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Di Nocera

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Di Nocera
erat nox et nux fuit mea lux
D'argento a due leoni di rosso affrontati e controrampanti ad un albero di noce al naturale.
Stato Principato di Salerno
Contea di Sicilia
Regno di Sicilia
Regno di Napoli
Regno delle Due Sicilie
Regno d'Italia
Italia (bandiera) Italia
Casata di derivazioneDauferidi
Titoli

ecc.

FondatoreDauferio Balbo
Attuale capoDon Antonio di Nocera
Data di fondazioneXI secolo d.C.
Etnialongobarda

I di Nocera, de Nuceria o de Nucera sono un'antica famiglia nobiliare italiana di derivazione longobarda, annoverata tra le case sovrane di stati italiani dal Collegio Araldico[1]. Discendente dalla nobile stirpe dei Dauferidi, la casata è la più antica propaggine vivente della dinastia principesca salernitana reggente dell’Italia meridionale[2][3][1][4]. Conti di Nocera e di Eboli, nonché titolari di diverse signorie e vescovadi, furono i maggiori conti feudatari del Principato di Salerno nell’XI secolo[5][6][7]. Tra gli esponenti della famiglia si annoverano alti prelati, giureconsulti, uomini d’arme, medici, banchieri ed imprenditori, questi ultimi auspici, per primi nel Mezzogiorno, della fondazione e dello sviluppo di una banca popolare, la BPS, e di un’industria di tessuti misti di lana e cotone[8][9][10][11][12].

Stemma seicentesco della famiglia di Nocera, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli all’interno del Manoscritto X A 42

In virtù dell’ordinamento giuridico longobardo, la famiglia è odiernamente l’unica a potersi fregiare delle prerogative nobiliari di Principe Sovrano di Salerno, Conte di Nocera e di Conte di Eboli, essendo la prima per antichità ad avere tuttora discendenti in linea patrilineare. Conte è il titolo esteso a tutti gli esponenti maschili della casata, proprio del primo detentore del cognome come dei suoi avi: Lambertus de Nuceria (fl.1000)[2][13].

Retto il vescovado di Nocera dal 1455 al 1478, con altre nobili famiglie, tra le quali i d’Afflitto, costituì il Seggio di Castellammare nel 1541, stabilendone gli statuti[14]. Ivi, furono feudatari di Quisisana sotto gli Angioini e gli Aragonesi, ai quali furono particolarmente legati attraverso parentele e servigi[15][16].

Castello appartenuto ai Conti di Nocera in Eboli

Il blasone fu anche lo stemma di Nocera dei Pagani, dal quale trassero origine quelli di Nocera Superiore, di Nocera Inferiore, di Pagani e di Sant'Egidio del Monte Albino[2]. Intitolata ad un esponente della famiglia in Napoli è la Piazza Luigi di Nocera, nei pressi del Palazzo di Nocera.

Palazzo di Nocera

Il fondatore fu Dauferio Balbo, primo conte di Nocera, secondo quanto riportato dal Collegio araldico, il quale identifica nella famiglia la sua discendenza. Di nobile famiglia e strettamente imparentato con la dinastia regnante di Benevento,[17] ebbe tra i suoi figli Guaiferio, principe di Salerno, e Adelchisa, moglie del principe Sicardo di Benevento, la cui sorella fu madre dell’imperatore del Sacro Romano Impero Guido II.[18][19] Dauferio fu il capostipite dei Dauferidi, Principi di Salerno: la casata di derivazione dei Nocera, i cui diritti feudali furono riconosciuti dall’imperatore Leone VI il Saggio. Ricorrente fu il nome Guaiferio nella genealogia di casa di Nocera in onore dell’omonimo avo, principe di Salerno.[20][4]

Il primo a presentare il nome gentilizio, originatosi dal toponimo nocerino, fu il conte Lamberto de Nuceria[21], discendente diretto di Dauferio, nipote dell’omonimo primo conte di Eboli, il cui atavo fu il conte Alfano, figlio del conte Ladenolfo, menzionato in un diploma dell'anno 930 nel quale si parla di "una pecia de terra cum arbustis de ex eodem loco nuceris ad pratu dicitur; habentes finis de uno latere et de uno capite fine vestra qui supra germani, de alio latere fine alphani comitis filius landenolfi, de alio capite fine waiferii comitis...", ovvero di terre un tempo facenti parte della contea di Nocera, ereditate dal Balbo.[2][20][22][23]La casata assunse infatti tale denominazione nell’XI secolo in ottemperanza alla legge longobarda dell'epoca, cognominadosi con il nome dell’antico feudo.[24] Le tracce di un’effettiva cognomizzazione del titolo comitale, tuttavia, sono anteriori: allo stesso nome del capostipite veniva giustapposto il suddetto cognome.[3]

Dall’XI al XIV secolo: Conti di Eboli, Baroni del Regno di Sicilia

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La famiglia resse numerosi feudi nella Contea di Nocera, territori ereditati dal conte Dauferio, il quale li ricevette per essere stato auspice dell’indipendenza del Principato di Salerno da Benevento. La Contea, che all’epoca comprendeva oltre a Nuceria Marzano, Balentino, Bracigliano, Siano e Scafati, permase sino al termine della dominazione longobarda, allorché subentrarono i Normanni, deponendo l'ultimo sovrano longobardo nel 1077. Documenti significativi sono gli Annali critico-diplomatici del regno di Napoli della mezzana età di Alessandro Di Meo e Le pergamene di S. Nicola di Gallucanta a cura di Alessandro Pratesi e Paolo Cherubini per la ricostruzione della genealogia del casato in periodo medievale.[22][23]

Castello dei Conti di Nocera presso Eboli

Tra le maggiori casate del Principato di Salerno, ebbe significativi possedimenti in Vietri, Cava, Nocera e presso il Tusciano. La progenie, infatti, derivata dal ramo cadetto dei principi ivi reggenti e proprietaria di vasti fondi, fu investita della dignità comitale, spesso associata alla funzione di giudice, trasmissibile dal padre a tutti i figli, privilegio appartenuto soltanto ad altre sei famiglie sotto il principato di Gisulfo I.[7]

La casata, inoltre, resse la contea di Eboli, caposaldo del sistema difensivo di Salerno grazie all’imponente castello avito, nonché la base fondiaria necessaria, affinché il conte potesse esercitare quelle prerogative giurisdizionali che il suo ufficio prevedeva.[7] Nel 996 il conte Adelberto, padre di Lamberto, primo conte di Eboli, e Landoario, conte, acquistò la chiesa di San Nicola e San Felice, la quale fu poi rinominata chiesa comitale di “San Nicola di Gallocanta”. Importante punto di riferimento in Vietri e Cava, il monastero Greco con attigue le terre fu un possedimento secolare della famiglia.[25][26] Nel 1047 la contessa Urania, vedova del conte Lamberto (nipote dell’omonimo conte), con i figli Ebolo, chierico e abate, e Pietro, Aleberto e Landoario, conti, donò all’abbazia “foris castello Evoli illorum comitato”, ovvero la contea fuori al castello di Eboli. Difatti, nel 1017 al cospetto di Lamberto gratia Dei si compiva una compravendita in località Monte “salernitanis finibus”, in prossimità di Eboli.[7] Nipote del conte Lamberto e della contessa Urania fu altresì l’omonima Urania, sorella di Lamberto, la quale fu moglie del conte normanno Riccardo di Arnes, soprannominato “Angerio”, capostipite della nobile casata dei Filangieri, il cui figlio, Roberto, effettuò una donazione assieme al citato zio materno, Lamberto, al monastero benedettino di Cava, confinante proprio con il monastero di San Nicola controllato dalla famiglia e con il feudo personale di Sant’Adiutore dei Filangieri[27]. Al legame con l’aristocrazia normanna va, pertanto, attribuita la presenza di taluni nomi di tradizione non longobarda nella genealogia quali, ad esempio, “Roberto” e “Riccardo”. Inoltre, dalla casata furono progressivamente assunti nomi cristiani: alla seconda metà dell’XI secolo e al XII secolo risale l’uso di nomi da parte della famiglia quali rispettivamente Pietro e Giovanni, Matteo, Marco[28][27][25].

Caduto il Principato di Salerno, la casata mantenne il rango signorile, noverando diversi esponenti nel Catalogo dei Baroni e continuando a dare i natali a giureconsulti.[29] Fonti archivistiche pubbliche hanno, dunque, tramandato il nome di diversi esponenti della casata longobarda anche in epoca normanna e angioina.

Terminata la dominazione longobarda, tra i possidenti si rammentano: Roberto, signore feudale citato nel Catalogus Baronum, proprietario di un feudo sito in Somma;[30] Giovanni, signore feudale presente altresì nel Catologus Baronum e stratigoto, magistrato con poteri giudiziari in epoca normanna, dal 1181 al 1187;[31][32] Matteo, signore feudale presente nel Catalogus Baronum;[30] Andrea, notaio citato negli Atti della Reale Accademia di archeologia lettere e belle arti nel 1253.[33]

Molto vicina alla corte angioina, la famiglia si stabilì a Castellammare di Stabia, ove ebbe in dono dalla famiglia reale la Reggia di Quisisana nella persona di Pietro di Nocera, generale delle galee e difensore del porto stabiese[34][35][36].

Dal XV al XVIII secolo: Signori di Quisisana e Nobili del Seggio di Castellammare

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Lo stemma scolpito sulla facciata della chiesa del Corpo di Cristo di Nocera Inferiore

Anche nell’epoca moderna la casata si distinse in diversi ambiti della società. Significativa fu, infatti, la presenza di taluni membri quali alti prelati e giureconsulti nel Regno di Napoli. La famiglia ottenne inoltre nuovi feudi e vescovadi, accrescendo il proprio patrimonio anche grazie all'adozione di un'accorta politica di alleanze matrimoniali con casate appartenenti alla nobiltà napoletana, tra le quali figurano i de Avitaya, i Belvedere, baroni di Martignano, discendenti degli angioini, i Revertera, duchi di Salandra ed i Basurto, duchi di Alliste[37][38][39][40][41].

Il trattamento di don e donna fu accordato ai membri della famiglia con l’avvento della dominazione spagnola e tra il XVI e il XVII secolo e la grafia del cognome fu spesso riportata difformemente dalle fonti, nelle quali per praticità sovente si preferì elidere le particelle di e de, assestatesi soltanto nei secoli successivi. Inoltre, da molti studiosi fu avanzata l’ipotesi che la famiglia avesse antiche origini francesi, probabilmente per il grande legame con gli Angioini[42][15][16]. La teoria sulle ascendenze francesi della casata, tuttavia, per l’assenza di riscontri genealogici non fu mai accettata dal Collegio Araldico e dalle altre istituzioni in campo araldico, che la vollero discesa dai Longobardi, come peraltro buona parte dei nobili stabiesi, tra i quali figurano i Castaldo, Longobardi, Sicardo, Marchese e Lamberti[1][2].

Blasone dei Conti di Nocera tra gli stemmi di alcune delle nobili famiglie di Castellammare di Stabia del XVII secolo, conservati presso la Biblioteca Nazionale di Napoli

La famiglia resse dal 1455 al 1478 il vescovado di Nocera, al tempo Nuceria Paganorum, con il frate predicatore fra' Pietro di Nocera.

Nel 1463, i di Nocera ottennero inoltre in concessione il feudo di Melicuccà per volere di Papa Pio II con il principe Marino di Nocera.[38][43]

Nel 1541, la casata insieme ad altre nobili famiglie quali i Baccari, Vergara, Certa, Sicardo, D'Afflitto, Trentamolla e Castaldo, costituì un Seggio in Castellammare, stabilendone gli statuti.[14] Nel 1609 la famiglia ivi edificò la chiesa di Gesù e Maria presso la città stabiese con un contributo di 13.400 ducati, assieme al Collegio attiguo dei Padri Gesuiti sempre a sue spese[44]. Nel 1575 donna Dianora di Nocera, dapprima vedova del cavalier Alfonso Basurto, poi del reggente Francesco Revertera[45], vendette il feudo di Pizzoli a Ferrante de Torres per ducati 12.000[37] e acquistò Crispano nel 1563 per cederlo successivamente a Caterina Caracciolo per 17.000 ducati[46]. I di Nocera furono, inoltre, riconfermati feudatari di Quisisana con atto rogato dal notaio Nicola de Masso del 30 gennaio del 1484, dal quale si evince che Francesco Coppola, conte di Sarno, nonché castellano e Governatore a vita di Castellammare, il 29 gennaio del 1484 aveva scritto a Giovanni Freapane, allora Capitano della città, la seguente lettera, riportando il contenuto di quella indirizzata al re Ferdinando I di Napoli[47]:

«Capitaneo, lo Signore Re me scrive lettera del tenor seguente videlicet: "Rex Siciliae, Conte, Noi havemo dato Casasana con tutte sue pertinenze in guardia al diletto nostro Pietro di Nucera, nostro creato, in quello modo come lo tenea Goffredo Scafarto suo predecessore. Però volemo et vi comandamo che ad ogni instanza del dicto Pietro, o d’altri per sua parte, li debiate far dare la possessione di dicta Casasana, che l’habbia da tener nel modo et forma supradicti. Datum Foggiae die 2 novembris 1483". Sicché voi havete intesa la voluntà dello Signore Re per dicta lettera, osservate quanto sua Maestà comanda. Napoli 29 januarii 1484.»

In seguito, il 18 luglio del 1498 il re Federico d’Aragona aveva convalidato ex novo tale possedimento alla famiglia con un diploma[36]. Nel 1564, fra’ Giovan Angelo di Nocera eseguì dei lavori sul palazzo di Quisisana[48]. La casata, inoltre, con il conte don Pietro Giovanni ebbe il patronato della chiesa della Maddalena, attigua alla suddetta reggia, ove edificò il Conservatorio delle donzelle povere. In Castellammare, ebbe, poi, cappelle gentilizie nel convento di San Francesco, nella chiesa di Gesù e Maria e nella Concattedrale di Santissima Maria Assunta e San Catello.

A partire dal 1566, il duca Ottavio Farnese intraprese un’azione legale contro la casata, rivendicando il possesso del bosco e del Palazzo di Quisisana. La disputa si risolse nel 1598 attraverso una transazione tra Sempronio Scachino, rappresentante del duca Ranuccio Farnese, nipote di Ottavio, e Pietro Giovanni di Nocera, cedendo ai Farnese il 15 aprile 1598 Quisisana per 12.192 ducati, 4 tari e 15 grana, cifra irrisoria rispetto al reale valore della tenuta[36][15][49][50].

Ridimensionato notevolmente il patrimonio a causa delle rivendicazioni dei diritti feudali sui possedimenti della famiglia da parte di Ottavio Farnese, nel XVII secolo il casato si stabilì nel regio casale napoletano di Secondigliano, insediamento alle porte di Napoli sviluppatosi economicamente ed architettonicamente perlopiù a seguito dell’apertura della strada di Capodichino (1582-86), nonché del principale ingresso della città partenopea al tempo. Ivi, diede i natali a giuristi, religiosi e ad una dinastia di industriali tessili.[15][51][52][53]

Una delle cappelle gentilizie dei Conti in Secondigliano

Di quel periodo, si ricordano, tra gli uomini d’arme: don Pietro, primo signore di Quisisana, investito dal re Ferdinando I di Napoli, già generale delle galee e difensore del porto di Stabia; fra' Giovan Angelo, cavaliere gerosolimitano e signore di Quisisana nel 1564, distintosi per il valore, dimostrato sia durante il Grande Assedio di Malta del 1565 sia in qualità di capitano della coronellia del conte di Potenza;[54][55][16]il principe Marino, citato nel 1463 in un contratto di enfiteusi, nel quale papa Pio II approvò e confermò la concessione di Melicuccà a suo vantaggio. Egli venne definito come "fedele vassallo e suddito".[38][43] Tra i religiosi: fra’ Pietro, appartenente all’ordine dei frati predicatori, vescovo di Nocera dal 1455 al 1478; suor Antonia dell’Ascensione († 1779, Scala), nata con il nome di Anna di Nocera nel 1695 in Secondigliano, proveniente dal conservatorio carmelitano di Marigliano, nel quale aveva professato con il nome di Perseverante Maria della Croce, entrata nel conservatorio di Scala il 20 maggio 1724, vestendo l’abito religioso il 1º gennaio 1727, fu corrispondente di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori[56][8][57]. Tra i giureconsulti: conte don Giovanni Antonio, notaio napoletano, il quale nel 1528 fu creato “Notaio dell'inclita città di Napoli, conservatore ed archivario di tutte le scritture ed istrumenti di essa Città e Deputazioni”, avendo a partire dal 1519 un ruolo significativo nella costruzione della chiesa di Santa Maria delle Grazie Maggiore a Caponapoli;[39][58][59][60] conte don Francesco Santolo, notaio attivo a Secondigliano a cavallo tra il XVII ed il XVIII secolo.[61] Tra i possidenti: conte don Pietro Giovanni, marito della nobile Giulia Basurto, signore di Quisisana e fondatore della chiesa di Gesù e Maria presso la città stabiese con un contributo di 13.400 ducati, “alunno e familiare di Alfonso V[16], la cui opera filantropica fu proseguita da Francesco di Nocera, il quale edificò il Collegio gesuita attiguo;[44][50][15][62][63]

«Petro Joanni Nuceriae: Patricio Neapolitano, Urbis hujus velut Patriae studiosissimo, Collegii Fundatori; Quod hoc praeterea Templum In Deum , in homines munificus. Excitaverit, Societas Jesu.»

donna Dianora, signora di Castropizzoli e Crispano; conte don Alessandro, industriale tessile nato dal conte Antonio nel 1773.[51]

La tradizione ecclesiastica e giuridica della casata, consolidatasi nell'età moderna, è proseguita sino all'epoca recente.

Dal XIX secolo ad oggi: ramo primogenito

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Anche nell’età contemporanea la famiglia continuò ad avere esponenti di primo piano nelle gerarchie civili, giudiziarie e religiose prima del Regno delle Due Sicilie e poi d'Italia. Tra le attività principali appartenute si annoverano infatti una banca[64] ed un’industria[65]. Rilevante nella casata fu altresì l’impegno profuso da taluni esponenti nelle professioni notarili, forensi e sanitarie.

La famiglia si diramò in molteplici rami in Secondigliano[51][53], dei quali il principale e tuttora fiorente fu originato dal conte don Alessandro, discendente del notaio e possidente conte don Francesco Santolo, dal quale nacquero Antonio e Cosmo, entrambi industriali tessili, i cui rispettivi primogeniti furono Vincenzo e Luigi, protagonisti dell’acme dell’attività tessile e bancaria della famiglia. Vincenzo fu generato dall’unione di Antonio con Chiara Maria Miranda, appartenente ad una famiglia di facoltosi proprietari terrieri e sorella del notaio Cosimo Miranda. Dal matrimonio nacquero altresì il banchiere Alfonso Cosma, i sacerdoti Pietro ed Alessandro e le suore Filomena, Giuseppa e Maria Carmela, quest’ultima nata a seguito del difficile parto di donna Chiara Maria, grazie all’intercessione dei Santi Cosma e Damiano, secondo le cronache dell’epoca.[66][51][53]

Un’azione della BPS del 1886, sotto la presidenza di Luigi di Nocera (in calce le firme di Luigi e Damiano di Nocera)

Ai vertici della BPS, la prima banca popolare con ragione sociale anonima cooperativa del Mezzogiorno, con sede in Secondigliano (all’epoca importante polo industriale campano), costituita il 30 giugno 1883 con atto rogato dal notaio Francesco Mele, vi furono diversi esponenti della casata[67]. Al conte comm. Luigi di Nocera, primo presidente del consiglio d’amministrazione della banca, succedettero nel medesimo ruolo, dapprima, conte Alfonso Cosma di Nocera e, poi, conte Damiano di Nocera[68][69][70][71]. Lo statuto, suddiviso in 101 articoli, fu poi revisionato e adattato alle esigenze sopraggiunte nel 1946 e nel 1962. Nel testo originario si legge: "Preferendo mai sempre il servizio de' prestiti sopra i pegni, di cui la cittadinanza meno agiata, ha tanto bisogno per distruggere l'usura"[72][73].

Nel bilancio del 1926, il capitale versato e i depositi milionari dell’istituto di credito superarono il doppio di quelli della Banca di Credito Popolare di Torre del Greco, con la quale si fuse nel 1971. La banca fu attiva soprattutto nello sviluppo urbano e nella crescita economica della città metropolitana di Napoli, prestando denaro a privati e comuni e contribuendo al Risanamento di Napoli.[11][74][75][76][73]Contestualmente all’attività bancaria, la famiglia s’impegnò altresì nell’amministrazione della maggiore industria nell’ambito della produzione di tessuti misti di lana e cotone nell’Italia meridionale.[12][77] In seguito all’abolizione del feudalesimo, la casata si cimentò anche nella amministrazione locale, presso la zona dei propri possedimenti, donando quattro sindaci all’allora comune di Secondigliano, che sotto la guida della famiglia visse un notevole sviluppo economico e sociale: conte d. Raffaele, conte d. Antonio, d. Luigi, promotore della costruzione del municipio stesso nella piazza a lui intitolata, e conte d. Alfonso Cosma.[53][74]

Don Pietro di Nocera

Ad alcuni membri del casato, inoltre, si deve la rifioritura dell’ordine dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, l’attuale configurazione della chiesa dell’Addolorata, voluta da padre Pietro di Nocera, e l’erezione di una cappellania laicale, autorizzata con regio decreto del 1830 e certificata con atto notarile dell’anno successivo, per mano di donna Margherita di Nocera. In tal modo, fu corroborata ulteriormente la vocazione religiosa della famiglia viva sin dal Medioevo in laici e chierici.[78][79][80]

Della suddetta epoca, sono stati esponenti significativi nell’ambito rispettivamente industriale, sanitario e religioso: conte don Luigi (1826-1902),[81] presidente del consiglio di amministrazione di una banca campana[64] e industriale[65], che in qualità di sindaco di Secondigliano (dal 1926 quartiere di Napoli, temporibus illis comune florido[82] ove taluni nobili napoletani avevano dei possedimenti[83][84], caduto nel degrado soltanto nella seconda metà del ‘900), fu promotore di opere di pubblica utilità, tra cui la realizzazione di scuole, nosocomi e nuove strade e l'estensione della rete dell'acquedotto del Serino, cui è stata dedicata una delle piazze della città partenopea;[85] conte don Antonio (1873-1962), medico, allievo di Antonio Cardarelli, si laureò in medicina[86] presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II[10], ricevendo poi l’onorificenza di cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia[87] in età monarchica, eresse l’ultima cappella gentilizia della famiglia, figlio di Vincenzo e nipote di Antonio, proprietari terrieri e di opifici tessili, è il bisnonno dell'attuale capo della casata, cui è stato imposto il medesimo nome;[74][66] don Pietro, sacerdote. Successore di San Gaetano Errico in qualità di superiore generale della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, ne proseguì l’uffizio dal 1887. Auspice della rinascita dell’Ordine, fu artefice dell’ampliamento (aggiunta di una navata) e abbellimento della chiesa dell’Addolorata a Napoli.[80][88]

Il conte Vincenzo Alfonso di Nocera, trisavolo dell’attuale capo

La casata, inoltre, continuò a contrarre matrimoni con altre famiglie nobiliari, tra le quali si annovera casa Moscatelli di Castelvetere, rappresentata al tempo dal marchese don Carlo Moscatelli di Castelvetere. Eredi della predetta casata, ormai estinta, sono i di Nocera attraverso le unioni con Olga e Carlotta Moscatelli.[89]

La famiglia è tuttora fiorente nelle sue varie diramazioni: ultimi eredi del ramo primogenito di fine settecento, i discendenti del conte dott. Antonio di Nocera, figlio di Vincenzo Alfonso e pronipote del succitato Alessandro, vivono tra Napoli e Roma, mentre i rami collaterali si sono diramati tra Ottocento e Novecento in varie città d'Italia. L'attuale capofamiglia è don Antonio di Nocera (nato nel 1971), conte di diritto longobardo e nobile del Seggio di Castellammare di Stabia, titolare dei diritti di successione al trono di Salerno ed al rango comitale in ottemperanza alle disposizioni dinastiche longobarde, essendo il primo discendente vivente in linea patrilineare della stirpe principesca[2]. Figlio del conte Antonio Cosmo (nipote del conte dott. Antonio di Nocera) e della contessa Silvana Serena, erede primogenita della famiglia Improta, nonché nipote dell’on. cav. lav. Pasquale Improta, svolge la professione forense e si occupa da anni di attività di volontariato presso la chiesa di Santa Maria della Mercede di Chiaja per tradizione familiare. Coniugato con la dott.essa Monica Cacace, giudice civile, presidente presso il tribunale di Napoli, è padre di Antonio Maria (nato nel 2007), l’ultimo discendente dei Conti[51]. Esponenti odierni del suddetto ramo sono altresì l’imprenditore tessile Roberto di Nocera, il notaio Pietro di Nocera, il dirigente d’azienda Pietro di Nocera, il professore di microbiologia del corso di medicina e chirurgia presso l’Università Federico II di Napoli Pierpaolo di Nocera e il console onorario del Messico comm. Cosimo di Nocera.

Il nome “Antonio” è molto presente nella genealogia familiare per la grande devozione dei membri a Sant’Antonio di Padova, il quale pronunciò una delle sue più significative prediche, un mese prima della morte, proprio da un albero di noce, figura caratterizzante dello stemma della casata. Nell’iconografia popolare, inoltre, il noce viene sovente associato al Santo portoghese.[90]

Stemma dei Conti di Nocera
Illustrazione seicentesca dello stemma, in “Famiglie nobili che sono in diverse città del Regno”, nella pagina 68 del manoscritto X A 42, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli
Blasonatura
  • D'argento a due leoni di rosso affrontati e controrampanti ad un albero di noce al naturale
  • D'argento a due leoni di rosso affrontati e controrampanti ad un albero di noce al naturale nodrito nel terreno
Parte degli stemmi delle famiglie nobili stabiesi e casertane

Dal blasone trasse origine lo stemma di Nocera dei Pagani, dal quale derivarono quelli di Nocera Superiore, di Nocera Inferiore, di Pagani e di Sant'Egidio del Monte Albino. Inoltre, il preesistente comune di Nocera presentava il medesimo stemma in campo d’oro.[2]

I territori (in rosso) appartenuti alla Contea di Nocera in Campania, corrispondenti all’attuale Agro nocerino

Feudi nocerini

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Feudo dei Conti di Nocera fu l’omonima Contea, costituita oltre a Nuceria dalle successive signorie ereditate di Marzano, Balentino, Bracigliano, Siano e Scafati e dalle terre attigue. Corrispondente all’attuale Agro Nocerino, il territorio comprende 12 comuni per un'estensione di 18810 ettari ed una popolazione di oltre 300.000 abitanti. Ebbe anche diverse signorie in Vietri e Cava.[91][92]

Contea di Eboli

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La famiglia, inoltre, regnò sulla Contea di Eboli, caposaldo del sistema difensivo di Salerno grazie all’imponente castello avito, a partire dal suo primo conte Lamberto († 1043), proprietario altresì del monastero di San Nicola di Gallocanta, da sua moglie Urania e dai suoi i figli Ebolo, chierico e abate, e Pietro, Aleberto e Landoario, conti.[7]

Signoria di Quisisana

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Dalla fine dell’epoca angioina, per volere degli stessi Angioini e su investitura di Ferdinando II di Napoli, sino al 1598 furono signori di Quisisana, tra i quali: Pietro di Nocera, padrone di galee, Giovan Angelo di Nocera, cavaliere dell’Ordine di Malta, che la ristrutturò, e Pietro Giovanni di Nocera, ultimo detentore della signoria.

Signoria di Crispano

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Donna Dianora di Nocera, dapprima vedova del cavalier Alfonso Basurto, poi del reggente Francesco Revertera, acquistò Crispano nel 1563 per cederlo successivamente a Caterina Caracciolo per 17.000 ducati.

Signoria di Castropizzoli

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Nel 1575 Donna Dianora vendette il feudo di Pizzoli a Ferrante de Torres per ducati 12.000.

Signoria di Melicuccà

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Tra le signorie rette dai di Nocera si annovera, inoltre, il feudo di Melicuccà, possedimento della famiglia a partire dal 1463 con il principe Marino di Nocera per investitura di Papa Pio II.[6][38]

Nel Catalogus Baronum, vengono menzionate altresì diverse signorie appartenute a tre membri della casata: Matteo, Giovanni e Roberto.[30]

Immagine Nome Tipologia Località Costruzione Note
Castello di Eboli Castello
Eboli, Campania
XI secolo Il castello domina il panorama cittadino di Eboli. Fu un caposaldo del sistema difensivo del Principato di Salerno, il cui primo proprietario fu il primo conte di Eboli, Lamberto di Nocera.
Reggia di Quisisana Palazzo nobiliare
Quisisana, Campania
XIII secolo Posseduta dalla famiglia dalla fine del periodo angioino al 1598, anno in cui fu venduta ai Farnese, dai quali verrà ereditata dai Borbone. Tra i suoi proprietari vi furono i signori di Quisisana: Pietro di Nocera, padrone di galee, Giovan Angelo di Nocera, cavaliere dell’Ordine di Malta, che la ristrutturò, e Pietro Giovanni di Nocera, ultimo detentore della signoria.
Chiesa di Gesù e Maria (Castellammare di Stabia) Chiesa
Castellammare di Stabia, Campania
1609 Fu edificata e intitolata da don Pietro Giovanni di Nocera con un contributo di 13.400 ducati.
Palazzo di Nocera Palazzo nobiliare
Napoli, Campania
1870 Ispirato al Palazzo Sanfelice, fu una delle residenze della casata, nonché dal 1883 la prima sede della Banca Popolare dell’Italia meridionale, fondata ed amministrata per diverse generazioni dalla famiglia.
Casa comunale Edificio pubblico
Napoli, Campania
1883 Edificato nel 1883 su iniziativa del sindaco Luigi di Nocera, assolse alla funzione municipale sino all’annessione di Secondigliano al comune di Napoli nel 1926. É ubicato in Piazza Luigi di Nocera.
Chiesa di San Nicola di Gallocanta Monastero comitale
Vietri sul Mare, Campania
X secolo Possedimento secolare della famiglia, fu acquistata e trasformata in un monastero comitale dal conte Adelberto di Nocera nel 996.

Chiesa dell’Addolorata Santuario
Napoli, Campania
XIX secolo Don Pietro di Nocera si adoperò per l'ampliamento della chiesa dell'Addolorata, terminato nel 1894, con l'aggiunta della navata laterale e l'abbellimento della navata centrale, da dedicare al fondatore, qualora fosse stato dichiarato beato. Successivamente, la ornò con stucchi, affreschi e rivestimento di marmi policromi, commissionando il lavoro altresì all'artista Vincenzo Galloppi.

Cappelle gentilizie dei Conti di Nocera Sepolture
Castellammare di Stabia e Napoli, Campania
Dall’XI al XX secolo La prima cappella gentilizia di cui si ha notizia fu quella del Monastero di San Nicola di Gallocanta. Successive sono, invece, quelle nel convento di San Francesco, nella Chiesa di Gesù e Maria e nella Concattedrale di Santissima Maria Assunta e San Catello. Vi sono, inoltre, quattro cappelle gentilizie nel cimitero napoletano di Secondigliano, delle quali la prima fu edificata da Don Antonio di Nocera, la seconda dal figlio di suo fratello Don Luigi di Nocera, la terza dai suoi nipoti Luigi e Vincenzo di Nocera e la quarta dal suo nipote dottor Antonio di Nocera.
Piazza Luigi di Nocera Piazza
Napoli, Campania
XIX secolo Nella piazza sono ubicati gli edifici più significativi della zona: la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, edificata nel Medioevo e restaurata nel XVII secolo, e l'ex municipio dell'allora comune di Secondigliano, un tempo florido. È dedicata al conte comm. Luigi di Nocera (1826-1902), promotore di grandi opere di pubblica utilità, tra cui la realizzazione di scuole, nosocomi, nuove strade e l'estensione della rete dell'acquedotto del Serino. A lui si deve l’edificazione del municipio e dell’odierna configurazione della piazza.
Palazzo di Nocera-Moscatelli Palazzo nobiliare
Castelvetere in Val Fortore, Campania
XVII secolo Entrò a far parte dei luoghi d’interesse familiari a seguito dei matrimoni di Carlotta e Olga Moscatelli di Castelvetere con membri della famiglia, ultime eredi del casato marchionale assieme alla sorella Elisa, la quale non ebbe figli.

Galleria di ritratti

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  • Dauferio, detto il Muto, in Dizionario biografico degli italiani - Treccani
  • Codice diplomatico di Carlo d'Angiò
  • Gazzetta ufficiale del Regno d'Italia

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