quasi il fiato mentre Tiberio allunga una mano verso di lei, prendendole tra le dita una ciocca di capelli bagnati. Giulia pensa alle proprie caviglie e arrossisce di vergogna pensando a quanto siano gonfie ora per via della gravidanza, completamente private della loro tipica leggiadria. 

Tiberio intanto ha lasciato i capelli e le sta accarezzando la spalla, tracciando con le dita il profilo della clavicola, facendole poi scivolare lungo il braccio, lasciandosi dietro una visibile e imbarazzante pelle d'oca. L’attenzione di lui si sposta sul seno ingrossato di Giulia e lei gli vede un pensiero sporco negli occhi che la fa ghignare. Desiderosa di approfondire , si tende verso di lui per baciarlo, ma il gesto riscuote Tiberio e prima che lei possa posare le labbra sulle sue si ritrae, fuggendo di nuovo via dal bagno senza dire nulla.

Giulia sbuffa e poi starnutisce di nuovo. Recupera l’accappatoio e finisce di asciugarsi, con calma e delicatezza, timorosa di scivolare nel piccolo bagno umido e pieno di vapore. Fa per vestirsi quando nota che la biancheria intima è da donna: sicuramente vecchia roba di Vipsania. Il pensiero di indossarla la eccita e disgusta ad un tempo, soprattutto dopo la promessa di provare ad esserle amica. Decide di non indossare mutande, quindi, mettendosi addosso quel vecchio pigiama di Tiberio che riconosce come uno dei propri preferiti quando ancora vivevano insieme sotto il tetto di papà e Livia. È sicuramente una coincidenza che lui le abbia dato proprio questo pigiama, che lo conservi ancora, anche se Giulia ricorda chiaramente di avergli detto quanto gli stesse bene. È blu, con rilievi celesti sulle maniche e i bordi del pantalone. Giulia sorride tra sé e sé mentre abbottona la camicia, ricordando infinite domeniche mattina a mangiare cereali sul divano, liberi dalla presenza dei genitori e le loro regole, solo loro tre a guardare cartoni animati anziché andare a messa. Lo avevano sempre fatto, anche quando Giulia e Druso si ritiravano ad orari improponibili. Prende il colletto della camicia e lo avvicina al naso, inspirando con forza. Ha lo stesso odore di quelle domeniche, di casa, d’infanzia. Di Tiberio.

Avvolge i capelli in un asciugamano pulito e finalmente esce dal bagno, entrando direttamente nel piccolo open space. Un cucinino sulla sinistra, con una piccola isola, e sulla destra un salottino arrangiato, con divano, tavolo da caffè, un mobiletto per il televisore e almeno tre librerie piene di libri addossate alle pareti. Accanto al mobiletto del televisore, vicino alla porta d’ingresso, se ne sta un attaccapanni che alla luce tenue delle candele sembra una persona e la inquieta non poco.

Tiberio è in piedi, metà dentro l’appartamento, metà fuori, su un piccolo balconcino che deve dare sulla strada. Giulia ricorda vagamente la vera prima volta che è venuta a cercarlo qui, quando aveva sniffato cocaina. Lei era in strada, arrampicata sul tettuccio dell’auto di lui che si era affacciato dal balcone. Ora ci sta fumando, con il palese intento di calmare i nervi.

Giulia dà in un colpetto di tosse per segnalare la sua presenza e lui si volta a guardarla, sbuffando il fumo verso l’esterno da un angolo della bocca.

«Accomodati», le dice tranquillo, spegnendo la sigaretta strofinandola sulla ringhiera del balcone.

Giulia si siede sul divano composta, sentendo ora una certa agitazione al pensiero che dovrà spiegare perché è qui. Mette le mani sulle ginocchia mentre lo aspetta, evitando di guardarlo. Gli occhi le cadono sulla copia di Vanity Fair che giace dimenticata sul tavolino. Sorride beffarda a riconoscersi sulla copertina e lo afferra.

«E così», dice a Tiberio mentre lui le si siede accanto. «L’hai letta.»

«Sì», conferma lui guardandola curioso, giocherellando con le proprie dita. Le mani di Tiberio non stanno mai ferme, è come se fosse iperattivo solo in quella parte del corpo.

«Che ne pensi?» inquisisce.

«È una bella intervista», le assicura lui, intrecciando le dita sul ginocchio destro. «Mi dispiace che tu abbia dovuto passare tutto quello che hai raccontato.»

Giulia fa una smorfia non convinta, ma annuisce. Vorrebbe chiedergli cosa ne ha pensato della parte su di lui, ma Tiberio apre bocca e le domanda: «Perché sei qui, Giulia?»

«Mi stavo chiedendo cosa tu stessi facendo», risponde sincera, cercando di non pensare a quanto spesso lui dica il suo nome. Non è assolutamente - a tarda sera e incinta di otto mesi - una motivazione valida per uscire dal letto e venire da lui.

«Mh», mormora Tiberio e per un momento terrificante le ricorda Livia. «Ha senso», aggiunge pensieroso.

«No», replica Giulia, posando un gomito sulla spalliera del divanetto e la testa sulla mano. «Non ne ha affatto.»

Piega le gambe sotto il corpo, mettendosi più comoda, osservandolo mentre pare combattere qualcosa dentro di sé. 

«Giulia, io…» si decide a dire, dopo un paio di secondi, di nuovo dicendo il suo nome senza che ce ne sia ragione. 

Lo pronuncia come una preghiera.

«Parliamo», gli propone, interrompendolo.

«Di cosa?» domanda naturalmente lui.

«Di tutto.»

E lo fanno. Parlano, parlano davvero, di tutto. Giulia non aveva accesso alla mente di Tiberio in questo modo da anni, da quando erano bambini. 

Lui parla di suo padre, di entrambi i loro padri, e di quanto anche lui sia spaventato da questo cambiamento enorme, da questa responsabilità. Giulia si apre come forse non si è mai aperta con nessuno prima, nemmeno con Marco. 

Litigano ad un certo punto, per via proprio di Marco, perché Tiberio non riesce a perdonarlo e Giulia a dimenticarlo. 

Poi si baciano nel bel mezzo del litigio, insicurezze e paure che si perdono tra le loro labbra. Limonano come adolescenti per un po', ridacchiando, Tiberio che le tiene il viso tra le mani e posa la fronte sulla sua. Infine le propone una tisana e lei accetta. 

Quando riprendono a parlare la conversazione verte sulla loro infanzia, sui ricordi, sui piani per il futuro, su cose semplici e quotidiane, su cazzate. Tiberio la prende in giro quando, parlando di Sanremo, Giulia si ingelosisce a sentirlo dire che Emma è una bella donna. La bacia sulle labbra di nuovo e Giulia non riesce a rimanere contrariata, un sorriso le nasce spontaneo sul viso.

«C’è una cosa più importante di cui dovremo parlare», gli dice leccandosi inconsciamente le labbra.

«Cos’altro c’è?» domanda Tiberio ancora ridendo tutto rosso, lusingato dalla sua gelosia, massaggiandosi la nuca con finta disinvoltura e un po' di stanchezza. 

Giulia alza gli occhi al cielo.

«Il nome del bambino», dice con un risolino nervoso. 

Tiberio si fa improvvisamente serio, raddrizzandosi appena. Le lancia un’occhiata di sbieco, per poi lasciarsi cadere sul divano. Giulia aspetta che sia pronto a parlare e si guarda attorno. Le candele sono quasi a metà: avranno parlato per ore. La corrente non accenna a tornare.

«Io un nome lo avrei», lo sente sussurrare.

«Bene», commenta quindi con un sorriso dolce, scivolando senza rendersene conto verso di lui.

Tiberio le lancia un’altra occhiata di sottecchi, titubante, per poi mormorare: «Mi piacerebbe chiamarlo come mio nonno.»

Giulia aggrotta le sopracciglia. Sa che si riferisce al padre di Livia, perché con l'altro nonno - che si chiamava anche lui, se non ricorda male, Tiberio - non ha mai avuto un bel rapporto. Anche lei ricorda con affetto il padre di Livia, unica figura assimilabile ad un nonno per lei, visto che i padri dei suoi genitori sono entrambi venuti a mancare prima che lei nascesse. Ma il problema è che…

«Vuoi chiamarlo Druso?» domanda confusa e lievemente indignata.

«No», risponde Tiberio, alzando lui gli occhi al cielo a questo giro. «Mio nonno non si chiamava davvero così. Druso era il suo nome da partigiano. Il nome di battesimo era un altro.»

«Quale?»

Un momento di silenzio, un altro sguardo titubante e sbieco.

«Marco.»

« Oh

Giulia tamburella le dita sul ginocchio, le labbra arricciate in una smorfia pensierosa. 

«A me piace Andrea», butta lì a caso, a mò di battuta. Tiberio ridacchia nervoso, ma non aggiunge altro.

Giulia ci pensa. Le piacerebbe in realtà. È convinta, dentro di sé, che sia stato Marco a mandarle il bambino e sarebbe bello onorarlo così. Ma…

«Sei sicuro?» gli domanda quindi, strizzando gli occhi in un’espressione insicura. «Voglio dire, qualcuno potrebbe trovarlo strano …»

«A Vipsania l’ho chiesto già», ammette Tiberio controvoglia e a disagio. Sapere che lei e Giulia hanno parlato lo ha sorpreso e imbarazzato. «Cioè, le ho parlato. Lei ha capito. E a mia mamma farebbe piacere… penso che anche a papà non darebbe fastidio…»

Giulia lo guarda con tenerezza, le sopracciglia che si rilassano in un’espressione dolce che non le è tipica. Tiberio deve tenerci davvero tanto se nel parlarne chiama Livia e Gaio mamma e papà . È qualcosa che fa soltanto quando è particolarmente vulnerabile. 

«Lo sai che per me non avrebbe lo stesso significato, vero?» gli chiede quindi, rannichiandosi e tentando senza successo di stringere le ginocchia al petto. Vi posa il mento con enorme fatica.

Tiberio si volta finalmente a guardarla, con gli occhi velati di lacrime ma stranamente limpidi, tranquilli. Piano annuisce, per poi abbassare lo sguardo, cercando forse di contenere la rabbia e il fastidio. Si stringe i pugni sulle ginocchia e Giulia sente come se lo stesse facendo attorno al suo cuore. Rabbia e tristezza si mischiano dentro di lei, mentre pensa che vorrebbe prendersi tutto il suo dolore e al tempo stesso urlargli addosso il proprio. 

Ma capisce anche che devono andare avanti. Non possono rimanere ancorati al passato, agli errori che hanno commesso, a quanto ostinatamente hanno tentato di remare lontano l’uno dall’altra. La corrente li ha sempre riportati qui ,  nella stessa orbita, come la gravità lega la terra al sole o alla luna. 

Non possono vivere l’una senza l’altro. 

In segno di conforto e di comprensione, o almeno, di un tentativo di comprensione, si sporge verso di lui e gli dà un bacio sulla guancia.

«Ok, allora», gli sussurra per poi sfregare il naso tra la sua lieve barba. 

«Sei sicura?» quasi pigola Tiberio. 

«Sì. Se è ciò che vuoi, sì», gli assicura, poi confessa: «Tutto ciò che vuoi, lo voglio anch'io.»

È vero. È orribilmente, tristemente, euforicamente vero. 

Lui fa un leggero sorriso, poi si tende a baciarla sulle labbra. Lei ricambia socchiudendo gli occhi, approfondendondo piano, con dolcezza, quasi a chiedere il permesso che Tiberio le concede con entusiasmo. Per metterle le mani tra i capelli le quasi strappa dalla testa l’asciugamano e lei ride della sua foga, per poi sussurrargli sulle labbra: «Pensi che possiamo fare l’amore?»

A dire il vero, Giulia per prima pensa che non dovrebbero. Non ha detto nulla, ma le fitte improvvise di dolore sono aumentate nel corso della sera diventata notte. Arrivano più spesso e lei teme che non siano delle fitte di dolore e scomodità qualsiasi . Ma vuole troppo tornare ad essere una cosa sola con lui adesso che sanno. Che sanno che si amano, che si sono sempre amati, anche se lei non lo ha ancora detto direttamente.

Tiberio annuisce piano, sorridendo quel suo sorriso strano, accarezzandole la guancia completamente ignaro.

«Ciò che tu vuoi…» le sussurra, prendendo a baciarle il viso con deferenza. «Io voglio.»

Giulia arrossisce violentemente, il fiato che le rimane bloccato in gola mentre lui le bacia le tempie, il mento, il naso, le guance, gli zigomi.

Quando finalmente cattura le labbra di lei con le proprie, Giulia gliele morde con forza, desiderosa di imprimersi su di lui come meglio può, in un qualche modo che sia simile a come lui si è impresso in lei, tramite loro figlio.

Continua a morderlo, succhiandogli la pelle, mentre Tiberio le sussurra all’orecchio quanto sia ancora più bella e sexy incinta. 

«Sapere che c’è mio figlio dentro di te », le soffia sul collo, dopo averle sfilato i pantaloni, mentre le sue dita leggere e inarrestabili le accarezzando le gambe, le cosce, sempre più su… «Mi rende così…» 

Si ferma d’improvviso, i polpastrelli freddi che le sfregano l’interno coscia in modo titubante, quasi curioso.

«Sei bagnata», le dice con tono confuso.

«Maddai?» risponde maliziosa.

«No, Giulia. Non nel modo giusto …»

Lei si tira indietro guardandolo con le sopracciglia aggrottate, mentre lui tasta il divano e si tende a recuperare il pigiama. Giulia incrocia le braccia al petto, realizzando solo ora che lui non ha nemmeno notato che non ha le mutande. Realizzando che ha ragione. C’è qualcosa di strano. Mette da parte l’offesa e allarga piano le gambe, osservandosi le cosce umide fin quasi al ginocchio, la chiazza bagnata sul divano. Per un attimo, incapace di capire cosa sta succedendo, arrossisce imbarazzata. Poi Tiberio le mostra il pantalone del pigiama, chiaramente bagnato. 

«Non…» comincia ad intimargli lei, indignandosi al pensiero che lui ne stia facendo un caso di stato, gongolando così.

«So che mi vuoi e che so il fatto mio, ma non così tanto», chiarisce subito lui, bianco come un cencio. «Io credo che… credo…»

«No», rifiuta lei. «Me ne sarei accorta.»

«Sei sicura?» domanda Tiberio delicatamente, timoroso di offenderla. «Come ti senti oggi?»

Davanti al pantalone della tuta e il divano bagnati, Giulia si vede costretta ad unire i puntini. Soprattutto perché in quel momento la colpisce un’altra fitta, che la prende alla schiena e si estende fino a…

Non riesce a nasconderla per quanto è forte e quasi si accascia in avanti, prendendosi il ventre e dando in un grugnito di dolore. Comincia a respirare velocemente, quasi ansimando, mentre piano il male si attenua.

«Ok», accorda quindi guardando l’espressione terrorizzata di Tiberio. «Credo tu abbia ragione. Mi si sono rotte le acque.» 

 

Il viaggio verso l’ospedale comincia nel peggiore dei modi. Dopo averla aiutata a lavarsi e ad indossare qualcosa di pulito, Tiberio la conduce nel buio giù per le scale del proprio condominio e poi fuori, nella pioggia battente che non si è arrestata nemmeno per un istante. 

Sono quasi le due del mattino del 20 maggio. E una volta in auto, nel fare retromarcia per uscire dal parcheggio, Tiberio tampona la Seac dietro di lui.

Giulia si volta a guardarlo innervosita e spaventata.

«Stai bene?» gli chiede.

«Sì!» risponde lui secco, girando il manubrio con tanta forza da quasi staccarlo via.

«Respira», consiglia, mostrandogli come le hanno insegnato a farlo al corso pre-parto.

«Sto bene», ripete lui uscendo dal parcheggio.

«Non lasci i tuoi dati per fare il Cid?» domanda prendendolo in giro.

Tiberio sbuffa dal naso, in un gesto di irritazione e divertimento, poi le dice: «Chiama tua mamma.»

Giulia mette su un broncio, sporgendo il labbro inferiore.

«È arrabbiata con me», si lamenta. «Non la voglio chiamare.»

Tiberio sbuffa di nuovo dal naso, ora solo innervosito, e poi dice: «Siri, chiama Scribonia Libone.»

Giulia quasi sobbalza a sentire la madre rispondere dopo solo un paio di squilli. Tiberio le lancia uno sguardo eloquente e, dopo un sospiro, è lei stessa a salutare mamma e darle la notizia. Qualsiasi rancore abbia potuto nutrire verso di lei pare dimenticato: mamma è estatica e dice loro con grande entusiasmo che ci penserà lei ad avvisare tutti e che si vedranno presto in ospedale.

«Ti prego», dice a Tiberio quando chiudono la chiamata. «Non farla entrare in sala parto.»

«Perché?» domanda lui, sempre più pallido. «Non vuoi…»

«No», dice sicura. Preferirei Livia. «Preferisco te.»

Tiberio si limita a deglutire e frenare piano al semaforo rosso che hanno appena raggiunto.

 

Per quando Giulia viene sistemata in una stanza come si deve, le contrazioni - deve ormai chiamarle con il loro nome - sono piuttosto ravvicinate e insopportabili. Il medico che la visita le dice con un sorriso che tutto sembra andare nel modo giusto e che è dilatata di già cinque centimetri. Lei la prega con le lacrime agli occhi di farle l’epidurale, dopo il quale tutto diventa davvero semplice. 

«È la miglior droga che esista», dice a Tiberio, esausta e sull’orlo del sonno.

Lui le sorride e le bacia la mano che le sta stringendo.

«E tu te ne intendi», la prende in giro e lei ridacchia per poi addormentarsi con un sospiro.

Quando si sveglia è sola nella camera. Le fa male la schiena e non c’è parte del proprio corpo che non le dia fastidio. 

Sta per chiamare l’infermiera quando la mamma irrompe nella stanza, tutta contenta. Giulia cerca di trattenere un gemito di esasperazione.

«Dov’è Tiberio?» le chiede dopo i soliti convenevoli, offesa di non averlo trovato al proprio capezzale dove lo aveva lasciato.

«Sta dormendo su una panca qui fuori», trilla mamma. «O almeno credo stia dormendo.»

Non lo sta facendo di sicuro , pensa sospirando. Se lo conosce bene, probabilmente sta fingendo per non dover parlare con mamma. Giulia vorrebbe poter fare la stessa cosa, ma ora che è sveglia le contrazioni le danno fastidio sebbene non siano dolorose come prima. Mamma ciarla senza accennare a zittirsi, con l’intento di distrarla, dice, ma riuscendo solo a causarle un gran mal di testa. 

Finalmente, dopo non sa quanto tempo, nella stanza entrano Antigone e Tonia, la prima in camice bianco da medico e la seconda con la divisa da infermiera.

«Buone notizie», le dice Antigone allegra. «Mi è stato accordato il permesso di presiedere al parto.»

Giulia sospira di sollievo e si volta a guardare la cugina, che sorride gongolando appena.

«Anche a me!» la rassicura. «Sarò la prima della famiglia a tenerlo in braccio.»

Antigone ridacchia e la cosa un po' innervosisce Giulia. La situazione è spaventosa, perché sono tutte così felici?

Poi la visita, dicendole che a breve la sposteranno in sala parto. Lei guarda allarmata mamma e le dice: «Voglio Tiberio.»

La donna aggrotta le sopracciglia, poi dà in un piccolo sorriso consapevole.

«Ma certo», commenta scambiando occhiate complici con Antigone e Tonia.

«Oh, ma fatela finita», bofonchia Giulia, prima di essere interrotta da un’altra contrazione. 

 

In sala parto la situazione è pressoché identica. Contrazioni sempre più vicine, meno dolorose rispetto a prima dell’anestesia, ma presenti.

Tiberio, con cuffia, mascherina e casacca verde, le tiene la mano, Antigone e un'ostetrica di cui non ha capito il nome la assistono e la visitano. Sono presenti anche un paio di infermiere. 

Il tempo passa e le contrazioni aumentano di intensità. Giulia non capisce davvero nulla, se non che fa sempre più male e che più fa male, più stringe la mano di Tiberio e lo insulta, facendolo gemere e ridacchiare d’imbarazzo.

Non sa quanto tempo sia passato quando l'ostetrica le dice che a breve dovrà iniziare a spingere.

«Sentirai lo stimolo forse alla prossima», le dice con tono gentile. Una parte di Giulia pensa vagamente che è fortunata, perché non tutte le madri incontrano un personale così accorto, nonostante la scelta dell’ospedale sia raramente casuale. Lei ha scelto all’ultimo di partorire nello stesso ospedale di Nina, dopo aver pensato per settimane di farlo nella clinica in cui è nata lei. Ma è qui, in fondo, che lei e Tiberio hanno vissuto dei momenti importanti. È qui che lui, Druso, Nico e Olivia sono nati. Questo bambino sarà un de’ Claudii tanto quanto un’Ottaviani. 

Un’altra parte di lei, invece, sta urlando e crepando dalla paura.

Scuote la testa alle parole dell’ostetrica e si volta a guardare prima l’espressione compassionevole di Tonia, poi quella allarmata di Tiberio.

«Giulia», le dice soltanto, in qualche modo già consapevole di ciò che lei dirà.

«Non lo voglio più fare.»

«Lo puoi fare», risponde lui. «Sei la donna più forte che conosca.»

«No, Tibi», piange lei, seria. «Io non lo voglio fare.»

Ma non sta a lei decidere e proprio quando le parole abbandonano le sue labbra sente l’istinto di spingere.

Il dolore è indescrivibile, accecante. Giulia grida, stringe i denti, piange. Quando è finito, si accascia sul letto ansimando.

«Ok, respira», le dice Antigone, facendolo con lei e porgendole l’altra mano. Senza pensarci due volte Giulia l'afferra, mentre comincia a respirare piano come le hanno insegnato al corso, per la prima volta per un motivo valido. Trema e piange, ma respira e cerca di annuire, di trovare dentro di sé il coraggio.

Si volta verso Tiberio, che pare sul punto di svenire, e gli dice, mortalmente seria: «Ti amo. In questo momento sto odiando farlo, ma ti amo.»

Lui si rianima appena e annuisce, dicendo: «Ti amo anch'io. Sei straordinaria. Credo davvero che non ci sia cosa che tu non possa fare.»

Sente di dover spingere ancora e il dolore è anche peggiore. Come è possibile che sia sempre peggio? 

L'ostetrica la incita e così Antigone. Tiberio ricambia la stretta della sua mano e lei si aggrappa alle sue parole, provando a crederci.

Vanno avanti così per un altro paio di volte. Si sente stanca, frustrata, sul punto di morire. Tutti attorno le dicono che sta andando benissimo, che è brava.

«È quasi finito», cerca di tranquillizzarla l’ostetrica. «Te lo prometto, tesoro. Un altro piccolo sforzo e sarà tutto finito.»

Piccolo?! grida una voce nella sua testa. Piccolo sforzo dici, stronza?

In condizioni normali lo direbbe anche, ma è talmente distrutta che non riesce a parlare. Di nuovo si volta a guardare Tiberio in cerca di conforto e lui annuisce con decisione, i suoi occhi blu - che Giulia spera vivamente questo demonio che sta dando alla luce erediti - determinati. Non parla, ma lei sa cosa sta pensando: hai tutto sotto controllo. Puoi farcela. Non sei sola. Per una volta riescono davvero a leggersi nel pensiero. 

L’ostetrica ha ragione: la spinta che quasi le ferma il respiro da quanto è dolorosa sembra davvero un piccolo sforzo quando sente esplodere nella stanza il pianto del bambino. 

Dà in un paio di ansiti increduli e poi scoppia a piangere e ridere insieme, mentre attorno a lei regna la confusione più totale. Non capisce niente, è tutto un turbinio di colori e luci e suoni. Sente qualcuno dire l’ora (le 14:50) e la voce rotta dall’emozione di Tiberio comunicare ad un infermiera il nome del bambino. Poi si ritrova Tonia accanto che le porge un fagotto di coperte urlante. Lo prende tra le braccia senza pensarci, facendosi governare dal puro istinto. Se lo posa sul petto piangendo lacrime copiose, nessun pensiero, solo uno statico senso di folle felicità.

Poi pian piano tutto torna a farsi chiaro e vede suo figlio per la prima volta. Lui ricambia lo sguardo, osservandola dal basso verso l’alto. È rugoso, bruttino, con un buffo ciuffo di capelli biondi. Le somiglia più di quanto somigli a Tiberio, ma quello sguardo… in qualche modo è lo stesso. Giulia si specchia nei grandi occhi scuri del suo piccolino, dell’essere con cui ha condiviso il proprio corpo per otto mesi, e capisce per la prima volta l’amore. Non lo aveva mai davvero capito fino ad adesso. 

Sente ciò che provò ad undici anni, in un giorno di tarda primavera come questo, ma moltiplicato per mille, duemila, all'infinito. Non ha mai pensato potesse provare qualcosa di più forte, le è sempre sembrato che…

Istintivamente, alza lo sguardo alla ricerca dell’unica altra persona le abbia mai fatto provare vagamente qualcosa di altrettanto intenso. 

Tiberio è accanto a loro, gli occhi scintillanti di lacrime e di una fierezza che non gli ha mai visto. 

«Ciao», dice ad entrambi, padre e figlio.

«Ciao», replica Tiberio, sporgendosi a baciarle la fronte. «Sei stata brava.»

«Non sembri sorpreso», mormora con un sorriso.

«Non ho mai dubitato lo saresti stata», dice lui con sicurezza ed orgoglio. 

Giulia sorride, mentre il piccolo Marco si muove appena su di lei, posandole addosso la guancia paffuta.

Ha fatto tanti sbagli nella vita, ma Tiberio non è mai stato uno di questi. 

 

Sedici settimane dopo 

Giulia sbuffa, chinandosi a raccogliere dal marciapiede il giochino che il proprio vivace bebè si è fatto cadere di mano.

Tiberio la guarda con le sopracciglia arcuate, mentre spinge il passeggino.

«Siamo a quota…?» domanda mentre Giulia mette appositamente il giochino in una bustina di plastica, con l’intento di sterilizzarlo una volta a casa.

«Tre», sospira buttando la busta assieme alle altre due nel portaoggetti sotto il passeggino. «Ha finito i giochi da lanciare a terra.»

Lancia uno sguardo severo a Marco, che per tutta risposta le sorride e muove contento braccia e gambe.

Tiberio si china sul bimbo scuotendo la testa e dicendo con voce cantilenante: «No, no, no, nessuno ti prenderà in braccio.»

Marco dà in un versetto allegro che pare di scherno e si tende verso il padre, cercando di afferrargli i ricci arruffati.Giulia sorride alla scena, felice. 

È ancora tutto molto strano. Lei che fa la mamma, Tiberio che fa il papà. Ma sono insieme, nel fare i genitori, e lei deve ammettere che non è mai stata così tanto felice in vita propria come in questi ultimi quattro mesi. L’estate è stata dura, calda, spaventosa e insonne, ma Tiberio le è stato accanto senza vacillare nemmeno per un istante. Si è trasferito da lei praticamente che Marco aveva una settimana e da allora non è più andato via. L’appartamento una volta alla moda di Giulia si è trasformato per metà in biblioteca e per l’altra in asilo nido. Tiberio ha finito il trasloco nemmeno un mese fa, quando lei si è finalmente decisa a chiedergli di restare. Per sempre.

In famiglia la notizia è stata accolta bene, con molte prese in giro. Ovviamente è sempre stato chiaro a tutti che questa sarebbe stata la conclusione della tensione tra loro. A tutti, tranne che a Giulia, che non ne è mai stata troppo sicura.

Il lavoro va bene, anche, sebbene non abbia il permesso di Tiberio di mostrare Marco tanto quanto le verrebbe spontaneo fare e non abbia ancora accettato un lavoro fuori Roma o che le rendi difficile portarsi dietro il bambino. Il solo pensiero di separarsene fa brutti scherzi al suo cervello, cosa su cui lei e la psicologa - ha finalmente deciso di iniziare ad andare in terapia - stanno cercando di lavorare. 

Il resto dei rapporti umani va alla grande, in particolare quello con papà che sembra non abbia altra ambizione ora che fare il nonno. Probabilmente era così anche prima, con i figli di Druso, ma Giulia all’epoca cercava in tutti i modi di non farci caso. È sulla buona strada per diventare seriamente amica di Vipsania e se sente il bisogno di sfogarsi su qualche paturnia da madre chiama Livia che è sempre, o quasi, disponibile ad ascoltarla.

Ma più di tutti, è il rapporto con Tiberio che la rende estatica anche quando è stressata, frustrata e sull'orlo delle lacrime. Forse è la fase della luna di miele, ma nonostante il marmocchio tra i piedi, nonostante i litigi (che fortunatamente non mancano), il solo pensiero di potersi accoccolare sul suo fianco - le poche ore che Marco fa loro dormire -  riesce a scaldarle il cuore di  una gioia selvaggia e gongolante.

Con un sorriso contemplativo, mette il braccio sotto quello di lui, che spinge il passeggino verso il parco. È una bella giornata di metà settembre, ancora abbastanza calda da permetterle di indossare uno dei lunghi e larghi vestiti a bretelline che ha imparato ad amare in gravidanza. Tiberio indossa la camicia verde che aveva al baby shower e Giulia si morde le labbra, accarezzandogli l’avambraccio con fare pensieroso. Hanno ripreso a fare l’amore da meno di due settimane e Giulia avrebbe preferito rimanere in casa con l’aria condizionata e la possibilità di saltargli addosso durante il riposino pomeridiano di Marco, ma il suo fastidioso rompipalle di un  ragazzo - Giulia sa che, vista la situazione, dovrebbe chiamarlo compagno o al limite fidanzato , ma dopo aver passato tutta l’adolescenza a desiderare segretamente di diventare la ragazza di Tiberio non riesce a chiamarlo in altro modo - ha insistito per questa passeggiata improvvisata, dicendo che, vista la temperatura clemente, un po' di aria aperta avrebbe fatto bene a Lillo , come lui chiama il bambino. Giulia trova la cosa fastidiosa e divertente ad un tempo: dopo aver chiesto di chiamarlo Marco come l'amato nonno e l’ex di lei, Tiberio ha preso a chiamare il figlio Lillo appena usciti dall’ospedale. È la cosa più bizzarra e meno caratteristica che lei gli abbia mai visto fare e ciò che la urta di più è che a volte anche lei lo chiama così, quasi senza volerlo. 

Marco continua a muovere le gambe e le mani verso di loro e Giulia lo guarda con un sospiro afflitto. Lo vorrebbe davvero tanto prendere in braccio.

«No», le intima Tiberio. «Non ci pensare.»

«Ma è così carino », si lamenta lei e il bambino dà in un altro versetto contento e adorabile, come se sapesse di averla nel proprio minuscolo pugno.

«Lo viziamo troppo», commenta Tiberio scrollando le spalle, ma sforzandosi con tutto se stesso di non guardare verso il piccolo. 

«Questo lo dice tua madre», borbotta Giulia, sebbene sia consapevole che è vero. Lo hanno sempre tenuto in braccio e per questo motivo è praticamente un miracolo che Marco non abbia cominciato a strillare appena messo nel passeggino. L'ovetto hanno smesso di usarlo: è talmente grassoccio e lungo che non ci entra più, nonostante sia nato prematuro e sottopeso. Giulia è stata così in ansia in quei primi giorni che ogni rotolo di ciccia di Lillo è per lei fonte di enorme gioia. Non è mai stata tanto sollevata di vedere del grasso in vita sua. 

Tiberio la ignora, in un impeto di diplomazia, e continua a condurli verso il parco. Si addentrano in un bel quartiere, pieno di graziose e curatissime villette.

«Mi piace qui», dice allegra guardandosi attorno. «Ci venivamo spesso da piccoli, ricordi? Giocavamo a indovinare chi abitava in queste belle case.» Giulia e Druso rimanevano sempre delusi quando Tiberio rivelava loro quale di quelle ville così belle fosse in realtà un’ambasciata. Lo trovavano uno spreco. «Tuo nonno abitava qua vicino, vero?»

Tiberio annuisce, con un sorrisino enigmatico che la confonde. «Possiamo passare vicino casa sua, se vuoi», le dice con tono serafico, quasi seduttivo. 

Il cuore di Giulia ha un tremito di nostalgia e desiderio. Nostalgia per quella grande casa in cui ha passato tanti pomeriggi e domeniche della propria infanzia. Desiderio per Tiberio, maledetto imbecille.

«Sì, dai», gli dice tra l’entusiasmo e la frustrazione. «Non la vedo da anni.» 

Per quando arrivano di fronte casa di nonno Druso, il suo omonimo, il piccolo Marco de' Claudii Ottaviani, è profondamente addormentato nel passeggino. Giulia osserva la facciata giallognola, decorata con fregi in pieno gusto otto-novecentesco, della villa e sbircia tra le sbarre del cancello, seguendo una sé bambina tra gli alberi e le aiuole e il pavimento pietroso del cortile d’ingresso. Nota con sollievo che la casa è ben tenuta, curata come se fosse abitata. Ricorda una calda giornata di tarda primavera e dice sovrappensiero: «Sarebbe bello poterci rientrare.»

Tiberio le fa un sorriso ancor più grande e si infila le mani in tasca, tirando fuori un mazzo di chiavi.

«Caso vuole…», le dice ironico e Giulia quasi strilla e salta su e giù dall’eccitazione.

«Non ci credo», dice invece esterrefatta, perché Tiberio è fin troppo soddisfatto di sé per i propri gusti.

«Credici», esclama infatti tutto contento, facendole l’occhiolino, mentre procede ad aprire il cancello con le chiavi. 

Entrano nel cortile, Giulia che fa piccoli passi e si guarda attorno come se avesse paura di svegliare qualche essere fantastico che vive in quel giardino per lei incantato. Quante volte ci hanno giocato a nascondino tutti insieme? Quante volte lei e Tonia si sono accovacciate dietro la vecchia 500 del nonno, ridacchiando convinte di aver battuto i ragazzi? Druso, Tiberio e Iullo si arrampicavano sull’albero sotto cui il nonno parcheggiava la macchina d’estate e lanciavano su di loro noccioli d’uva, di nespole, di ciliegie, spesso sputandoli direttamente, causando alle ragazze strepiti disgustati e finti conati di vomito. Si fermano entrambi ad osservare il bizzarro posto d’auto del nonno, ormai vuoto. 

«Nonno ti insegnò ad arrampicarti su quell’albero», le dice Tiberio con tono nostalgico. «Ti ricordi?»

«Mia mamma si arrabbiò così tanto», annuisce Giulia ridacchiando. «Ma io ero contenta perché non avevate più scuse per lasciarmi giù a beccarmi semi d’uva sputacchiati sui capelli.»

Tiberio ride al ricordo, scuotendo la testa. Giulia sorride a vederlo tanto spensierato e contento. Le pare anche che abbia meno occhiaie e la pelle più abbronzata. Fa una piroetta, lanciandongli un’occhiata maliziosa. 

«Entriamo?» domanda. Lui annuisce, con quel suo sorriso a bocca chiusa che riserva solo alle persone che ama davvero. Insieme sollevano il passeggino e salgono gli scalini che portano alla porta d’ingresso. Quando entrano, Giulia dà in un singulto di sorpresa e meraviglia. La casa, con il suo enorme ingresso e la grande scalinata, non è cambiata per nulla. E sembra abitata, come se il nonno potesse spuntare da un momento all’altro dalla  cucina e venire loro incontro sorridente. 

«Credevo l’aveste venduta», commenta guardandosi attorno incredula, camminando sul pavimento a scacchi bianchi e neri con un timore reverenziale degno di una chiesa.

«L’abbiamo quasi fatto. Diverse volte», dice Tiberio pensieroso, cominciando a trafficare con il passeggino, prendendo delicatamente Marco in braccio. Il piccolo si muove appena, le leggere palpebre dalle lunghe ciglia che tremolano, poi si accoccola con la guancia sulla spalla del padre, dando in un sospiro soddisfatto. Giulia lo guarda critica, divisa tra il rimproverarlo per aver quasi svegliato il bambino e il rinfacciargli dell’averlo preso in braccio, ma poi Tiberio chiede: «Andiamo di sopra?», e lei lascia perdere, annuendo e salendo per la grande scalinata, i piedi che quasi si muovono da soli, impazienti di sfamare curiosità e nostalgia. 

Ogni passo che compie è sempre più certa che nulla sia casuale. Tiberio voleva portarla qui, ma il motivo rimane un mistero. 

Arrivano al secondo piano e Giulia quasi corre verso una camera in particolare: quella di Livia. Una volta, da bambina, le è venuta la febbre mentre erano qui a trovare il nonno. Papà e Livia decisero di non riportarla a casa e lei dormì nella stanza dell’adolescenza della matrigna, stretta al petto della donna che le aveva raccontato di una fata buona che viveva in uno degli alberi del giardino. Non ricorda bene la storia, ciò che le è davvero rimasto impresso è un profondo senso di amore e protezione. Da quel momento, la stanza di Livia diventò una delle sue preferite della casa e quella in cui Giulia passava la maggior parte del suo tempo, giocando con la vecchia casa delle bambole della matrigna. 

È quella la prima stanza verso cui si dirige, spalancando la porta con eccitazione. Ciò che vede la confonde e per un attimo pensa di aver sbagliato porta, poi, pian piano, realizza. La stanza di Livia è stata trasformata, i mobili sono spariti, le pareti non sono più ricoperte di carta da parati bianca con fantasia a fiori rosa. Ora, di fronte agli occhi di Giulia, c’è una perfetta replica della cameretta di Marco, con l’unica differenza che le pareti sono azzurrine e non gialle, il mobilio dipinto di bianco e non di legno d’acero. 

«Ma cosa…» mormora sorpresa al limite della confusione. 

«Mi sono preso qualche licenza poetica», le dice Tiberio delicatamente. Giulia si volta a guardarlo: culla Marco con un sorriso nervoso e le guance arrossate.

«Cosa… che dici?» gli domanda arrossendo anche lei, senza fiato dallo stupore. Non lo lascia parlare ed entra nella stanza, esplorandola. Il suo ricordo è andato distrutto, ma non è dispiaciuta mentre osserva Tiberio posare delicatamente Marco nel lettino. All’improvviso, ricorda il presunto regalo che Livia e papà avevano intenzione di fare a lei e Tiberio secondo la mamma. Regalo che Giulia non ha mai ricevuto. 

«Non posso accettare», mormora balbettando, lacrime di commozione che le gonfiano gli occhi. 

«Che cosa?» domanda Tiberio divertito. «Non ho detto nulla.» 

«Ok, allora», concede annuendo e avvicinandosi a lui con gambe tremanti. «Parla prima, così che io possa educatamente rifiutare.» 

Tiberio dà in uno sbuffo divertito e incredulo, lanciandole uno sguardo luminoso che fino a quattro mesi fa Giulia non gli ha quasi mai visto e che diventa ogni giorno più familiare. 

«Vieni», dice tendendole la mano. «Lo sentiremo se piange.»

Giulia gli prende la mano e si fa guidare in un tour della casa. Poche altre cose sono state cambiate: la camera da letto padronale e alcune stanze del secondo piano lasciate vuote. Il piano di sotto è pressoché identico, ad eccezione di un cambio di elettrodomestici, televisione e cose così. Gli infissi sono nuovi e molte tende pesanti, le stesse dietro cui si nascondevano da bambini, sono state fatte fuori. In alcune cose, Giulia riconosce la mano della propria interior designer.

La casa è più luminosa che mai, immersa nel sole pomeridiano di settembre. Tiberio le illustra i cambiamenti, parlando della villa con un orgoglio agitato, nervoso, probabilmente timoroso che Giulia voglia rifiutare qualsiasi proposta lui abbia intenzione di farle, proposta che però ancora non riesce a lasciare le sue labbra sottili. 

Alla fine, risalgono le scale per andare a controllare Marco e a metà Giulia si ferma. Prende Tiberio per il braccio e lo tira, facendogli scendere un paio di gradini in modo traballante. 

«Che fai?» domanda lui tra l’innervosito e il divertito. 

«Scendi un altro scalino», gli intima, prendendolo per le spalle per sistemarlo dritto. Tiberio obbedisce con un saltello e si poggia alla ringhiera delle scale, esattamente come quel giorno. Giulia lo guarda dall’alto in basso, con il cuore tremante. 

«Ok», mormora. «Qualsiasi cosa tu voglia dirmi, devi dirmela ora.»

«Ora?» domanda Tiberio con esterrefatto divertimento.

«Ora», insiste Giulia annuendo. Si inumidisce le labbra, in preda all’agitazione. Tiberio abbassa lo sguardo sul gesto e fa lo stesso, in un riflesso involontario. 

«Mamma ha provato a vendere questa casa molte volte», inizia lui, prendendola alla larga. Giulia questa parte la sa, ricorda la prima volta in cui Livia aveva detto loro che avrebbe venduto la casa. Lei aveva undici anni, Druso dieci, Tiberio quattordici. Il nonno era morto da poco, a malapena due mesi, e Livia aveva già trovato un compratore, impaziente di liberarsi di un ricordo che per lei era più un peso che un conforto in quel momento di dolore. Li aveva portati a dire addio alla casa e quella era stata l’ultima volta che Giulia vi aveva messo piede. Fino ad oggi. 

«Non ci è mai riuscita, lei stessa non saprebbe spiegare perché. Poi, un po’ di anni fa, ha deciso di parlare della questione con me e Druso…» 

Di questo ha un ricordo vago. Non era il migliore dei propri momenti e, come tante volte, si stava impegnando con tutta se stessa a nascondere sotto quel metaforico tappeto qualsiasi tipo di interesse per Tiberio o ciò che lo riguardava, compresa una vecchia casa che fingeva di ricordare a malapena. Per anni, Giulia ha fatto finta che non fosse stato il posto più magico dove avesse mai vissuto

«Ne avevamo, di proprietà, e mamma voleva che le dividessimo. C’era anche la casa di… nostro padre. Io temporeggiavo, perché come mamma non volevo separarmi da questo posto… Sono sempre tornato, anche solo a passeggiarci intorno. Mi faceva sentire nonno vicino anche se non c’era più…» 

Gli occhi di Tiberio sono enormi, velati di lacrime per un lutto mai davvero sparito. Ma quando davvero finisce il lutto? Giulia stessa sente ancora la mancanza di quel vecchio che con lei non aveva nessun legame di sangue, ma che l’aveva sempre trattata con una rara e delicata gentilezza. Sa che soffrirà per la morte di Marco per sempre, il solo pensiero di dimenticarlo che la terrorizza anche adesso che è riuscita ad ammettere a se stessa ciò che prova per Tiberio. 

«Comunque, Druso decise per me. Lui ha preso la casa di nostro padre», la voce gli si spezza alla parola. «Per venderla. E a me ha lasciato questa, perché sapeva quanto ci tenessi e quanto mi imbarazzasse chiederlo direttamente. Quindi è passata a me e…ecco, io… me ne sono preso cura, senza però mai credere che ci avrei vissuto. Perché è una casa troppo grande per viverci da solo e non pensavo che io e Vipsania avremmo mai avuto… insomma, non ho mai pensato che avrei avuto una famiglia mia .» 

Giulia annuisce veementemente, perché capisce . Neanche lei lo ha mai pensato. Non ha mai creduto di avere qualcosa che fosse suo , che le appartenesse davvero. Non poteva avere Tiberio, l’unico che la facesse sentire così, quindi cos’altro poteva appartenerle? Ha deciso di tenere il bambino per questo, perché finalmente le pareva di poter avere qualcosa che appartenesse a lei e solo a lei, un rifugio, una speranza. Un pezzettino di Tiberio che non le sarebbe mai sfuggito. 

«Quindi, il punto è…» sospira lui, molleggiando sui talloni in un gesto nervoso. Le afferra le mani, passandole i pollici sul dorso in una carezza possessiva. «Non ho mai voluto una famiglia con qualcuno che non fossi tu. Non sono mai riuscito ad immaginarmi vivere qui con nessun altro che te.»

Spalanca la bocca, incredula. Tutto questo tempo… tutto questo tempo volato via, sprecato, solo per scoprire, oggi, qui , sullo stesso scalino dove tutto è iniziato, che le loro menti hanno sempre pensato la stessa cosa? Che i loro cuori si sono sempre sentiti allo stesso modo? 

«Sai, qui », dice battendo il piede sullo scalino. «È il punto in cui mi hai rovinato la vita per la prima volta.»

Tiberio aggrotta le sopracciglia, tra il confuso, il ferito e il preoccupato. Ma di che cazzo stai parlando? le chiedono i grandi occhi inumiditi di lui.

«Eravamo bambini. L’ultima volta che siamo stati in questa casa, ricordi? Stavamo litigando per qualcosa, ho dimenticato cosa», spiega sperando ardentemente che lui ricordi . Tiberio batte le palpebre un paio di volte, una grossa lacrima che gli scivola lungo la guancia e atterra a formare una chiazza sulla camicia. Poi, lentamente, annuisce e Giulia socchiude gli occhi, sentendo un brivido lungo tutto il corpo, la testa leggera. 

«Ti avevo sputato in testa dei noccioli di ciliegia dall’albero», mormora lui, rosso in viso di vergogna. «Tu stavi correndo a dirlo a mamma. Ti ho preso per il braccio mentre salivamo le scale. Ci siamo fermati qui?»

Giulia annuisce, anche lei arrossita. 

«Come fai a ricordartelo? A ricordarti lo scalino preciso?» domanda lui, colpito. 

«Pensai follemente che tu stessi per baciarmi. Invece mi hai detto che ero insopportabile, una bambina viziata e che se lo avessi detto a Livia me l’avresti fatta pagare», racconta, ignorando la domanda. «Avrei voluto spingerti, darti un cazzotto, ma non ci sono riuscita, perché l’unica, stupida, matta cosa che riuscivo a pensare, a sentire , era una bruciante delusione. Ero delusa che non mi avessi baciato.»

«Avevi undici anni», mormora Tiberio scosso.

«Lo so», dice Giulia lentamente, imbarazzata. «Mi sono resa conto per la prima volta… per la prima volta… Ho pensato che ero innamorata di te, che tu chiaramente non lo eri di me, che noi non saremmo mai stati possibili.»

Era stato un caldo giorno di giugno del 2007. Tarda primavera. Giulia aveva pianto in macchina, tornando a casa, non perché non avrebbe mai più rivisto il luogo più incantato della terra, ma perché proprio lì le si era rivelato il primo amore . E di tutti i ragazzi possibili, il suo cuore aveva scelto il più irritante, perfido, dispettoso, adorabile, gentile, impossibile. Tiberio .

La bacia, tirandola per le mani che ancora tiene tra le sue. Giulia ricambia, perdendosi tra le sue braccia, con le loro lacrime che si mischiano. 

«Ora siamo pari», le mormora sulle labbra, facendola ridere. «Scusa per i noccioli di ciliegia.»

«Sei perdonato», gli assicura, fregando il naso sul suo. Gli accarezza i capelli sulla nuca e lui la stringe di più a sé, dandole un altro bacio sulle labbra, casto e affettuoso.

«Quindi», sussurra poi, baciandole la guancia. «Vivrai qui con me?»

«Sì.»

Per la terza volta la bacia, mentre lei sta ancora annuendo, e Giulia scoppia a ridere.

«Sei sicura?» le chiede poi, euforico e incredulo, accarezzandole il viso, la testa, i capelli di lei che per la prima volta si impigliano tra gli anelli di lui. 

«Sì. Sì…»

«Vuoi davvero condividere la tua vita con me? Crescere i nostri figli qui, insieme?»

Non lo ha mai visto così felice e insicuro ad un tempo. Ride e rinuncia a prenderlo in giro per aver espresso la volontà di fare altri figli. Gli accarezza i capelli e annuisce. 

«Davvero?» chiede ancora Tiberio, quel suo sorriso a bocca chiusa che si apre pian piano, per la prima volta.

«Imbecille», lo insulta Giulia, prima di baciarlo lei questa volta.

Finiscono quasi a fare l’amore sulle scale, come una delle proibite e folli fantasie adolescenziali di Giulia, ma il pianto del bambino li interrompe. Salgono il resto degli scalini mano nella mano, ridendo. Quando entrano nella cameretta che Marco ha ereditato dalla nonna, Giulia si fionda a prenderlo in braccio e riempirlo di moine. Il piccolo ansima e singhiozza, lacrimoni enormi che gli scorrono sulle guance paffute. Marco ha preso tutto da Giulia, ma ora, con il viso rosso e gonfio, gli occhioni blu cerchiati di pianto, assomiglia incredibilmente al padre, che celermente lo afferra, quasi strappandoglielo dalle mani, e comincia a fargli facce buffe. È così strano vedere Tiberio in questa veste che è quasi disturbante, cosa che ovviamente la fa innamorare ancora di più. Grida di paura quando lo lancia un paio di volte in aria, ma Marco non si spaventa, anzi comincia a ridere come un pazzo. 

«Idiota!» sgrida Tiberio, schiaffeggiandolo sulla spalla, ma padre e figlio se ne fregano dei suoi rimproveri e ridono insieme, la rara risata dell’adulto che si mischia a quella gorgogliante e contagiosa del bambino e Giulia non riesce a rimanere arrabbiata, né seria. Ridacchia con loro, abbracciandoli entrambi. 

Si mettono a giocare sul pavimento, con Tiberio che tira fuori una quantità spropositata di nuovi giochi per il suo Lillo .

«Sì, tua madre ha ragione: lo viziamo troppo», commenta Giulia mentre Marco lancia una pallina di stoffa in testa a Tiberio, che ride, steso sul pavimento, giocherellando con i capelli di Giulia. 

«Sei felice?» le domanda con un sorriso sereno. 

Giulia annuisce, il cuore che rischia di scoppiarle. Non è abituata, non le sembra reale, né possibile. Non sa se lo merita. Per vent’anni, quasi, ha respinto tutto questo, si è negata Tiberio e ha negato se stessa a lui. Il sentimento che prova per lui le è sempre parso così grande da sopraffarla. Si sente come se avesse sempre dormito, come se la vita prima della scorsa primavera, prima del piccolo miracolo che cerca di arrampicarsi sullo stomaco di Tiberio, fosse un incubo oscuro e soffocante. Un incubo che sbiadisce di giorno in giorno. 

Ora è sveglia, felice. Prende la mano di Tiberio e se la porta alle labbra, baciandola teneramente, per poi gettare la testa all’indietro,  socchiudendo gli occhi. Sorride, godendosi la luce del giorno sulla pelle e nel cuore.

Notes:

Eccoci arrivati alla fine! Ringrazio tutti coloro che hanno lasciato un kudos o un commento siete grandiosi <3
Spero che questa storia matta vi sia piaciuta e vi anticipo già che non sarà l'ultima su questi due che vedrete su questi schermi.
Purtroppo il brainrot è molto reale!
Alla prossima avventura!