Sorry, you need to have JavaScript enabled for this.

 

Actions

Work Header

Rating:
Archive Warning:
Categories:
Fandom:
Relationships:
Characters:
Additional Tags:
Language:
Italiano
Series:
Part 1 of Kebab Verse (Italiano)
Stats:
Published:
2017-10-11
Updated:
2022-02-25
Words:
110,387
Chapters:
17/?
Comments:
5
Kudos:
10
Bookmarks:
2
Hits:
941

How the Half Moon Became Full

Chapter 17

Chapter Text

21 Febbraio 2017
New York City

Ma come diavolo gli era venuto in mente.
Febbraio già era un mese di un freddo porco, per di più aveva pure nevicato il giorno prima e il terreno era fradicio e scivoloso, con quel misto di fango e neve che pare panna su cioccolato. Neanche il cappello, i guanti, e la maglia termica di Malik riuscivano a non farlo pentire di aver detto sì ad Altair, che dal canto suo correva a passo sostenuto incurante del fango e del chiaro pericolo di slogarsi una caviglia, qualora fosse caduto. Non sembrava neanche curarsi del fatto che lui si trovasse almeno cinquanta metri indietro rispetto ad Altair. Voleva fargli vedere quant’era bravo, l’aveva capito, ma un po’ di compagnia non avrebbe guastato. Persino in quel momento, durante le ore più calde della giornata, il sole non sembrava fare il suo dovere. In condizioni normali, l’idea di sprecare un terzo del suo giorno libero così, a correre appresso a un coglione come Altair e a sudare come un muratore, gli avrebbe ridotto il cervello in poltiglia. Ma Malik stava tornando un essere umano dotato di pazienza e compassione, oltre che di sarcasmo.
Finalmente, Malik vide Altair girarsi. Faceva finta di essere sorpreso, il cretino. Senza smettere di correre, Altair fece un semi cerchio e tornò indietro, verso di lui, gli girò attorno una volta e poi gli si riposizionò di fianco, come un uccello che riaggiusta la traiettoria.
– Mi sembri fuori forma. – Commentò Altair che a malapena aveva il fiatone.
– Che c’è, hai voglia di chiacchierare solo quando si tratta di sfottermi? – Ribatté Malik annaspando.
Altair sorrise. – Siamo quasi arrivati agli attrezzi. –
Grazie a Dio, pensò Malik. Sentiva la milza premere sugli altri organi come un coltello ficcato in un fianco. Altair superò Malik e virò sulla destra, e Malik lo seguì in silenzio – solo perché parlare era troppo complicato. Entrarono in un sentiero meno fangoso, ma in compenso pieno di sassi, abbracciato ai lati da cespugli ancora imbiancati. A Malik cominciavano a dolere i piedi, perciò alzò lo sguardo per chiedere ad Altair di fermarsi; ma Altair si era già fermato, pochi metri avanti a lui. Malik riuscì a frenare in tempo e a non travolgerlo, affondò le mani sui fianchi e buttò in avanti la schiena cercando aria. Tossì, sputò per terra da un lato e si pulì la bocca, trascinando le mani dai fianchi alle ginocchia e curvandosi verso il basso. Sì, era decisamente fuori forma.
– Tutto okay? – Era la voce di Altair.
Qui l’orgoglio di Malik ebbe la meglio, e non appena si sentì fare quella domanda si tirò su di scatto, tornando ritto con la schiena. Si sforzò di respirare normalmente ma senza successo: somigliava più a un tonno che annaspa dopo essere stato pescato. Ma Altair conosceva il rischio di quei movimenti troppo improvvisi e affrettati.
– Occhio. – Altair gli afferrò un braccio per sicurezza. Lì per lì Malik non capì di cosa Altair si stesse preoccupando e perché gli fosse venuto in mente di sorreggerlo, neanche fosse un vecchio decrepito. Ma un secondo dopo gli fu chiaro: Malik vide scuro per un attimo e la testa gli girò come dopo dieci piroette. Chiaro, si era alzato troppo presto da quella posizione rannicchiata e non aveva ancora ripreso i normali livelli di ossigeno nel sangue. Per forza aveva visto le stelle. Ma era durato solo pochi istanti. La presa di Altair, invece, era ancora lì sul suo braccio.
– Non fare movimenti troppo bruschi per un po’. – Altair gli lasciò finalmente l’arto, una volta certo che il capogiro fosse passato. E solo allora, Malik vide che poco più avanti c’era lo spiazzo con tutti gli attrezzi, e gente che si allenava. Erano arrivati, finalmente. Altair si incamminò verso gli attrezzi e Malik gli andò appresso in silenzio: era ancora troppo presto per parlare. Altair sembrava sapere bene come muoversi, dove andare, cosa fare. Lo vide persino fare un cenno a un tizio alla sbarra, forse erano entrambi soliti allenarsi in quel parco. Era parte dell’aver accettato l’invito di Altair, d’altronde: entrare nel suo mondo e lasciarsi mostrare di cosa era fatto. Per ora, ne aveva sperimentato solo il freddo e il sudore.
– Ti interessavano gli addominali, no? – Altair si avvicinò a una panca libera e ci si sedé sopra per occuparla. Era impressionante come parlasse già con un tono di voce perfettamente ripreso dalla fatica della corsa.
– Sì ma non voglio rompermi la schiena. – Rispose Malik il più veloce possibile per non dare l’idea che fosse ancora a corto di fiato. Ma non riuscì a ingannare Altair, che anzi sorrise sotto l’ombra del cappuccio.
– È perché hai sempre fatto gli esercizi sbagliati. – Non era chiaro se fosse una critica o una constatazione, il tono usato da Altair era stato neutrale. – Sapevi che la maggior parte degli esercizi per la tonificazione non tiene conto delle differenze corporee di ognuno, e che possono essere controproducenti se non addirittura dannosi? –
Un Wow si stampò sulla faccia di Malik. – Mi sorprende di più che tu sappia cosa significa controproducente. – Okay, era una frecciatina, ma le labbra di Malik erano curvate all’insù, e avrebbe usato quel sorriso come lasciapassare. Altair rise spontaneamente alla battuta, tirandosi indietro il cappuccio e scoprendo i capelli. Con tutti quei soliti cappucci, e le cuffie che indossavano a lavoro, Malik non si era accorto che Altair aveva un taglio rasato adesso. Gli stava bene.
– Sdraiati. – Fece Altair alzandosi e scostando qualche fiocco di neve dall’attrezzo. Malik osservò la panca e la prima cosa che gli venne in mente era che doveva essere gelata.
– Quant’è fredda? – Gli occhi di Malik si fecero sottili e dall’aria ispettiva.
– Se metti la testa qui è più caldo, c’è stato il mio culo seduto sopra. –
Malik si sforzò di cancellare dalla mente l’immagine della propria testa poggiata sopra una chiappa di Altair. Si avvicinò alla panca e si sedé: come pensava, era fredda. Strinse i denti mentre sdraiava la schiena sull’attrezzo orizzontale. Stava vivendo quel momento, e tutta quella giornata, come una prova: un lasciarsi guidare verso nuove prospettive. Aveva messo in conto che non potesse essere un processo esclusivamente piacevole. Malik stava già per chiedere quanto sarebbe durato l’esercizio, che Altair poggiò il palmo di una mano, avvolta da un guanto ruvido, esattamente sul suo petto. Malik spostò lo sguardo sulla mano di Altair: la prima cosa calda di quella giornata.
– Non inarcare la schiena. – Altair era in veste personal trainer ormai.
– Okay. – Malik era immobile. Non sapeva cosa aspettarsi.
Altair rimosse la mano e studiò il collega con lo sguardo. – Piedi sulla panca. –
Malik eseguì l’ordine: la panca era abbastanza larga da permettere una distanza di mezzo metro tra un piede e l’altro. Era curiosa la dinamica per cui fosse lui a dover prendere ordini da Altair adesso, e non viceversa. Voleva godersela e vedere dove portava. Altair ispezionò la sua posizione, sistemandogli meglio una caviglia e un braccio. La sua estrema precisione sorprese Malik. Era uno attento ai dettagli solo per quello che gli pareva.
– Ora… – Cominciò Altair. – Devi sollevare il bacino. La schiena deve rimanere una linea retta fino alle ginocchia, perciò pensaci quando ti muovi. Resta su per cinque secondi e poi torna lentamente giù. Inspira quando sali, espira quando scendi. Tutto chiaro? –
– Puoi ripetere? – Fece Malik con vena ironia, ma Altair non la colse.
– Devi sollevar- –
– Scherzavo. Ho capito. –
Altair aggrottò le sopracciglia, ma non perché fosse piccato. – Stringi le chiappe quando sali. –
Malik sorrise divertito e annuì. Non sapeva neanche lui cosa ci fosse di tanto divertente, considerato che era sudato, affannato, e sdraiato sopra un ghiacciolo che gli stava anestetizzando i muscoli. Fece un bel respiro e guardò il cielo bianco sopra di sé, resistendo all’istinto di chiudere gli occhi e addormentarsi. Non poteva deludere proprio adesso il suo allenatore. Malik fece il primo movimento, forse troppo veloce e si mise a contare i secondi fermo in quella posizione di ponte.
Altair lo fermò: – Uh-uh – Mugugnò in dissenso, come una mamma che riprende il pargolo. Il ragazzo lasciò Malik nella posizione raggiunta, si chinò su di lui e gli premé una mano sulla fronte, dove c’era il cappello a coprirlo. – Stai inarcando la nuca. Se imponi lì tutta questa pressione ti farai venire il torcicollo. – La mano di Altair spinse con gentilezza la testa di Malik verso il basso, e la nuca toccò di nuovo la panca.
Malik espirò, sempre più stupito: – Pensavo fossi un buffone, invece mi sa che ne sai davvero. – Rise fra i denti, sentendo che le chiappe cominciavano a bruciargli.
Altair sorrise senza rispondere. Si voltò per osservare il resto del corpo di Malik, e poggiò di nuovo una mano sul suo torace, facendola scorrere fin quasi al ventre. – Linea retta, ricorda. – Poi Altair spostò la mano sotto, lungo la schiena di Malik, e fece lo stesso movimento per controllare che non stesse facendo curve bislacche con la spina dorsale. – Stai stringendo le chiappe? –
Malik sospirò al limite della sopportazione, non per colpa di Altair ma per i muscoli che gli bruciavano. – Pensavo fosse un esercizio per gli addominali. –
– Lo è. È per entrambe le cose. – La mano di Altair premé adesso sul ventre di Malik, riportandolo lentamente giù con la schiena. – Scendi sempre usando i bassi addominali, non il torace. –
Malik espirò con la stessa intensità di un battello a vapore e trattenne un ahi. Era più impegnativo di quel che pensava. – Ma non dovrei farne molti di seguito più velocemente? – Chiese.
– Solo gli idioti pensano che la velocità porti risultati. – Altair cominciò a fissarlo senza nemmeno sbattere le palpebre. – È la tensione che ti farà lavorare i muscoli. Più esegui il movimento lentamente, più sarà difficile da sopportare. Per quello sentirai le chiappe bruciare. –
– Le mie chiappe stanno benissimo. – Ribatté Malik.
– Vedrai domani. – Poi Altair batté le mani per motivare il collega – Forza, dobbiamo fare tre serie da dieci adesso. –
Malik pensò che Altair fosse impazzito. – Se usi il plurale allora poggia anche tu il culo per terra. – Si lamentò come un adolescente che non vuole fare i compiti.
– Il mio dovere è quello di guidarti, il tuo di soffrire. – Disse Altair fin troppo seriamente.
Malik scoppiò a ridere senza alcuna finzione. Non sapeva come ribattere e perciò accettò la sentenza. Fece un bel respiro e cominciò a ripetere l’esercizio. Fu tentato di salire il più velocemente possibile, ma Altair lo ammonì, ricordandogli come l’obiettivo fosse esattamente il contrario: a farlo veloce, e male, sono bravi tutti, diceva. Era affascinante sentirlo parlare di qualcosa che sembrava conoscere davvero bene, e che addirittura lo appassionava. Aveva sempre ritenuto che Altair possedesse l’entusiasmo e le energie mentali di un pesce rosso, ma era con strana curiosità che Malik si rese conto di essersi sbagliato. Vedere finalmente anche altri aspetti di Altair lo stava facendo sentire meno in colpa per quei momenti in cui aveva esagerato con lui, ed era stato brutale, se non gratuitamente crudele. Continuò l’esercizio costringendosi a procedere a passo lento, soffrendo durante ogni centimetro della salita e della discesa. Poteva sentiva nelle orecchie le proprie chiappe urlargli contro perché mi fai questo?!. Riuscì a finire la prima serie di dieci sollevamenti e Altair si complimentò come si fa con un neonato che finalmente riesce a riempire il pannolino di merda dopo tre giorni di stitichezza.
– Mi serve una pausa. – Il tono di Malik era teso, ma senza fiatone.
– Certo. – Altair mise le mani sui fianchi, soddisfatto.
– Ho un tempo limitato? – Domandò Malik che si sentiva fissato.
– Facciamo due minuti? – Propose l’allenatore.
– Sta bene. – Mentì Malik, per non sembrare debole.
Calò il silenzio, che poi non era un vero silenzio perché i tizi intorno a loro continuavano ad allenarsi con gli attrezzi e a strizzare i muscoli, gemendo come nella lotta gallica. Per quanto il riposo potesse confortarlo, Malik si rese conto che assieme al fiato stava tornando anche il freddo. Perciò riprese l’esercizio senza neanche avvertire Altair, il quale osservò Malik tutto il tempo con aria pensante. Nello specifico pensava che quello fosse proprio un giorno fortunato. Un giorno di cui sarebbe stato un peccato non approfittare.
– Spetta, spetta. – Altair spezzò il silenzio e si avvicinò di un passo. – Ricorda il collo. – Altair posò il palmo di una mano sulla fronte di Malik, invitandolo a far toccare la nuca sulla panca. – Tra un po’ il mento ti tocca le clavicole, non va bene. – Altair utilizzò entrambe le mani per sistemare collo e viso di Malik in modo che la mattina dopo non si risvegliasse con un’infiammazione cervicale.
– Ero teso? – Si limitò a chiedere Malik, che ben volentieri approfittava della pausa. Era strano sentire le mani di Altair addosso, che gli insegnavano qualcosa. Altair annuì, con la schiena curvata in basso, verso Malik. Pensò che avrebbe potuto mentire e dire che a Malik serviva un allenamento intensivo e mirato, perché aveva notato dei problemi posturali, o una qualunque idiozia del genere, così da seguirlo personalmente. Pensò a lungo a quanto avesse desiderato e atteso un momento del genere, una parentesi di vita fuori dal negozio, in cui essere solo due tizi che cercano di conoscersi. Pensò. E poi, smise di pensare. Altair si abbassò su Malik, una mano sullo sterno del cuoco e l’altra sul suo capo infreddolito, e poggiò le labbra su quelle del cuoco. Non lo aveva programmato. Non aveva aspettative. Solo un estremo bisogno. Se fosse andata male, Malik gli avrebbe tirato un pugno. Era pronto. Ma Malik non oppose resistenza. Aveva intuito cosa volesse fare Altair un secondo prima che le sue labbra lo toccassero. E voleva vedere fin dove si sarebbe spinto. Forse voleva anche sentirsi desiderato. La cosa lo incuriosiva più che scocciarlo, ed era esattamente questo il problema. Degli altri uomini che li circondavano non poteva importargliene di meno. C’era più testosterone in quel bacio fra loro che nel tessuto muscolare di uno qualsiasi di quegli amanti del sudore e dello sforzo. Era così che Malik viveva: sottoterra oppure su un palco. Non c’erano mezze misure. Lo avrebbero visto tutti, oppure non lo avrebbe notato nessuno.
Il freddo distorse il tempo, rendendolo più duro da sopportare. Quando Altair si staccò dalle labbra di Malik si tirò su con la schiena, lasciando solo una mano sul petto dell’altro – forse per assicurarsi che non si alzasse per ucciderlo in uno scatto d’ira. Le voci intorno erano distanti e ovattate: parlavano, ma non di loro. Gli occhi di Altair erano fissi su Malik ancora steso sulla panca. Aveva appena fatto la cosa più coraggiosa, oppure la più grande cazzata. E nonostante il suo volto fosse congelato in un’espressione indefinita, l’attesa della scoperta lo terrorizzava. Malik sbatté le palpebre alcune volte, in religioso silenzio. Il freddo aveva un effetto anestetizzante.
– E quello cos’era? – Domandò infine Malik, con un sospiro più amareggiato che arrabbiato. Ma Altair poteva sopportare l’amaro.
– Credo tu lo sappia. – Altair aveva preso ancora più coraggio. Stavolta Malik non si sarebbe lamentato del suo mutismo.
– Chiaro che lo so. – Cominciò il cuoco, senza ancora l’intenzione di lasciare quella posizione supina ma ghiacciata. Adesso i suoi occhi puntavano dritti Altair. – Lo sappiamo entrambi. Il punto è: perché adesso? Perché, se hai Kadar? –
Altair percepì che era la figura di fratello maggiore adesso a parlare, ma lui voleva parlare solo con Malik. – Kadar non mi piace quanto te. – Altair usò quelle parole per la prima volta: mi piaci. Malik sorrise, poi rise senza far rumore, e cominciò a sollevarsi per mettersi seduto. Altair si costrinse a spostare la mano dal corpo di Malik, quasi ferito per l’interruzione di quel contatto.
– Era questo che non capivo. – Rispose Malik, ora seduto sulla panca, coi gomiti poggiati sulle ginocchia. – È per questo che continuavi a provarci anche se già uscivi con Kadar? –
– Non ho mai smesso di provarci. – Altair parlò nel modo più diretto possibile.
– Non mi piacciono i giochetti. – Malik usò un tono per la prima volta vicino al rimprovero. – Se Kadar ti piace, stai con lui e non fare lo stronzetto. Se invece non ti interessa, diglielo adesso. –
Altair ragionò attentamente su come rispondere a quella prova. – Metterei da parte Kadar adesso se tu accettassi di provare con me. –
Malik fu sorpreso da quella dichiarazione, perché mostrava quanto poco fosse l’interesse di Altair nel continuare una relazione col fratello, di qualunque natura fosse. Questo gli confermò che Altair si era avvicinato a Kadar per gioco, o per strategia, ma non certo per interesse. Non sapeva come accogliere una notizia del genere. La testa gli suggerì di arrabbiarsi, ma una parte di lui era quasi soddisfatta nell’apprendere che Kadar non era mai stato l’obiettivo di Altair. Se ne vergognava. Doveva prendere la decisione più giusta e mettere da parte l’ego. E il modo migliore era rispondere alla domanda Voglio provare ad avere una relazione con Altair?. La risposta istintiva fu Non proprio.
– Ascolta. – Iniziò Malik, pesando ogni parola che stava per dire. – Ti vedo come un collega, forse come una persona che frequenterei anche fuori dal lavoro, di tanto in tanto. Ma certo non come un compagno. –
Altair non si mostrò colpito da quelle parole. – Neanche come scopamici? – L’insistenza di Altair era ammirevole.
– No, c’è Kadar di mezzo. –
– Posso smettere di frequentarlo. –
– La cosa non trasformerebbe il mio no in un sì. –
Altair apparve stavolta confuso. Era sicuro che il nocciolo del problema fosse Kadar e il non giocare sporco, visto il suo coinvolgimento. Che problemi rimanevano se Kadar veniva rimosso dall’equazione?
– Non ti piaccio nemmeno come scopamico? – Altair era intento a risolvere un mistero.
Malik sospirò. Non poteva dirgli che tutto sommato era tentato, e ci avrebbe pure provato a vedere come Altair era a letto, ma non era alla ricerca di problemi; soprattutto in quel periodo in cui aveva da poco ritrovato la pace interiore ed esistenziale. Non voleva uno scopamico che poi avrebbe visto ogni giorno a lavoro. Troppo complicato, e lui in quel momento voleva cose semplici come un cono gelato da un gusto solo.
– Preferisco di no. Voglio stare tranquillo. – Malik cercò di essere sincero, a modo suo.
Altair interpretò quella frase come un ma forse più avanti cambierò idea. – Nel senso che vuoi aspettare? – Domandò Altair con la testardaggine di un testimone di Geova.
– No, Altair. – Rispose Malik con pazienza. – Non è qualcosa che desidero accada, né ora né mai. Mi spiace. – E in quelle parole c’era un fondo di verità. L’altra parte di verità che non aveva incluso era che non se la sentiva di colpire Kadar con un tale smacco, per quanto Altair lo tentasse come esperimento sessuale e antropologico. – Preferirei che tu non usassi Kadar per i tuoi loschi piani, okay? Se ti piace, frequentatevi nella maniera che preferite. Ma se non ti piace, diglielo subito e non prenderlo in giro. Io sono fuori dai giochi in ogni caso. – Non c’era maggiore trasparenza che Malik avesse potuto offrire ad Altair. Era quasi fiero di sé. Stavolta non c’era spazio per l’ambiguità.
Calò un lungo silenzio. Di quelli che analizzano il presente, il passato e il futuro. Di quelli che vedono i propri sogni andare in frantumi. Altair pensava. Pensava a un modo per intrufolarsi in quelle parole, a un ma da poter tirare fuori. Eppure la posizione di Malik appariva inattaccabile. Era davvero giunto per lui il momento di mettere una pietra sopra al suo cuoco siriano preferito? Era davvero la fine del loro flirt? Non aveva abbastanza tempo per pensarci, era qualcosa che avrebbe digerito da solo in un tempo non determinabile. Per il momento sapeva solo che doveva dare una risposta, ma elaborare qualcosa che fosse più di un grugnito arreso era dura come prendere a pugni il diamante.
– Ho capito. – Borbottò Altair infine, esasperato dalla situazione ma senza darlo a vedere.
Malik lasciò vagare nell’aria le sue parole. Non c’era fretta. Un rifiuto era un rifiuto, non avrebbe mai infierito su Altair a questo punto.
– Mi spiace. – Si pronunciò infine il cuoco, alzandosi dalla panca. Ancora non riusciva a credere che Altair lo avesse davvero baciato. Non era riuscito nemmeno a immagazzinare il ricordo delle sue labbra. – Spero però che questo non diventi un problema fra noi. Per il lavoro, intendo. – Rifiuto o meno, non erano adolescenti del liceo, e avrebbero continuato a incontrarsi quasi ogni giorno; non in un’aula di scuola o nella palestra dell’istituto, ma nel luogo dove svolgevano il lavoro che gli assicurava da vivere. Il luogo in cui diventavano professionisti. Non c’era spazio per i cuori spezzati. Altair capì al volo cosa Malik voleva dire, e conosceva ormai abbastanza il cuoco da non lasciarsi sorprendere dal suo atteggiamento pragmatico. Adesso, a maggior ragione, Altair avrebbe voluto continuare a lavorare accanto a Malik. Se non poteva averlo come ragazzo, o scopamico, avrebbe continuato ad averlo come collega. In qualche modo lo voleva nella sua vita.
– Nessun problema. – Rispose Altair con sicurezza, anche se Malik non poteva sapere quanto fossero attendibili quelle parole. Altair gli sembrava un tipo ipo-drammatico, ma non si era mai troppo sicuri. Dentro di sé, Malik si ripeteva che aveva fatto la scelta giusta. La scelta giusta, sì. Basta cazzate, basta giochi, basta flirt. Gli sarebbe mancato, su questo non aveva dubbi. Ma finché ci fosse stato Kadar di mezzo, preferiva così. Aveva fatto la scelta giusta.
– Non voglio che diventi strano sul lavoro. Più strano di quello che sei, intendo. – Malik cercò di sdrammatizzare. Se aveva in qualche modo deluso o ferito Altair, voleva almeno che il colpo fosse attutito. Altair strappò un sorriso più simile a un ghigno.
– Non c’è rischio. Tu basta che non torni stronzo. – Se Malik voleva fare l’ironico, Altair avrebbe fatto il sarcastico. Malik apprezzò, e persino rise, trovando quel commento ben meritato.
– Non torno stronzo, tranquillo. Mi piace lavorare con te. – A Malik uscì così, senza pensare. Il che significava che non era una bugia. Altair era strambo, ma spesso divertente in modi inaspettati. Non aveva paura della propria personalità, e questa era una caratteristica che non poteva fare a meno di ammirare nelle persone, nel bene e nel male. In una cucina in cui lavorava 40 ore a settimana, Altair rappresentava un piacevole diversivo e distrazione. Qualcosa di così fuori luogo che spostarla sarebbe stato un peccato.
Altair si levò il ghigno dalla faccia e sorrise veramente. Era bello sentirselo dire, anche se dopo aver appena ricevuto un due di picche. Si scambiarono ancora poche battute e poi decisero di avviarsi verso l’uscita del parco, ma senza correre. Altair era molto concentrato: una parte di sé si disperava all’idea di aver perso la possibilità di continuare a provare, e un’altra fingeva che non fosse così. Arrivato alla propria moto, si sforzò di salutare Malik in maniera neutrale e matura, senza eccessi. Malik si accertò di nuovo che Altair stesse bene, e fosse tutto a posto fra loro. Altair non poté che confermare. Il rifiuto di Malik d’altronde non poteva influire in alcun modo sull’attrazione che provava per lui. L’avrebbe baciato di nuovo anche in quel momento, se avesse potuto. Si lasciarono da manuale, senza nessuna acidità, sapendo entrambi che si sarebbero incontrati di nuovo il giorno dopo sul campo di lavoro.
Tornato a casa, Altair si gettò sotto la doccia, lo sguardo incollato ai piedi e la totale indifferenza verso l’acqua che gli scorreva addosso. Era incapace di descrivere come si sentisse. Aveva puntato a un ricco buffet e adesso si ritrovava a consolarsi con le briciole. Era crudele pensare a Kadar in quel modo sprezzante, lo sapeva, ma era meglio che raccontarsi balle. Forse sarebbe stato meglio non vederlo per un po’. Forse avrebbe addirittura smesso di vederlo, non ne era sicuro, non lo sapeva; non riusciva a pensare adesso. Se in una giornata come quella fosse riuscito a fare altro dal guardare il soffitto fino a sera, si sarebbe sentito un eroe. Che spreco, pensò Altair. Quelle labbra di Malik che aveva assaggiato per così poco. Troppo poco. Su chi sarebbero finite? Cosa non avrebbe dato per essere uno dei tanti che entravano e uscivano dal letto di Malik, magari anche da dentro di lui; senza impegno, senza pretese, senza romanticismo. Ma se si fosse licenziato e avesse smesso di frequentare Kadar solo per poter tornare a chiedere una chance a Malik, era certo che il cuoco lo avrebbe considerato ancora meno. Anzi, lo avrebbe considerato di certo una vera delusione. Sarebbe apparso disperato ai suoi occhi. Senza speranze. E persino lui sapeva che non bisogna mai andare con chi le ha provate tutte. La disperazione è un sentimento contagioso.

Notes:

Se vi va, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate nei commenti, e se avete voglia di seguirmi qui c'è il mio tumblr dove pubblicherò aggiornamenti e qualunque altra cosa riguardante la fanfic.

https://almawardy.tumblr.com/

Series this work belongs to: