Chapter Text
Simone, negli ultimi anni, aveva iniziato inevitabilmente a sentire il peso del suo compleanno.
Era un peso opprimente che gravava sul petto ma gli comprometteva anche gli arti. Per quelle ventiquattro ore le sue gambe si facevano molli e le braccia quasi non le sentiva più. Il respiro gli si faceva corto e i desideri soffiati debolmente sulle candeline gli apparivano meno realizzabili, meno raggiungibili. La voce che li formulava, nella sua testa, era un soffio di fiato tremolante, impaurito, infreddolito ed incapace di riscaldarsi. Le candeline si spegnevano subito; a lui la gag di dover soffiare più volte su una stessa candelina, non funzionava.
Per questo aveva smesso di farlo. Aveva smesso di soffiare.
Non che Simone fosse mai stato particolarmente entusiasta di festeggiare il suo compleanno, in realtà. Non aveva molti ricordi rispetto ai compleanni festeggiati quando era piccolo. Non ricordava di palloncini colorati e torte piene di panna, non ricordava del caos infernale che i suoi amichetti armavano in casa mentre scorrazzavano da una stanza all'altra, trattando l'ambiente casalingo come se fosse un parco giochi e non ricordava neanche delle decine di voci in coro che gli intonavano uno stonato tanti auguri a te.
Non ricordava e, alla fine, neanche ne voleva.
Tutto ciò che gli rimaneva nella testa dei suoi compleanni, però, erano giocattoli, una montagna di giocattoli, giocattoli per due. Ricordava i biscotti di nonna Virginia, al cocco e cacao. Li ricordava come una sorta di appuntamento, appena sveglio la mattina. Usciva dalla sua camera, scendeva giù e, alla fine delle scale, già si trovava pronta sua madre che lo abbracciava e gli dava tanti baci, gli augurava un buon compleanno con le lacrime agli occhi e lo invitava a seguirlo in cucina, dove trovava la tavola imbandita con giocattoli impacchettati e dove al centro si stagliava imponente il barattolo più buono del mondo: quello dei biscotti della nonna che, puntualmente, gli facevano venire i mal di pancia per la quantità industriale che ingeriva. Ma a lui piaceva anche quel mal di pancia.
Proprio quei biscotti, nel tempo, erano diventati davvero l'unica cosa per cui attendeva il trenta marzo con il minimo indispensabile di euforia. I palloncini colorati non facevano per lui, gli amici che gli cantavano tanti auguri a scuola gli risultavano più falsi di una banconota da trenta euro, e per i giocattoli stava diventando troppo grande.
Crescere gli aveva sempre fatto paura.
Crescere significava iniziare a capire e contemporaneamente non capirci niente.
Che suo padre non andasse a lavorare quando mancava il giorno del suo compleanno, l'aveva capito. Cosa lo portasse a scappare da lui, cosa avesse fatto di male per portarlo a non vivere quel giorno insieme, come doveva essere, invece, non l'aveva capito per niente.
Forse lo odiava.
Non l'aveva mai voluto.
Si era stancato di loro.
Aveva trovato di meglio, in un'altra famiglia.
Erano tutte risposte plausibili e tutte risposte che facevano male.
Pensava che abituarsi al dolore fosse uno dei suoi punti di forza. Con gli anni si era abituato davvero all'assenza del padre, e quelle poche volte che Dante aveva cercato di approcciarsi a lui, tramite una telefonata o una sorpresa improvvisata (fatte sempre la sera prima o la mattina dopo il il giorno del suo compleanno, quindi giustamente, per lui, inutili), Simone l'aveva sempre prepotentemente allontanato, rifiutato, sentendosi anche un po' soddisfatto nel vederlo andarsene triste o nel sentire il dispiacere nella sua voce.
Non aveva bisogno delle briciole, Simone. Non se le meritava, lui.
Si meritava di vivere il suo compleanno libero da pressioni sociali e familiari, voleva solo passarlo con sua mamma che gli preparava le lasagne, nella casa che profumava di cocco e cacao.
Era quello il suo modo di festeggiare sé stesso, in quelle mura che lo facevano sentire protetto.
Poi Floriana era partita.
Il lavoro a Glasgow, le mille storie per provare ad andare con lei, il rifiuto categorico della madre che gli diceva sempre credimi che te ne pentirai.
Dante, che era arrivato come un fulmine a ciel sereno e Manuel, che l'aveva fatto barcollare nell'aria come una forte folata di vento durante una tempesta.
E il suo diciassettesimo compleanno pensava di aver toccato il cielo con un dito.
Gli era salito un inspiegabile e insolito moto di ribellione. Pensava di averla fatta al padre, rubando le chiavi del portone della scuola, organizzando una pazzesca festa clandestina, la prima della sua vita e, soprattutto, aveva fatto l'amore col ragazzo di cui era innamorato.
Aveva pensato, per un po', che forse le vite stravolte all'improvviso non fossero poi così brutte da vivere; aveva sperato, solo per un attimo, di riuscire a considerare il giorno del suo compleanno una data in cui fare qualcosa di diverso, un momento in cui poteva sentirsi protetto anche fuori dalle mura di casa sua, anche all'aperto, anche al fresco, anche tra la gente.
Poi Giulio era finito all'ospedale.
Manuel l'aveva ferito con cento tagli di una stessa lama, accanendosi sui suoi punti deboli.
Poi aveva scoperto di Jacopo.
E di festeggiare non c'era stato più alcun motivo.
Forse era destino il suo, pensava.
Alla fine, compiere gli anni è ironicamente avvicinarsi anno dopo anno, alla morte. Non era il caso di mettersi a festeggiare con palloncini, trombette, musiche, alcool e regali.
E neanche di mettersi a cucinare biscotti.
A niente valevano i tentativi di famiglia e amici di tirarlo su, di portarlo a bere, di festeggiare almeno con una torta, due stupide candeline su un muffin o un paio di candeline virtuali.
Non aveva senso.
L'unico che l'aveva capito, paradossalmente, era stato proprio Manuel, in quella nuova veste di migliore amico che Simone si era costretto ad accettare, nonostante tutto. Manuel, che non aveva mai "festeggiato" i suoi compleanni con lui, prima di andarsene a Milano. Si limitava a presentarsi a casa sua con una busta gigante di popcorn, sceglieva un film da Netflix e lo guardavano insieme, per poi fumare una canna e mettersi a parlare di stronzate varie che li facevano ridere a crepapelle, liberi, normali. Come se non si stesse festeggiando nessuno compleanno, come se stessero vivendo e basta. Poi addormentavano vicini, con le spalle che si sfioravano a stento.
E per Simone, anche se non del tutto, andava benissimo così.
Poi Manuel era andato via.
Festeggiare il suo compleanno era diventato chiudersi in camera, spegnere il cellulare, mettersi a studiare come un mulo e sperare che quella giornata terminasse il prima possibile. Non rispondeva neanche grazie a quei pochi auguri che gli venivano rivolti, da famiglia e da amici.
Perché non erano importanti, se tra quelli non c'erano gli auguri di Manuel.
Ciò che peggiorava la situazione era che più cresceva, più sentiva il peso di dover compiere gli anni per due metà, di affrontare quella giornata per due metà, di dover ricevere gli auguri per due metà, pur essendo una.
Non era il compleanno di Simone.
Era il compleanno di Simone e Jacopo.
Non doveva essere auguri Simone, ma doveva essere auguri Simone e Jacopo.
E quasi a nessuno pareva importare.
Le cose erano cambiate quando Manuel era tornato a Roma e nella sua vita.
Il primo compleanno insieme, i due erano tornati al cimitero e avevano passato lì tutta la giornata, mangiando un panino con speck e provola davanti alla croce di Jacopo. Gli raccontavano aneddoti, sogni, si prendevano in giro su chi russasse di più e chi intasasse lo scarico della doccia di Simone con i capelli caduti durante lo shampoo. Occasionalmente, battibeccavano col custode che ormai li aveva presi a cuore, concedendogli spesso di fare un po'come gli pareva.
Il secondo compleanno insieme, Manuel aveva organizzato una festa a sorpresa per Simone nel suo negozio, una serata karaoke come quella memorabile della sua inaugurazione, con famiglia e pochi amici. Nonostante Simone all'inizio non volesse, alla fine della festa si era reso conto che ne avesse bisogno più di quanto si era immaginato e che Manuel era davvero l'unica persona che sapeva davvero come renderlo felice, nei compleanni e nella vita.
Al terzo compleanno insieme, invece, mancavano quarantacinque minuti.
Dante e Anita erano partiti davvero per un viaggetto, sotto consiglio di Simone, per far distrarre Dante da quei giorni un po' particolari, e la casa era finalmente e completamente vuota.
Simone era mezzo disteso sul divano con la schiena poggiata al bracciolo, mentre il suo petto aderiva alla schiena di Manuel che si trovava sdraiato su di lui, tra le sue gambe.
«Sei pensieroso.»
Il sussurrò di Manuel lo riportò alla realtà. Simone intensificò le carezze tra i suoi riccioli – che andavano avanti già da un po', aggiungendo nella matassa anche la mano sinistra.
«Anche tu.» affermò di rimando, dal momento in cui aveva notato la mascella leggermente contratta di Manuel, osservandolo dalla sua posizione leggermente rialzata. Simone arricciò una ciocca attorno all'indice e iniziò a giocherellarvi distratto. «Sei ancora arrabbiato con me?»
«Un po'.» pigolò l'altro, avvicinando però ancora di più la schiena al suo petto.
«Che ho fatto adesso?» chiese Simone, posandogli un bacio tra i capelli.
«Mi hai rovinato la tua sorpresa per il compleanno, Simo'»
Un tenero borbottio mise davvero alla prova Simone che dovette trattenersi dal coccolarlo come se Manuel fosse un bambino piccolo. «E quindi? A me basti tu...» le carezze tra i capelli, intanto, continuavano leggere «...e questa casa vuota. Mi basta avere noi. Sono due anni che sono costantemente sorpreso dal fatto che mi ami, altri infarti non mi servono.» ridacchiò.
«Ma io volevo farti una sorpresa seria, bella, romantica, sconvolgente e adesso non ne ho più nessuna, oltre il matrimonio.» Manuel piegò la testa all'indietro innaturalmente per poter guardare Simone che lo osservava dall'alto. «Ma è presto, non ti fare strane idee.»
«Non me le faccio, non ti preoccupare.» Simone arricciò il naso. Poi gli prese il viso tra le mani e strinse leggermente le guance. «Mi basti tu.»
Manuel sbuffò e, invece di rispondere, si liberò dalla presa di Simone e allungò la mano nella sua tasca per estrarre il cellulare e controllare l'orario.
Mezz'ora.
Manuel si alzò di scatto mentre Simone aggrottò le sopracciglia.
«Che fai?» Simone si sentì spaesato per l'assenza improvvisa di contatto.
«Finisciti di preparare che usciamo.» si mise il cellulare in tasca e fece per alzarsi, ma Simone lo fermò per un polso.
«Eh?»
Manuel si allungò verso Simone per lasciargli un dolcissimo bacio sulla fronte.
«Ho detto: finisciti di preparare e poi usciamo.» si infilò le scarpe di fretta e si alzò, avviandosi verso le scale. A metà strada si sentì un urlo. «Te movi???»
Simone, molto lentamente, si mise seduto sul divano, infilò le scarpe e balzò in piedi, guardando il suo outfit che era buono per tutto, tranne che per uscire di casa. «Ma abbiamo casa libera, perché dobbiamo uscire?» urlò, sperando che Manuel lo sentisse.
«Perché la casa doveva essere la mia sorpresa, ma a causa delle maledette coincidenze del cazzo non lo è più.» urlò mentre si riaffacciava sulle scale. «Solo che adesso, e direi pure pe' fortuna, m'è venuta n'idea migliore. Solo se te movi, però, che già è tardi.»
Simone sorrise mordendosi il labbro e lo raggiunse in camera sua, pensando a come rendersi leggermente più presentabile.
«Dove lo mette tu' padre er vino mo?» gli chiese Manuel, mentre nel bagno si asciugava il viso, dopo averlo lavato.
Simone, alle sue spalle, lo guardò attraverso lo specchio, mente provava ad aggiustarsi qualche ricciolo ribelle. «Ha deciso de mette' tutto nel ripostiglio fuori.» rispose. «Perché?»
Manuel si voltò per lasciargli un bacio fugace sul collo. «Non te li ammaccare che i riccioli ribelli me piacciono. Finisciti di preparare che arrivo subito.» disse, e uscì dal bagno con una certa fretta.
«Ma mi dici che hai in mente?» gli urlò Simone dalla porta, ma non ottenne risposta e si rese conto che Manuel era già abbondantemente sgattaiolato via.
Si guardò allo specchio più e più volte. Quello dove avevano cristallizzato il proprio amore.
Non sapeva cosa avesse in mente Manuel e se da una parte pensava non fosse importante perché qualsiasi cosa con Manuel sarebbe stata la migliore – soprattutto dopo quei giorni in cui erano stati lontani – dall'altra si sentiva una strana euforia addosso. Manuel sapeva sempre sorprenderlo, anche con piccole cose. Piccoli gesti, piccole accortezze, anche solo piccole parole, tutte cose che il suo ragazzo considerava estremamente banali, un niente di che, ma che per Simone erano il mondo, più immense di qualsiasi gesto plateale che avrebbero mai potuto fare per lui
«Simoneee...» si sentì richiamare dal piano inferiore.
«Si?»
«Andiamo??»
Con un sorrisino stampato sul viso, dopo essersi dato un'ultima e rapidissima occhiata, uscì dal bagno, prese il cellulare e si precipitò al piano inferiore, trovando Manuel con una bottiglia di vino in mano. «Lambrusco di Modena.» constatò il riccio, entusiasta.
«Il preferito di papà.» allargò leggermente le braccia.
«Non l'hai mai voluto bere a tavola.» Manuel si avvicinò a lui mostrandogli la bottiglia, con aria di superiorità.
«Ci ho fatto l'abitudine a berlo la domenica con lui, non mi entusiasma più come una volta.» ridacchiò Simone, alzando la bottiglia tra le sue mani per leggere meglio l'etichetta.
Manuel si lasciò scappare una risata che lasciava poco all'immaginazione.
«Questo lo vedremo.»
-
Il garage di Manuel non veniva aperto da mesi e si vedeva. A parte la polvere, che però si era depositata solo dove non c'erano lenzuoli a coprire oggetti e superfici, c'era un disordine che solo a vederlo Simone si era quasi sentito male.
Però, pensò, questo è uno dei nostri posti.
Infinitamente disordinato, schifosamente sporco, sede di affari illeciti, di pelli macchiate, luogo di sguardi carichi di desiderio su schiene ignare, di discorsi sul senso della vita in preda ai fumi dell'erba.
Tuttavia «Perché siamo qui?» chiese Simone, spinto dalla curiosità.
Manuel chiuse attentamente la porta a chiave e accese l'unica lampadina presente lì dentro. L'illuminazione, per Simone, era perfetta, d'atmosfera, e gli regalava sfumature sul viso di Manuel che lo rendevano ancora più bello. Come regalo di compleanno già mi basta questo.
Manuel, intanto, si era poggiato ad una vecchia bicicletta che aveva riparato anni prima ma che il proprietario non era mai andato a ritirare. «Te ricordi la prima volta che sei venuto qua, Simo'?»
Simone annuì e le sue guance si imporporarono. Si sentì un coglione e forse lo era, ma non poteva fare a meno di arrossire ricordandosi di quanto fossero belli gli occhi che aveva incontrato quel giorno, in quel posto. Di quanto ne fosse rapito, ammaliato, schiavo, contro la sua volontà.
Manuel si allontanò dalla bicicletta e, lentamente, raggiunse il fondo del garage, seguito da Simone ancora rosso in viso e leggermente confuso. «T'ho fatto 'n migliaio de buchi sulla pelle.» disse scoprendo un bancone ricoperto da uno dei lenzuoli bianchi.
Simone riconobbe la macchinetta per tatuaggi e tutto l'occorrente, ancora imballato.
«Ce l'hai ancora?» sgranò gli occhi, sorpreso.
Non ne avevano mai più parlato, Simone ci stava facendo caso proprio in quel momento.
«Seh. Dovevo venderla, sai? Insieme a quest'altra roba, per farci un po' di soldini, tipo pacchetto.»
«Però?»
«Però non ce l'ho fatta.» Manuel si morse nervosamente il labbro inferiore. «Non l'ho usata da quel giorno, neanche su di me. L'ultima pelle che ha toccato è stata la tua.» si girò verso l'aggeggio e lo prese, facendo segno a Simone di avvicinarsi e sedersi sulla sedia vicino al banchetto.
«C-Che vuoi f-fare?» balbettò Simone, che ogni volta che pensava a quegli aghi di sentiva male, anche se, nella realtà, era più preoccupato di quello che Manuel aveva in mente.
«Nun te fidi?» ridacchiò l'altro, piegando la testa di lato.
«No- cioè sì.» prese un respiro «Solo che non voglio pentirmi di ciò che disegnerai.»
«Amore ti devi fidare di me, mh?» gli disse Manuel più seriamente. Gli tese la mano, sorridente e Simone, dopo un po' di titubanza, annuì afferrandola. Manuel gliela baciò, come un gentleman e finalmente lo fece sedere.
«Dammi il polso.» gli ordinò.
Simone lo guardò ancora un momento. «Oh, niente tatuaggi di coppia.»
«Ma che sei scemo?!» gli arrivò uno schiaffo dietro la nuca. «Ma per chi m'hai preso!» mise su un finto broncio mentre Simone, ridacchiando, gli aveva già posizionato il polso nel modo giusto per farsi tatuare. Manuel seguì tutte le procedure solite, quelle in cui Simone si era perso ad osservarlo anni prima.
«Posso guardare?» chiese.
«No.»
«Neanche come l'altra volta?»
«Perché, che guardavi l'altra volta?»
«Te.»
Manuel alzò lo sguardo sul viso di Simone e arrossì. Dopo pochi secondi, si ritrovò a sospirare sconfitto. «Va bene. In quel modo puoi guardare, basta che non guardi il polso.»
«Va bene, amore.» disse Simone, con enfasi, mentre Manuel prendeva posto su un'altra sedia vicino a lui.
Fu allora che agganciò gli occhi a quelli di Manuel, prima che passasse ad incidergli la pelle. Lo stesso sguardo di anni prima, gli stessi occhi ambrati che ora riusciva a vedere sotto una luce diversa, un po' a causa dell'illuminazione, un po' perché adesso quegli occhi li capiva. Si ritrovò a stringere i suoi a causa del pizzicore dell'ago e istintivamente portò lo sguardo su quello che stava succedendo al suo polso, ma Manuel – che secondo Simone aveva orecchie e occhi ovunque, come il padre – lo rimproverò. «T'ho detto nun guarda'.»
Simone soffocò una risata e rialzò lo sguardo. «È qui che mi sono innamorato di te.»
Manuel staccò un attimo la macchinetta dalla pelle di Simone, deglutì e poi tornò a lavoro. «Addirittura.»
«Mh, mh.» annuì con forza, tanto poteva vederlo. «Forse avevo una bella visuale del tuo naso.» scherzò.
«Nun te move' e smettila, te sei fissato co' 'sto naso!»
«Hai un bel profilo quando ti concentri.» constatò Simone, più seriamente.
Manuel alzò il viso e scrutò bene quello di Simone. «Tu lo hai sempre, invece.» disse, portando di nuovo lo sguardo sul polso. «Io non me so' innamorato di te quel giorno, però ho capito che in te ce stava tanto da cui avrei potuto impara' qualcosa. Non eri così male come pensavo, in fondo. Soprattutto, non eri così debole come ti credevo. A parte 'a fifa pe' i buchi sulla pelle, sentivo che c'era molto di più nei tuoi occhi.» continuò. Spense un attimo la macchinetta per avvicinarsi a Simone e lasciargli un bacio leggero sulle labbra. «Buon compleanno, amore. Sei la persona più forte che io conosca.» sorrise, facendo scontrare i loro nasi.
Simone sorrise e col polso libero afferrò il viso di Manuel, schioccandogli una miriade di baci sonori sulle labbra. «Grazie amore. Sei sempre stato i miei compleanni più belli.»
Sentì Manuel tremare e gli accarezzò lo zigomo col pollice. «Posso guardare ora?»
Manuel annuì, staccandosi di poco e Simone abbassò lo sguardo sul suo polso.
JS
«Buon compleanno anche a Jacopino.» sussurrò Manuel, tenendo lo sguardo fisso sul viso di Simone che intanto guardava intensamente il tatuaggio.
Simone senti il cuore in gola e gli occhi riempirsi di lacrime.
Con Manuel lo era sempre.
Con Manuel era sempre auguri Simone e Jacopo.
E lo sarebbe sempre stato.
«Buon compleanno Jacopo.»
-
La cosa più bella, per Simone, era rispettare le tradizioni dei compleanni con Manuel, quei pochi che avevano passato insieme. Il riccio aveva scoperto che in casa c'erano delle buste di popcorn non ancora scadute, così le recuperò portandole in garage.
Ne avevano mangiate due, con Simone seduto ancora sulla seggiolina e Manuel seduto in braccio a lui. Avevano preso il vizio, anche in casa, di mettersi in quella posizione scomoda a fare le cose più stupide, a parlare di tutto e di niente, eppure ci stavano benissimo. Potevano sentire i loro corpi vicini, potevano guardarsi bene in viso, potevano avvinghiarsi durante i baci, potevano sussurrarsi all'orecchio.
Se potevano fare anche solo una di quelle cose, per loro era la posizione più comoda del mondo.
Improvvisamente Manuel balzò in piedi, alzando l'indice in alto. «Me stavo scordando er pezzo forte!» si allontanò un attimo e Simone lo vide recuperare la bottiglia di Lambrusco e due bicchieri di plastica.
«Nella plastica?» Simone mise su un'espressione di disgusto, solo per prenderlo in giro.
«Oh, t'arrangi.» protestò Manuel. Poi guardò la bottiglia e assottigliò gli occhi. «Anche a noi due non servono per forza i bicchieri...»
«Ah, no. Adesso lo voglio nel bicchiere.» Simone incrociò le braccia e Manuel alzò gli occhi al cielo. Sbuffò prima di versarne una metà in un bicchiere, porgendolo a Simone.
«Tie'.»
«Ah, si offre così il vino?»
«Simo' non fare il coglione, dai.»
«È divertente.» rispose Simone.
«Che?»
«Vederti imbronciato. E volerti mangiare la faccia di baci quando fai così...» si allungò per prendere il bicchiere di vino ma Manuel si allontanò.
«Eh, no no no. Mica se fa così.» Manuel scosse la testa, schioccando la lingua sul palato. «Gentilezza.»
«Okay.» soffiò Simone, divertito. «Posa la bottiglia e vieni qui col bicchiere.» gli ordinò perentorio.
«Ma lo devo ancora mettere a me...» disse stringendosela al petto, come se qualcuno volesse rubargliela.
«Fidate tu di me, stavolta.» insistette Simone, più dolcemente.
Manuel posò la bottiglia sul banchetto e si avvicinò, sedendosi di nuovo sulle sue gambe. Gli porse il bicchiere ma Simone scosse la testa. «Il festeggiato sono io, dovrei offrire io.»
«Quindi, dovrei berlo io?» lo guardò Manuel, confuso.
Simone scosse di nuovo la testa e cercò di mantenere l'espressione più seria possibile mentre, guardando Manuel dritto negli occhi, inzuppava l'intero dito indice nel bicchiere, lasciandolo lì per qualche secondo.
Manuel guardò quel gesto, poi Simone e aggrottò le sopracciglia mentre la bocca si contorceva in una smorfia. «Ma che schifo!» esclamò. «Io mica me lo bevo mo'.»
«Ah, no?»
Manuel scosse la testa.
«E infatti mica lo devi bere.» Simone introdusse nel bicchiere anche il dito medio. Attese ancora qualche secondo, poi con l'altra mano afferrò il bicchiere dalla mano di Manuel e lo posò, togliendo dal recipiente anche le due dita che, gocciolanti, si posarono sulle labbra di Manuel, disegnandogli il contorno, con cura e lentezza.
Bastò poco a Manuel per capire, e gli si illuminarono gli occhi. Aprì la bocca e tirò fuori la lingua per leccare il vino dai polpastrelli, poi schiuse con decisione la bocca sulle dita, arrivando alla base.
Simone a quella visione si lasciò andare con la schiena alla sedia e trattenne un gemito.
Manuel socchiuse gli occhi ed iniziò a leccare e succhiare con devozione le dita di Simone.
La lingua di Manuel era calda, era viva, era sulle sue dita ma gli pareva di sentirla ovunque. Quando Manuel iniziò a gemere, intensificando il movimento, Simone senti i pantaloni stringersi con prepotenza e quel gemito non riuscì proprio a trattenerlo. «Manuel.» disse con voce roca. «Certo che sei diventato proprio bravo.»
«Mh?» mugolò Manuel prima di succhiare le sue dita ancora una volta, rumorosamente. Poi, se ne distaccò leccandosi le labbra. Si avvicinò all'orecchio di Simone e gli mordicchiò il lobo. «Se me lo dici con questa voce, io casco ai tuoi piedi Simo'.» sussurrò, poi scese a lasciargli dei baci suo collo. Con la stessa mano le cui dita erano precedentemente nella bocca di Manuel, Simone gli afferrò il viso e portò le labbra vicino al suo orecchio. «Questa voce?» sussurrò cercandolo di imitare il tono di prima.
«Sì.» soffiò Manuel, col respiro spezzato.
«Questa ho.» continuò. «E con questa ti dico che sei diventato davvero, davvero, davvero bravo.»
Fu un movimento di cui Simone inizialmente neanche si rese conto e, in pochi secondi, si ritrovò Manuel inginocchiato davanti a lui.
Oh, cazzo.
«Te l'avevo detto che sarei cascato ai tuoi piedi.» disse con tranquillità, guardandolo dal basso. Poi allungò una mano e senza troppi convenevoli gli sbottonò i jeans e li abbassò, in un solo colpo, insieme ai boxer. Gli tirò via le scarpe per potergli togliere i vestiti di sotto completamente e quando fu libero, Manuel si posizionò proprio al centro.
Simone lo osservava con le labbra schiuse, mentre gli occhi di Manuel, da sotto le ciglia lunghissime, si fissarono nei suoi.
Pochi convenevoli ancora, pochi secondi ancora e Manuel raccolse la saliva nella bocca facendone scendere un rivolo sull'intimità di Simone, per poi spargerla con la mano su tutta la lunghezza. Poi, come aveva fatto con le dita, schiuse le labbra prima leggermente sulla punta, poi su tutta la lunghezza, lento ed estenuante, fino ad arrivare alla base.
Simone si accorse dello sforzo che stava compiendo, ma la gola di Manuel era così libera, così profonda, che non ce la fece a smuoverlo di lì e Manuel, d'altra parte, non ne aveva l'intenzione.
Dopo poco tornò indietro con la bocca per poi ripetere il movimento, sempre lentamente, mandando in completa estasi Simone, quel Simone a cui Manuel, nell'intimità, faceva sempre lo stesso effetto di quella notte in cui aveva compiuto diciassette anni, un adolescente esageratamente eccitato a causa della stessa persona che però, finalmente, poteva viversi tutti i giorni in ogni gesto dolce o rude che era capace di regalargli in quei momenti.
Manuel aumentò il ritmo, gradualmente, succhiando e leccando in alternanza.
«Cazzo, Manuel.» si lasciò sfuggire Simone, tra un sospiro e l'altro. «Sei la cosa più bella che abbia mai visto.»
A quelle parole, sussurrate a stento e con voce roca, Manuel afferrò una delle sue mani e se la portò dietro la testa, in una tacita richiesta.
Simone strinse.
Strinse forte i capelli, tirandoli un po' – Manuel gemette perché amava quando lo faceva – e portò in avanti il bacino, affondando ritmicamente nella sua bocca, nella sua gola calda e accogliente. Resistette all'istinto di chiudere gli occhi e gettare la testa all'indietro, solo perché aveva un bisogno viscerale di vedere con i propri occhi tutta quella meraviglia che sembrava stesse consumando e rigenerando il suo corpo in un continuo e piacevole infinito.
Sentiva il calore irradiarsi in tutto il suo corpo, mandandolo letteralmente a fuoco.
«Manuel...sto...» gracchiò, quasi all'apice.
Ma Manuel non si mosse da lì e Simone ritrovò a liberarsi nella sua bocca con un urlo per niente trattenuto. Il riccio aspettò qualche attimo e poi succhiò l'ultima volta, staccandosi lentamente. Aprì la bocca, ancora piena e Simone credette ufficialmente di essere finito nel posto più sperduto dell'inferno con Lucifero che non smetteva di farlo impazzire.
Manuel si leccò le labbra e, finalmente, le chiuse ingoiando.
Si guardarono per molto, molto tempo, entrambi con le gote arrossate, le fronti sudate, il respiro affannato.
«E io che a diciassette anni credevo di aver avuto il regalo di compleanno migliore.»
Manuel sorrise, un po' imbarazzato, e fece scorrere le mani sui fianchi di Simone.
Il corvino aveva intuito che a Manuel piacessero da morire i suoi fianchi, che fossero una sorta di punto debole. L'aveva capito dal modo in cui li stringeva sempre mentre affondava in lui.
Come a Manuel non piaceva la sua fronte libera dai capelli, a Simone non piacevano i suoi fianchi e, paradossalmente, erano entrambe la cosa preferita dell'altro.
«Sei bello» Manuel gli diede un bacio sul ginocchio «sei buono» uno poco sotto l'ombelico «sei mio.» si alzò per dargliene uno sul collo ma Simone, con ancora le dita fra i suoi capelli, se lo tirò sulla bocca, baciandolo con foga.
Sentiva ancora il proprio sapore mischiato alla saliva di Manuel e a quel goccio leggiadro di vino.
Era buono il Lambrusco, alla fine.
Appena staccati per riprendere aria, Manuel tornò in ginocchio e si avventò con la bocca sul fianco destro, in cui affondò i denti, facendo lamentare Simone per un piacevole, inaspettato e leggerissimo dolore. Terminò l'opera poco dopo, sorridendo soddisfatto.
«Te sta sfuggendo la cosa dei tatuaggi.» ridacchiò Simone, toccando il naso di Manuel con l'indice, poi guardando il segno rosso che gli aveva appena lasciato.
«E io che non avevo finito...» Manuel alzò le spalle, sorridendo maliziosamente.
«Eh?»
Simone non lo stava seguendo più.
«Beh, c'è ancora il lato sinistro...» rispose Manuel, passando il palmo proprio su quella zona.
«No, okay.» Simone poggiò una mano su quella di Manuel, bloccando il movimento. «Ho capito che...che s-sì...» balbettò «però basta mangiarmi...»
«Nono, stavolta torno ad usare l'inchiostro.» lo rassicurò Manuel. «Mi sa che ti devi fidare di nuovo di me.»
A quel punto, Simone preferì stare zitto. Si alzò solo un attimo per far scricchiolare la schiena e poi si sedette, mettendosi in una posizione comoda per Manuel che, con minuziosità, iniziò a disinfettare la zona.
«Posso guardare?» chiese Simone, timidamente, tremando per l'aria che causava i movimenti di Manuel che, inevitabilmente, gli accarezzava tutto il basso ventre.
«Questo sì.»
Quando Manuel si mise finalmente a lavoro, Simone provò a concentrarsi per capire cosa gli stesse tatuando. Le linee erano molto sottili, il suo solito stile, ma nette e precise. Quasi geometriche.
Una base rotonda, un gambo, una u, un coperchietto rotondo, un'ondina al centro.
«É un calice di vino?» Simone spalancò gli occhi, dopo aver collegato i pezzi – visti da lui sottosopra.
«Perspicace.» ridacchiò Manuel, pulendo la zona dall'inchiostro per l'ultima volta.
«Perspicace? Ma come parli ao?»
«Tu sei tutto scemo.» lo rimbeccò Manuel sorridendo con la lingua tra i denti. «Mica si invertono i ruoli?»
«Per altre situazioni non la pensi mica così.» ammiccò Simone, guadagnandosi un'occhiataccia che celava divertimento da Manuel.
Simone si perse di nuovo ad osservare il disegno. «Perché?»
Manuel lo guardò interrogativo e Simone fece cenno verso il tatuaggio.
«Perché quando ce sta er vino fra me e te, tu sei sempre così...» si passò una mano sul viso, strizzando gli occhi «bello, sexy, eccitante, e bello e...sei tu. Quando c'è del vino tra noi mi si amplificano le sensazioni che mi dai. Il profumo, il sapore, si mischiano con i tuoi ed io mi sento veramente pieno di te. Non so come spiegartelo, quindi volevo regalarti un segno sulla pelle che potesse anche solo minimamente fartelo ricordare, quando te lo dimentichi. Ho fatto male?»
Simone scosse la testa, sorridendo. «No. È perfetto, Manu.» sorrise. Gli scostò i capelli dalla fronte, portandoglieli all'indietro, ma stavolta Manuel non si ribellò e Simone ne fu felicissimo. «Perfetto proprio come te.»
Manuel, imbarazzato, abbassò la testa, osservando il suo lavoro. «Sai come prendertene cura, no?»
«Sì, me l'hai insegnato tu.»
«Bene.» soffiò. «Perché non vedo l'ora di baciarlo ogni notte. E ogni giorno. E ogni notte, ogni giorno, ogni notte e ogni giorno.» gli lasciò un bacio poco sotto il segno, ancora fresco. «Buon compleanno, Simo.» gli sussurrò, con le lacrime agli occhi.
«Grazie di esistere, Manuel.»
I compleanni con lui avevano tutto un altro sapore.
Sapore Lambrusco di Modena, inchiostro nero e amore.