Chapter Text
14 Juillet 1789, mardi
Le porte di Parigi chiuse
a stringere nel buio
I vizi coi sorrisi
E i desideri con i più struggenti amori
Sui letti sfatti di Parigi
Qui un filo di follia
Si annoda stretto col delirio
Qui su un ponte ho visto
Stasera un angelo e un sorriso
Rivolto a me
E questo basterà
Perchè sparì
Io l'ho seguita ma
L'ho persa e non l'ho vista più
E cado nella notte e nei sorrisi
E nei suoi desideri
LE PORTE DI PARIGI (R. Cocciante - P. Panella) - 2002
Altre grida…
Altri soldati accorrevano…
In meno di venticinque sarebbero rimasti lì, a crepare sotto quel maledetto ponte, invano…
Senza aver combattuto…
Senza aver fatto sentire la propria voce…
Perché il tempo era finito.
“André…”.
Alain si chinò su di lui.
L’altro si attaccò al braccio, stringendo la stoffa dell’uniforme, tirandola a sé, aggrappandosi ad essa, con tutta la forza che aveva.
“Alain…portala via…portala via ti prego…” – gli disse con il filo di respiro.
La voce cedeva…
Il respiro si perdeva.
Le dita strette…
E lei era lì, accanto…
Oscar era su di lui e lo chiamava…
Dio…
La tua voce…
Ti sento…
Vorrei dirti che sono qui e che sarò sempre qui…
La sentiva la sua voce…
Il suo nome…
Lei era lì dannazione…
E non voleva che lei ascoltasse il respiro che si spegneva…
Non voleva che lei lo vedesse morto…
No…
Dio no!
Una richiesta…
Una sola…
E il respiro si perdeva…
André l’aveva capito che quel colpo l’aveva preso…
Faceva dannatamente male e lui…
Doveva solo respirare…
Una sola richiesta.
Strinse con quanta forza aveva in corpo il braccio di Alain.
“Dannazione devi portarla via!” – gridò più forte piantando addosso all’altro uno sguardo furioso – “Portala via…”.
Un istante e Alain comprese e annuì…
“Romanov…vai…tu portalo via…dobbiamo dividerci…” – si raddrizzò stravolto ragionando d’istinto per cedere alla richiesta di André.
Gli occhi si piantarono sul comandante, quasi feroci, intuendo che non sarebbe stato facile…
“Non ti azzardare a toccarmi!” – sibilò Oscar di rimando comprendendo le intenzioni del soldato – “Non lo lascio…”.
“Alain stanno arrivando…” – gli replicò il soldato, mentre gli altri erano già a cavallo e avevano imboccato il camminamento che portava nella direzione opposta per risalire le scalinate…
E se ci fossero stati altri soldati…
Dio…
Certo che ci sarebbero stati dall’altra parte…
“Dannazione…lui mi ha chiesto di portarvi via!” – gridò Alain avvicinandosi al viso.
Oscar era ancora china su Andrè e gli occhi si posarono sul viso bianco di lui, sul respiro contratto…
Vide il Soldato Camille Bertinou afferrarlo per le spalle André e caricarselo su e alcuni compagni che l’aiutavano ad issarlo sul cavallo.
Cercò d’afferrarlo per l’uniforme e Alain l’afferrò a sua volta stringendola e trascinandola indietro, quasi contro il muro fradicio ed ammuffito.
“Lasciami! Dannazione!”.
Strinse Alain più che poté quel corpo dannatamente fragile ed esile e forte. Lo strinse e poi si accostò all’orecchio che non c’era verso di fermarla…
“Lui vuole così…comandante!” – sibilò stringendo ancora e tentando di camminare verso il cavallo, che Romanov aveva già spronato il suo e tutti e due li videro sparire gli altri dall’altra parte del camminamento.
“No!” André…”.
Strinse Alain trattenendola per il braccio, stringendolo come fosse una morsa.
Non l’aveva mai fatto di…
Toccarla e tenerla a sé…
Sensazione sconosciuta ch’ebbe il fulgido diritto d’affacciarsi alla realtà solo per biechi istanti.
“Lasciami maledizione…”.
“Non è il momento…”.
“André…”.
“Via…alle Tuileries…ci ritroviamo là…” – gridò Alain all’indirizzo di Romanov.
L’ultima immagine, il soldato Camille Bertinou che s’allontanava stringendo il corpo di André…
Oscar provò a staccarsi per corrergli dietro…
Alain prese la stessa direzione trascinandosela dietro, saldamente trattenuta per il braccio…
Il nome ed il respiro si persero trafitti da una grandinata di pallottole che incisero l’aria, da dietro, come colpi d’uno scultore che scolpisce marmo bianco e a poco a poco rivela i tratti abbozzati d’una posa tragica…
Il piombo feroce sfiorò i corpi, i muscoli si contrassero, tranciando le vie di fuga, come i raggi del sole morente che vibrano nel tramonto amaranto.
I soldati avevano preso a sparare occupando il ponte…
I moschetti ad avancarica a canna liscia della prima fila scaricarono il loro fuoco di morte.
Quelli della seconda fila erano già in posizione, i soldati in ginocchio, mentre i primi arretravano per ricaricare i loro fucili.
Paris…
Era quello adesso il nuovo terreno di battaglia…
I disertori erano i nuovi nemici…
La rabbia dell’onore violato…
La divisa infangata dalla volontà di schierarsi dalla parte della folla magmatica e rozza…
Paris…
Via da lì, via dal piombo di Paris…
Nemica suadente e terribile…
Che non c’era più posto lì in mezzo…
Nel piombo che sibilava addosso…
C’era un unico sistema per annientarli quei dannati traditori.
Trattarli alla stessa stregua d’un nemico in campo di battaglia…
I Charleville erano fucili potenti ma non avevano l’alzata di mira…
Le pallottole potevano centrare il bersaglio se si fossero abbattute fitte come le stelle nei cieli d’estate…
Non si doveva lasciar spazio e tempo ed aria all’avversario…
Né per arretrare, né per salvarsi.
Dio era quello che stava accadendo…
“Salite!”.
Alain afferrò le redini, l’altra mano sempre chiusa sul braccio del suo comandante, come per tenerla lì ed evitare altri sussulti di ribellione…
Oscar lo squadrò furiosa.
“Non…”.
“Salite ho detto! André mi ha chiesto di portarvi via…dobbiamo andarcene di qua…Romanov sa il fatto suo…” - sbraitò l’altro con sguardo infuocato, disperso anche lui di fronte all’evidenza della morte che avanzava e si prendeva istante dopo istante il respiro e la vita di ciascuno di loro.
Nella testa le parole di André, nelle mani l’istinto immediato e tagliente di non voler perdere anche lei…
Non poteva perderla…
Non adesso…
Non adesso che lui…
Che Alain l’aveva compreso che…
Viandroi Simon, Barron René, Carrabus Federic, Houlin Pierre, Hocher Luis Victor, Cordier Roland, Lameth Alexandre…
Quelli avevano seguito il soldato Camille Bertinou…
“Aspetta Alain…lasciami!”.
“Dobbiamo andarcene!”.
Il comandante era difficile da convincere. Ormai anche Alain l’aveva compreso…
Ma dannazione…
“No!”.
Uno strattone…
Il grido di disperazione si perse nel tramonto amaranto che inghiottiva la fine della giornata infernale.
Un tiro deciso alle redini…
Non si poteva restar lì a morire…
Altri soldati si accodarono…
Thomas Montigner e Serge Viandroi, Capillion Olivier, Monfourot Romain, Corve Barron, Simacgnon Salomon, Legendre George, Lavergne Resnier, Sombreuille Antoin, Lacosté Eliah, Stefan Arminan, Daniel Petion, Marion Latidie…
Come topi risalivano dalla Senna per sfuggire ad una piena improvvisa…
E fuori li aspettavano altri fucili spianati…
Quai de Greves…
Rue Saint Gerome…
Dannazione…
Non c’erano altre strade che finire dritti allo Chatelet…
Gli occhi si fissarono alle mura scure del commissariato di polizia…
L’alito gelido della Basse – Gêole…
Il ricordo che pulsava mentre Oscar comprese d’aver perduto…
Troppo tempo.
Lei l’aveva avuto il tempo, in qualche modo il destino glielo aveva concesso, ma lei l’aveva gettato via ed il tempo non ritorna…
Unica risorsa che non può più essere strappata e riconquistata…
Il tempo e lo sguardo corse alle vie…
Il gruppo di soldati che li precedeva s’era infilato lì, nelle vie strette dietro allo Chatelet.
A Port de Paris…
Uno spiazzo poco più ampio degli altri…
Le parve di vederla quella tinta dannata…
Le uniformi blu dei Soldati della Guardia poco più avanti a sé…
Gli ultimi raggi del sole morente penetrarono le mura chiuse del quartiere, giusto il lampo d’appoggiarsi beffardi contro le canne lucide delle baionette spianate che li attendevano.
“Comandante no!” – gridò Alain tentando di fermarsi e di cambiare strada.
“No…io devo…”.
Il cavallo spronato al galoppo contro il fuoco di fila…
Senza paura, senza speranza…
Tutto stava morendo, assieme al sole, assieme a quella giornata infernale…
“André…”.
Gli spari si susseguirono, mentre Alain con un colpo di reni spinse il cavallo oltre, quasi a farle da scudo.
“Togliti di mezzo…io devo…”.
Un altro colpo, di striscio…
Alain vacillò e Oscar si riebbe dalla follia che stava dilaniando il cuore.
Dove sei André…
Le redini trattenute…
I cavalli lanciati contro il fuoco di fila…
L’ennesimo vicolo imboccato alla cieca…
Altri soldati di fronte.
Alain si gettò avanti…
“Alain…vattene via…non farlo…”.
I moschetti spararono ancora e Oscar fu costretta ad indietreggiare…
Le redini tirate di nuovo mentre il corpo si perdeva in mezzo alla scarica di pallottole feroci...
Il fumo coprì per qualche istante la visuale…
E lo sguardo sgranato e folle corse al selciato scuro, poco distante…
Ingombro…
Il colore dannato dell’uniforme dei Soldati della Guardia…
Dannatissimo colore blu scuro…
Come il buio, come la notte, come l’assenza…
La corporatura massiccia di Camille Bertinou…
Romanov…
Alain trasalì…
Oscar s’immobilizzò pietrificata…
André dove sei…
Dio…
Non m’importa di nulla…la tua vita…
“Li abbiamo presi!”
Sopra la eco infernale degli spari rimbombarono grida d’insensata soddisfazione…
Si sollevarono come lingue di fuoco che si facevano strada tra volute di fumo annientando la speranza e l’esistenza e trascinando con sé la vita ed il respiro…
Soldati avversari, l’uniforme delle guarnigioni giunte nei giorni precedenti a Parigi, si muovevano disordinatamente, agitando in aria le baionette…
Gli occhi fissi all’ennesimo teatro d’uno scontro che aveva lasciato a terra altri corpi, altri Soldati delle Guardia…
Altri disertori.
Lo sguardo indugiò sull’ammasso informe dei suoi uomini…
L’onda infernale si mosse e non diede scampo, né tempo di comprendere e di cedere all’istinto di scendere ed avvicinarsi.
Un vicolo alla sinistra da imboccare per salvarsi…
Oscar si chiese se davvero voleva salvarsi.
Non ebbe il tempo di pensarci perché Alain si tirò dietro anche le sue redini infilandosi in un voltone e poi svoltando di nuovo a sinistra, ed entrambi finirono ingoiati dall’ennesima straducola scura che andava a perdersi chissà dove.
Il cuore pareva non battere più davvero perché lei sentiva solo il rumore assordante e bieco degli zoccoli del cavallo sul selciato.
L’immagine dei corpi a terra, ammassati…
Camille Berintou…
Lui s’era trascinato dietro André e adesso…
Camille Berintou era a terra, faccia sotto, la divisa blu trafitta ed annerita dal sangue.
Camille Bertinou era morto e anche gli altri che erano con lui…
André…
Dio…
Devo tornare là…
Il cuore…
Dannato cuore che continui a battere…
Quel battito non lo si può fermare se non con un pugnale piantato lì in mezzo al petto, oppure…
Tanto valeva che l’ammazzassero quei soldati perché la sua vita era finita.
Rue d’Avignon…
Un’altra raffica dall’alto nel cunicolo oscuro…
L’ondeggiare incerto…
Si ritrovò contro il muro, sbattuta a terra…
Un’altra beffa del destino…
Finire a morire proprio lì, in una strada che prendeva il nome da quel dannato demone che l’aveva portata giù fino all’Inferno ma adesso l’aveva capito che non era quello il vero Inferno, o forse era soltanto un lato della faccia del demonio…
D’istinto, l’istinto che la vita pretende, mantenne le dita serrate alle redini e i sensi percepirono solo la voce di Alain che le diceva di seguirla, a piedi, tirandosi dietro i cavalli verso Rue de La Vieille Harangerie…
Quella via era davvero stretta e gli edifici talmente vicini che quasi ci saresti saltato da un tetto all’altro…
Ecco come faceva a muoversi quel dannato demone…
Inghiottito da Paris, come loro…
I soldati non sarebbero riusciti a colpirli da lassù e quando fossero stati ad attenderli all’imbocco…
Fu l’ennesimo voltone ad ingoiare i corpi.
Ennesimo passage che i parigini s’erano costruiti da soli, senza dirlo a nessuno, sapientemente nascosto dietro barili vuoti ed assi di legno e casse di stoffe marcite…
Altro che caffè e vetrine e bordelli come quelli che si susseguivano a Palais Royal…
Cloitre Saint Opportune…
Dio…
Di nuovo un nome ch’evocava speranza…
“A Place Tuileries dovrebbe esserci il Caporale Houlin…” – digrignò Alain mentre tratteneva il respiro nel buio dell’incavo della volta umida.
Oscar respirava e respirava ed ascoltava l’ormai conosciuto sentore aspro del sangue che risaliva i sensi e i muscoli.
Fu costretta a piegarsi a terra e a tapparsi la bocca con le mani per ricacciare in gola i colpi di tosse che beffardi li avrebbero fatti scoprire.
“Che avete?” – chiese Alain avvicinandosi – “Siete ferita?”.
“Stai lontano…” – sibilò Oscar passandosi una mano sulla bocca.
La mente vuota e le mani gelate e…
Nemmeno Alain doveva saperlo che nemmeno per lei c’era più tempo.
Fissò il muro ammuffito e si ritrovò a pensare che nemmeno per un istante sarebbe riuscita a sopravvivere senza André…
Lui…
Lui era da una vita che sopravviveva senza di lei.
Lei no, lei non l’aveva mai fatto…
Gli aveva avvelenato l’esistenza e nonostante questo lui era rimasto lì ad attendere quel briciolo di folle amore che lei era riuscita a strappare dalle proprie braccia pietrificate.
Anche lei l’aveva amato…
Solo un giorno era trascorso da che l’aveva ascoltato entrare così dolcemente dentro fino a colmare il sangue di tutto l’impeto che quell’amore sapeva cantare…
Ma lui l’aveva amata da tutta una vita e lui, solo lui, poteva saperlo come si ama così, senza speranza, senza appigli, senza futuro…
Lei no, non lo sapeva e all’improvviso comprese che così sarebbe accaduto.
Non sapeva come avesse fatto André…
Non sapeva come avrebbe fatto lei…
Lei non ci sarebbe mai riuscita.
Dove sei?
Camille Bertinou era morto…
Dio André era con lui…
André…
***
Rue de Dechargeus…
Rue de La Lunace…
Les Innocent…
Il cimitero stava ancora lì, con le sue lapidi storte, divorate dall’edera…
E poi l’Inferno…
Les Halles…
Di nuovo l’Inferno di Les Halles in lontananza…
Che da lì ci si tenevano lontane persino le guarnigioni dei soldati stranieri, che c’era da prendersi la scabbia o la tisi, là dentro…
Se ti ci tiravano dentro, là, da là non ne saresti uscito più…
Dio, le notti gelate a pattugliare quelle dannate vie, stretti, a guardarsi attorno che nessuno s’azzardasse ad alzare gli occhi sui dannati Soldati della Guardia.
Tutto rovesciato e travolto…
C’era che erano riusciti a tirarsele dietro le guarnigioni straniere, ebbre della follia di trascinare all’Inferno i cinquanta disertori e così forse s’erano dimenticati degli straccioni che le barricate le stavano innalzando a Place des Tuileries…
Saint Eustache…
Le campane suonavano grevi.
Le mani s’appoggiarono ai muri e il respiro si perse…
“Ci stiamo allontanando troppo…” – sibilò Alain mentre volgeva lo sguardo in direzione sud…
Rive Droite…
Dovevano tornare lì, anche se lì c’erano altri soldati, altre guarnigioni…
All’improvviso…
La folla…
La folla pareva aver ripreso le consuete abitudini, allentando il passo, tirando un respiro più fondo.
Eppure tutto appariva dannatamente strano ed inverosimile, i volti terrorizzati, le mani strette agli scialli oppure a roncole e bastoni e loro…
André non era lì…
Non poteva…
Dio…
Non poteva…
Il respiro si spezzò…
Non adesso…
No…
Le Louvre…
Grigio ed imponente nella sua fila di finestre chiuse ed uguali e statiche…
Le strade…
Quelle che lei stessa aveva fatto sgombrare quel giorno e che di nuovo in un soffio s’erano riempite di gente che quel dannato Sabin aveva fatto saltare in aria…
A poco a poco gli occhi si fissarono ai marciapiedi, al selciato, non più ricolmi di banchetti e di tavolini sgangherati.
Ovunque c’erano botti, armadi, porte, carretti, sedie, casse distrutte, persino alberi abbattuti e trascinati lì, tutto ammassato, legato assieme…
Tutto quanto serviva ad ostruire il passaggio di quelli che volevano arrivarci a…
Place des Tuileries…
Oscure barricate di suppellettili radunate in mezzo allo spazio ampio e freddo adesso, ripulito alla bene e meglio dai resti d’una battaglia impari…
A terra erano sparsi solo pochi sassi, quelli più piccoli, che le pietre e le tegole spezzate e i vetri delle finestre infranti erano stati raccolti e gelosamente riposti nel dubbio o nella speranza che sarebbero serviti ancora, il giorno dopo, quando altri soldati avessero tentato di sfondarle quelle barricate…
La luce del tramonto aveva lasciato il posto a quella degli improvvisati falò.
Radunata attorno la gente che aveva combattuto e quella che aveva aperto le porte delle case per far sgusciare dentro gli altri, quelli che scappavano, per farli uscire dalla parte opposta del cortile, dove ce n’era un altro di giardino che avrebbe accolto i passi di coloro che andavano ad aggirare le guarnigioni dei soldati per prenderle di sorpresa e disorientarle e spezzarne la coesione…
Solo così il popolo s’era messo in testa di combattere…
Casa per casa, cortile per cortile…
E poi c’erano quelli ch’erano morti quel giorno, vecchi che non erano riusciti a sottrarsi alle cariche, e giovani che invece c’erano finiti contro le cariche delle baionette dei soldati…
Si era riusciti a tirarli via dalla piazza per sottrarli alla furia dei disperati che gli avrebbero portato via anche vestiti ed armi…
Nel buio, le campane delle chiese vicine rovesciarono sul silenzio calmo della città gl’inquietanti rintocchi di veglie funebri…
Place des Tuileries…
Dove sei André?
André era là fuori, doveva essere là fuori…
Non poteva…
Dio…
Non poteva…
Le Quinz Vingt…
Molti erano finiti dentro il vecchio sanatorio ch’era diventato un ospedale di fortuna per quelli che negli ospedali veri non ci potevano metter piede…
Perché poveri in canna oppure perché avevano addosso l’aria dei soldati disertori.
Nel camposanto dell’ospedale c’erano finiti tutti gli altri, composti nelle chiesette risparmiate dalle perquisizioni…
Le Guardie Francesi, quelle vere, che davvero avevano disertato, s’erano ritrovate lì…
I Soldati della Compagnia B faccia a faccia con quelli della Compagnia A, che l’avevano saputo che quelli di Parigi s’erano ribellati e allora non gli era parso vero di poterlo fare anche loro…
Solo che adesso nessuno poteva tornare in caserma…
Non si torna più indietro.
Si è ciò che si sceglie di essere…
S’interrogarono con gli occhi i soldati ch’erano ancora vivi…
Che ad alcuni di quelli morti gli avevano pure strappato l’uniforme di dosso quei dannati mercenari venuti a Parigi da chissà dove…
Perché nessuno si fosse permesso di seppellirli con l’uniforme i disertori, che a quelli non era concesso.
E allora era accaduto che le uniformi erano finite dentro i falò, perché non si rischiasse che altri le indossassero…
E i vagabondi e gli straccioni mica le avevano lasciate bruciare e quelli erano riusciti a sfilarle dalle fiamme e adesso se ne andavano in giro ad urlare a squarciagola ch’erano diventati loro la milizia di Parigi e che gliel’avrebbero fatta vedere loro a quei dannati invasori…
Qualcuno di quelli che due parole in croce le sapevano leggere, s’era messo a raccogliere le uniformi e a scrutare nei colletti…
Dentro, proprio lì, in quel pezzetto di stoffa morbida, dov’era di solito cucito il nome ed il cognome del soldato…
S’era stilata una lista che poi era corsa di mano in mano e alla fine era arrivata fino alla piccola chiesa dove s’era fatto il funerale a quelli che non erano più tornati.
Aimee Maurice, Jean Baptiste Frerer, Pierre Descarie, Legandre Rober, Jullien Louis Charles, Harry Julien Cabalien, Auguste Coustin, Roucherri Andrienn, Arminan Fabien, Petion Léon, Norbert Legandre, Yerrie Monfourot, Santerre Ferdinand, Florent Coustin, Stefan Arminan, Maurice Santerre, Cordier Roland, Daniel Petion, Marion Latidie, Corve Barron, Lasalle Gerard, Camille Bertinou…
E poi Roland Jerome, Theode Lorency…
E…
André Grandier…
Perché qualcuno era riuscito a ritrovare l’uniforme annerita dal fumo…
Oscar era scivolata giù a terra, ed era rimasta lì, accanto alla porta della chiesa, nelle orecchie i nomi di quelli ch’erano morti, quel giorno, anche quelli dei suoi soldati…
Non tutti, che di alcuni non s’era neppure ritrovato il corpo.
Le dita strette alla stoffa…
André Grandier…
Quel nome, assieme agli altri, e lei non era riuscita neppure a gridare mentre lo sguardo si perdeva e quelli dei suoi soldati ch’erano sopravvissuti s’erano ammutoliti, incerti se avevano fatto bene a recuperare quella dannata casacca e a portarla al comandante, che aveva scorso le dita sul ricamo del colletto e aveva appoggiato la mano sulla stoffa intrisa di sangue là dove la pallottola aveva arrestato la sua corsa…
Là fuori non c’era più nessuno di loro.
E chi c’era era morto.
***
“Tenete…”.
La mano allungata verso di lui.
Alain si voltò scorgendo il volto di una giovane donna, i capelli riflessi nel buio dei bracieri emanavano un alone castano, così come gli occhi…
“Grazie…”.
Alan afferrò il tozzo di pane, mantenendo lo sguardo sull’altra.
“Voi siete…”.
“Mi chiamo Rosalie…sono la moglie di Bernard Chatelet…” – disse l’altra tirando un respiro più fondo.
Il buio era calato su quella sorta di accampamento improvvisato, dietro le barricate di Place Tuileries a perdersi nei vicoli che sfociavano sulla piazza, anch’essi presidiati da uomini armati di bastoni, fucili, asce…
Mescolati ai soldati, i soldati mescolati al popolo, ora divenuti un tutt’uno indissolubile.
“Conoscete…il comandante?” – chiese Alain che aveva scorto l’abbraccio della giovane ad Oscar non più tardi di quella mattina.
L’altra annuì.
“Mi accolse nella sua casa quando persi mia madre e mi tenne con sé diversi anni e…”.
Alain si sorprese dello scenario.
Essenziale e limpido, sorprendentemente simile al ricordo degli avvenimenti che si erano succeduti nell’inverno appena trascorso e che adesso non avevano più neppure l’odore della neve disciolta al sorgere del sole.
Di essi non era rimasto nulla se non la consapevolezza pungente e bruciante che lui s’era sempre sbagliato sul comandante e che non aveva capito nulla di lei e che il disprezzo verso di lei aveva trovato vigore solo in forza del fatto che lei fosse nobile…
Non c’era altro.
E quel dannato di André non gli aveva mai raccontato un accidente di niente…
Forse adesso non era più necessario.
Non c’era bisogno che André gli spiegasse perché quella donna André l’aveva amata da sempre, forse ancora da prima che si conoscessero, forse quando ancora nemmeno sapevano l’uno dell’esistenza dell’altra…
Adesso lo capiva anche Alain il perché.
Non c’era un perché André si fosse dannato l’anima per lei e l’avesse seguita fino in capo al mondo per ritrovarsi lì, nella sua Paris, trafitto e perduto…
Dannazione, che avrebbe fatto adesso lei?
Rosalie si sedette, le mani giunte sul grembiule, la voce che tremava, il respiro stretto…
“Mi ha insegnato a leggere e a scrivere…si è curata di me e io ho vissuto anni felici in quella casa…e un giorno nonostante il dolore d’aver perso mia madre…ammazzata in mezzo alla strada dalla carrozza di una…donna…nobile… quel giorno in cui io ero arrivata così vicino a vendicare mia madre…lei mi chiese…”.
Alain mantenne lo sguardo sull’altra.
Se l’aspettava…
“Mi chiese di vivere…”.
Rosalie sollevò lo sguardo al cielo scuro sopra di sé…
“Pioverà tra poco…” – sussurrò piano come per scacciare il pensiero del passato che però restava lì – “Mi disse di vivere e di pensare al domani. E così ho fatto. Decisi di tornare ad abitare a Parigi. Il mio passato le sarebbe stato d’intralcio. E qui ho conosciuto Bernard, il mio futuro marito…”.
“Anche lui conosceva il comandante e André?”.
Così gli era parso…
Così gli avevano raccontato i compagni che erano stati fuori dall’Abbey tutto il santo giorno ad aspettare che il popolo si decidesse a tirar fuori la voce, che glielo avevano detto i deputati e i giornalisti di tirarla fuori la voce, perché solo così i soldati disertori sarebbero stati tirati fuori dall’Abbey…
Alain parve attraversato da una sorta di desiderio vorace ed assurdo di sapere tutto…
Tutto quanto lui s’era sempre rifiutato di conoscere e tutto quanto André si era sempre rifiutato di raccontargli.
“Bernard deve la vita al vostro comandante…” – continuò Rosalie – “E soprattutto la deve ad André. Fu Bernard a ferirlo…”.
“Vostro marito…”.
“Conoscerete immagino la storia del famigerato Cavaliere Nero?” – continuò l’altra mestamente.
“Sì…o meglio…diciamo che ne ho sentito parlare…si diceva che rubasse nelle case dei nobili…”.
“Per aiutare chi nobile non lo era e non aveva di che sfamarsi…”.
“Ma cosa c’entra questa storia…”.
“Qualcuno ci fu che riuscì a scoprire l’identità di quel misterioso ed irriducibile ladro…”.
Rosalie sorrise quasi si fosse ritrovata a raccontare una sorta di favola…
“Bernard non mi ha mai raccontato molto di questa storia…”.
“Volete dire che vostro marito era…”.
Rosalie annuì di nuovo.
“Per catturarlo André si finse un ladro come lui e quando si scontrò con mio marito…lui…lo ferì…alla fine André perse la vista dell’occhio sinistro…ma nonostante si fosse scoperta l’identità di quel ladro Oscar decise di lasciarlo andare. Glielo disse proprio lei a Bernard che era stato per intercessione di André che lei l’aveva fatto. E nonostante fosse stato proprio Bernard a ferirlo…”.
“André…che incosciente!” – chiosò Alain mentre la gola si chiudeva.
Era così che André s’era ritrovato guercio…
“Non penso lo fosse…Bernard non ha mai saputo dirmi perché fosse stato proprio André a fingersi un ladro…forse perché gli somigliava…ma credo ci fosse altro…”.
Le parole sospese…
La voce di Rosalie si fece improvvisamente dura.
“Io…credo di saperlo…” – commentò Alain addentando il tozzo di pane.
“Credo anch’io…”.
Il silenzio calò sui discorsi del passato. Da essi si traeva una parte del senso di quanto era appena accaduto…
Ma non c’era verso d’aspettarsi che questo avrebbe lenito il dolore perché non c’era verso d’accettare che tutto fosse accaduto davvero.
Alain si contrasse.
Non era solo la mente a rifiutare quello scenario, ma il corpo tutto pareva indietreggiare e voler tornare indietro…
“Ora devo andare…”.
Rosalie si alzò.
“Andate da lei…siete sua amica…” – mormorò Alain con un filo di voce.
Il contatto con il selciato freddo gli comunicò l’inappellabilità di quanto accaduto…
Non poteva accettare che anche lei, anche il suo comandante adesso fosse sola…
Li aveva sempre visti assieme il comandante ed André, persino quando non lo erano, persino quando s’erano trovati lontano migliaia di miglia. Ognuno sentiva l’altro…
Ma adesso…
Rosalie sorrise.
“Proprio perché lo sono, in questo momento devo restare in disparte. Non posso immaginare ciò che lei sta passando…”.
Alain tornò allo sguardo dell’altra, rivelando il dubbio che quello fosse un discorso assurdo e patetico.
“Non ho mai conosciuto nessuno all’infuori di André che sapesse starle accanto donandole solo ciò che lei chiedeva…se io adesso provassi a sostituirmi a lui o anche solo a tentare di lenire il dolore…so che non ci riuscirei…risulterei solamente un’insolente e un’arrogante…”.
Alain si sorprese a quelle considerazioni.
E all’altra che seguì repentina e tagliente.
Lui e il comandante…
Non erano amici, non lo erano mai stati e non lo sarebbero mai diventati.
Allora forse lui poteva andarci per vederla e per…
Il sapore pallido e lieve della notte di luglio…
Alone profumato di rose e di tigli, talmente dolce da annebbiare i sensi ed innalzare il respiro…
Tutto impresso e marchiato a fuoco sul cuore e sulla pelle, le mani lontane l’una dall’altra che il tocco non le rammentasse quello di lui, docile e pieno…
Tutto lì, piantato lì, in mezzo alla gola, che non c’era verso di piangere e nemmeno di gridare, mentre il corpo si disfaceva a poco a poco…
Da quanto non mangiava…
Da quanto non aveva più dormito…
I sensi tornavano lì al corpo che indietreggiava e s’appoggiava alla corteggia ruvida e poi si liberava per fondersi con quello dell’altro che penetrava e colpiva e sollevava e…
Le mani sui fianchi afferrati e tenuti fermi immobili mentre le mani s’aggrappavano alla schiena e le labbra mordevano le altre e…
Tutto impresso nella carne e…
Il sapore aspro e tagliente e metallico riverberò il suo sentore nella gola.
Le porte della chiesa erano state accostate, perché qualcuno poteva ancora esserci che veniva portato a spalla e poi adagiato sul sagrato in attesa che il sacerdote gl’imponesse la benedizione…
E lei era lì, era rimasta lì, in attesa di quel corpo, il viso contratto, le mani chiuse…
Se avesse mosso un passo fuori da quelle barricate per lei sarebbe stata la fine.
Il cuore batteva, nonostante tutto…
Esso continuava a battere e lei lì a chiedersi come avrebbe fatto a continuare a sentirlo battere, da solo adesso, senza il conforto d’appoggiarlo al petto di lui, senza ascoltare quel respiro lieve, attimi di oblio in cui lei l’aveva percepito nel sonno, accanto a sé.
Un istante concesso al nulla che pure racchiudeva il senso dell’unione e di ciò che erano…
Aveva strappato quegli istanti ad un destino già scritto. Ma pensava che solo il suo fosse già scritto…
Solo lei non sarebbe vissuta…
Se avesse rivelato ad André che lei era malata, lui non le avrebbe mai permesso di scendere a Parigi e di continuare a combattere…
E invece…
Invece lei aveva scelto e l’aveva imposta ad André, la propria scelta…
Falsa e codarda era stata la sua domanda a lui, proprio a lui, e dannata lo sarebbe stata lei per il resto della sua vita per aver delegato a lui una scelta che per lui sarebbe stata insidiosa e mortale.
Andrè la conosceva e sapeva bene quale fosse il desiderio chiuso laggiù, in fondo al cuore…
Lui non avrebbe mai potuto fermarla e allora aveva fatto l’unica cosa che poteva fare…
Restarle accanto.
Così come era accaduto da tutta una vita.
“Fa freddo alla notte…”.
Le spalle si contrassero al contatto con il mantello che Alain le fece scivolare addosso.
Tutto era perduto e il tempo era finito.
Così raccontava lo sguardo di lei fisso e tetro, non più come quello di una bestia selvaggia che sa di poter sfuggire al proprio destino e che anela a farlo anche se deve combattere contro l’istinto di farlo subito…
Non c’era più nessuno ad attenderla e non c’era più nulla in cui sperare.
Le mani abbandonate…
Nessuna contrazione dovuta al dubbio…
Il gelo dannato di sapere una verità che non si accetta.
Una morte non vista che pure sta lì davanti agli occhi.
“Dovevo andare con lui…”.
Le parole uscirono grevi ed inquisitorie.
Alain rimase zitto, solo il tempo di trovare altre parole che dessero un senso a ciò ch’era accaduto.
André era stato colpito…
“Mi ha chiesto di portarvi via…qualsiasi fosse il suo destino lui mi ha chiesto di portarvi in salvo…”.
Un sibilo…
“Lui…lui è la mia salvezza…”.
Alain venne attraversato da un moto di rabbia.
André era stato colpito…
Il corpo di André trafitto dal piombo di quella pallottola ancora rimbombava dentro di sé che l’aveva quasi abbracciato perché non cadesse, sospinto all’indietro dalla fucilata.
Le ultime parole di André erano state per lei…
Non voleva che lei lo vedesse morire, ecco perché gli aveva chiesto di portarla via.
André avrebbe rallentato la fuga e per lei sarebbe stata la fine…
Un sacrificio immenso…
“Comandante…” – il tono di Alain si fece freddo quasi impostato – “Non dico che questo vi sarà di conforto ma…André è stato fortunato…”.
Non c’erano più parole per sostenere l’ancestrale distruzione.
“Alla fine…voi…voi avete ricambiato il suo sentimento…”.
Alain mantenne lo sguardo su di lei come a volerlo afferrare quell’amore e farlo proprio, come se da esso anche lui potesse trarre un briciolo di conforto a ricacciare giù nella gola le lacrime.
“Voi siete stata la sua guida e la nostra…voi siete diventata i suoi occhi. Lui ha seguito voi e la vostra voce e i vostri gesti…è vissuto per voi…era ciò che voleva…”.
Parole taglienti che non avevano l’ambizione di confortare o lenire il dolore.
Era la reale descrizione di un legame che Oscar sentiva spezzato e spazzato via nel soffio di una notte d’estate.
“Non dovete dimenticare questo. E per lui voi eravate tutto…quindi…fatevi coraggio…”.
No…
Non voglio più avere coraggio…
Non voglio più combattere.
Nulla ha più senso…
“Alain…aspetta…voglio che tu prenda il comando dei soldati…io non ne ho più la forza…”.
Poche parole…
“No…”.
Il tono si fece ancora più rigido…
Dio, adesso Alain l’aveva compreso perché André non l’avesse mai lasciata e l’avesse seguita sempre e non le avesse mai imposto nulla, nessuna scelta, nemmeno di scegliere lui stesso…
Era dannatamente fragile adesso quella donna, come un fiore piegato che sta per spezzarsi e non c’è modo di tenerlo lì, lì, ancora accanto a sé, ancora vivo…
André l’aveva sempre saputo eppure…
“No…sarebbe la fine se parlaste così! Ve lo ripeto…niente è paragonabile al vostro immenso dolore ma non siete l’unica che sta soffrendo…”.
Alain si rialzò e si mosse di pochi passi.
Non aveva più voce dentro di sé e adesso non pareva nemmeno sorprendersi al pensiero che avrebbe voluto solo abbracciarla e restare lì abbracciato a lei, lì, senza fare nulla, dire nulla, chiedere nulla.
Abbandonato a lei perché lei avesse qualcuno a cui pensare e perché non si arrendesse…
Forse era così che André aveva sempre fatto…
Restarle accanto per proteggerla quando in realtà era lei che lo teneva in vita e…
Oscar pensò d’immaginarlo il volto del soldato mentre la voce s’incrinava, seppure di poco.
Oscar pensò a Diane e l’immagine riaprì il solco del ricordo e del tempo in cui André c’era…
André c’era sempre stato.
“Vi aspettiamo…domani. Tutto deve ancora avere inizio!” – disse il soldato.
Parole asciutte e profetiche, aride si sarebbe detto, che nulla avevano da spartire con il dolore di chi sa di non avere più tempo, né parole, né gesti, nulla di nulla da vivere con chi si ha appena scoperto di amare…
No, forse con chi si è amato da sempre.
Non c’è più tempo…
Erano giorni ormai che non mangiava nulla…
Erano due notti che non dormiva.
Erano mesi che quel sapore aspro e tagliente e metallico riverberava il suo sentore nella gola.
E di nuovo esso si fece strada, più intenso, spezzando il respiro e troncando ogni residua resistenza…
Il sangue scorse rosato e…
Non c’è più tempo.
Ogni istante…
Ogni respiro…
Ogni gesto…
Tutto torna a te…
Ogni ricordo…
Non ho più vita né voce né corpo senza di te, senza ciò che sentivo attraverso te…
Distendo la mia mano…
E’ sospesa e aspetta…
Aspetta che tu la afferri ancora…
Un’altra volta…
Un’altra volta ancora…
Ti prego André…
Afferra la mia mano e tienila stretta…
Che io possa ancora sentire dentro di me almeno la speranza di poterti toccare ancora una volta…
Come per cercare tutte quelle carezze che il tempo ci ha rubato.
Per darmi tutti i baci che ancora desidero.
Distendo la mia mano…
E’ buio….
E’ buio dentro di me, come lo era nei tuoi occhi…
Voglio vederti…
Dentro l’odore del Mare di Normandia…
Nelle spiagge deserte e bianche, bordate di distese verdi e ruvide scogliere che abbracciano di sale il tuo viso e tingono d’azzurro il tuo sguardo lambito dalla luce, dalle onde che s’infrangono nelle iridi.
Mi hai regalato la tua vita e io l’ho presa per me…
Non ti ho mai sognato…
Non ti ho mai accarezzato…
Non ti ho mai regalato un sorriso che fosse solo tuo.
Eppure tu non hai rinnegato il tuo amore…
Quell’amore che bastava anche per ciò che io non ti ho mai riconosciuto…
Voglio vederti…
Via da questo Inferno…
Via da queste barricate polverose…
Nelle vie di Paris…
Pont Royal accolse la fuga come loro due fossero ancora assieme, a correr via dentro le ronde che morivano al tramonto, mentre nuvole lontane cariche di pioggia gonfiavano l’aria di umidi rintocchi a confondersi e mescolarsi con le lacrime.
Tutte quelle che non ho mai pianto per te…
Pont Royal
Ricordo di averti afferrato là, sotto Pont Royal, per tenerti a me…
Come fosse al mondo l’unico gesto che potesse sgorgare dalle mie mani.
Allora non sapevo di amarti ma volevo salvarti…
Adesso che l’ho compreso ti ho perso…
Dannata era che ti ha portato via da me…
Ora è la luna, livida e umida che mi riporta il bagliore di altri fucili, spianati, di nuovo contro di me…
Uccidetemi vi prego…
Perché tanto io sono già morta.
“Spara…spara!”.
Di nuovo altri proiettili mi sfiorano…
Sì, uccidetemi vi prego…
Perché tanto io sono già morta.
No…
Lo scatto dei muscoli s’innervò riverberandosi attraverso il corpo e riportando lo spasmo atroce dell’animale ferito a morte che crollava sul selciato del ponte.
Oscar scivolò a terra assieme al cavallo contro la sponda del ponte, frustata dall’ennesima immagine di morte.
Tutto era perduto…
Il cavallo giaceva lì a terra, trafitto, i muscoli ancora caldi, il manto sudato, l’ultimo effluvio di vita…
Tutto era perduto.
Il sogno infranto e distrutto.
Uccidetemi vi prego…
Perché tanto io sono già morta.
Uccidetemi vi prego…
No…
L’istinto prevale…
Dannato istinto.
Le baionette spianate m’impongono di combattere.
Così sono stata addestrata.
Estrarre la spada, d’istinto, anche se vorrei lasciarmi uccidere qui, perché tanto sono già morta…
Diventerei qualsiasi cosa pur di non essere ciò che sono…
Dolore e miseria…
Non riesco a trattenere le lacrime…
Dannazione.
Un soldato non può cedere alla disperazione…
Un soldato lo è per sempre.
Pochi fendenti dissolti e contratti…
Tortuosi e liberi...
Li schivo, come fosse naturale per me, nell’istintiva direzione di voler salvare la mia vita.
Dannazione devo metterlo a tacere questo maledetto istinto, qui, adesso e per sempre.
Ma non ci riesco…
Nel fondo del cuore tu mi dici che io devo salvarmi…
Nel fondo del cuore so che vorresti questo e…
Mi chiedi di vivere perché questo hai fatto per me…
Vivere per me e io te lo devo…
Dio…
Non vedo più…
Indistinguibili tra le lacrime mi appaiono i contorni deformi di questi dannati soldati che vorrebbero annientarmi…
Ma loro non lo sanno che io sono già morta.
Rive Droite mi accoglie di nuovo…
Ricacciata nella stessa strada da cui ho tentato di fuggire…
Ricacciata lì, tra le mura di Paris dove io stessa avevo deciso di finire…
Io ti ho amato André…
Probabilmente da sempre.
L’ho compreso troppo tardi…
Troppo tardi…
Se…
Se l’avessi compreso prima di amarti…
Avremmo potuto amarci e vivere insieme…
Giorni migliori e…
Nemmeno quel giorno…
Nemmeno quel giorno in cui mi hai confessato cosa provavi…
Nemmeno da allora io ho avuto il coraggio di comprenderlo che ti amavo…
Sei sempre stato accanto a me…
Troppo silenzioso e calmo e…
Non avevo compreso che anch’io ti amavo…
Andrè…
Perdonami…
Non comprendere l’amore di qualcuno è ancora peggio che tradire l’amore di qualcuno…
Il tuo amore.
Il cuore si spezza…
Il respiro si perde…
I proiettili sfilano netti, sfiorando la mia vita…
Ma io sono già morta.
André…
Rispondimi ti prego…
E’ davvero tutto finito?
Pioggia, accogli il corpo silenzioso e sfatto e copri il mortale calore della febbre…
Lava via il chiarore rosato della vita che si spegne a poco a poco…
Copri, chiudi, prendi ogni respiro…
Perché io sono già morta…
La corrente della Senna non si fermerà mai…
La Senna scorre e inghiotte tutta la tristezza e le avversità…
La Senna continuerà a scorrere…
La notte durerà ancora troppo per tanto tempo…
Ma alla fine il sole tornerà a splendere, in un mattino di luce.
Gli uomini in lacrime usciranno insieme…
E allora, come sempre, la Senna continuerà a scorrere velocemente e dolcemente…
***
14 luglio 1789 ore 6,00 – Place Tuileries
Piove…
Dannata pioggia…
Mi hanno chiesto di partecipare all’incontro con quel giornalista, Bernard Chatelet, quello che ho conosciuto ieri, poco prima che André morisse.
Sì, lo so.
Io non l’ho visto morire…
Ma l’ho visto scomparire trascinato via da Romanov.
Romanov è morto e altri soldati sono morti.
Quelli che sono sopravvissuti così hanno detto.
Non ho ragione di credere che André sia ancora vivo.
Il Charleville ha una potenza di tiro micidiale a poche tese e un’oncia di piombo trapassa il cuore di un uomo come fosse burro…
André è morto.
E il nostro Comandante, Oscar François…
Anche lei se n’è andata…
Questa dannata città le sa inghiottire le sue vittime…
Ma io sono stato chiaro.
Le ho detto che l’aspettiamo…
Sarà qui, tra poco. Lo so…
Perché noi abbiamo bisogno di lei…
Io ho bisogno di te…
Fin dal primo giorno in cui ti ho conosciuta...
Alain strinse il fucile.
“Io non rappresento nessuno” – biascicò all’indirizzo di Bernard che l’accolse come rappresentante dei soldati – “Il Comandante non poteva e sono venuto io al posto suo…mi spiace ma dovrai accontentarti…”.
Lo comprendeva Alain che c’era in gioco molto più degli scontri che da giorni si susseguivano in città. Quegli uomini radunati lì, i volti contratti e le facce tese, parevano immersi in una sorta di catarsi votata a non attendere oltre e a cavalcare la scia di rabbia e distruzione che aveva incendiato Parigi il giorno precedente.
“Siamo ad un punto di svolta…” – riprese Bernard Chatelet – “Appena sarà l’alba…ci dirigeremo verso la prigione della Bastiglia e l’attaccheremo…”.
“La Bastiglia?” – Alain si ritrovò sorpreso dalla scelta – “Perché?”.
“Circola voce che un ingente quantitativo di polvere da sparo e di munizioni siano state portate alla Bastiglia ieri…e non è tutto…pare che la direzione dei cannoni sia stata modificata…proprio questa notte”.
“La direzione dei cannoni?” – chiesero alcuni.
“Sì, esatto…di solito sono posizionati verso l’interno. Ma adesso sono puntati contro Parigi e contro il popolo di Parigi…”.
“E’ terribile…intendono prenderci a cannonate?”.
“E’ preferibile supporre che il Re abbia finalmente deciso di muoverci guerra…” – sentenziò Bernard Chatelet – “Ci siamo accordati con la gente delle altre piazze…siamo d’accordo di unirci e di…marciare contro La Bastiglia…”.
“Non ci sono che reduci di guerra e poche guardie svizzere a presidiarla…”.
L’obiezione era sensata.
La Bastiglia era una vecchia fortezza dov’erano rinchiusi vecchi pazzi dimenticati da Dio e dal mondo. A nessuno importava di quei disgraziati, ma le mura, quelle rappresentavano il fulgido e granitico potere dei Sovrani e del Re Luigi XVI che non l’aveva mai voluta tirar giù perché quelle architetture così possenti glorificavano la stirpe regale…
E gli erano sempre state congeniali.
“E’ vero…anche se per secoli quella è stata la prigione per tutti coloro che si voleva far sparire dalla circolazione…per tutti coloro di cui non si voleva sentire il grido di libertà…sappiamo che adesso vi sono solo sette o otto prigionieri. Ma non è questo l’importante…quell’edificio è il simbolo dei Borboni…il simbolo amato di una monarchia che puzza di marcio e noi l’assalteremo e in questo modo faremo comprendere che nemmeno il Regno di Luigi XVI è più al sicuro…”.
Piove…
Dannata pioggia…
L’alba se la portò via con sé quella dannata pioggia, illuminando un nuovo giorno, apparentemente uguale a tutti gli altri, in realtà molto simile a quello che l’aveva preceduto…
Perché alle sei del mattino, non appena la luce aveva consentito di guardarsi in faccia e di muoversi, la gente aveva preso a radunarsi all’Hotel des Invalides per chiedere le armi, quelle che s’era saputo era stato ordinato di portar lì dall’Arsenale.
E che era stato ordinato di rendere inservibili…
I reduci di guerra che presidiavano Les Invalides non c’erano riusciti o non avevano voluto farlo.
E i cannoni puntati contro la folla e la miccia già accesa nelle mani degli Invalides erano rimasti in religioso silenzio.
Trentaduemila fucili e dodici cannoni da ventiquattro, diciotto e dieci libbre e un mortaio finirono ad ingrossare le fila degli armamenti a disposizione del popolo…
Che per far funzionare quella discreta Santa Barbara adesso era necessaria la polvere da sparo…
E quella si sapeva ch’era stata portata di nascosto due sere prima alla Bastiglia che a quel punto diventava l’inevitabile bersaglio della rabbia del popolo.
Tutto era fermo avvolto dal sorgere scarlatto del chiarore orientale che illuminava la sommità di Parigi eterea e limpida, religiosamente ed apparentemente immobile di fronte a sé stessa…
Lassù sulle torri di Notre – Dame, riflessa nei rosoni di Saint Sulpice e Saint Germain des Pres e di Palace de Justice…
Tutto era in fermento nelle coscienze che brulicavano là sotto, giù, nella Parigi più oscura e viva, dall’Inferno di Les Halls alla Barrier d’Enfer…
Il popolo si animava e prendeva coscienza di sé stesso e…
“Credo che il volere del popolo debba essere rispettato” – fu la conclusione di Bernard che se ne andò, dopo aver informato Monsieur Robespierre della decisione che era stata presa, ignorando il dissenso dell’altro che si vedeva sottrarre il potere di agire e decidere e tenere le redini di quel grandioso movimento spontaneo.
Nemmeno i delegati del Terzo Stato si sarebbero aspettati tale ardore, giudicato incosciente e prematuro.
E loro che si vedevano i padroni della rivolta e che non avrebbero mai dato un simile ordine senza prima valutarne le conseguenze, alla fine venivano esautorati.
No, il popolo avrebbe fatto da sé…
Non si può mettere in scena una rivoluzione…
La rivoluzione mette in scena sé stessa.
E il popolo vuole la rivoluzione.
Per la prima volta gli oppressi decidevano all’unisono e così pure coloro che erano governati dal potere del Re…
Spontaneamente, senza il beneplacito o l’incitamento di nessuno.
Spontaneamente perché volevano un nuovo futuro…
Polipo mostruoso che espelle il suo inchiostro nero di rabbia e livore…
***
La folla che si accalcava sotto le mura grigie della fortezza vide le bocche di fuoco puntate sui tetti della città…
Quella mattina una delegazione riuscì persino ad entraci dentro la Bastiglia, portando con sé la richiesta che quei cannoni non finissero per sparare contro le case ed il popolo.
Il Governatore De Launey, piuttosto restio a concedere promesse ma abbastanza codardo da non rischiare di farne per finirne invischiato, lo promise che non avrebbe fatto del male al popolo e che quei cannoni non avrebbero sparato.
E quel dannato De Launey ci si mise d’impegno a ritirate i cannoni, tanto che il movimento degli affusti che rientravano venne scambiato per le operazioni di caricamento e la folla prese a rumoreggiare e ondeggiare, aizzandosi a vicenda, incredula che stesse accadendo davvero che la città sarebbe stata cannoneggiata.
Un’altra delegazione riuscì ad entrare nella fortezza e anche questa ricevette la rassicurazione che i cannoni non avrebbero esploso un colpo. Il delegato venne addirittura accompagnato sulle torri perché lo verificasse di persona che quei cannoni erano stati fatti indietreggiare.
E quelli, da lassù, l’osservarono la folla, là sotto, e se la squadrarono e la videro come fosse diventata un’unica entità che avesse preso a parlare rivelando un unico intento…
Che davvero la Bastiglia fosse presa e violata, magari senza combattere, ma almeno infondendo la soddisfazione d’aver piegato alla volontà del popolo un simbolo della monarchia.
La richiesta non poté essere accolta, era impossibile arrendersi senza combattere.
L’onore d’essere il governatore della Bastiglia non poteva essere infangato da una resa codarda e anche se era già mezzogiorno passato e il governatore aveva terminato il pranzo che aveva pure offerto ai delegati…
No, non ci fu verso di convincerlo ad arrendersi.
La folla prese a sollevarsi mentre il mormorio scomposto diventava unico grido…
La folla adesso i cannoni non li voleva più e nemmeno la povere da sparo…
Adesso la posta in gioco s’era innalzata…
Volevano la Bastiglia…
Il popolo voleva la Bastiglia.
E il popolo non mette in scena ciò che vuole…
L’ondeggiare si fece più intenso, all’unisono con il terrore che s’impadronì dei soldati all’interno della fortezza e delle Guardie Svizzere che ricondussero i cannoni nei loro alloggiamenti, caricando i fusti...
Qualche colpo venne sparato giù, contro il selciato, e la folla prese ad allargarsi.
Parigi si scosse…
La folla prese a gridare ch’era stata tradita…
Essa infuse a sé stessa la rabbia per entrare e prendersi ciò che adesso le apparteneva…
Altri colpi…
I fucili da bastione lanciarono biscaglini da una libbra e mezzo…
E i primi colpi di cannone s’abbatterono tra i crocchi di gente incidendo solchi profondi e lugubri nelle pietre della piazza che schizzarono via, colpendo quelli ci stavano attorno…
E quelli sotto non avevano che misere chevrotines, piccole pallottole distribuite dalle casse requisite nelle razzie delle polveriere, e moschetti arrugginiti…
E sì, ce li avevano i cannoni, anche loro ma…
L’arte della guerra non la si può mettere in pratica se per tutta la vita non s’è fatto altro che zappare la terra, impastare farina e tirare il collo alle galline e lamentarsi del pane che non c’è e quello che c’è è fatto con farina di pietra…
Erano le due di pomeriggio e si sparava ancora e ancora…
Per evitare d’essere ammazzati dalla grandinata di colpi, gli assedianti avevano persino avuto l’idea d’incendiare due carretti stracolmi di paglia per offuscare la visuale delle guardie della fortezza.
I delegati del popolo tentarono un’ultima mediazione, ritrovandosi tra due fuochi…
Da una parte gli assedianti, a cui avevano imposto di desistere per riuscire a parlare nuovamente con gli occupanti della fortezza.
E dall’altra i dannati soldati a guardia della Bastiglia che, no, non si arrendevano…
Ed anzi continuarono a sparare su quelli di sotto che allora si ritrovarono ancora più infuriati perché presi in giro per aver obbedito alla richiesta di cessare il fuoco e adesso erano loro a cadere trafitti dalle pallottole…
E quelli ad un certo punto decisero che nemmeno la delegazione la volevano più.
No, quelli adesso volevano la Bastiglia…
Ciascuno è il capo di sé stesso e segue soltanto il suo istinto…
***
Alla Bastiglia…
Il nome riecheggiò ampliandosi e diffondendosi nel vicolo scuro e fradicio e vuoto.
Alla fine il dolore aveva piegato muscoli e coscienza, trascinandoli via nell’oblio di un sonno dannato che solo per qualche ora aveva consentito di fermare la folle corsa verso il precipizio, il vuoto, il nulla, l’impossibilità di riavere per sé quel tempo, quelle ore, sfuggite dalle mani, dove ancora vibrava l’intenso disfarsi del corpo dell’uomo che aveva amato e che adesso non c’era più.
“Alla Bastiglia…”.
Se lo ripeté di nuovo quel nome per comprendere dove fosse…
Ecco, c’era finita di nuovo a Fabourg Saint Antoine.
Era ovvio. A forza di vagare per la città, non poteva ch’essersi ritrovata là, là dentro, dove anche le guarnigioni dei soldati avevano sempre faticato ad entrare perché la gente di Saint Antoine se li mangiava i soldati e se teneva strette le straducole e le piazze e non ce li voleva là dentro i soldati…
L’aveva compreso anche lei…
Improvviso il risveglio tagliente riportò la realtà altrettanto limpida dei fatti.
Oscar rimase a terra, rannicchiandosi contro il muro, incapace di alzarsi, o meglio incapace di dare l’ordine al corpo.
I muscoli parevano distanti dalla mente…
E la mente confusa corse al volto degli uomini che non c’erano più.
Voltaire, Lasalle, Romanov…
La mente disfatta non poté non tornare al volto di André, allo sguardo intenso, alla pelle, la sua, che aveva lambito la propria, per la prima volta, così intensamente che lei aveva finalmente potuto ascoltare e percepire e farne proprio l’odore…
Dio…
Esso era lì adesso, a torturare i sensi, a rimbombare nella coscienza, anche se a lei parve davvero di stringerlo ancora tra le dita quel corpo, i muscoli lisci e di vederlo quello sguardo così vicino a sé, quando lei aveva chiuso gli occhi, solo per qualche istante, solo per riuscire ad avvicinarsi di più, perché ancora, ad occhi aperti, non ce la faceva, non l’aveva mai fatto e un poco aveva paura, di mostrarsi, di pretendere per sé ciò che caparbiamente aveva rifiutato per anni…
I muscoli dolevano al punto che un gemito corse sulle labbra…
Solo in quel momento si accorse che dal fondo del vicolo arrivavano indistinte grida, rauchi incitamenti a correre, ad andare tutti…
Alla Bastiglia…
Un rumore secco, passi sconosciuti che si avvicinavano le imposero di staccarsi da terra e di rialzarsi, anche se non voleva sapere che accadesse.
Non le importava…
L’ombra avanzò e lei la riconobbe.
Il corpo si contrasse di fronte all’effige che si mostrò…
L’altro non parlò.
Portò la sinistra al tricorno accennando ad un saluto…
Fabourg Saint Antoine…
Il cuore s’infranse al ricordo.
Quello era un vecchio informatore che lei aveva incontrato spesso durante le ronde con i Soldati della Guardia…
Un abisso di scelte ed eventi l’aveva trascinata lontano dal suo incarico che ormai appariva distante e dissolto. Era impossibile che quell’uomo non sapesse chi era lei e che era stata lei ad aver comandato i soldati disertori…
Perché non l’aveva tradita allora?
Perché non aveva rivelato che lei era lì, facile bersaglio dei cecchini che s’aggiravano per la città per freddare i popolani più irruenti e riconoscibili, come lo erano i soldati in uniforme?
Un leggero inchino colpì i sensi.
“Au revoir…mademoiselle…” – sibilò quello facendosi da parte.
Oscar si appoggiò al muro…
Le parve d’intravedere un’altra persona dietro al primo.
Gl’informatori non agivano per nulla, e chi li prezzolava di solito era perché voleva trovare qualcuno…
Un volto…
Sei tu…
André…
I muscoli si contrassero e lo sguardo si aprì alla ricerca dell’immagine, del suono, della voce…
Un timbro conosciuto…
Beffato dalla stanchezza e dal dolore, l’istinto si riebbe.
Avrebbe voluto…
Dio…
André…
André…sei vivo…
“Oscar…che succede? Che fai qui? Tutti stanno correndo alla Bastiglia…hanno le armi con sé…per combattere…ma i tuoi soldati sono ancora nella piazza…ti stanno aspettando. Stanno aspettando che tu ritorni…”.
Il timbro conosciuto si dissolse in uno altrettanto conosciuto, ma distinto, impossibile d’accettare…
Il volto di Alain s’impose…
Oscar lo riconobbe.
“Comandante…stanno aspettando tutti il vostro ritorno per combattere con voi…”.
“Alain…”.
Il nome, pronunciato piano, i sensi dissolti, la stanchezza, l’abbandono…
Oscar rimase lì, gli occhi piantati sull’altro, mentre la mente dissolveva il volto amato e il corpo cedeva e sprofondava…
Se André fosse stato vivo…
Se André fosse stato ancora là fuori, ci sarebbe stato lui, qui, davanti a me…
Si tolse il mantello in un gesto di morbida rassegnazione.
L’aria fredda del vicolo sferzò i muscoli stanchi e disfatti e lei si ritrovò scoperta, infreddolita…
La strada più larga era percorsa da una moltitudine di persone, il vociare era intenso…
Li raggiungeva adesso quell’incitamento a correre e ad armarsi, che laggiù alla Bastiglia c’era gente che aveva preso a combattere davvero e se si fosse stati in tanti forse quella dannata fortezza la si sarebbe tirata giù, pietra dopo pietra e al diavolo se dentro non c’erano che vecchi pazzi e cannoni arrugginiti…
Il cuore batteva…
E con esso il cupo rimbombo di vacui colpi di cannone…
Quasi un temporale da cui ci si sarebbe dovuti tenere alla larga.
André, non c’era, non era lì.
“Grazie per questo…”.
“Certo…”.
Il silenzio del soldato indusse il dubbio che una risposta alla domanda ch’era rimasta lì, sospesa tra loro dalla sera prima, dovesse essere data.
“Vi abbiamo cercato tutti quanti…noi non attendiamo che voi…” – ripeté Alain mentre la osservava, un poco rigido…
Doveva insistere, doveva averla lì, sotto gli occhi, perché lui quella notte era quasi impazzito, e si era maledetto cento volte per essere stato attraversato dalla certezza d’impazzire, che non aveva senso per lui quella pazzia, per una donna così…
Ma l’aveva persa di vista, lei pareva esser stata ingoiata da quella dannata città.
E allora lui e gli altri avevano preso a cercarla…
Lui lo sapeva che lei non se n’era andata, ma il dubbio l’aveva morso nella coscienza, che il dolore avesse potuto piegarla al punto da non fargliela più ritrovare.
E allora si era stramaledetto un’altra volta e persino lui l’aveva ripetuto in nome di Andrè tante dannate volte perché non ci voleva che l’amico adesso non ci fosse più, perché solo lui era stato capace di renderla viva, lei, il loro comandante…
Certo che anche Alain lo sapeva armare un cannone, ma…
Dio, voleva che fosse lei a dare quell’ordine…
Dannato egoista.
E adesso avrebbe solo voluto abbracciarla…
“Quindi…non dovrei fare aspettare tutti?” – chiese lei.
Era la prima volta che dubitava di sé, come comandante.
Lo sguardo stranamente smarrito fissò il muro ammuffito e verdognolo.
Dannazione…comandante…non dovete arrendervi…io…
“Sì…” – si limitò a rispondere il soldato anche se Alain avrebbe voluto…
Vorrei…
Vorrei dirvi di più…
Le parole muoiono in gola…
Non posso sostenere il vostro dolore…
“Alain…”.
“Sì?”.
“Ancora un istante…questa è l’ultima volta…”.
La voce s’incrina.
La voce si spezza…
“Posso piangere…ancora…”.
Dio…
Mi chiedete il permesso…
Come se sapeste di non poter nemmeno piangere, non davanti a me.
Non con me che vi sto richiamando al vostro essere soldato e nostro comandante.
Che sto facendo?
Dio…
Vi accolgo…
Il vostro dolore…
Le lacrime…
Il corpo spezzato assieme al respiro…
“Sì…potete…farlo…”.
Posso solo chiudere le braccia e stringervi a me mentre forse per la prima volta avete chiesto a qualcuno di poter piangere, senza vergognarvi di farlo, senza temere di venir meno al vostro dovere…
Dio…
Piangete pure…
Alain accolse il corpo asciutto, smagrito, fragile…
Ci aveva combattuto dal primo giorno che l’aveva vista contro quella donna, contro quel corpo, contro quell’anima, contro quella coscienza così dannatamente e disperatamente nobile d’assomigliare alla propria, quella d’un popolano rozzo e straccione e vivo…
I muscoli spezzati dal pianto, il corpo trafitto dall’assenza, dall’anima di chi non c’è più e che pure incombe nella carne e respira il respiro di chi c’è ancora…
Le lacrime…
Il dolore che non ha neppure il tempo di schiudersi e di affidarsi ad un tenero abbraccio.
L’ultimo…
Il dolore straziato e spazzato via dai boati dei cannoni…
L’ennesima salva squassò i tetti delle case vicine alla fortezza.
E chi c’era dentro quelle case e quelli ch’erano fuori si ritrovarono lividi di rabbia per la trattativa fallita…
Gli assedianti erano diventati tali perché adesso non le volevano più le armi…
Non la volevano più la resa della Bastiglia.
Volevano la Bastiglia…
Il Marchese De Lonay osservò dall’alto la folla inferocita…
Non era una folla immensa – si disse.
Erano da poco passate le tre del pomeriggio e con un po’ di fortuna le mura avrebbero retto all’assalto di quegli straccioni, incapaci persino di ricaricare i moschetti, e neppure in grado di caricare una palla di cannone dentro l’affusto…
E nel giro di poche ore sarebbero senz’altro arrivati i rinforzi necessari a ricacciare tutti nel loro inferno.
D’altra parte Parigi era piena di soldati. Non ci avrebbero impiegato molto le guarnigioni a sentire i cannoni che tuonavano e a dirigersi lì…
Lì sotto.
De Lonay pensò e si convinse che ci sarebbe riuscito adesso che s’era preso il coraggio di cacciar fuori quei dannati delegati…
E da quando i cannoni della Bastiglia avevano preso a sputare fuoco…
Bastava mirare in basso, in mezzo alla folla.
Bastava solo attendere e prima o poi altri soldati sarebbero venuti a dar manforte…
Da lassù le scorse De Lonay le bocche di fuoco piccole ma potenti, puntate contro le mura, e chissà dove quegli straccioni erano riusciti a recuperare.
Ma tanto s’era capito che quelli non li sapevano armare i cannoni…
Ordinò un’altra salva.
Tre o quattro colpi, tanto per non sprecare palle di cannone e tanto per rendere chiara quale sarebbe stata la sorte degli assalitori.
Le pietre del selciato schizzarono via, involontari proiettili a straziare i corpi di quelli che avevano tentato di ripararsi dietro improbabili barricate di carretti e vecchi armadi…
Sarebbe bastato per fiaccare gli assalti…
E prima o poi quei dannati parigini l’avrebbero capita che lui la fortezza non l’avrebbe mai ceduta.
Sarebbe bastato solo attendere i rinforzi…
Il governatore della fortezza attese il resoconto delle azioni degli assedianti.
Venne fuori che quelli erano riusciti a tornare sotto il ponte levatoio e…
Avevano spostato quel dannato carretto che li aveva affumicati fino ad un’ora prima.
A che gli era servito aver fatto tutta quella fatica per posizionarlo lì quel dannato carretto e poi dargli fuoco e due di quei dannati erano rimasti pure mezzi affumicati se adesso quei pezzenti avevano deciso di toglierlo e di portarlo via quel carretto?
Certo, il fumo era servito ad ostruire la visuale…
In un senso ma anche nell’altro. I cecchini dalle torri avevano faticato a centrare la gente giù di sotto e allora s’era deciso di usare i cannoni, che tanto quelli bastava puntarli in basso e fare fuoco…
Ma anche quelli là sotto l’avevano capito che il fumo non avrebbe consentito loro di sparare verso le torri…
E allora…
De Lonay si permise d’abbozzare un mezzo ghigno di soddisfazione.
Le salve dal basso, dalla prima Corte dei Salpêtres, contro le mura non ebbero alcun effetto.
Anche quelle dalla seconda corte dell’Orme fallirono.
Dannati pezzenti che non sapevano neppure caricarli i cannoni…
Sorrise e si lisciò le mani.
Quella sera c’era anatra farcita per cena!
“Non sappiamo usarli i cannoni…”.
Le mani ruvide dell’omaccione s’erano invano arrabattate con miccia e polvere…
L’uomo sgranò lo sguardo verso il giornalista, vestito meglio era vero, ma altrettanto incredulo.
Non li si sapeva davvero usare quei marchingegni…
Non era solo perché mal posizionati…
Il caricamento degli affusti non era corretto o forse gli assalitori, da buoni panettieri, pescivendoli, contadini, commercianti, tessitori, tipografi…
E pure mendicanti…
Mica lo sapevano come si caricava un cannone!
Bernard Chatelet osservò incredulo quell’assurda prova di forza che vedeva opporsi alla granitica possanza delle mura fortificate la confusionaria e debole furia degli assalitori, inetti ed incapaci, ciascuno capo di sé stesso che seguiva solo il proprio istinto.
Era comprensibile.
Nessuno aveva insegnato a panettieri, ciabattini, rigattieri, pescivendoli, commercianti…
Dio…
Nessuno gli aveva insegnato come si caricano i cannoni.
Il caporale Houlin tornò verso il gruppo più compatto degli assalitori…
“Ora la visuale è libera!” – sentenziò come se sapesse di cosa si stava parlando, come se un piano di battaglia fosse stato steso lì, sotto gli occhi di tutti, ma ancora quelli più ingenui non lo riuscivano a scorgere.
Bernard sgranò gli occhi…
Di che diavolo stava parlando quello e a chi…
“Perdonami per averti fatto attendere…”.
Bernard si voltò di scatto ritrovandosi davanti la figura del Comandante dei Soldati della Guardia.
Il caporale Houlin scattò sull’attenti e lo sguardo si tese perché adesso c’era il modo di…
La divisa di Comandante dei Soldati della Guardia riluceva al sole del primo pomeriggio.
Lo sguardo tagliava e correva lontano verso le mura possenti che ora erano ben più visibili.
“Io…”
Bernard ricambiò lo sguardo.
Solo poche parole…
“Ci occuperemo noi dei cannoni…”.
Poche parole…
14 luglio 1789, Paris, ore 15,30
De Lonay scorse alcune divise a tratti offuscate dal fumo degli spari…
Una divisa blu intenso…
I ricami ornavano il petto come a richiamare il grado…
Le vide laggiù, là in fondo. Ora erano ben visibili…
Lui li attendeva i rinforzi ma quelle uniformi le vide sorprendentemente aggirarsi attorno agli affusti…
Dio…
Dove diavolo li stavano portando quei dannati cannoni?
Un ufficiale…
Quello stava impartendo gli ordini…
Non è possibile…
La voce di De Lonay tentò di sormontare la confusione, mentre i cecchini seguivano con gli occhi dall’alto lo spostamento dei cannoni, giù, dabbasso…
“Fucilieri…”.
Quelli osservarono il governatore e presero a posizionarsi nelle feritoie e piantarono i fucili nei pertugi che davano giù verso Court Casernes e più giù ancora verso Rue du Petit Musc…
Dannazione proprio davanti al ponte levatoio…
Proprio lì s’erano posizionati quei dannati soldati…
Ecco perché s’erano arrischiati a tirar via il carretto.
I gesti conosciuti della preparazione degli affusti e del caricamento…
La mia voce guida ordini…
Gli uomini in posizione…
Pronti a fare fuoco…
Quarantacinque gradi…
Puntate alla parte alta della fortezza!
Non è impossibile uscire dalla Bastiglia vero André?
E nemmeno entrarci dentro!
Ordino di caricare i cannoni…di nuovo…
I cannoni di un regime che spareranno contro quel regime…
La mia voce adesso si oppone a questo regime...
“Fuoco…”.
Una voce nuova…
La voce della libertà, invisibile, fatta di labbra morse e baci gremiti che scivolano sulla pelle e occhi che penetrano nell’intenso sciogliersi dei muscoli attraversati dal dolce fremere di un respiro dissolto e sollevato nel grido disperso…
Brucia quella libertà attraversata dalla miriade di stelle lassù nella coltre illuminata da un nuovo destino, da una nuova voce…
Brucia questa libertà…
Brucia come fuoco…
Si rovesciano addosso quelle stelle, come fuoco che sputano questi cannoni…
Ti sento…
Sei con me…
Ti amo…
Lo sguardo si sollevò un istante verso l’alto.
Uno spiraglio di azzurro scivolò veloce, attraversato da una densa nuvola di fumo.
Cercò di restare con lo sguardo a quel piccolo lembo di cielo.
Ma c’era tanto fumo…
E rumori assordanti si susseguivano attorno a lei…
Rumori assordanti di fucili e il boato tetro dei cannoni…
In mezzo a tutto quel fumo, il volo bianco d’una colomba che attraversava spaventata quel piccolo lembo di cielo, risparmiato dal tormento della battaglia.
E nella mente un pensiero…
André non era con lei…
André non c’era…
Non c’era più.
Si ricordò di averlo pronunciato il suo nome e di averlo tenuto lì sulle labbra dal momento in cui l’aveva chiamato il suo André per dirgli che non doveva morire…
Il suo nome e poi il dolore sordo e profondo che l’attraversò e si allargò, frantumando quasi e dissolvendo ogni parte di sé.
Se non fosse stato che lei sentiva di essere già dissolta.
Se non fosse stato che altro aveva avuto il potere di annientarla.
Lei era già morta…
E dentro di sé il desiderio d’essere trasformata in pietra perché almeno le pietre non soffrono come invece stava soffrendo lei.
Non era il dolore che scorreva nel corpo…
Era la sensazione, netta, implacabile e devastante generata da un pensiero.
Uno soltanto…
Comandante…
André è stato colpito…è ferito comandante…
André è ferito…
André non era con lei.
Non era più con lei…
Lui non era lì.
Le parve quasi di sentirla la sua voce che le sussurrava bassa che lui non poteva morire, non lì, non in quel momento…
E poi le proprie parole, sussurrate, basse, che non sarebbe accaduto e che si sarebbero sposati e che…
E le parve di vederlo scorrere quel sogno, dentro di sé, davanti a sé, attorno…
André…
Il mio André…
Come sarebbe stata la nostra vita…
Anche tu…
Anche tu l’hai immaginata?
Io sì…
Ho visto me stessa amarti…
Infinitamente e con passione…
Ho visto me stessa tra le tue braccia…
Ho visto me stessa perdermi dentro di te…
Ho visto gli anni in cui avrei potuto darti tutto l’amore che tu meritavi di ricevere.
Ho visto te…
E ho visto me stessa…
Ora non so più quale sia il sogno e quale sia la realtà.
Sento solo il mio viso percorso dalle lacrime…
Tu non sei con me…
Non sarai più con me…
Dove sei André?
Forse sto per venire da te…
Sì, sto per raggiungerti…
Forse allora è stato tutto veramente un sogno?
Un bellissimo sogno che il mio cuore ha voluto regalarmi per dirmi ciò che avrei potuto vivere…
E’ stato tutto un sogno…
Solo un bellissimo sogno…
Solo un sogno…
André non era con lei.
Era stato ferito e non era più con lei.
Lui non c’era più…
Non c’era più.
Il corpo si contrasse e poi lentamente si chiuse su sé stesso…
Impresso ed arcuato a proteggersi dalla stilettata corsa addosso.
Da lassù, dalle torri, era stato aperto il fuoco…
Rumori di nuovo assordanti intorno…
Rumori assordanti di fucili e il boato tetro dei cannoni…
Colpi che esplodevano ad uno ad uno…
Bocche di fuoco che sputavano rabbia contro le mura e dissolti proiettili che sfilavano nell’aria e circondavano la vita…
Non è più lei a cogliere il mio respiro…
Morte dolce che trafigge la carne e solleva il respiro e dissolve il silenzio già calato nell’anima…
Dio…
Non voglio morire…
Non adesso…
Respirami…
Amami…
Oscar aprì gli occhi.
Piano…
Sentì il proprio corpo disteso.
Le pietre fredde del pavimento della piazza…
E su di lei le voci dei Soldati della Guardia…
Ma non c’era quella di André.
Lui non c’era più.
E una voce…
Una voce chiamava il suo nome…
La voce di donna gridava, gridava forte un nome.
E poi, di nuovo, il dolore sordo che scorreva dentro…
E un’altra voce chiamava il suo nome…
Sì…
Aveva riconosciuto quella voce.
L’aveva sentita ancora.
Era la voce di Alain che la chiamava e le diceva che non doveva morire e che avevano bisogno di lei…
Tentò di parlare.
Di nuovo…
“Non urlare Alain…ti sento benissimo…”.
Alain gridava e le chiedeva di non morire…
Quella voce livida si perse nella piazza di fumo e di acre polvere da sparo…
Ma ancora sopra tutto...
Sopra ogni cosa…
Eco già sentita e temuta ed impossibile da accettare…
Oscar…
Una rosa che sia bianca o rossa non potrà mai essere un lillà…
Una donna può essere ciò che vuole, amante e combattente, sposa e dea della guerra…
Ho capito Andrè…
Adesso ho capito…
Io sono solo e soltanto io…
Rosa bianca o rossa, sono soltanto io….
André, ti prego…
Aiutami…non lasciarmi sola…non lasciarmi…
Io non ce la faccio.
Senza di te non ce la faccio….
Oscar…
Sono qui André…
Sono qui…
Sento la mia voce che ti chiama…
Sto perdendo la mia battaglia…
Voglio sentire le tue mani, le voglio sul mio viso, su di me.
Voglio le tue braccia, voglio che tu mi tenga stretta e non mi lasci più.
Non voglio morire, non adesso….
“Oscar…”.
Braccia forti l’afferrarono e si chiusero su di lei…
Le tue braccia…
“Ti porto via da qui…”.
La tua voce…
“Ti porto via…nessuno può impedirmi di salvarti…nemmeno tu…se sarà necessario mi batterò anche contro di te!”.
La tua voce, André…
Le braccia si chiusero e la sollevarono.
“Alain…aiutami…portiamola via di qua…”.
Alain si ritrovò le braccia di André accanto alle proprie mentre trascinavano via da quella maledetta piazza il loro comandante.
Dannazione André sei vivo?
La fortuna dei condannati a morte…
Che ti è successo?
Un gemito tra le sue braccia…
André corse al viso di Oscar, bianco e freddo…
“Che hai? Sveglia! Devi restare sveglia dannazione!!”.
André…
“Sono qui…non ti lascio…sei mia adesso…ti porto via…”.
Il corpo contratto e spezzato spezzò il respiro…
La bocca invocò aria mentre le mani tremavano incapaci di fermarsi e di chiudersi sulle braccia di lui…
Oscar si sentì sollevare e voltò lo sguardo…
“Dannazione Oscar…non voglio che tu ti faccia ammazzare…”.
Andrè…sei vivo...
Le strinse la mano. Una smorfia di dolore scorse sul viso.
André le strinse la mano chiudendogliela…
Oscar sentì un brivido scorrere…
“Ormai questo non serve più…”.
Gli occhi lo interrogarono…
Le dita si chiusero su una forma indistinta e strana…
“Che…”.
“I tuoi regali di compleanno…ricordi? Dovevo restituirteli…”.
Le dita strinsero piano la distinta circonferenza piatta e calda e l’altrettanto sferica forma d’una pallottola, ficcata dentro, divenuta entità unica con la prima.
“Mi avevi chiesto di prenderli per te…”.
“Sì…è…”.
“E’ la nostra vita Oscar…”.
Può accadere alle volte che la morte ci provi ad affondare nel corpo di un uomo, seppure essa deve incedere ad adeguata velocità e lambire la vita da distanza altrettanto sufficiente, per incidere la carne e disfarla e distruggerla…
E può accadere che la morte finisca sorprendentemente per arrestare la propria corsa conficcandosi in un pegno d’amore, regalo di compleanno confuso nei ricordi di mani bambine e ceduto poi a dita più audaci che di quel pegno ormai s’erano dimenticate.
Alle volte basta poco per prendersi gioco della morte…
14 luglio 1789, Parigi ore 17,00
La fortezza della Bastiglia si arrende.
14 luglio 1789, Parigi ore 17,30
Le campane di Notre Dame l’annunciarono a tutta Parigi…
14 luglio 1789, Versailles ore 23,00
Il Sovrano di Francia, Luigi XVI venne svegliato a notte ormai inoltrata…
Lo sguardo assonnato e perso…
“E’ una rivolta?”.
“No Sire… è la Rivoluzione…”.
Io ti ho amato André…
Probabilmente da sempre.
L’ho compreso troppo tardi…
Troppo tardi…
Se…
Se l’avessi compreso prima di amarti…
Avremmo potuto amarci e vivere insieme…
Giorni migliori e…
Sei sempre stato accanto a me…
Troppo silenzioso e calmo e…
Non avevo compreso che anch’io ti amavo…
Andrè…
Perdonami…
Non comprendere l’amore di qualcuno è ancora peggio che tradire l’amore di qualcuno…
André…
Rispondimi ti prego…
E’ davvero tutto finito?
Se…
Se l’avessi compreso prima…
Se…
Se fossimo vissuti…
Se fossimo vissuti ancora.
Ce l’ho fatta!
Sono arrivata fin dove volevo che è stata durissima, almeno per me.
Mancava un tassello…
Adesso son riuscita a metterlo grazie a demoni e bimbi perduti, grazie alle strade di Paris, alle sue cattedrali, ai mercati, alle fogne e ai topi di fogna, ai parigini e ai feroci rivoluzionari.
Che con quelli c’è poco da scherzare!
L’ho fatto a modo mio, nonostante altri ci abbiano provato sicuramente meglio di me, ma così volevo che fosse.
Ci ho provato a riempire i vuoti dell’anime (per la cronaca io sono animedipendente ahimè), almeno degli ultimi nove mesi della storia, attraverso un percorso tortuoso e pindarico, probabilmente anzi di certo non all’altezza delle aspettative, perché è evidente che a cambiare anche solo una virgola della storia originale poi è difficile arrivare lì, lì dove tutto finisce e dove, almeno per me, tutto comincia.
Shakespeare avrebbe detto “Molto rumore per nulla”!
E spero d’averla curata la “Parisdipendenza”, che l’avevo detto che avrei fatto di tutto per guarirla!
Grazie a chi ha seguito, letto, recensito, condiviso e non, preferito e abbandonato…
Paris, almeno un poco “ha tirato fuori dal fango” anche me.
E così anche tutte le parole ed i pensieri che sono stati regalati a questa storia, perché la vita ha cambiato idea talmente tante volte in questi ultimi anni, che, ammetto, è stato durissimo continuare a scrivere, nonostante tutto, nonostante avessi pensato non ci sarebbe mai più stato spazio per un simile angolino di follia.
Quindi grazie a tutti, davvero, di cuore.
ann1755