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Furia (film 1936)

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Furia
Spencer Tracy in una scena
Titolo originaleFury
Lingua originaleinglese
Paese di produzioneStati Uniti d'America
Anno1936
Durata90 min
Dati tecniciB/N
rapporto: 1,37:1
Generedrammatico, noir
RegiaFritz Lang
SoggettoNorman Krasna
SceneggiaturaFritz Lang, Barlett Cormack
ProduttoreJoseph L. Mankiewicz
Casa di produzioneMetro-Goldwyn-Mayer
Distribuzione in italianoMetro-Goldwyn-Mayer
FotografiaJoseph Ruttenberg
MontaggioFrank Sullivan

William LeVanway (non accreditato)

MusicheFranz Waxman
ScenografiaCedric Gibbons
CostumiDolly Tree
Interpreti e personaggi
Doppiatori italiani

Furia (Fury) è un film del 1936 diretto da Fritz Lang.

È il suo primo film americano e forma insieme ai successivi Sono innocente e You and Me una sorta di trilogia d'argomento sociale.[1]

«Vostro Onore, sono Joseph Wilson. So che venendo qui ho salvato la vita di 22 persone. Ma non sono venuto per questo. Non mi interessa salvare la vita di questa gente. Sono assassini. Anche se la legge dice il contrario perché sono vivo. Ma non per merito loro. E la legge ignora che un sacco di cose molto importanti per me, cose stupide, forse, come la fiducia nella giustizia, la convinzione che gli uomini fossero civili e un senso di orgoglio per il mio paese che mi sembrava diverso da tutti gli altri, la legge ignora che queste cose sono state distrutte in me quella notte. E se oggi sono qui è solo per me stesso. Era diventata un'ossessione: non c'era minuto della mia giornata in cui non pensassi a loro....»

Chicago. Joe Wilson è un giovane operaio che deve lasciar partire la fidanzata Katherine per la lontana città dell'ovest Capitol City: lei ha trovato un lavoro d'insegnante pagato bene e i maggiori guadagni le serviranno per metter su casa e sposarsi con lui. La prima sequenza del film è il malinconico addio dei due fidanzati alla stazione. Nell'anno in cui stanno lontani anche Joe migliora le sue condizioni economiche. Con i fratelli, Tom e Charlie, gestisce una stazione di servizio e riesce a comperarsi un'automobile con la quale decide di raggiungere Capitol City e sposare Katherine.

In viaggio nel mid-west Joe viene fermato ad un posto di blocco nei dintorni della cittadina di Strand. Il numero di serie di una banconota da cinque dollari e il sale delle noccioline di cui va pazzo lo collegano al sequestro di una bambina, avvenuto nella zona. La notizia si diffonde nella cittadina e di voce in voce diviene un rumore assordante. Gli indizi vengono trasformati in prove certe di colpevolezza e una folla ebbra di alcol e odio si reca alla prigione per fare giustizia sommaria. Lo sceriffo, cui, per motivi di convenienza politica, il governatore dello stato ha fatto mancare l'aiuto della Guardia nazionale deve soccombere e l'edificio viene dato alle fiamme.

La notizia della morte di Joe compare sui giornali insieme a quella della cattura dei veri responsabili del sequestro. Ma Joe non è morto. La dinamite lanciata contro la prigione ha ucciso la sua devota cagnetta, ma gli ha aperto un varco verso la salvezza. E, da persona ufficialmente morta, egli affida ai fratelli il compito di mettere in atto la sua vendetta, ottenendo la pena capitale per gli autori del tentativo di linciaggio.

Il processo assume una rilevanza nazionale per il numero di imputati (22), la diffusione della consuetudine alla giustizia sommaria negli USA (il procuratore distrettuale parla di 6010 tentativi in 45 anni) e la sostanziale impunità dei responsabili, assicurata dall'omertà delle comunità coinvolte. Ma la volontà di vendetta di Joe, che nell'oscurità orchestra il tutto, fornendo prove e testimoni della sua morte, ha la meglio, nonostante le resistenze dei fratelli complici e di Katherine che, nel frattempo, ha scoperto la verità.

Dopo la condanna, egli appare in aula, salvando gli imputati e riconquistando l'amore della donna amata.

Esule dal 1933, in Francia Lang aveva girato La leggenda di Liliom; nel 1934 parte per l'America con in tasca un contratto di un anno con la Metro Goldwyn Mayer.

Giunto negli stati Uniti, viaggia a lungo per il paese per impararne lingua, costumi, mentalità. Allo scadere dell'anno di contratto riceve una telefonata da Eddie Mannix, vicepresidente della MGM, che lo avvisa amichevolmente che la casa produttrice non è disposta a rinnovargli il contratto se non realizza almeno un film. Lang allora propone un soggetto e una sceneggiatura per il suo primo film a Hollywood.

Censure e imposizioni della produzione

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Lang incontrò parecchie difficoltà ad adattarsi alle regole della produzione americana. Il produttore e futuro regista Joseph L. Mankiewicz, per la prima volta in veste di produttore per la MGM, eliminò alcune sequenze nelle quali la sentenza di condanna per gli autori del linciaggio, trasmessa dalla radio, veniva accolta con approvazione da alcuni afro-americani (i neri erano stati le principali vittime dei linciaggi).

Malgrado il successo ottenuto dal film, scaduto il contratto, Lang lasciò gli studi del MGM per la United Artists. [2]

Gli fu imposto un finale con bacio. Lang racconta:

«Ho odiato quel bacio perché penso non fosse necessario. Per me un finale perfetto era quando lui diceva: Eccomi qua. Non posso fare altrimenti. Che Dio mi aiuti. Si sarebbe potuto mostrare un primo piano di Sylvia Sidney - raggiante di felicità - poi lui avrebbe potuto guardarla - fine. Quello che c'è adesso è un finale sdolcinato.»

Il titolo originario del film era Mob Rule, (Il potere della folla), dall'omonimo titolo del libro di Norman Krasna, su un linciaggio realmente avvenuto a San Jose nel 1933.[3]

Lang racconta a Peter Bogdanovich che gli attori principali Spencer Tracy e Sylvia Sidney "...furono scelti dalla direzione senza nemmeno l'Ok di Mankiewicz perché quello era il suo primo incarico come produttore." Si racconta anche che i rapporti fra il regista e Spencer Tracy furono alquanto burrascosi.[4]

Distribuzione

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Il film uscì il 5 giugno 1936.

Il film ebbe molta popolarità ed ebbe profitti per $248,000.[5]

Il film fu recensito il 3 luglio 1936, dallo scrittore Graham Greene, che allora lavorava come critico cinematografico per il giornale The Spectator. Ecco cosa scrive:

«... l'unico film che conosco per cui ho voluto usare l'epiteto di 'grande'.[...] Il potere che ha Lang di catturare vividamente il dettaglio veritiero rende il linciaggio di un orrore quasi insopportabile. Sto cercando di non esagerare, ma il cervello trasalisce ad ogni colpo di frusta di queste immagini come al grind-grind di un trapano elettrico che perfora la strada: la risata orribile e la gonfia presunzione dei buoni cittadini, il giovane che afferra una sbarra gridando 'Facciamo qualcosa di divertente', il reggimento di uomini e donne, ripresi dalla cinepresa di fronte, che marciano a braccetto lungo la strada e ridono eccitati come reclute il primo giorno di guerra, il ragazzo che, fuori dell'ufficio dello sceriffo, lo canzona apostrofandolo "Sono Popeye, Braccio di Ferro", il lancio della prima pietra, l'edificio in fiamme, l'uomo innocente che sta soffocando dietro le sbarre e la donna che alza il bambino per fargli vedere il fuoco. Qualsiasi altro film di quest'anno rischia di essere sminuito dalla straordinaria opera di Lang: nessun altro regista controlla così completamente il suo mezzo né è così costantemente attento al contrappunto di suoni e immagini.»

Scrive Vicente Sanchez-Biosca:

«Fury provoca una strana sensazione nello spettatore, un'incontenibile ira, un eccesso di coinvolgimento che lo fa balzare dalla poltrona. Si ha la sensazione che vi si trascenda la frontiera di una identificazione rassicurante con la trama del racconto e che si aprano fessure che vanno a toccare i più profondi recessi dell'essere umano, ma, contemporaneamente e per la stessa ragione, quanto di più inspiegabile e inquietante in esso si annida.»

Struttura del film

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Il film si sviluppa in due parti:

  • la prima parte è dominata dalla descrizione dell'isteria e della ferocia della folla che sfociano nel linciaggio e nell'incendio della prigione; ha un andamento "furioso", "...l'orchestrazione va in crescendo con l'intensità di una fuga" (Lotte Eisner).
  • la seconda parte ha un ritmo più freddo: è dominata dall'odio, dal risentimento, dalla volontà di vendetta. Il protagonista vuole punire legalmente i responsabili del linciaggio ottenendo dal tribunale la loro condanna a morte.[6]

Sequenze celebri

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La sequenza del barbiere

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«Secondo voi, cosa spinge la gente a fare cose come rapire un bambino? Soltanto la pazzia, dico io... Te lo dico io cos'è. La gente a volte ha strani impulsi. Se riesci a resistere, sei sano ...... altrimenti, la tua fine è la galera oppure il manicomio... Mr. Jorganson, lei che ha la testa più a posto di tutti, in questa contea, deve credermi se le dico che nei vent'anni in cui ho maneggiato questo rasoio ... più di una volta ho avuto l'impulso del tutto irragionevole e inspiegabile ... di tagliare il pomo di Adamo a qualche cliente? Così, un colpo solo....»

Nel negozio del barbiere, un'amabile conversazione si svolge fra l'aiutante, due clienti e l'aiuto sceriffo. Discutono sui fatti del giorno, sulle notizie annunciate dalla radio e sull'impulso ad uccidere. Quando il barbiere confessa che spesso, tenendo il rasoio sulla gola di un cliente, è inspiegabilmente tentato di tagliarla, il cliente insaponato è sparito mentre la porta girevole ruota ancora sul cardine.

La notizia dell'arresto

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L'episodio offre al barbiere il pretesto di telefonare alla moglie, ma gli preme soprattutto raccontare che il presunto rapitore della bambina è stato arrestato: il segreto gli è stato spifferato dall'aiutante dello sceriffo, desideroso di darsi importanza e di difendere l'onore di poliziotti accusati di giocare a carte anziché arrestare i colpevoli. Arricchita di volta in volta di particolari fantasiosi, dalla cucina dei vicini di casa alla drogheria, la notizia corre di bocca in bocca, in un passa-parola che Lang accosta alla caricaturale inquadratura di galline pigolanti. I critici vi hanno visto una citazione dei pettegolezzi in cortile de L'ultima risata di Murnau. Dalla bocca delle donne la notizia passa a quella degli uomini che si incontrano in luoghi pubblici. Pregiudizi e violenza repressa si condensano in commenti sempre più minacciosi: quella che all'inizio appariva come una innocua curiosità, un pittoresco pettegolare si trasforma man mano in una irrefrenabile volontà di giustizia sommaria.

L'assalto alla prigione

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Vicente Sanchez-Biosca così la descrive:

«Incitata da alcuni sobillatori, la massa decide, in un festino cruento, quasi rituale, di imporre la propria "giustizia". Durante il tragitto verso la prigione, al suono di una musica paramilitare, la cinepresa intraprende un altro travelling soggettivo - dall'alto e in avvicinamento alla prigione - di tale massa infervorata, unita da quell'ideale che Sigmund Freud ha così ben descritto in Psicologia delle masse e analisi dell'io[7] e che non è altro che un cerimoniale primitivo. Ebbene, un momento prima dell'esplosione che distrugge il carcere, mentre la massa osserva estasiata la propria opera e Katherine, la promessa sposa accorre sul luogo dell'attentato, il silenzio domina improvvisamente la scena. Una successione di primissimi piani sfila dinanzi ai nostri occhi: primissimo piano frontale di Katherine, primissimo piano di un linciatore dal basso, primissimo piano di un altro linciatore dall'alto,, primissimo piano ad altezza d'uomo di un terzo, primo piano di Katherine. Brevi inquadrature, tutte di volti che guardano fuori campo ad occhi spalancati.»

Il ritorno di Joe

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La descrizione di Lotte Eisner:

«Scampato al pericolo, ai fratelli che vogliono abbracciarlo Joe dice freddamente: "Tirate le tende." È un uomo tornato dall'aldilà. Ha gli occhi febbrili, la barba lunga e un fianco dolorante per le scottature. Vediamo solo la sua sagoma - non permette al fratello di accendere la luce anche quando le tendine sono abbassate - e la pesante oscurità, le ombre minacciose ricordano il periodo tedesco di Lang. Questa è la scena chiave del film. Il buio che Joe esige, perché la luce fa male ai suoi occhi irritati dal fumo e perché non vuole essere visto dal mondo esterno, corrisponde al suo nuovo atteggiamento: i gesti a scatti, la risata stridula e cattiva. Le fiamme nelle quali lo si è visto avvolto hanno distrutto tutto il suo amore e la sua fiducia negli uomini.»

Riconoscimenti

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  1. ^ Comune di Roma. Assessorato alla cultura, Fritz Lang, a cura di Mario Sesti, p. 68.
  2. ^ Lotte H. Eisner, Fritz Lang, pp.138-139.
  3. ^ Il medesimo episodio darà nel 1950 lo spunto per un altro film: L'urlo della folla (The Sound of Fury, anche noto con il titolo Try and Get Me), diretto e sceneggiato da Cy Endfield
  4. ^ Peter Bogdanovich, Il cinema secondo Fritz Lang, p. 24.
  5. ^ Scott Eyman, Lion of Hollywood: The Life and Legend of Louis B. Mayer, Robson, 2005, p. 219.
  6. ^ * Comune di Roma. Assessorato alla cultura, Fritz Lang, a cura di Mario Sesti, pag. 68.
  7. ^ Sigmund Freud, Psicologia delle masse e analisi dell'io, 1922.
  8. ^ (EN) Librarian Names 25 More Films to National Film Registry, su loc.gov, Library of Congress, 18 dicembre 1995. URL consultato il 5 gennaio 2012.
  • Luc Moullet, Fritz Lang, pp. 41–44, Cinéma d'Aujourd'hui, Seghers, Paris 1963.
  • Peter Bogdanovich, Il cinema secondo Fritz Lang, Pratiche Editrice, Parma, 1988
  • Stefano Socci, Fritz Lang, Il Castoro Cinema, Milano, 1995.
  • Vicente Sanchez-Biosca, Fury o come nacque John Doe, in Paolo Bertetto-Bernard Eisenschitz, Fritz Lang. La messa in scena, Lindau, Torino 1993, pp. 201–211. ISBN 88-7180-050-8
  • Lotte H. Eisner, Fritz Lang, traduzione di Margaret Kunzle e Graziella Controzzi, Mazzotta, Milano 1978. ISBN 88-202-0237-9
  • Comune di Roma. Assessorato alla cultura, Fritz Lang, a cura di Mario Sesti, Edizioni carte segrete, Roma 1990. Catalogo della mostra tenuta presso il Palazzo delle esposizioni di Roma dal 28 novembre al 10 dicembre e presso Il Labirinto dal 6 al 14 dicembre 1990.

Altri progetti

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Collegamenti esterni

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