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Gli ultimi mesi erano volati.
Dopo il trasferimento a Berkeley e la partenza dei ragazzi, il tempo sembrava essersi ristretto ad un battito di ciglia.
Il ringraziamento, Natale, Capadanno, il compleanno di Kirsten… Le festività si erano susseguite una dietro l’altra, con una cadenza che a Sandy era parsa giornaliera.
Era proprio vero che un neonato sconvolge ogni cosa, persino la percezione del tempo.
Sandy si girò dall’altra parte, dopo aver lasciato la sveglia che suonava sul comodino. Aveva portato un braccio sotto al cuscino bianco, un po’ stropicciato, ed ora guardava il viso dormiente di Kirsten, che stava ad un passo dal suo.
Si concentrò sulle ciglia foltissime e il nasino a bottoncino, che svettava ignaro della propria bellezza.
Anche se il tempo passava svelto, non riusciva a cambiare una virgola di quella donna - tanto nel carattere quanto nell’aspetto fisico.
Sandy sorrise, percorrendo con la punta dell’indice la fronte, poi le tempie, fino a perdersi nel collo, dove allontanò qualche ciocca fastidiosa che le stava facendo il solletico. Si protese verso il suo viso e appoggiò le labbra sul piccolo bottoncino che aveva ammirato fino a poco prima. Un bacio casto, abbastanza rapido da non darle l’opportunità di accorgersene e svegliarsi; anche la loro routine era qualcosa che il tempo non poteva cambiare.
« Buon San Valentino, amore mio » le mormorò prima di allontanarsi da lei per dare inizio alla giornata.
Erano le sette e trenta di una mattinata che conservava l’atmosfera piovosa della notte prima. Fuori dalle finestre, per le strade e i giardini, vi erano ancora pozze profonde di acqua piovana e sui tettucci delle auto, sui tavoli all’aperto e sui gradini delle case, si potevano scorgere i rimasugli delle foglie secche ormai appiattite e indebolite dalle gocce di pioggia.
Anche quel giorno le previsioni annunciavano temporali, questo rendeva impossibile assecondare la voglia di Sandy Cohen di impugnare una tavola da surf e spingersi al largo.
Sandy si allontanò dalla finestra, riposizionando la tenda al proprio posto. Si voltò un’altra volta verso il letto alle sue spalle per assicurarsi che le prime luci del mattino non infastidissero il riposo della sua sposa.
Se la conosceva abbastanza bene - e lui la conosceva decisamente meglio di così - Kirsten non si sarebbe alzata prima di due ore. Era una lavoratrice instancabile, sempre puntuale, precisa e affidabile, ma se niente di importante la costringeva giù dal letto, lei avrebbe passato l’intera giornata sotto le coperte.
Così, Sandy la lasciò riposare e, avvoltosi nel suo accappatoio di spugna blu, uscì dalla stanza per dirigersi in quella accanto, dove la loro bambina di quattro mesi riposava beata. Fino a pochi giorni prima Sophie aveva dormito con loro nella culla accanto al letto ed entrambi avrebbero voluto continuare così almeno fino all’anno della piccola; la pediatra, invece, non era stata dello stesso avviso: dopo l’ultimo controllo, aveva suggerito a Kirsten di iniziare a far dormire Sophie da sola - certo, adeguatamente monitorata e con qualcosa che mantenesse il profumo della mamma, ma da sola. Sandy ignorava completamente i motivi per cui quella potesse essere una decisione sensata e, francamente, ancora faticava ad accettarla, ma da quando Sophie dormiva nella sua cameretta, sia lui che Kirsten avevano ristabilito un ciclo sonno-veglia che permetteva ad entrambi di essere funzionali al mattino.
D’altra parte anche Sophie sembrava trarne beneficio: dormire da sola doveva darle decisamente meno stimoli a svegliarsi, visto che negli ultimi giorni aveva pianto solo poche volte durante la notte e quasi tutte per reclamare il seno. Così, anche se a malincuore, Sandy continuava a seguire il nuovo programma.
Guardò la piccola che dormiva nella culla: il ciuccio le copriva parte del volto, che sembrava lungo come un’autostrada a causa della piccola cresta di ciuffi biondi che le erano spuntati in testa. Se ne stava al calduccio, protetta dal suo pigiamino con le scimmiette ricamate e la copertina di lana. Anche Sophie prometteva di dormire per le prossime due ore, questo significava che a lui restava un po’ di tempo per preparare la colazione e sistemare gli ultimi dettagli per San Valentino.
Quell’anno doveva essere perfetto: niente lamentele, niente compromessi, ma cioccolatini, candele profumate, cene romantiche e lingerie. Kirsten ne aveva bisogno. Con i ragazzi lontani, Sophie Rose che non le dava tregua, la casa da sistemare e le pratiche per la galleria d’arte, gli ultimi mesi erano stati intensi per lei. Un mix di cambiamenti, accompagnato dalle montagne russe emotive più frastagliate su cui fosse mai salita.
Perciò quell’anno si meritava di trascorrere la sua festa preferita senza alcun pensiero per la testa.
(…)
Sentì i passi delle pantofole di Kirsten sulle scale. Puntuale come un orologio svizzero, sua moglie si era alzata alle nove e mezza precise.
Sandy guardò la piccola Sophie Rose che stava seduta sul seggiolino accanto all’isola della cucina, intenta a ciucciarsi la mano con gusto.
« Che ti avevo detto? » le mormorò, fingendo che lei potesse capire e rispondere. « La mamma non si sveglia prima delle nove nel suo giorno libero, questo significa che noi possiamo guardare tutti i cartoni che vogliamo prima di imburrare ciambelle. »
Dicendo ciò, Sandy poggiò il coltello con cui aveva spalmato generose quantità di formaggio sui bagels tagliati a metà. Si voltò verso il piano cottura nel quale la padella era ormai arrivata alla temperatura perfetta per accogliere il composto di uova, latte, pepe e sale che era stato sbattuto a dovere pochi minuti prima e versò l’intero composto giallastro sulla ghisa rovente. In un attimo per l’ampio e soleggiato ambiente della cucina si diffusero l’odore di uova strapazzate e l’inconfondibile sfrigolare che facevano a contatto con la padella.
« Che profumino! » Kirsten entrò in cucina che aveva già l'acquolina in bocca. Uno dei mille vantaggi di essere una neo mamma, sposata con un professore universitario era quello di potersi godere mattinate pigre, che iniziavano tardi e con estrema calma.
Sandy la vide sotto all’arco che separava la cucina dal soggiorno. « Buongiorno » le disse, sorridendo, mentre teneva in mano la padella e un mestolo di legno.
« Buongiorno » mormorò lei, in risposta, mentre si avvicinava a lui. Gli portò le braccia al collo, facendo attenzione a non scottarsi con gli utensili bollenti che Sandy teneva in mano, e gli posò un bacio innocente sulle labbra. « A che ora ti sei svegliato? Non ti ho sentito alzarti… » domandò, ancora abbracciata a lui.
Sandy poggiò le uova sull’isola, così da avere le mani libere per poter ricambiare l’abbraccio. La strinse a sé, tracciando una linea di baci sul suo collo. « Presto. Stavi dormendo così bene, non ho voluto svegliarti. Avevo due faccende di lavoro da sbrigare. » Soffiò quelle spiegazioni sulla pelle scoperta della moglie, che emanava un intenso profumo di vaniglia e fiori di cocco. Era facile intuire che si fosse appena svegliata: il suo corpo conservava ancora il calore del pesante piumone in cui lei si avvolgeva come un burrito.
« Devi passare all’Università? »
Sandy scosse il capo, facendole il solletico. Aveva il viso nell’incavo del suo collo, nascosto dalle ciocche bionde che erano sfuggite alla morsa della pinza.
« Abbiamo tutta la giornata per noi » chiosò. « Del resto, è San Valentino. »
« San Valentino, huh? » Kirsten lasciò andare la presa. Nella voce un guizzo di stupore sarcastico che Sandy aveva ritrovato anche nei suoi occhi, ora che li guardava. « E da quando mio marito festeggia San Valentino? »
Sandy si strinse nelle spalle, continuando a tenere le mani sui suoi fianchi. « E chi ha detto che lo festeggio? » le rispose, con un tono altrettanto ironico. Era più forte di lui: farla arrabbiare il giorno di San Valentino lo divertiva da matti. Era una piccola tradizione tra loro.
E anche se Kirsten sapeva bene che, nonostante le battute e le lamentele, Sandy avrebbe finito col sorprenderla come ogni anno, non poté fare a meno di assestargli un buffetto di disappunto in pieno petto.
« Ouch? » la scimmiottò lui, chinandosi sul suo viso per baciarla.
Nel frattempo i bagels avevano iniziato ad ammorbidirsi a causa del formaggio, le uova strapazzate terminarono la loro cottura lontane dai fornelli e il caffè iniziava a freddarsi, ma né Sandy né Kirsten parvero rendersene conto. Rimasero nell’angolo della cucina che lo spigolo dell’isola in marmo formava con il mobilio, entrambi avvolti nei loro accappatoi che ne nascondevano i pigiami, a scambiarsi piccole e innocenti provocazioni su San Valentino, condite da baci che via via si facevano più audaci.
Furono i vagiti di Sophie Rose a richiamarli alla realtà.
Costretta ad osservare le effusioni dei suoi genitori dalla trappola del seggiolone, la piccola aveva proteso le manine paffute verso di loro, pronta a reclamare la sua mamma.
Aveva fame? Sonno? Voleva essere cambiata?
Kirsten non ne aveva idea. La prese in braccio ed iniziò a cullarla dolcemente, tenendola vicino al petto, ma Sophie continuava a gorgogliare e cercare di attirare la sua attenzione: era questione di secondi prima che scoppiasse a piangere.
Ormai, sia lei che Sandy conoscevano i segnali, ma avevano qualche difficoltà a classificarli.
Uno si aspetta che con vent’anni in più fare il genitore diventi semplice, invece…
Le grida disperate di Sophie Rose si profusero per la cucina, il salotto, le camere da letto; Sandy era certo che anche i vicini potessero sentirle.
« Penseranno che la torturiamo » scherzò, avvicinandosi alle due donne di casa. Aveva recuperato dal pavimento il piccolo sonaglio a forma di Darth Vader che Serh le aveva regalato per Natale e lo scosse leggermente vicino al suo viso.
« Eh sì, prima o poi ci farai arrestare. Sì! » Sandy le parlava con una voce buffa, ma Sophie non sembrava gradire. Le sue manine iniziarono ad agitarsi, reclamando lo spazio che la vicinanza del padre le aveva sottratto.
« D’accordo! Spazio personale. Capito. »
Sandy fece due passi indietro e guardò Kirsten che aveva ripreso a cullarla. « Sembra che debba cavartela da sola » osservò, augurandole un sentito in bocca al lupo con lo sguardo.
Kirsten annuì. « La porto di sopra. »
« Io ti scaldo il caffè. » Dicendolo, le baciò la guancia.
« Ti amo. » Kirsten ricambiò, prima che l’ennesimo urlo di Sophie obbligasse entrambi ad allontanarsi.
(…)
Quando Kirsten ritornò al piano terra, le sembrava che fosse trascorsa un’eternità da quando aveva lasciato suo marito in cucina. Sophie era difficile da gestire quando aveva sonno e il fatto che lei fosse l’unica che, in quelle circostanze, la piccola volesse intorno, rendeva il suo lavoro di madre dieci volte più complicato.
Seth nei primi mesi di vita, così come negli anni successivi, era sempre stato tranquillo. Piangeva poco, chiedeva ancora meno.
O forse lei era semplicemente più giovane, con più energie.
Percorse in silenzio la cucina in linea retta, legandosi nuovamente i capelli con la pinza, superò l’isola, poi svoltò a destra, nella piccola stanzetta quadrata, delimitata da tre pareti di cui una era la vetrata, dove avevano sistemato il tavolo da pranzo e dove, ora, a capotavola, Sandy leggeva il giornale.
Kirsten si avvicinò e notando che aveva anche apparecchiato per la colazione, gli avvolse le spalle con entrambe le braccia, baciandogli la guancia.
« Ehi » mormorò lui, sorpreso. Era talmente preso dalla lettura del giornale che non aveva sentito i suoi passi.
« Ehi » fece da eco lei. « Leggevi qualcosa di interessante? »
Sandy scosse il capo, spostando col piede la sedia accanto a loro per invitare Kirsten a sedersi con lui.
« Solo il grande contributo che l’America offre in termini di distruzione. » Alzò entrambe le sopracciglia, sfoderando il suo sorriso migliore. « La scimmietta dorme? »
Kirsten annuì, mettendosi a sedere accanto al marito. « Ci è voluto un po’, ma alla fine ha ceduto al sonno. Dici che stiamo sbagliando a farla dormire da sola? Seth è stato con noi fino all’anno. »
Ah, quella donna…
A Sandy venne da ridere. A distanza di tanti anni dal loro primo incontro ancora faticava a capire come fosse possibile che due persone tanto diverse come lo erano loro potessero avere delle menti tanto affini.
« Lo sai, vero? » le disse, portando la sedia di Kirsten accanto alla sua. « Seth ha dormito con noi ben oltre l’anno. O ti sei scordata di tutte le volte che sgattaiolava nel lettone appena mi sentiva in piedi? Non vedeva l’ora di correre da te. »
Al ricordo, Kirsten sorrise.
Come poteva scordare quei piedini che zampettavano per la camera, piccoli e svelti, pronti a balzare sul letto, infilarsi sotto alle coperte e alle sue braccia.
« Quei ricciolini erano così folti che sembrava di affondare il viso in un peluche. » Kirsten arricciò il nasino a bottoncino, nostalgica. « Come mi manca! » aggiunse.
« Lo so! » Sandy le diede un bacio sulla guancia, poi le avvicinò il piatto con le uova e le due parti del bagels imburrate. « E sono sicuro che tu manchi a lui. È sempre stato un cocco di mamma. »
« Non è vero! » protestò, Kirsten, intenta a difendere il suo cucciolo.
Anche se…
« Forse solo un po’ » si corresse, e di nuovo, ecco che il suo nasino si arricciò.
Stavolta Sandy non resistette: lo aveva fatto a letto per non svegliarla e lo aveva fatto poco prima per senso del pudore davanti a Sophie, ma stavolta si chinò sul viso della moglie e avvolse la punta di quel bottoncino perfetto con i denti, esercitando una lieve pressione.
Era più forte di lui, andava matto per quel nasino.
Quando lo lasciò andare, si spostò sugli angoli pronunciati della bocca di Kirsten. Lei rideva. Baciò prima quello destro, poi quello sinistro.
« Sophie sta bene » le mormorò, ad un palmo dalle sue labbra. Gli occhi fissi su di esse. « Anche se non è quello che volevamo, la pediatra sembra aver ragione. Lei dorme meglio e noi dormiamo di più. » Sandy si chinò nuovamente su di lei per baciarla, stavolta portandole una mano dietro la nuca, tra i capelli, per approfondire meglio quel bacio.
Sandy non l’aveva mai divezzata da una buona dose di romanticismo, ma anche dopo quasi trent’anni insieme, Kirsten sembrava essere colta costantemente di sorpresa da quel modo modo di Sandy di approcciarsi a lei. Lo guardò rapita, ora che lui si era allontanato. Gli occhi ricolmi d’aspettativa e un sorriso goffo e felice.
« A cosa devo tutto questo trasporto? » chiese.
« Al fatto che ti amo. E poi è San Valentino. »
Kirsten si morse il labbro inferiore, spostando lo sguardo sulla bocca di lui, inumidita dal bacio. « Che ne è stato del sabotare Hershey's e Hallmark? »
Sandy sorrise. « Te l’ho detto, qualcuno deve tenerli in attività » rispose, stando al gioco.
Non c’era niente di più vero al mondo: Sandy Cohen odiava San Valentino. La trovava una festa stupida, inutile; la manifestazione più becera del consumismo. Il quattordici febbraio serviva solo a far sentire le persone sole più disperate, i single emarginati e le coppie abbastanza fortunate da essere innamorate polli da spennare. Chi aveva bisogno di candele, cioccolatini e lingerie un solo giorno all’anno, quando avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento?
Eppure…
Sandy aveva ordinato ventidue mazzi di rose rosse e uno di tulipani blu e bianchi. Aveva fatto preparare i cioccolatini preferiti di Kirsten da un laboratorio specializzato e aveva trascorso le ultime settimane sommerso da cataloghi di Victoria’s Secret per trovare un completino che potesse soddisfare i gusti di sua moglie.
Niente di rosso, trasparente o commestibile…
Aveva seguito quel mantra alla lettera e ora nell’armadio erano nascosti due costosissimi bodydoll sui toni del marrone.
Una gran scelta , secondo la commessa. E anche secondo lui.
La verità era che al mondo non c’era niente che Sandy Cohen non avrebbe fatto per sua moglie. Anche qualcosa di tanto stupido come San Valentino finiva inevitabilmente per diventare interessante con lei.
Anche se era una festa commerciale, l’entusiasmo di Kirsten la rendeva speciale e diventava contagioso.
E questo valeva per ogni più piccolo aspetto del loro rapporto.
L’amore di Kirsten rendeva tutto più intrigante e piacevole.
Sandy aveva preso coscienza di ciò fin dai primi mesi della loro frequentazione: passare il tempo con Kirsten lo aveva portato a ritrovarsi a fare mille e una cosa che non avrebbe mai pensato si voler o poter fare; cercava ogni scusa per impressionarla o sorprenderla e aveva cominciato a dare un significato speciale anche alle piccolezze che, con le altre, aveva sempre fatto meccanicamente. Kirsten aveva segnato un punto fermo nella sua vita, con lei erano arrivati un prima e un dopo.
Prima di lei, Sandy Cohen era solo un altro ragazzo del Bronx, con una famiglia terribile alle spalle, il cuore spezzato e la noia negli occhi; dopo Kirsten, quello stesso ragazzo aveva scoperto di poter essere invincibile e aveva accettato il dolore che negli anni gli era stato servito. Questo perché lei lo aveva preso per mano e trascinato fuori dal tornado di rabbia in cui si era intrappolato; Kirsten non gli aveva solo offerto una distrazione dalla propria infelicità, una scusa per allontanare il suo pensiero, ma gli aveva dato la possibilità di essere felice per davvero e lui, nonostante la paura di un cuore spezzato, l’aveva accolta.
E ventitré anni dopo gliene era ancora grato.
(…)
La giornata era trascorsa nell’ozio di qualche tazza di tè, un film in tv e una poppata qua e là richiesta a pieni polmoni da Sophie Rose. Sandy e Kirsten erano rimasti sdraiati in salotto, davanti al camino acceso, per quasi tutto il pomeriggio e ora che il calar della sera bussava alle loro finestre, per Sandy Cohen era tempo di mettere in atto l’ultima parte del suo piano.
Gentilmente, sottrasse la piccola dal placido abbraccio della mamma che sonnecchiava.
Anche Sophie ronfava soddisfatta dopo l’ultima abbuffata, perciò l’operazione di spostarla al piano di sopra, nella sua cameretta, rese le cose decisamente più facili.
Salì le scale in punta di piedi, stando attento a non svegliare nessuna delle due donne di casa. Arrivò alla porta della cameretta di Sophie e la aprì con una mano, mentre con l’altra sorreggeva il corpicino della bambina contro al proprio petto.
« Mi raccomando, dormi! »
Più che un ordine, quella fu una supplica.
Le diede un bacio sulla fronte minuscola e le rimboccò la copertina, poi accese il baby monitor che era collegato a quelli presenti nelle altre stanze, tra cui la cucina.
Fuori dalla camera di sua figlia, Sandy proseguì dritto verso quella padronale. Nella cabina armadio aveva nascosto i due regali che aveva comprato per Kirsten, le buste di Victoria’s Secret e le candele profumate. Tirò fuori tutto il necessario ed iniziò a disporre ciò che gli serviva.
Sistemò le candele sul pavimento, sulle superfici piane dei mobili e qualcuna sui comodini di fianco al letto. Sui cuscini lasciò i sacchetti a strisce rosa e bianche, mentre studiava con attenzione dove avrebbe disposto i fiori.
Con quel pensiero in mente e la camera quasi ultimata davanti agli occhi, Sandy frugò in tasca per cercare il cellulare. Fece partire l’ultima chiamata e se lo portò all’orecchio. Attese: uno, due, tre squilli…
« Sono quasi a casa. » La voce dall’altra parte non gli diede il tempo di formulare alcuna domanda
« Non bussare, Kirsten dorme. Passa da dietro. »
« Nessun problema! » E senza attendere oltre, mise giù.
A quel punto Sandy sapeva che mancavano ancora poche cose per dare inizio a San Valentino, prima tra tutte: la cena.
Visto che Kirsten era restia a lasciare Sophie Rose con una babysitter, l’idea di suo marito di portarla in qualche ristorante romantico, magari uno dei loro preferiti ai tempi del college, era sfumata rapidamente in favore di una cenetta intima a casa.
In fondo - Sandy sorrise mentre la guardava dormire sul divano - lei amava la sua cucina.
Stava per mettersi a ripassare il menù per l’ennesima volta in quella giornata, ma mentre guardava il profilo di sua moglie nascosto dalla coperta a scacchi, il cigolio della porta finestra in cucina lo richiamò alla realtà.
« Ryan! » sussurrò, visibilmente felice. Indicò Kirsten con lo sguardo, facendo cenno al figlio di far piano e lui, ricettivo, lo invitò a raggiungerlo in giardino.
Saranno state le sette, non più tardi, ma il sole era già tramontato, cedendo il passo ad un manto di stelle mozzafiato.
« Rose, tulipani, cioccolatini e i gamberi. » Ryan alzò un sacchetto di cartone. Rideva di gusto: quella che Sandy gli aveva dato era una lista della spesa decisamente singolare.
« Grazie! » Sandy prese la busta dei gamberi e diede una rapida occhiata al malloppo che il figlio aveva lasciato sul tavolo accanto a loro. « Non so come avrei fatto senza il tuo aiuto. Pensavo di riuscire ad allontanarmi un attimo, ma Sophie ha preso sonno tardi e Kirsten con lei. »
Ryan scosse il capo. « Nessun problema. Non avevo altro da fare. »
Sandy sorrise, sornione. « Nessuna festa folle? Nessun rito di iniziazione per le matricole? La U.C. si è proprio rammollita negli ultimi anni. » E, avvicinandosi al giovane, non poté fare a meno che assestagli una pacca affettuosa sulla spalla.
Sia lui che Kirsten erano molto orgogliosi di Ryan. Dall’estate del 2003, quando scelse di portarlo a casa, quel ragazzo aveva fatto passi da giganti: il cupo, riservato e violento Ryan Atwood si era trasformato in una matricola brillante all’U.C. Berkeley.
Ricalca le ombre di suo padre - Kirsten lo aveva detto una sera all’orecchio di Sandy, mentre lo guardavano leggere un libro sul divano. Era stato pochi giorni prima che Ryan si trasferisse definitivamente al campus dove ora viveva regolarmente.
Anche se i suoi genitori avrebbero voluto tenerlo a casa con loro, dopo qualche remora iniziale, entrambi avevano convenuto che la cosa migliore per lui sarebbe stata poter fare esperienze, le stesse che loro avevano fatto a tempo debito.
E quella si era rivelata la scelta migliore: Ryan sembrava davvero felice della sua vita al campus. Finalmente, infatti, era circondato da persone con un passato simile al suo e la sensazione di emarginazione aveva iniziato a sparire dal suo cuore.
« Sembra che quest’anno tu voglia fare le cose in grande » osservò Ryan, guardando il numero di mazzi di rose che aveva dovuto scaricare dalla macchina.
Colpevole, Sandy si passò una mano tra i capelli.
Aveva esagerato un pochino.
« Ogni tanto bisogna lasciarsi andare al romanticismo » commentò, « Specie quando la tua splendida moglie dorme due ore a notte perché vostra figlia la reclama in continuazione. »
« Va così male con Sophie? » Il ragazzo parve preoccupato: lui, come gli altri uomini di casa Cohen, aveva la tendenza a preoccuparsi troppo per Kirsten.
I due presero a raccogliere le buste sul tavolo, dividendosi equamente il carico. « No, fortunatamente. Da quando l’abbiamo messa a dormire in camera sua, ci lascia riposare per quasi tutta la notte. Tra qualche tempo inizieremo con i biberon, così che Kirsten possa riposarsi un po’ di più. » Sandy parlava ma la sua attenzione era rivolta ad un attento e preciso controllo qualità dei fiori: sua moglie aveva ereditato dalla madre una grande passione per la botanica, perciò rose e tulipani dovevano essere impeccabili.
« Sembra sfiancante. » Ryan gli sfilò da sotto il naso l’ultimo mazzo di rose. « Non deve essere facile ritrovarsi genitori a quarant’anni. »
Sandy sorrise, voltandosi verso di lui. « No, per niente. Ma credimi, non lo cambierei per nulla al mondo. » Gli fece strada fino alla porta che dava sulla cucina e lì si fermò. « Quando hai la fortuna di costruire una famiglia bella come la nostra, diventa l’unica cosa che conta nella vita. »
Ryan annuì, aprendo per lui la porta finestra.
Dopo quattro anni con i Cohen, anche lui aveva fatto sua quella lezione.
(…)
Ormai complice nell'organizzazione di quella serata, Ryan si era ritrovato a dare una mano anche nell’allestimento dell’ambiente esterno, mentre Sandy si occupava della camera da letto.
« Devo ottimizzare i tempi » gli aveva detto, suo padre, dopo avergli piazzato sugli avambracci la tovaglia di lino bianco scelta per la serata.
Ed era vero: Sandy doveva assolutamente sbrigarsi. Kirsten aveva un ciclo veglia-sonno estremamente rigiro e per l’ora di cena, stanca o meno, si sarebbe svegliata. Ormai mancava meno di mezz’ora, per questo Ryan aveva accettato di buon grado di aiutare.
Non solo, considerando che tutti in casa sapevano che San Valentino era la festività preferita di Kirsten, il giovane si prese a cuore quel compito; i suoi genitori meritavamo una serata speciale.
Così aveva iniziato dal tavolo. Sistemato nell'ampia piazzola in pietra adiacente al camino accesso, era circondato su due lati dall’erba fresca, bagnata a causa dell’umidità, e sul terzo, il più lungo, dalla piscina scoperta. Sull’acqua danzava il riflesso della Luna e della fiamma tremolante delle candele profumate che Ryan aveva disposto per tutto il giardino, così da diffondere nella notte una calda e flebile luce giallognola che danzava sulle superfici bianche e si rifletteva sull’argenteria.
Al centro del tavolo, sulle sedie e per tutto il sentiero che univa la piazzola con la veranda, i petali di rose formavano una lunga distesa che colorava la notte di un rosso vivo.
Ryan guardò il suo capolavoro: era tutto perfetto. Le luci, i fiori, la tavola, il giradischi appoggiato contro il muretto più vicino… Mancava solo un dettaglio: la coperta.
Sandy si era raccomandato di poggiarla sulla sedia di Kirsten, perché, conoscendo sua moglie, sapeva che nonostante il camino acceso, a metà serata avrebbe iniziato ad accusare il gelido respiro del vento di febbraio.
Intento a recuperarne una, il ragazzo entrò in casa. Lo sbalzo di temperatura, così come l’intensità della luce, lo destabilizzarono per un istante, costringendolo ad indugiare sulla porta in vetro.
« Ehi, Ryan! » Sandy lo chiamò con un tono di voce moderato, « Tutto bene? »
Lui annuì e guardando il padre si rese conto che l’uomo, impegnato ai fornelli, si era cambiato: ora indossava un maglione rosso in lana grossa che cadeva morbido sulla sua figura e un paio di jeans neri.
Sandy lesse lo sguardo sorpreso del figlio: « Anni per imparare a fare il nodo alla cravatta per poi scoprire che mia moglie mi preferisce casual. Le donne, chi le capisce e bravo. » Spostò lo sguardo in direzione del divano su cui Kirsten riposava. « Soprattutto quando parliamo di lei. »
Ryan rise: anche dopo tanti anni insieme, Sandy e Kirsten non avevano perso il trasporto dei primi tempi. All’inizio, quando si trasferì a casa Cohen, quel loro modo di parlarsi, di guardarsi, di prendersi in giro e starsi sempre intorno, trovando sempre una scusa valida per scambiarsi un bacio o una carezza, lo aveva colto impreparato; nella sua vita non era mai stato a contatto con un matrimonio così vivo e solido, ma dopo quattro anni, non solo iniziava a farci l’abitudine, ma cercava anche di gettare le basi per avere qualcosa di simile.
« Di sopra è tutto pronto? » chiese. Sandy annuì, mentre finiva di impastare acqua e farina sul tagliere in legno.
« Mazzi di rose e cioccolatini sistemati. Più tardi troverò una scusa per andare ad accendere le candele, adesso devo portarmi avanti con la cena o mangeremo a mezzanotte. Di là? »
« Tutto pronto. Prendo la coperta e… Vuoi che metta qualcosa nel giradischi? »
« Fa’ piano. In salotto, nel mobile sotto alla televisione c’è la nostra raccolta di vinili. Cerca Salomon Burke, copertina in bianco e nero, scritta dorata. Non puoi sbagliare. »
« D’accordo. »
Sandy gli fece un cenno col capo. « Grazie! »
(…)
Ormai mancavano una manciata di minuti alle otto di sera. Ryan aveva svolto alla perfezione tutti i compiti che Sandy gli aveva assegnato e si era congedato; Sophie, al piano di sopra, non emetteva un fiato: suo padre l’aveva controllata almeno tre volte nell’ultima mezz’ora; nel frattempo, sua madre continuava a dormire beata al caldo: di tanto in tanto si rigirava, ma solo per cercare una posizione più comoda.
La serata stava procedendo alla perfezione e anche la preparazione della cena non sembrava presentare intoppi.
Sandy si era premurato di preparare per tempo la pasta per i ravioli, le varie salse che gli sarebbero servite per i condimenti ed ora si stava mettendo all’opera per preparare ogni portata del menù che aveva studiato con minuzia. Ventitré anni di attenta osservazione di sua moglie si potevano riassumere nelle portate che quella sera le avrebbe servito: dall’antipasto al dessert, ogni piatto faceva parte della lista dei cibi preferiti di Kirsten. Era impossibile fallire con un menù così curato.
Del resto Sandy Cohen era un maestro di romanticismo.
L’uomo sorrise, gettando un altro sguardo vigile sulla moglie che continuava a dormire placidamente sul divano, poi si rimise a lavoro.
Voleva che quella cena iniziasse con qualcosa speciale, e così aveva optato per preparare ravioli di gambero in salsa al limone. Era stato il primo piatto che le aveva sentito ordinare al cinese, la sera del loro quarto appuntamento: avevano preso l’asporto per mangiarlo sulla spiaggia; lei si era impadronita della sua felpa dopo neanche dieci minuti, ma in cambio gli aveva lasciato l’ultimo raviolo. Fu quella sera che Kirsten gli rivelò della sua fobia per i pesci e per l’oceano.
Con le immagini di quella notte davanti agli occhi, Sandy prese una padella antiaderente e iniziò a sciogliere del burro con uno spicchio d'aglio tritato in precedenza, lasciandolo dorare lentamente.
Nel frattempo cominciò a preparare i ravioli di gambero e dovette constatare che Ryan aveva fatto un’ottima scelta: la freschezza dei crostacei si percepiva già dal profumo. Li iniziò a pulire, li incise e ne estrasse l’intestino, poi proseguì con il tagliarli finemente e, infine, li mescolò con prezzemolo fresco e un pizzico di pepe nero. Con cura, avvolse il ripieno con la pasta dei ravioli, sigillando questi ultimi uno ad uno, seguendo la tecnica spiegata nella ricetta.
A parole sembrava decisamente più facile. Sandy guardò le chiusure che aveva fetto e dovette reprimere una risata: erano inguardabili; tutti diversi, alcuni chiusi come una palla, altri sembrava avessero le orecchie, perciò puntava tutto sul sapore.
Sentendo l'aglio che friggeva in padella e il suo profumo diffondersi per la cucina, Sandy iniziò a versare a filo il succo di limone, creando una salsa leggera ma piena di sapore. Poi, con attenzione, mise i ravioli nell'acqua bollente, assicurandosi che fossero cotti alla perfezione; la cottura al vapore era un’altra cosa estremamente ardua per lui, ma la stava gestendo con tutta la dovuta concentrazione. Fece in modo che non fossero né duri né molli a tal punto da sembrare colla. A Kirsten piacevano… leggeri, con la pasta che sembra quasi non esserci.
Per la seconda portata, il salmone in crosta, Sandy aveva già preparato la sua miscela segreta di erbe aromatiche, pangrattato e un tocco di senape di Digby's, il dettaglio che l’aveva reso il piatto preferito di Kirsten per antonomasia. Così, deciso a seguire la ricetta con cui l’aveva conquistata alla lettera, impanò il salmone con quella miscela e lo mise delicatamente in una padella calda con un filo d'olio d'oliva.
Il profumo del salmone che sfrigolava riempiva la cucina, riportando alla mente vecchi ricordi dei loro primi mesi di frequentazione, quando - squattrinato com’era, per sorprenderla - la fece rimanere oltre l’orario di chiusura nel ristorante in cui lavorava come cameriere nel weekend per mantenersi a Berkeley; all’epoca non c’erano ristoranti pregiati nelle loro uscite romantiche né mazzi di rose o regali costosi. Nell’Ottantaquattro, quando la invitava fuori, doveva sempre ingegnarsi per sorprenderla. E fu proprio grazie a quelle serate che Sandy imparò a conoscere il totale di Kirsten verso lo sfarzo a cui era stata abituata fin da bambina: nonostante fosse stata cresciuta dall’uomo più ricco della California e avesse avuto l’opportunità di vedere i posti più belli del mondo, assaggiare i cibi e bere i vini più pregiati, lei si entusiasmava per una pizza e qualche birra troppo calda per essere bevuta. Non aveva mai avuto grandi pretese, le bastava stare con lui, ma il giovane Sandy Cohen allora era già troppo cotto della principessa di Newport per non sforzarsi di impressionarla. Voleva darle il meglio che poteva offrire e molto di più. Perciò, quella sera, nel locale in cui lavorava, aveva aspettato che tutti fossero andati via e si era messo ai fornelli per lei, preparandole proprio quello stesso piatto.
Da allora, il Salmone in crosta era diventato il loro piatto ed aveva sbaragliato tutti gli altri nella classifica dei preferiti di Kirsten.
A Sandy venne da ridere sguaiatamente ripensando alla lavata di capo che il proprietario del ristorante, nonché chef, gli fece il giorno seguente - ma oh - Sandy continuò a ridere - ne era valsa la pena.
Mentre i piatti principali si cuocevano alla perfezione, ancora con il sorriso stampato in volto, Sandy si rivolse al dessert, il tiramisù.
Aveva tolto dal frigo tutti gli ingredienti che gli sarebbero serviti e dagli armadietti sopra al piano cottura prese le fruste, due ciotole e una spatola.
Dispose tutto sull’isola della cucina e passò nuovamente in rassegna gli ingredienti: cinquecento grammi di mascarpone, centocinquanta di zucchero, dieci uova, trecento grammi di caffè e un pacco da venti di Savoiardi.
Seguì il conto con l’indice, poi per maggiore sicurezza estrasse dalla tasca un pezzo di carta a righe blu, ingiallito e stropicciato dal tempo. Era la ricetta scritta a mano da Rose, la madre di Kirsten. L’aveva redatta per lui poco dopo essersi ammalata a causa del cancro alle ovaie; quando gliela diede, gli fece promettere di usarla per preparare quel dolce alla sua bambina, che ne andava matta.
« Lo ha assaggiato la prima volta che la portammo in Italia. Aveva otto anni. Le si illuminarono gli occhi, da allora non c’è stata una singola domenica in cui non mi abbia supplicato di farglielo trovare. Io non sono ottimista, Sandy, lo so che presto questo cancro mi porterà via. Anche con la chemio, continua a mangiarmi viva. E quando non ci sarò più, tu sarai l’unica persona a cui si appoggerà. Kirsten ha tanti pregi, ma è diffidente e non concede granché di se stessa agli altro. Ormai state insieme da tanto, la conosci. Prenditene cura, non c’è altra persona al mondo a cui permetterebbe di farlo. »
Sandy ricacciò indietro le lacrime, mentre leggeva la preparazione. Quelle parole gli risuonavano in testa ancora dopo diciotto anni. Anzi, doveva ammettere a se stesso che di quella sera ricordava ogni dettaglio.
Rose era seduta in terrazza, con una coperta sulle gambe, guardava l’oceano all’orizzonte.
Caleb aveva costruito quel castello in cima alla collina più alta di Newport solo perché lei potesse godere della migliore delle viste.
E quella sera, mentre il sole tramontava, anche Sandy si ritrovò senza fiato davanti ad un simile spettacolo.
L’aveva raggiunta per parlare, dopo che Kirsten e Caleb avevano avuto l’ennesima discussione.
« Come sta? » Rose lo anticipò, facendogli spazio accanto a lei sul dondolo.
Sandy fece spallucce. « Come sta sempre dopo ogni lite con suo padre. Ora dorme, ho lasciato Seth a controllarla. »
L’immagine del nipotino la fece sorridere. « Quel bambino va matto per la mamma. »
« Puoi starne certa. » Sandy rispose al sorriso, guardando la suocera dritta negli occhi. « Kirsten è straordinaria con lui. È sorprendente come riesca ad essere così brava in qualcosa che le è totalmente nuovo. »
Rose sorrise ancora. « Anche tu sei bravo. »
« Io sono un disastro. Ci ho messo dei mesi per imparare a cambiargli il pannolino. » Sandy scoppiò a ridere, trascinando con sé anche la suocera.
« Ti sorprenderebbe sapere che guai combinava Caleb quando Kirsten aveva l’età di Seth. L’ultima volta che la lasciai da sola con lui, la perse di vista e lei si tagliò i capelli da sola. Ha sempre avuto un animo ribelle. »
« E Caleb non ha mai imparato ad averci a che fare. » Sandy abbassò lo sguardo sulle proprie mani, la fede nuziale era l’unico anello che aveva alle dita. « È più forte di me, vedere come la tratta mi uccide. »
Rose posò una mano sopra le sue. « Lo so » gli mormorò con fare comprensivo, di chi poteva capire il suo stato d’animo. « Il loro è un rapporto difficile. Caleb adora sua figlia. Kirsten può non crederci, ma se c’è una persona per cui lui darebbe via il suo impero è lei. Solo che ha paura di ammetterlo, così come ha paura di perderla. Specie ora che si rende conto che la sua bambina è diventava una donna. Una donna decisamente migliore di me e lui. » Rose prese il mento di Sandy con due dita, obbligandolo a guardarla. « Kirsten ti ama molto, lo sai, vero? »
Lui annuì.
« Qui a Newport era infelice. Questa città non ha mai fatto per lei, le è sempre andata stretta. Ma con te ha trovato il suo posto, glielo leggo negli occhi, quando ti guarda. Kirsten è chiusa per natura, non permette a nessuno di scavare la superficie. In parte è colpa nostra, non siamo stati in grado di proteggerla dalla cattiveria di questa città né siamo riusciti ad impedirle di farsi carico dei nostri problemi. È diffidente, ma ha un gran cuore. »
« Ha solo bisogno di trovare persone affini a lei. A Berkeley sta bene, è felice.» Sandy tornò a guardare il sole che tramontava oltre l’orizzonte, tingendo d’arancio l’aria di Newport. « È lì il suo posto. E Caleb dovrebbe capirlo. Non potrà farla sentire in colpa per sempre. Sta a lui seppellire quest’ascia di guerra, perché lei non ci riesce. Anche se non lo ammetterà mai a voce alta, l’indifferenza e le critiche di Caleb la feriscono. È suo padre. »
Un alito di freddo fece rabbrividire Rose, che si strinse nelle spalle. Prontamente, Sandy l’aiutò a sistemarsi meglio la coperta intorno al corpo, assecondandola nei movimenti.
In quel momento, trasse l’occasione per guardarla. La chemioterapia le aveva fatto perdere diversi chili, scavandone il corpo e il viso. Al posto dei lunghi capelli biondi cenere svettava un foulard di seta colorato, che ne nascondeva il capo calvo. Era diventata lenta nei movimenti e il sguardo fiero si era affievolito, si era fatto stanco.
Per Sandy che l’aveva conosciuta prima della malattia, vederla così era un colpo al cuore.
« Non guardarmi così, Sandy » lo ammonì lei, sorridendogli. Si era accorta dello sguardo triste e preoccupato che suo genero le stava rivolgendo. « Lo sappiamo entrambi che sono malata. Non è un bel vedere, io ve lo avevo detto quando avete insistito perché facessi la chemio. Ormai non mi resta molto, il corpo è stanco e, sinceramente, anche io. Il mio unico rammarico è lasciare indietro la mia famiglia. Caleb, le mie bambine, tu e Seth. Ironico, no? » Rose guardò al cielo per trattenere le lacrime. « Ho sempre desiderato un nipotino. Hailey detesta i bambini, la famiglia, il mettere radici; ma Kirsten ho sempre saputo che avrebbe voluto dei figli, una bella famiglia. Quando era piccola mi raccontava come si immaginava i suoi bambini: dal colore degli occhi, al carattere. Aveva già deciso ogni cosa. »
A Sandy venne da ridere. « Tipico di Kirsten. »
« È una maniaca del controllo » aggiunse Rose, mentre il genero annuiva. « Quando mi ha detto di essere incinta non credo di aver mai provato una gioia più grande e quando avete portato a casa quella piccola testolina riccioluta… Non vi sarò mai abbastanza grata per quel bambino. Seth è speciale. Ha i suoi occhi e il tuo sguardo, la sua indole, ma il tuo modo di fare. È un mix perfetto di voi due e diventerà un giovanotto tutto d’un pezzo. Non poterlo vedere crescere è la punizione peggiore che la vita potesse infliggermi. »
A quelle parole, Sandy non sapeva come replicare. Lui che si guadagnava da vivere trovandone sempre di perfette, davanti ad una verità assoluta non sapeva come comportarsi.
Non c’era niente che potesse dire o fare che avesse il potere di alleviare il dolore di Rose.
Niente che potesse distrarla dalla schiacciante consapevolezza di una fine che era già stata scritta.
Così, si limitò a stringerle forte la mano e guardare con lei quel tramonto.
Fu quella sera che gli fece promettere di prendersi cura di Kirsten e di avere pazienza, perché purtroppo era testarda peggio di un mulo e non sempre gli avrebbe reso le cose facili. A Sandy aveva sempre divertito molto il modo in cui Rose la conoscesse nel profondo, ma quella volta le sue parole non fecero altro che aggravare la malinconia che portava nel cuore.
Kirsten aveva ancora bisogno della sua mamma. Rose era il suo mondo, l’amava con ogni fibra del proprio corpo e Sandy non aveva idea di come avrebbe potuto colmare il vuoto che le avrebbe lasciato dentro. In quei mesi ci aveva pensato spesso, aveva cercato di capire come prepararla, come poterle stare accanto, prendendosi cura del suo dolore, ma la verità era che non ne aveva idea.
Sapeva solo che ci sarebbe stato sempre. Avrebbe fatto tutto ciò che si fosse rivelato necessario.
Lo disse a Rose, glielo promise.
« Lo so » lo rassicurò Rose, baciandogli la fronte. « Sei un bravo ragazzo, Sandy Cohen. E sei un buon marito. Quando sarà il momento, saprai cosa dirle e cosa fare. Non c’è nessuno al mondo che la conosca meglio di te e so che te ne prenderai cura. Questo mi dà sollievo. »
Fu allora che gli diede quel piccolo pezzo di carta scritto a mano, chiedendogli di prometterle che quando non ci sarebbe stata più, sarebbe stato lui a preparare a Kirsten il suo dolce preferito. E Sandy non era mai venuto meno a quella promessa. Né mai avrebbe avuto intenzione di farlo.
Aveva un debito di gratitudine nei confronti di Rose Nichol che andava oltre qualsiasi cosa lei avesse potuto chiedergli. Gli aveva dato Kirsten, aveva cresciuto una donna straordinariamente buona, gentile e intelligente; una donna tenace, caparbia e sì, testarda come un mulo , ma Sandy amava ogni cosa di lei. Anche le più difficili.
« Ma… » La voce di Kirsten lo ridestò dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo e lo portò verso l’arcata che divideva cucina e soggiorno. « Sandy, che fai? » continuò lei, inebetita. Sandy aggirò l’isola della cucina e andò ad abbracciarla. Lasciò che le proprie mani si insinuassero sotto la maglia di lana, posandosi sulla pelle calda dei suoi fianchi e, con un sorriso intenerito dai ricordi, le posò un bacio innocente sulle labbra.
« Ci preparo la cena » chiosò, poi, allontanandosi. « Visto che non possiamo andare a mangiare fuori, dovremo festeggiare in casa. »
Le gote di Kirsten si arrossarono. Aveva sposato un uomo straordinario. « Ti amo, lo sai, vero? »
Sandy annuì, baciandola ancora.
(…)
« Per rispetto a mia madre, dimmi che abbiamo una moka da qualche parte. » Kirsten si mise a frugare tra i vari ripiani dei mobili della cucina. « Se facessimo il tiramisù con il caffè della macchinetta, potrebbe tornare tra noi per strozzarci. »
Sandy, dietro di lei, era intento a mescolare lentamente la crema di mascarpone con gli albumi montati a neve. Muoveva la spatola con indulgenza, stando attento che il bianco dell’uovo non si smontasse, rendendo così la crema troppo liquida.
« Io non ci scherzerei troppo. Sarebbe possibile. » Rise, poi alzò lo sguardo dalla ciotola bianca e voltò il capo per cercare di scorgere sua moglie con la cosa dell’occhio. « Guarda qui in basso, l’ultima volta mi pare di averla messa lì. » Con l’ausilio del piede, Sandy diede un colpetto allo sportello in basso dietro di lui per indicarle dove guardare.
Fortunatamente, la sua memoria era ancora eccellente. Così, armata di moka, Kirsten iniziò a pressare la miscela di caffè italiano nel filtro. Era impressionata: Sandy aveva cucinato per filo e per segno tutti i suoi piatti preferiti, che avevano riempito la cucina di un mix di profumi intensi, ma buonissimi.
Vedere quanto si era dato da fare aveva ancora il potere di farle sentire le farfalle nello stomaco. Non conosceva molte coppie che dopo oltre vent’anni insieme erano riuscite a mantenere intatto il sentimento che le univa; lei e Sandy, invece, avevano fatto del tempo che passava il nutrimento del loro amore.
Anche se non erano più due ragazzini, non smettevano di corteggiarsi, stuzzicarsi e coccolarsi, anche con piccoli gesti, o con serate folli come quelle. Era rassicurante rendersi conto ogni giorno di aver trovato il proprio posto nel mondo, una persona tra sette miliardi che è stata fatta a posta per amarti ed essere amata da te.
Mentre la moka iniziava a cantare e Sandy disponeva il primo strato di crema in una piccola coppetta di vetro, Kirsten si voltò verso di lui, abbracciandolo da dietro. Teneva le braccia ben salde sul suo petto e gli baciò prima la spalla, poi la guancia.
« Grazie » gli mormorò all’orecchio, rimanendo in quella posizione finché il caffè non la obbligò ad allontanarsi.
Lo versò in una ciotola poco profonda che poggiò sul tavolo da lavoro di Sandy.
« Vuoi una mano » gli chiese.
Lui annuì. « Tu intingi. Io spalmo. »
E senza farselo ripetere due volte, Kirsten iniziò ad intingere i savoiardi nel caffè per due secondi. Li contava a bassa voce e subito estraeva il biscotto, che altrimenti si sarebbe ammorbidito troppo. Poi lo posizionava nelle coppette che Sandy predisponeva e per lei e infine lui le ricopriva con un ulteriore strato di mascarpone e abbondante spolverata di cacao.
Dopo che ne ebbero contate nove, decisero che poteva bastare. Sandy guardò i rimasugli della crema di mascarpone: ne erano rimasti due cucchiai abbondanti, così ne prese uno con la spatola e lo avvicinò alla bocca di Kirsten, di fianco a lui.
Lei, dapprima colta di sorpresa mentre cercava un pezzo di carta da cucina per pulirsi le mani, si lasciò imboccare dal marito, avvolgendo con le labbra la punta della spatola di legno.
« Mmh » mormorò, in estasi. « È perfetta. »
Sandy gongolava. Era esattamente ciò che sperava di sentirsi dire.
Le sorrise, e senza esitazione prese le dita Kirsten tra le sue e si avvicinò le punte alla bocca. Lentamente le lambì una ad una, leccando via il caffè che si era depositato sulle prime tre.
« È caffè italiano » dichiarò, ad opera ultimata, « sarebbe un vero peccato sprecarne anche solo una goccia. »
(…)
La serata era trascorsa serena. Avevano cenato sotto le stelle, scaldati dalla fiamma del camino, mentre in sottofondo suonava Don’t give up on me . Sulle note di quella canzone, le aveva teso la mano e l’aveva invitata a ballare, prima del dessert. Erano rimasti stretti l’uno all’altra, così vicini da fare di una sola mattonella la loro pista da ballo. Sandy di tanto in tanto le canticchiava il testo all’orecchio e lei si lasciava coccolare dalle sue parole e dalle sue braccia, mentre giaceva con la testa sulla sua spalla.
Era stata una serata perfetta.
Romantica come non se ne vedevano neanche nei film e lui era stato semplicemente magnifico.
Alle volte persino lei, che lo conosceva meglio di chiunque altro al mondo, si sorprendeva di quanto Sandy Cohen potesse essere tanto attento ad ogni particolare. In quei ventitré anni insieme aveva collezionato centinaia di informazioni su di lei, dettagli talmente piccoli che era lui a farglieli notare: Kirsten non ci faceva neanche caso.
Sandy aveva costruito il loro amore sui dettagli: fin dai tempi del college, quando le portava in stanza il suo caffè preferito, per arrivare a quella sera dove ogni cosa aveva un significato.
Le candele profumate erano agli agrumi, le sue preferite. Le accendeva quando aveva voglia di rilassarsi o quando faceva un bagno caldo. Spesso, quello che iniziava come un placido giovedì sera, si trasformava in gioco erotico tra loro, che prevedeva il povero Sandy con i vestiti fradici.
Quante volte l’aveva raggiunta in bagno, dopo il lavoro, per salutarla con un bacio innocente e lei lo aveva tirato per la cravatta dentro alla vasca?
E quante volte lui era tornato a casa con un mazzo di tulipani bianchi e azzurri semplicemente per strapparle un sorriso; Sandy era l’unico a sapere che quelli erano i suoi fiori preferiti ed era anche l’unico a sapere perché. Glielo aveva rivelato al college, mentre, passeggiando per le vie del centro, si erano imbattuti in una piccola fioreria che aveva decine di mazzolini di fiori diversi esposti nei vasi all’esterno e lei si era fermata a guardare i tulipani; fu lì che gli spiegò che le ricordavano sua madre: la botanica era la passione di Rose e gliel’aveva trasmessa, in casa loro non mancavano mai fiori freschi, che spesso provenivano dal giardino.
Da allora, Sandy gliene regalava un mazzo per ogni ricorrenza importante, compreso il compleanno di sua madre.
Adesso erano distesi a letto, l’uno nelle braccia dell’altra, si accarezzavano teneramente la pelle nuda, fissando il soffitto su cui si proiettavano le ombre e i giochi di luce delle candele.
Il profumo di rose fresche stava inebriando i sensi di entrambi, cullandoli dolcemente, mentre la scatola di cioccolatini si era ritrovata sul pavimento dopo che entrambi avevano fatto le dovute razzie.
Anche Sophie Rose era stata collaborativa quella sera: si era svegliata solo poche volte durante la cena e aveva reclamato la pappa subito dopo, per il resto aveva continuato a dormire come un ghiro, lasciando ai suoi genitori l’opportunità di godersi quella notte come non accadeva da tempo.
Kirsten si voltò su un fianco, poggiando il viso sul petto di Sandy e avvolgendolo con un braccio. Trovò una posizione che le fosse confortevole e incastonò le gambe tra le sue.
« Il miglior San Valentino della Storia » mormorò all’orecchio del marito, baciandolo poco sotto.
Sandy ridacchiò e lasciò scivolare una mano lungo la sua schiena, accarezzandola con la punta delle dita. « della Storia fino ad adesso » scherzò.
« Lo sai che sarà difficile fare meglio? » lo assecondò lei, ma Sandy non si faceva scoraggiare.
« Mi sottovaluti, amore mio. »
Kirsten arricciò il nasino a bottoncino contro il suo collo. « Mai. »
Entrambi risero a bassa voce, godendosi il suono delicato del tamburellare della pioggia fuori dalle finestre. Giocavano con le dita dell’altro placidamente, aspettando che il sonno li cogliesse e intanto guardavano le flebili fiammelle delle candele danzare, consumandole lentamente.
« Lo avresti mai detto che dopo tutti questi anni ci saremmo ritrovati in questa casa con un neonato? »
Sandy guardò in basso, verso il viso di sua moglie e lo accarezzò dolcemente, spostando qualche ciocca di capelli biondissimi. « No, neanche in un milione di anni. » Le sorrise, poi continuò. « Ma è il bello della vita. »
Kirsten non poté che dargli ragione e convenire che la loro era decisamente imprevedibile .
« Ed è una cosa positiva » insistette Sandy, « noi abbiamo una capacità straordinaria di reinventarci e di reinventare il nostro rapporto. È il nostro segreto. »
Nel sentire quelle parole, Kirsten si tirò su con gli avambracci, rimanendo sospesa sopra al petto del marito. Posò un bacio innocente sulle sue labbra e lì sostò per un poco, lasciando tra loro giusto lo spazio per un filo d’aria.
« Ti amo » gli mormorò, chinandosi nuovamente su di lui e Sandy l’accolse tra le braccia, sfruttando quel contatto per stringerla e portarla sotto di sé. Spostò i baci sul collo, poi sull’orecchio.
« Ti amo » le fece da eco, catturando il lobo del suo orecchio tra i denti.