Actions

Work Header

L'arpa

Summary:

Findaráto pensa di avere un po’ di tempo da dedicare alla sua musica, ma non ha fatto i conti con un ospite inatteso.

Notes:

(See the end of the work for notes.)

Work Text:

 

Nella biblioteca del Palazzo Reale c’è un’arpa. Risale a prima che nascesse suo padre, forse anche prima che nascesse Fëanáro. Tra le vetrate che volgono a occidente, tra gli ampi scaffali di legno intarsiato che arrivano fino al soffitto adorno di affreschi, e i lunghi tavoli di mogano lucido, l’arpa risplende con la sua sinuosa mensola dorata, la cassa di risonanza imponente, la colonna di sostenimento scolpita con disegni di uccelli dalle ali multicolori. 

A Findaráto è concesso suonarla. Il nonno lo accoglie volentieri, sostiene che non ha senso avere uno strumento del genere per lasciarlo inutilizzato, e si rammarica, talvolta, perché Kanafinwë non frequenta molto il Palazzo e Findekáno preferisce la propria, che è più piccola e meno appariscente.

Findaráto la suona perché dai suoi tre ordini di corde si trae una musica completa di tutti i semitoni. E anche perché ama posare le sue dita su uno strumento prezioso e unico, di cui non c'è l'uguale in tutta Valinor. Quando riesce a essere sincero con sé stesso, ammette che lo fa anche perché sa che si sparge la voce.

“Il primogenito Arafinwion suona come un Ainu”, sussurrano dietro la porta i servitori di suo nonno.

In realtà, lui non è bravo come suo cugino Kanafinwë, non ha una dote naturale come il Fëanárion. Ma sa cosa vuol dire impegnarsi a fondo, con ostinazione, e trae diletto dall’imparare nuove cose, e questo gli basta per riuscire bene in tutte le arti alle quali si applica. Inoltre la musica lo affascina, perché si accompagna al canto, ed è lì che, ultimamente, sta mettendo alla prova le sue abilità. Sta imparando a caricare la voce di energia, e le parole di potere.

Ma non oggi. Oggi desidera solo completare la sua opera.

Sta componendo un brano che vuole simboleggiare il passaggio dal vecchio mondo al nuovo. Pretenzioso, direbbe sua sorella, che non si lascia mai sfuggire un’occasione per provocarlo. Sì, pretenzioso. Ma lui crede che solo puntando al massimo si riesca a fare qualcosa di sublime, e crede anche di avere tutte le capacità per farlo. Ha già composto una melodia per la prima parte, potente e minacciosa come la tempesta, a tratti cupa come la notte, a tratti ritmata come una marcia. Ha già composto anche la seconda parte, che è un esplodere di gioia, due temi vivaci come scintille, simili eppur diversi, che maturano in tempi differenti e poi si intrecciano, e si sovrappongono, per poi tornare a separarsi.

Ma non riesce a colmare quelle poche battute di raccordo tre le due parti.

È in cerca di una manciata di note, Findaráto, che scarabocchia su un pezzo di carta appoggiato su un tavolino basso accanto a lui, chinandosi di tanto in tanto, i capelli una cascata d'oro che gli scivola ai lati del viso, le ampie maniche della veste verde smeraldo ripiegate per lasciare le mani libere di correre sullo strumento.

Scrive, pizzica le corde, e poi cancella. Metodico, nemmeno un po’ seccato. Sa che quelle note sono lì da qualche parte, e che prima o poi le troverà. È solo questione di tempo e di costanza, e lui li possiede entrambi.

Quando la porta della biblioteca, che lui tiene socchiusa di proposito perché la sua musica si oda nel corridoio, si apre, Findaráto alza il viso, sereno, per vedere chi è entrato.

È un giovane Elda, che tiene tra le mani un fascio di pergamene arrotolate e sotto il braccio un astuccio di tela.

Impossibile non riconoscerlo, anche per chi non l’abbia mai visto.

La compostezza fatta a persona, la schiena dritta, lo sguardo fiero, i capelli raccolti in una treccia scurissima, il giovane Curufinwë, a una prima occhiata, sembra la copia dell’Elda da cui ha preso il nome. Ma là dove il padre sprigiona il suo fuoco, e abbaglia, lui lo incatena e lo cela.

Solo un leggero aggrottarsi delle sopracciglia, che passerebbe inosservato a tutti tranne che a uno attento come lui, rivela il fastidio provato dal cugino nel vedere che la biblioteca è già occupata.

Findaráto approfitta di quell'attimo di esitazione per parlare: – Entra pure Curufinwë, non mi disturbi – dice, concedendogli un permesso che il cugino non ha richiesto e che, senza dubbio, non ha avuto alcuna intenzione di richiedere.

Sono state poche, per lui, le occasioni di incontrare il giovane Fëanárion prima d'ora, ma lo conosce attraverso i racconti di altri cugini, e ciò che non gli hanno riferito loro glielo legge in faccia come un libro aperto.

O così crede.

– Mio padre è a colloquio col Re – dice Curufinwë, come se il Re non fosse anche suo nonno, – ma io ho del lavoro da fare e non amo perdere tempo.

Si dirige a un tavolo e dispiega un rotolo, slega i lacci dell'astuccio e ne trae alcune matite che dispone accanto al foglio.

– Ma tu continua pure – prosegue, – sono in grado di isolarmi da qualsiasi rumore. 

E piega un angolo della bocca nel pronunciare quelle parole. Poi, non degnandolo più della minima considerazione, si dedica a osservare il suo disegno in silenzio.

Findaráto si sofferma a guardarlo. Non accade sovente che qualcuno lo ignori, è abituato a trovarsi al centro dell’attenzione, esattamente dove gli piace stare. E ancor meno accade che la sua musica venga definita rumore.

Curufinwë è rapito dal suo disegno, lo sguardo concentrato, le palpebre socchiuse, una mano aperta sul foglio, l’altra che accarezza inconsapevole un gioiello che porta al collo.

Findaráto riprende il suo lavoro. Suona la fine del primo brano, sperimenta qualche nota, attacca l’inizio del secondo. Ma la sua mente è distratta. Si chiede che cosa sia l'opera che attira l’interesse del cugino al punto da non aver alzato nemmeno la testa all’udire la sua musica perfettamente eseguita.

È un gioiello, un progetto, una copia dal vivo? O sono calcoli matematici? Torna a dedicarsi allo strumento, ma ogni tanto lancia un'occhiata al giovane Elda, intento a esaminare la carta davanti a sé, immobile come una statua, non fosse per quella mano che si fa scorrere il gioiello tra le dita.

Findaráto ha un difetto. Ha un unico difetto, in realtà, anche se sua sorella avrebbe qualcosa da ridire a questa precisazione. È curioso. Passato qualche momento, non resiste e si alza. Si avvicina al tavolo al quale sta lavorando il cugino. Si ferma poco distante e osserva il disegno. Sulle prime non capisce di cosa si tratti, da lì non riesce a vedere tutto il foglio, ma può intuire che è il progetto di un macchinario. Vede ruote dentate e perni, e tubi.

Curufinwë alza lo sguardo, e lui gli legge sul viso la lotta tra il desiderio di liberarsi dello scocciatore e quello di mostrare il lavoro nella sua interezza per esibire la sua bravura.

Findaráto sorride dentro di sé, non sono poi così diversi loro due, a quanto pare. A questo punto non gli resta che aspettare: sa cosa prevarrà.

Infatti, dopo qualche istante, il cugino sposta leggermente il foglio in modo che lui abbia una visuale migliore. Findaráto si avvicina. Non è il progetto in sé, che lo colpisce (una macchina idraulica di cui riesce con facilità a comprendere il principio su cui si basa), ma sono i dettagli del disegno, i particolari nitidi, il tratto deciso, l'assenza di cancellature. Quella capacità manuale, in una persona così giovane, denota applicazione indefessa, giornate intere dedicate ad apprendere, forza di volontà superiore alla norma.

Nessuno lo sa meglio di lui.

L’attenzione di Findaráto scivola dall'opera alle mani che l'hanno eseguita. Mani affusolate, con lunghe dita pallide, polpastrelli macchiati di inchiostro, unghie troppo corte. Ragazzino! lo chiama, dentro di sé, ma non può fare a meno di ricordare i tempi lontani in cui anche lui aveva indugiato nel vizio di rosicchiarsele. 

Gli è quasi difficile tornare a guardare il progetto: un dispositivo che sfrutta la pressione dell’acqua, incanalata in vasi comunicanti di diverse dimensioni, per sollevare una piattaforma col semplice spostarsi di una leva. Sembra già completo, ma il cugino lo esamina come se potesse ancora migliorarlo.

Quando Findaráto capisce come, prende la matita e con due tratti stilizzati schizza un pezzo aggiuntivo, un cuneo che permette alla leva di rimanere bloccata in posizione, in modo tale che l'utilizzatore abbia le mani libere per lavorare.

– Solo perché preferisco dedicarmi ad attività più nobili, non vuol dire che non mi intenda di meccanica – dice, con un tono in cui lascia trapelare la giusta dose di compiacimento.

Curufinwë alza la testa, inarcando un sopracciglio nella sua direzione. Sulle prime Findaráto lo interpreta come sorpresa, poi capisce che è qualcosa di diverso e comincia a chiedersi se in realtà non sia stato messo alla prova.

Si domanda se l'abbia superata, di qualunque prova si trattasse, e sta cercando le parole giuste per accertarsene quando si sentono delle voci in corridoio.

Il cugino chiude tutto, mette rotoli e astuccio sotto il braccio, ma invece di andare alla porta si avvicina all'arpa. Findaráto lo segue incuriosito. Ormai ha capito che non riesce a prevedere le mosse del Fëanárion, e questo lo spiazza e lo intriga al tempo stesso.

Curufinwë si china sul tavolino, prende la matita, e con il suo tratto deciso scrive alcune note che spiccano sul foglio tra le altre dal segno più leggero.

– Solo perché non mi dedico ad attività inutili, non vuol dire che non conosca la musica – dice.

Poi gli volta le spalle e si allontana senza esitare.

Findaráto non gli dà la soddisfazione di guardarlo uscire e si dedica al suo spartito. Osserva quelle piccole ellissi perfette, e si chiede se Curufinwë sappia davvero suonare o se sia soltanto finzione. Si sofferma per un attimo a immaginare le sue mani volteggiare tra le corde tese. Poi torna all'arpa ed esegue le nuove note.

Non sono quelle che stava cercando. 

Scuote la testa e si lascia sfuggire uno sbuffo, che è più una mezza risata che un segno di stizza. Quel ragazzino impertinente! Credeva davvero di essere al suo livello?

Si china sul tavolino, fa per cancellarle.

Invece alza lo sguardo sulla porta che Curufinwë ha lasciato socchiusa, come a mostrargli che sa.

Un leggero sorriso gli increspa le labbra.

No, non sono le note che stava cercando, ma Findaráto le lascia dove sono, in ricordo di chi gliele ha regalate.

Un ragazzino dalle mani abili, e dal fuoco incatenato.

 

Notes:

Grazie a chi ha letto!

Questo breve racconto nasce da uno scambio di opinioni avuto con Ghevurah sul tipo di rapporto che potrebbe aver legato i due mezzi cugini in questione. Grazie Ghev!

L’elaborazione del carattere di Curufin ha preso inizialmente spunto dalla versione che ne dà LiveOakWithMoss in DWMP, per poi evolvere autonomamente. Grazie June!

Nomi:
Findaráto = Finrod
Curufinwë = Curufin
Fëanáro = Fëanor
Kanafinwë = Maglor
Findekáno = Fingon
Arafinwion = figlio di Arafinwë, cioè di Finarfin
Fëanárion = figlio di Fëanáro, cioè di Fëanor

Series this work belongs to: